Ballo di Apertura

~ Warrior Day IV

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  1. Juliette
     
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    Gradito Ospite,

    la Signoria Vostra è invitata a prendere parte al Ricevimento di Apertura che avrà luogo quest'anno presso la Corte delle Comete, nel castello di Rivenore, in occasione dell'inaugurazione del torneo interplanare noto come Warrior Day,
    giunto alla sua quarta edizione.

    La serata sarà animata da buona musica e altri intrattenimenti, e culminerà con l'estrazione degli abbinamenti delle competizioni:
    sarà una notte magica... non mancate!

    Anche le Stelle verranno a guardare...


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    La Corte delle Comete

    Le grandi porte al termine del corridoio si aprono davanti a voi, sotto lo sguardo vigile ed impassibile degli uomini posti di guardia, e basta un passo all'interno della sala perché la Notte dispieghi le ali e vi guidi nel suo più profondo cuore di tenebra. Una volta che l'uscio si richiude in silenzio alle vostre spalle, siete completamente circondati dalla visione della volta stellata: sopra e sotto di voi si estendono intere galassie, e le costellazioni danno l'impressione di osservarvi mentre vi incamminate su quella che - più che una pavimentazione - sembra una lastra di vetro sospesa nello spazio infinito. Appena entrati, un lacché in abito scuro e guanti bianchi vi raggiunge per accogliervi con un ossequioso inchino e pregarvi di consegnare le vostre armi; ogni oggetto ritenuto pericoloso sarà infatti preso temporaneamente in custodia e restituito a ricevimento concluso. Sbrigate le formalità, venite condotti al centro pulsante della festa, dove si trova allestita una complessa struttura in cristallo, adorna di fiori e dal triplice palco circolare. La terrazza più alta, o upper stage, è destinata ad elevare i Signori di Rivenore ed i quattro Alfieri durante la pronuncia del discorso beneaugurale, mentre in quella più bassa, o inner stage, avverrà la distribuzione dei nastri e dei bouquet in occasione del tradizionale Oracolo dei Fiori. La piattaforma situata a metà tra le due sorelle, anche detta main stage in virtù della sua grandezza, ospita invece la folta orchestra che è stata riunita per allietare la serata, intrattenendo i convitati con della musica leggera di sottofondo fino all'inizio delle danze vere e proprie, quando si esibirà nei suoi valzer di repertorio. Tutt'intorno a questa raffinata costruzione, che pare intagliata nel ghiaccio, si estende la pista da ballo: una vasta area circondata da una fila intermittente di tavole imbandite, sopra alle quali fanno bella mostra pietanze prelibate per qualsiasi palato, disposte in zuppiere, plateau d'argento e lucidi piatti in ceramica. Molti elementi della servitù in livrea sostano presso i tavoli per sorvegliare il rifornimento di vivande; altri vagano tra la folla con un vassoio di calici trasparenti, porgendo quelli colmi di vino agli ospiti e ritirando quelli già svuotati. Figure fiabesche scolpite nel diamante si trovano disseminate ai margini della sala, dove sono stati predisposti anche dei salotti di conversazione appartati: semicerchi formati da poltrone di velluto e antichi divani a zampa di leone sono infatti disponibili per coloro che non amano la confusione e preferiscono perciò riporsarsi in disparte.
    Uno sciame di piccoli globi di pura energia, sospesi per aria come fuochi fatui ed eterei come bolle di sapone, provvedono ad illuminare la scena, danzando tra la folla ad un ritmo che sembra di musica ed inseguendo i convitati che si allontanano dalla festa per rischiarare loro il cammino. È grazie a loro se la stanza non si trova immersa nel buio più totale, ferito solo dal fulgore degli astri che assistono allo spettacolo dal cielo. Più d'uno rivolge spesso il viso verso l'alto, nella speranza di scorgere una stella cadente e di formulare un desiderio.
    Persone senza fantasia gli darebbero il nome di Planetario; qui al castello di Rivenore, questo luogo irreale si chiama Corte delle Comete.







