Sulla scia di una cometa

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    deva


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    Distorta è la via di chi segue comete malinconiche.

    Abituarsi alla nuova dimensione diveniva ogni momento un imperativo sempre più forte. Non il fisico, ma l'animo soffriva più di tutto quell'involontaria e mai cercata novità; e sotto i raggi d'un'alba piena dei colori del latte e del miele, di nuovo Lapìs metteva piede in un meraviglioso Giardino di ricordi e profumi.

    Ogni gioiello, di naturale genesi, si trovava al proprio posto, e persino le opere dell'ingegno, catturate dal gelido marmo, avevano il sapore delle rose coltivate nel roseto.
    Il viale, aperto a foglia sull'intero spettacolo, seduceva i contorni d'una fontana, al cui interno albergava l'anima serena di un'acqua pura e limpida e luminosa.


    Le statue non parlano. Sussurrano al vento.

     
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  2. Juliette
     
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    « E tu...? »

    La voce di chi è abituato a comandare fende sempre l'aria come una freccia; quella di Karissa, in particolare, si incarnava in un gelido dardo destinato - immancabilmente - ad inchiodare l'interlocutore sul posto.
    Superata la siepe che la divideva da Lapìs, l'alta figura di donna che si era appena pronunciata si incamminò verso l'intruso, sfilandosi dal capo l'elmo metallico che fino a quel momento le aveva nascosto il volto. Una cascata di capelli arruffati si rovesciò sulle spalle, incollandosi alla fronte imperlata di sudore - bianco petalo bagnato di rugiada, in quell'alba assonnata - ed alle gote, arrossate dalla fatica per gli allenamenti mattutini da poco conclusi.
    La giovane (perché giovane era, malgrado i suoi modi imperiosi) era abbigliata in modo maschile, quasi spartano: una camicia dal collo rigido ed un paio di calzoni scuri, infilati dentro agli stivali di cuoio, tentavano invano di soffocare qualsiasi parvenza di femminilità dalla sua persona. Una mano a reggere l'elmo lucente, e l'altra ad impugnare il fioretto con cui aveva appena finito di esercitarsi; squadrava l'estraneo con lo stesso cipiglio severo di un sergente che passa in rivista i suoi soldati, ma nell'impercettibile riverbero luminoso degli occhi blu fiordaliso si leggeva un accenno beffardo, un sorriso inespresso al di là della piega impassibile delle labbra.

    « Non sei un fiore né una statua.
    Cosa sei tu e perché ti trovi qui? »


    Semplici constatazioni, secche e rapide come frustate. O come innocue punzecchiature.

     
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    deva


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    Zaffiri che guardano zaffiri.

    L'intera estensione della sua anima, espansa ad abbracciare la bellezza della lavorazione delle statue e la cura con cui i fiori erano stati coltivati, si troncò di netto, fino a doversi ritirare dentro il corpo minuto del ragazzo.
    Come un bimbo colto sul fatto, magari a rubare del miele, Lapìs si voltò non appena il velato -non così tanto- rimprovero giunse al suo udito.
    Ebbe di che meravigliarsi, vista la fonte di tutta quella severità: cinta nei tessuti opprimenti d'una necessità, o forse d'una scelta, v'era un corpo di fanciulla che niente aveva da invidiare al seno nudo della Dafne di marmo, poggiata qualche metro più in là al fianco della fontana.


    «Perdonatemi, milady. Devo dire che per quanto le suonerà strano, mi sono perso.»

    Dovette distogliere lo sguardo e tuffarlo nelle righe dei ciottoli disposti sul viale, timido per aver appena confermato, con le sue stesse parole, di essere un viaggiatore senza mèta.

    «Invidio il vostro spirito d'osservazione: non sono certo un fiore, o una statua. Oserei definirmi artista, ma qui entrano in gioco i gusti personali e lungi da me mettere in dubbio i vostri.»

    Che ci fosse retorica, o malizia, o provocazione dietro l'apparente ingenuità che vestì le sue parole...non è dato saperlo.
    La certezza fu che vennero dette, lasciate al vento.


    E il vento, smeraldo, le avrebbe consegnate.

     
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  4. Juliette
     
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    « Guardami negli occhi, quando parlo. »

    D'improvviso sollevò la mano che reggeva la spada, rivolgendo con uno scatto felino la punta della lama al petto dell'altro ed allineando perfettamente il filo della lama col braccio, in una retta ferma e insistente che sapeva d'accusa. La distanza tra la carne di Lapìs e l'arma era abbastanza da non farlo sentire realmente minacciato; forse la dama desiderava solo metterlo alla prova con quell'azione apparentemente inconsulta, ma nessuno poteva sapere cosa si celasse dietro al suo atteggiamento autoritario.

    « Artista è quantomeno vago, ragazzo. Può definirsi tale chiunque sia in grado di cogliere la bellezza delle cose. »

    Finse un affondo, portandosi avanti con la gamba destra ed abbassandosi in modo da mirare al ventre. La saetta metallica, che scintillava d'argento sotto i primi raggi del sole, volteggiò in un paio di mosse agili che lo sguardo faticava a seguire, colpendo tuttavia solo il vuoto tra i presenti; poi si ritrasse con la repentinità della serpe, per essere riposta con un unico gesto fluido nel fodero che pendeva dalla cintura della fanciulla.
    Abbandonata la posizione di guardia e rilassati i muscoli, Karissa si posò la mano libera sul fianco, fissando il forestiero come se fosse in attesa di un'adeguata risposta alla sua esibizione.

    « La mia arte è la spada. »
    disse lei con evidente orgoglio; in fondo, non bisogna mai scordare che la vanità è donna
    « Ora mostrami la tua. »

    E c'era davvero qualcosa di spontaneamente infantile nell'arroganza con cui pretendeva - anziché chiederlo - di essere soddisfatta.

     
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    deva


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    Arte è saper creare. Arte è creare sapere.

    Fu prima intimorito e poi estasiato dall'eleganza di quella spada: un oggetto metallico, forgiato nel caloroso abbraccio del fuoco e poi lasciato a solidificare -temprare, dicono- fino a divenire "roccia" che non muta. Già, come la crosta di un monte che, in piena atarassia, è mutamento solo grazie al lavoro dell'acqua e del vento.
    Attese che la graziosa spadaccina terminasse l'esibizione, senza mai distogliere lo sguardo dal di lei delicato volto, avendo a monito il rimprovero ricevuto.

    Quando il silenzio fu sceso per abbastanza tempo, sintomo di una malata necessità che fosse Lapìs a parlare, allora il ragazzo non si scompose più di tanto, portando solo la mancina a stringere il fodero di Tempera. La destra, invece, con surreale lentezza andò a cingere la stoffa dell'impugnatura, facendo sì che ogni singola falange avesse il tempo di assaggiare una presa salda ma allo stesso tempo inesperta.
    Non piegò ginocchia, non assunse alcuna posa: tirò, con forza, e l'elsa dell'arma si mosse.

    Un unico suono. Sordo. Simile ad una bottiglia di vino che si stappa.
    La lama di Tempera non esisteva, non c'era: ma questo, il ragazzo lo aveva sempre saputo. La fanciulla, invece, non poteva che sognarla una eventualità simile.
    Dalla nuova apertura, fuoriuscì una sottile nube grigiastra, una fuliggine granulosa che prese a danzare fra i due: essa levitò fino a pochi centimetri dal volto della spadaccina, per poi adagiarsi sinuosa sul suo petto e poi attorno al collo.
    In pochi attimi, la grafite si intrecciava componendo un'intricata trama di ciò che da lì a qualche manciata di istanti sarebbe diventato diamante.


    «Come polvere, questo è un "granello" della mia arte.»

    Le sorrise, soddisfatto della stupefacente -e per nulla pomposa- collana di diamanti che apparve al suo collo, una sinuosa serpre cristallina appoggiata sulla bianca camicia.

    Non v'è superbia in chi crea, ma solo in chi crede di capire.