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    Programma della Serata
    Specifica Off-GDR


    20/12/08
    Inizio della festa d'Inaugurazione presso la Corte delle Comete

    22/12/08
    Ingresso degli Alfieri e dei Signori di Rivenore, pronuncia del Discorso d'Apertura
    Distribuzione di Fiori e Nastri

    28/12/08
    Rivelazione dell'Oracolo dei Fiori e Primo Giro di Danze

    31/12/08
    Spettacolo Pirotecnico per salutare la Mezzanotte

    08/01/09
    Estrazione degli abbinamenti e pubblicazione del Tabellone

    10/01/09
    Chiusura del Ballo e inizio del Torneo


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    deva


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    ~ Comete e Diamanti
    Fu solo Infinito, ed Infinito sarebbe rimasto. Infinito diveniva, e stelle e comete e luce squarciavano l'oscurità, dandole grandezza e magnificenza.

    Dovette entrare in quella sala ad occhi chiusi, così da non rovinare la concentrazione profonda in cui aveva spinto il proprio animo.
    Diversamente dalle altre volte, il tappo di Tempera si tolse da solo, sospinto dalla forte pressione della grafite contenuta nel fodero: non vi fu rumore, e dal centro della Sala -in cui il corpo del ragazzo pareva una lacrima nell'oceano-, la volta celeste fatta di magia e desiderio assisteva alla nascita di qualcosa più grande del solo pensiero.

    La polvere nera vorticò attorno al giovane, seducendolo, mentre i capelli oro ascendevano verso il soffitto -inesistente- e le braccia accompagnavano questo movimento; il primo bagliore giunse inaspettato, e fu come l'esplosione di una nebulosa, un universo creato all'interno dell'universo già presente.
    Ad intermittenza, la grafite trasmutava in diamante, preparandosi a coesistere con l'idea primigenita dell'artista: essa si espandeva, in uno spasmo simile più ad un orgasmo che ad un vento di passione, e reclamava la propria indipendenza dal creatore.
    Soverchiata, la grigia fuliggine rifulgeva di luce propria, andando a formare nello spazio un'altissima terrazza, la cui balconata era solo insieme di petali di camelie, una corolla di intarsiato diamante con tema floreale: il sostegno della stessa, un intreccio di rovi e sinuosi gambi, annodati fra di loro in una conturbante danza di cristallina natura.
    A partire da questi sostegni, numerose radici foravano il pavimento e davano vita ad estroflessioni figlie di questa meravigliosa creatura centrale: ai lati di essa, infatti, due piccole piattaforme ad immagine di rosa nascevano dal suolo, pronte ad accogliere chi avrebbe dovuto trovarsi sulla terrazza superiore, innalzandolo verso essa per poi tornare a terra.
    A destra e a sinistra di questa principale piattaforma, la mente del ragazzo aveva dato vita a qualcosa di irripetibile: due stagni, a forma di ali di farfalla, al cui interno non v'era acqua, ma diamante allo stato liquido, una creazione che mai avrebbe potuto forgiare se non per merito della magia di cui quella "Corte delle Comete" era pregna. E, a galleggiare sul mare di meraviglia, v'erano ninfee di cristallo più scuro, fiori dalla grandezza spropositata ed adibiti ad ospitare i gruppi di strumenti dell'orchestra, permettendo così loro di suonare senza trovarsi direttamente a contatto con la pista da ballo.
    Più sotto la terrazza principale, a mascherarne il robusto sostegno, il ragazzo formò un magnifico gazebo dalle colonne tortili, adornate in ogni dove con foglie e primule: in questa adamantina casupola, sarebbe avvenuta la distribuzione dei nastri e dei bouquet in occasione del tradizionale Oracolo dei Fiori.
    L'intera magia terminò con un unico, sincronizzato, bagliore, il quale suggellò il contratto artistico di Lapìs con quel luogo.
    Esausto, in fin di vita, e con il cuore colmo di soddisfazione -e le sue riserve prosciugate-, il giovane biondino dagl'occhi zaffiro crollò a terra, privo della forza di muovere anche un unico muscolo.

     
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  3. Pan`
     
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    Fece un leggere inchino in risposta al saluto delle due guardie all'ingresso del grande portale. Le porte si spalancarono avvolgendo Kendra in una sinfonia di voci melodiche e strumenti leggeri che sembravano colmare l'aria della loro densa musica. Violini, arpe, flauti traversi nel medesimo abbraccio di note e armonie celestiali.
    Aveva il viso delicato e pallido come i petali di una magnolia lasciati al gelido bacio della notte, incorniciato dalle lunghe ciocche corvine che gli ricadevano sul volto e si adagiavano sulle sue spalle in disordinate, eppur perfette, voluttuose spirali informi. Le labbra d'un rosso pallido simile alle ciliegi ancora acerbe.
    Due gemme verdi brillavano al posto degli occhi, smeraldi fusi per sostituire le iridi di un comune mortale, poichè Kendra era un dio, spirito della terra e degli alberi, signore di Imlarkaris, Foresta dei Sussurri, Protetto e Protettore del Loth-in-Laurëndór, il Giardino dei Boccioli d'Oro.
    Indossava una lunga tunica di seta muschiata bordata di oro e argento dal colletto alto e svasato come una foglia di quercia albina. Le vesti e i suoi capelli sembravano muoversi sotto invisibili soffi di vento, gonfiarsi e aleggiare in quell'infinita meraviglia come sospinti da carezze d'aria. Sui polsi portava due bracciali in argento, lo stesso materiale che cingeva il suo braccio in una fascia metallica incisa con decorazioni che rimandavano alle foglie di sanguinella e ai boccioli ancora chiusi del gelso; al dito medio Vaènglir e l'altisonante smeraldo incastonato brillavano di lievi bagliori perlacei, inondando tutta la figura di Kendra d'una leggera aura candida e sfocata.
    Il suo passo era calmo e deciso, i piedi scalzi a nudo contatto con il pavimento astronomico del tutto irreale e magico. Sulle sue caviglie tintinnavano due finissime cavigliere in delicato argento, tanto fini che sembravano ragnatele di pura rugiada sulla sua pelle, delicate e del tutto naturali.
    Si fermò come fosse statua candida scolpita in un mare di stelle ed astri celesti, gli occhi brillarono di gioia, partecipi di un'insolita e straordinaria meraviglia, un fiore tessuto con i cristalli del ghiaccio e della luce, sbocciato su d'un prato di tenebra e gocce di rugiada, che altro non eran che stelle, tante meravigliose stelle.
    Alzò lo sguardo perdendosi in quell'infinito mondo di fiaccole e galassie, abbracci di astri e vortici di tenebra e luce, perfetto sfondo per la musica che aleggiava nella sala e già rendeva magica la notte.
    Una bolla soffiata con le fiamme fatue della magia gli sfiorò la pelle del viso, portandosi dietro fili corvini di capelli, un invito, una guida in quel mare di sogni.
    Distolse lo sguardo a malincuore da tanta meraviglia e si portò avanti nel grande salone della Corte delle Comete, una delicata opera d'arte che sembrava potersi infrangere con la stessa facilità con cui si frantuma il vetro soffiato.
    Ma ancor più delle stelle un opera d'arte rubò del tutto l'occhio di Kendra, un invito aperto alle sue opere di tutt'altra arte che costantemente creava, un impasto di note e profumi naturali sigillati dalla magia del diamante.
    La nella lontananza dello spazio, tra galassie dai colori del crepuscolo, quella scultura attirava il suo sguardo e la sua profonda ammirazione, un abbraccio di rovi e radici, intrecci di foglie e composizioni di scintillanti camelie, boccioli così perfetti e naturali che sembravano essere il segno di un prematuro inverno freddo su d'una rigogliosa primavera.
    Socchiuse gli occhi stirando un leggero sorriso nelle labbra.
    E così era giunto, Rivenore, venuto a combattere in quella dimensione in nome della natura e del Loth-in-Laurëndór, portavoce di un mondo che da evi aveva smesso d'inviare ambasciatori.
    Eccolo dunque, Signore di quel mondo da cui per secoli artisti e creatori avevano preso spunto, un mondo d'idee e d'ispirazione, il mondo della natura, il regno delle foglie e dei fiori: casa.

     
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    Il sole era già tramontato quando al castello di Rivenore una leggiadra figura fece per la prima volta la sua comparsa.