     
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  6. Juliette
     
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    Quando Lapìs diede a vedere di estrarre la spada, d'istinto la giovane strinse le dita attorno all'elsa della propria. Era stata addestrata per non farsi mai prendere alla sprovvista in caso di lotta, e certe reazioni ormai esulavano dalla sua reale volontà: le venivano naturali e perfino involontarie, come il respiro. Fu prima con stupore e poi con diffidenza crescente che constatò l'assenza di una lama in accompagnamento all'impugnatura di Tempera; la successiva apparizione di una nube cinerea, che spirò dal fodero come per incanto, la trovò quindi già tesa come una corda di violino, indecisa sul da farsi. Ciò che la tratteneva dall'attaccare era soltanto la mancanza di un qualsiasi impeto omicida sia nell'artista che nei movimenti della caligine.
    Il tempo di un battito di ciglia.
    Immobile come una delle statue che la circondavano, pronta a scattare al minimo segno di pericolo, osservava la spirale di fumo insinuarsi nella sua direzione. Le palpebre calarono per un istante, oscurandole la visuale, cosicché all'oggetto che senza preavviso percepì intorno al collo da cigno arrivò prima la mano della vista. Toccò la collana per qualche secondo, interdetta, e sgranò meravigliata gli occhi blu oltremare, che rivelavano un loro nuovo aspetto: l'insospettabile ingenuità.
    Se non altro, Lapìs poteva fregiarsi di questo: era riuscito a rubarle le parole. Anche se solo per poco.

    « Lo riconosco: è un granello magnifico. »

    Tornò con lo sguardo su di lui, per dedicargli un sorriso raggiante.

    « Purtroppo temo di non poter ricambiare il dono, al momento... A meno che tu non gradisca fare colazione. »

    Abbandonò la stretta sull'arma, sollevata per la piega che avevano preso gli eventi, e si stiracchiò come un pigro gatto appena svegliatosi, inarcando la schiena ed incrociando le braccia dietro alla testa. Che l'artista accettasse o meno l'invito, la sua prossima tappa era indubbiamente una tavola imbandita; per la fanciulla, che era solita alzarsi all'ora del canto del gallo, i morsi della fame iniziavano già adesso a scatenarsi.
    Fece per avviarsi sul sentiero per il Castello, ma parve ricordarsi in ritardo di qualcosa e si voltò ancora verso il ragazzo.

    « A proposito: chi devo ringraziare...? »

     
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    deva


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    V'è gioia propria solo nel vedere gioia altrui.

    Era solito ricevere molti apprezzamenti, la maggior parte dei quali erano in realtà diretti al materiale delle sue opere, e non alle stesse -o al loro creatore-.
    Si esibì in un accennato inchino, al termine del quale richiuse accuratamente Tempera: quest'ultima non obiettò, se non rispondendo con lo stesso rumore sordo di prima.


    «Milady, non c'è bisogno di ringraziare. Non vendo la mia arte, cerco solo individui capaci di apprezzarla.»

    In quella frase all'apparenza retorica, v'era di fondo una verità emotiva del ragazzo che pochi potevano capire realmente. Apprezzare l'arte di Lapìs, essendo per l'artista la sua unica dote, significava apprezzare lui. Un modo di essere amati, se così vogliamo definirlo.

    «Gradirei partecipare comunque alla colazione, se non è di disturbo. Il viaggio per arrivare in queste terre è stato...debilitante.»

    Sorrise, serafico, perdendosi con lo sguardo fra le linee dei glutei di una statua, un adone di marmo e seta scolpita con la roccia, saggiandone con gli occhi la cura artistica riposta nel pronunciare, su quel corpo divino, ogni minima nota di muscolosità.
    Era così: eternamente rapito dai propri pensieri, dalle proprie astrazioni, eppure profondamente cosciente della realtà, attento osservatore delle minime bellezze che essa può offrire.


    «Mi perdoni la maleducazione. Sono Lapìs, Lapìs Chagall. E' un piacere conoscerla.»

    E così fu, un accordo sancito dall'incedere del ragazzo verso il Castello, a seguito di una dolce fanciulla dalla forte personalità e dal fiabesco aspetto.

    Non v'è gioia nel conservare, ma solo nel condividere.