    Indossava un lungo abito blu di seta che, come se fosse stato creato al solo fine di coprire magistralmente quelle forme perfette, delicato e morbido scivolava lungo il seno invitante ed accogliente fino ai fianchi ben modellati, accarezzandoli come un dolce amante, per poi scendere come una cascata fino a terra.
    Lunghi capelli del colore dell'ebano scendevano dolcemente sulle spalle, per poi essere raccolti e spostati su quella destra grazie a fili d'argento sottili ed impalpabili. Brillavano come diamanti, oppure piccole stelle, ma in realtà quello era solo il riflesso di un'altra luce, leggerissima e quasi impercettibile, che dalla pelle vellutata della ragazza si espandeva come attratta dal mondo che la circondava, e la ricopriva di un'aura benigna.
    Gioielli fuori dal comune adornavano quello che era un corpo divino; un collier d'oro bianco si intrecciava alla gola, per poi scendere sulla schiena nuda, lasciata sapientemente scoperta dalla scollatura dell'abito, e con ricami delicati si intrecciava e diveniva sempre più sottile, fino a ridursi in un solo, lungo filo, avente all'estremo un piccolo punto luce a forma di goccia. E sui polsi un solo bracciale, sottilissimo e semplice, come anche lo erano gli orecchini, anch'essi di oro bianco.
    E le calzature femminili, blu come il lungo abito che le copriva, regalavano a chi era in sua presenza una dolce sinfonia, cadenzata dai passi leggerissimi che, alternandosi, la stavano conducendo all'entrata di quella che prendeva il nome di Corte delle Comete.

    Un lacché in abito scuro e guanti bianchi le venne incontro e, con un inchino impeccabile, le pregò di porgergli le armi.
    Ma lei quella sera non aveva armi. Non amava portarle con sè in ogni mometo, soprattutto perchè le davano un'aria minacciosa, o comunque di persona che poteva ricorrere alla violenza.

    E così, quella donna chiamata Drusilia Galanodel entrò nella vera e propria Corte delle Comete, così bella da lasciare il fiato sospeso.
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    Gli occhi verdi e splendidi come la luce che filtra tra le foglie degli alberi si levarono verso l'alto, e con quieta meraviglia rimasero ad ammirare quello spettacolo sublime che si apriva innanzi a loro. Giungere in quella sala era come varcare la soglia del Paradiso, un mondo reso magnifico dai giochi di piccole luci che, insieme, creavano effetti spettacolari, alternandosi alle ombre dello spazio infinito. Gli occhi si spostarono lenti sulle pareti, per poi terminare il loro viaggio sul pavimento cristallino. Lei era là, immobile, ed era come se volasse in quello spettacolo della Creazione che fino ad allora non aveva mai avuto l'onore di ammirare.
    Di certo le sarebbe stato molto gradito poter assistere a quella visione con le persone che amava, magari gli amici dell'Accademia, ma quella volta era completamente sola. O per un motivo o per un altro non era riuscita a mettersi daccordo con Yang e Jensen, suoi coinquilini, ed infine era giunta alla conclusione che andarci da sola avrebbe risolto un sacco di problemi.

    E così, la bellissima fanciulla iniziò a vagare per la Corte come in cerca di volti familiari, e con le dita affusolate giocava con i fili d'ebano che le facevano da chioma morbida. E mentre camminava, leggera ed invitante, su quel pavimento di stelle, i suoi occhi scrutavano ciò che la circondava, e con i denti si mordeva le labbra rosse e carnose, riguardo alle quali in molti avrebbero dato ogni cosa in loro possesso per poterle solo sfiorare con le proprie.
     