     
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  8. Juliette
     
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    « Karissa Langrave, Capitano della Guardia di Rivenore. »

    Così si presentò, laconica seppure fiera del proprio titolo e del proprio cognome, fregio di un'intera stirpe di Cavalieri - di cui lei era la prima erede femmina - al servizio del castello. Per supplire alla differenza di sesso tra lei ed i suoi sottoposti, aveva stabilito che le si rivolgessero sempre e solo con l'appellativo di Capitano; e ormai quasi tutti, a Rivenore, si riferivano a Karissa usando quel termine.
    Era una strana novità - non avrebbe saputo dire se bella o brutta - sentirsi chiamare Milady, come se non fosse che un'altra delle damine tutte gonne, trine e occhioni dolci che sarebbero arrivate alla festa del giorno dopo.
    Già... la maledetta festa. Aveva dovuto preparare un impeccabile servizio extra di controllo, supervisionare i preparativi e, di tanto in tanto, rifiutare le proposte di Lady Juliet riguardo alla sua partecipazione al ballo. Proveniva da una famiglia altolocata, sì, ma era stata cresciuta come un soldato e quindi si sentiva più a proprio agio dentro a un'armatura che ad un bustino di pizzo. Ora, come se ciò non bastasse, dopo colazione avrebbe dovuto anche occuparsi della decorazione della sala, e che un fulmine le cadesse sulla testa se aveva la benché minima idea su come avrebbe potuto arredarla per renderla originale.
    Lei no. Ma forse un'artista sì.
    Come colta da un'ispirazione improvvisa, sorrise tra sé e sé, interrompendo la loro camminata verso il maniero per chinarsi verso un vivaio di fiori. Iniziò a raccoglierne qualcuno, scegliendo con cura, poiché il mazzolino era destinato a rallegrare la Rosa: Karissa ne lasciava ogni giorno uno sulla sua tavola, perché sapeva che, anche se non poteva vedere i fiori, la Rosa avrebbe odorato il loro profumo ed avrebbe sorriso. E quando sorrideva, tutti al castello si sentivano un po' più felici; lei compresa, sebbene non ne capisse realmente la causa.
    Dando le spalle al compagno, mentre continuava imperterrita a spezzare i delicati steli, tornò ad esprimere i suoi pensieri con voce insolitamente calma.

    « Vedi, Lapìs, io non credo nelle coincidenze. La mia fede non me lo permette. Se perdendoti sei giunto fino a me ci dev'essere un motivo, ed io credo di sapere quale.
    Dici di non vendere la tua arte; eppure è un peccato, perché sei capitato proprio in un momento in cui ne avrei un gran bisogno.
    Dal momento che tutto ha un prezzo - perfino la vita -, penso che in fondo si tratti solo di trovare quello giusto per te. »


    Conclusa l'opera, la fanciulla si rialzò da terra e gli porse un Tulipano di un vivido colore rosso, estratto dal piccolo bouquet che aveva appena finito di formare.
    Di nuovo quello scintillio indecifrabile negli occhi d'acqua profonda, e una domanda sulle labbra.

    « Qual è il tuo prezzo, Lapìs Chagall? »

     
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    deva


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    La delicatezza di un fiore è rombo di tempesta.

    Venne atterrito dal gesto di lei e dalla bellezza del fiore: quel mondo sconosciuto in cui era capitato per caso, riservava sorprese più grandi di quanto si fosse immaginato in partenza.
    Lo strinse fra le dita, mentre la candida peluria dello stelo solleticava la pelle rosea del ragazzo: un rosso vivo, passionale, carne e sangue, tingeva la soffice imbottitura dei petali, donando al tulipano un aspetto vampiresco, ma allo stesso tempo "accorato".
    Lo portò al petto, per poi stringerne l'essenza nel pugno e distruggere la fragilità disarmante dell'opera di Madre Natura: un'azione che, sicuramente, avrebbe messo in dubbio la gentilezza d'animo di Lapìs. Eppure, motivo era altro.


    «Dare un prezzo alla mia arte...sarebbe come dare un prezzo a me stesso. Lei ne sarebbe capace, Signorina Langrave?»

    Vi pensò qualche secondo, non potendo fare a meno di notare quanto mancasse al suo carattere e alla sua personalità per potersi definire "equilibrato", "semplice".
    Normale.

    «Il mio prezzo? Avere qualcuno di apprezzare...»
    «...me...»
    «...la mia arte. In un senso profondo, indecifrabile ed indescrivibile.»

    La scia di una cometa dipinge un percorso. E' segno di fine ma anche d'inizio.

     
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  10. Juliette
     
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    L'idealismo era una bella cosa. Talvolta invidiava chi, diversamente da lei, se lo poteva permettere.