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  5. Pan`
     
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    Occhi e mente si corrompono facilmente di fronte alla bellezza, non sono leali, non sono fedeli, essi si lasciano placare con il senso estetico ancor prima che il fuoco sopraggiunga al cuore e ne infiammi i delicati ingranaggi.
    E gli dei non sono esclusi dal tripudio del fascino, dagli inganni del corpo, Kendra compreso giacche vive esaltandone il decoro e la riflette su di se e su ogni sua creatura, dal più innocente e germoglio di grano alla più complessa e delicata forma del Lylium.
    Il suo sguardo era già stato rubato al suo ingresso dalla meraviglia di quel luogo incantato, e ne seguiva l'infinito orizzonte perdendosi con i pensieri in ogni singolare lucciola astrale che baluginava solitaria nella trama del cielo notturno, sbiadendo per poi accrescere ancora la propria luce come se stesse seguendo le note d’un pentagramma scritto per la soave sinfonia che aleggiava nell’aria.
    Sarebbe rimasto a contemplare il cielo per l’eternità se i suoi occhi non fossero stati rapiti da una nuova e splendente stella. Un astro accesosi all’improvviso in un universo di diamanti.
    Eterea, lo sguardo di Kendra scivolò sul suo corpo condotto per mano da quell’elegante abito blu notte che rendeva omaggio ad ogni curva del suo corpo.
    Notò la profonda scollatura sulla sua schiena e ne seguì il sentiero trascinato da quella cascata di delicati filamenti brillanti, un ricco gocciolare di gemme che dai capelli bruni si fondevano con la più chiara pelle del corpo, risaltando come piccole stelle in contrasto con la tela lucida ma scura della sua veste.
    Perfetta ed austera, un bocciolo di delicata fattura in quella notte dove Kendra ne era certo, ne sarebbero sbocciati molti di fiori in quel modo.
    Senza perdere tempo si mosse in sua direzione, rapito dal suo corpo e dallo sfavillare dei suoi gioielli che la facevano risaltare in maniera delicata come fosse una piega del velo d’universo.
    Giunto innanzi a lei scrutò nei suoi occhi smeraldini andando in un ciclo continuo di colori, poi, inchinandosi in maniera educata, si presento alla fanciulla giunta al ballo con l’intento di fare conversazione con quella stella.

    « Il mio nome Kendra Aël, Signore di Imlarkaris e seguace di re Ray delle terre dei mondi mortali… »

    Prese con estrema delicatezza una delle mani della fanciulla e fece per portarsela alle labbra, sfiorandola con quest’ultime in un sommo gesto di educazione formale.
    Poi, spostatasi una ciocca dalla fronte con la mancina, continuò a parlare a quella fanciulla che aveva osato rapire i suoi occhi.

    « scusate la mia poca riservatezza ma non ho potuto fare a meno di notarvi quando siete entrata in questo universo di stelle, se la mia compagnia vi è poco gradita non dovete fare altro che rammentarmelo ed io mi farò da parte come si richiede ad un qualsiasi signore della nostra posizione… »

    Non c’era infatuazione nella sua voce, ne perdizione nel suo sguardo. L’amore di Kendra era sublimato tra i petali di una rosa e li sarebbe rimasto, poiché non era suo intento cercare conquiste quantomeno conversare in quella magica serata di stelle.


     
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  6. chuck™
     
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    imageL'ingresso
    dell'Attore
    incompreso,
    tanto
    Incompreso
    da non esser
    riconosciuto.


    Si chiuse addosso un giacchettone viola, infilò un paio di scarpe dalla punta arricciata e si poggiò in testa una bombetta, viola anch’essa.

    pagliaccio: s. m. (f. -a ) 1 Buffone di circo. 2 (fig.) Persona poco seria, che si comporta in modo ridicolo o senza dignità; SIN. Buffone. ETIMOLOGIA: da paglia, perché il vestito ricorda la tela che riveste i pagliericci.

    No, non andava bene. Quell'abbigliamento gli dava proprio l'aria da imbecille.
    Non che non lo fossi, ma dovevo riuscire bene almeno nel debutto. Poi mi sarei dato carta bianca, ma oltre a "carta bianca" bisognava concepire il "poi". Non ora.

    mimo: s. m. 1 (f. -a) Attore che interpreta azioni sceniche con gesti espressivi il discorso o esprimendo con segni il proprio pensiero. 2 (letter.) Componimento che rappresenta al vivo scene di vita quotidiana, tipico del mondo greco e latino.