    « In quanto Capitano, devo saper dare un prezzo alle persone. In caso di attacco nemico, è mio dovere valutare se la pace e la salvezza di Rivenore valgano la vita di cento, duecento o anche mille dei miei uomini.
    Mio padre fu ucciso come ostaggio, perché il Consiglio si rifiutò di pagare un prezzo troppo alto per la sua liberazione: l'apertura dei cancelli e la resa delle truppe.
    Non gli fu concesso neppure di morire in un duello leale. »


    La voce era ferma, la sua fede incrollabile. Stava davanti all'artista, dritta come un fuso, senza vergogna per ciò che era e diceva. Disposta ad accettare il disprezzo di Lapìs, perché il disprezzo faceva parte del suo lavoro.
    Nelle iridi, nessun velo di lacrime. Un dolore asciutto e freddo.

    « Eppure riconosco che la decisione dei miei Signori fu giusta. »

    Chinò il capo, lasciando che le lunghe ciocche ribelli le oscurassero il viso per un istante e fingendo di contemplare il mazzolino che teneva in mano.
    Niente più gentilezza. A parlare, adesso, era un ufficiale; non una donna, né un'orfana.
    Solo un ufficiale che stringeva un patto formale.

    « Avrai ciò che hai chiesto, Lapìs. In molti potranno apprezzare il tuo operato, al ricevimento di domani, se mi presterai la tua arte per un giorno. »

    E pensare che anche lui aveva decretato che il prezzo per distruggere la bellezza di un fiore fosse un semplice istante di rabbia.

     
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    deva


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    «Suo padre la amava?»

    Fu più forte di lui. Non riuscì a controllarsi.
    Era la malata idea che l'abilità di saper amare qualcuno fosse una dote naturale, plasmabile ma innata, la quale non poteva essere mai e poi mai insegnata.
    Saper amare era "Arte", proprio come la sua.


    «Il prezzo di suo padre...vale un ricordo sbiadito e camuffato?
    Mi perdoni, milady, mi perdoni...
    La mia arte è al suo completo servizio, poichè a me non è mai appartenuta realmente.
    Creo per gli altri, non per me stesso.»


    E così firmò quel verbale contratto, distogliendo nuovamente lo sguardo dal viso di lei, tirmoso di incontrare i bellissimi occhi zaffiro: era la paura altrui, la sofferenza estranea al suo corpo a spaventarlo più di ogni altra cosa.

     
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  12. Juliette
     
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    Karissa scrollò le spalle, impassibile, nel rispondere alla domanda sul defunto Lord Langrave. Le piaceva ricordarlo; era orgogliosa di suo padre e della carica che da lui aveva ereditato. Le aveva trasmesso la passione per la spada e la fedeltà assoluta a Rivenore. Quanto ad "amarla"... non ci aveva mai fatto molto caso. Il genitore era un esempio da seguire, per lei, ma anche una figura distante; aveva un lavoro importante, che lo assorbiva completamente, ed erano rari i giorni in cui aveva la libertà di tornare a casa. E perfino allora, padre e figlia avevano modo di vedersi quasi solo durante gli allenamenti.
    Le famiglie nobili ragionavano in termini molto diversi da quelli dell'artista.

    « Ha importanza...? Mi ha insegnato a conoscere l'amore per il mio dio. »

    Ci credeva davvero. Sotto alla cornice di ciglia lunghe e scure, che gettavano ombre sul suo sguardo blu come le nubi fanno al cielo, gli occhi erano limpidi e risoluti. La voce, priva di qualsiasi esitazione, non vacillò neppure per un attimo; c'era sì una vena di tristezza, non sapeva se per la memoria del compianto Lord o per il sospetto che forse - forse - egli si fosse dedicato più a renderla un Cavaliere che a conoscerla, ma non tale da provocare il crollo delle sue ferree convinzioni. Il tono, tuttavia, si ammorbidì lievemente quando la donna, riprendendo il cammino verso il palazzo ed invitando implicitamente l'altro a seguirla, deviò il discorso per rivolgerlo a pensieri più immediati e positivi.

    « Sei perdonato, Lapìs. Tu sei buono. Ti presenterò alla Rosa; lei saprà come aiutare te e la tua arte. »

    A suggellare la promessa, un sorriso stanco.

     
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11 replies since 18/12/2008, 14:32   431 views
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