    In un secondo un’Illusione portò via i suoi abiti, lasciandolo nudo. Un attimo dopo chiuse i polsini della vestaglia bianco-lino con gemelli di rubino, strinse sulla pancia una fusciacca rossa, imbrigliò le gambe con stretti pantaloni mori. Si coprì le spalle con un'altra vestaglia nera, aperta davanti e con pochi intarsi bianchi. Chiuse una sola delle asole, al livello dello sterno.
    Mi guardai allo specchio: ero lo stereotipo della quotidianità mondana.

    In particolare... Un attore. Mi sarei dovuto calare nel personaggio come al solito, indossando quelle mere vesti come un piumaggio deciduo pronto a cadere per mostrare la pelle raggrinzita. Che poi era raggrinzita, ma aveva quel connotato artistico... Che aleggiava... Sì, insomma, era bella comunque. Per me. Sì. ... Per me.
    Sì, sarei stato un Mimo. Bello, piacevole, di vivace compagnia. Forse non troppo vivace, ma di sicuro quel che serve per essere mimo. Io lo scrissi... Lo scrivvii... Scribbii. Sì. Anzi, no. Era scribbio sul vocabolario.

    Pose davanti all’occhio nocciolo un monocolo, dai turbinosi riflessi rosati, stringendovi su la guancia; indossò un redingotto nero e ripose sul collo una sciarpa di bianca seta, quasi come fosse su un appendiabiti. I capelli castani, corti e ben curati, formavano un ciuffo bizzarramente normale sulla fronte, piegato di traverso. Si tolse il monocolo: non era cieco.
    In una mano comparirono dorate monete, che cascarono rincorrendosi e tintinnando nella tasca destra dei pantaloni. Non erano proprio di buon gusto, ma a me piacevano.

    E son pure il Pazzo Sofferente! Forse non può un menestrello, un palese (forse futuro) Pirandello (un fringuello), giocare con la propria bizzarria e trarre con leggiadria, o per lo meno superficialità, rime in un audace sincerità? Ha! Al giorno odierno ancora è ancora peccato il moderno (?) forse dovrei vivere con i vecchi del presente restando coerente alla recente correnteH?! Mai sia sua Maestà, Eccellenza, Suprema Grazia e onorevole Santità! Non lustrerò con la mia fronte le sue pantofole e il mio naso ben distante dal toccare terra terrò. Ec-chem-maip-più... Si-presenti-al-mio-cospetto-non-credendo-dispetto-il-mancarmi-rispetto, con un do (♪) di pettoH!
      Pardon, bienveillance, Bonté, Clémence, COMPRÉHENSION!... Son proprio Io, il Pazzo Sofferente.

    E si presentò. Sfilando davanti figure metalliche e colonne aizzate nel marmo, si presentò al portone. Le sue scarpe smisero di produrre rumore, piantando e battendo i tacchi a terra come fan i picchetti all’arrivo dell’ospite. La porta si aprì, e le tenebre uscirono ad abbracciarlo, quasi ad accoglierlo calorosamente come di dovere all’anfitrione. Fece altri due passi, aprendo il soprabito, per portarsi sulla soglia.
    Uno spettacolo magnifico mi colpì. Il ricevimento era parte integrante di una rappresentazione più grande, dove veniva interpretata addirittura l’Infinità dell’Universo. Come Illusionista, rimasi ispirato dall’Opera. Come Attore, mi sentii una formica all’aperto.
    Attorno a lui, il cosmo intero viveva il momento, percorso da globi luminosi che incorniciavano di mortale luce l’arredo e la mobilia.

    Un valletto nero mi raggiunse.

    Ben trovato, Signore. La prego di denunciare armi od oggetti pericolosi prima di accomodarsi.

    Lo guardò negli occhi, senza esprimersi con particolare indole, e si tolse di dosso solamente la giacca; l’allungò al paggio, che l’accolse volentieri tra i guanti bianchi, assieme a una piccola moneta.

    Si accomodi. Buona serata e buon proseguimento.

    Con sufficienza striminzì un beneplacito col capo, chinandolo.
    E si accomodò. Con fare del tutto garbato pose il suo sguardo sulle sculture che adornavano la sala, mentre si rammendò l’armarsi dell'aperitivo. Si avvicinò a uno dei tavoli che circondavano la scultura centrale, e lo rapinò educatamente di un bicchiere d’acqua liscia, ravveduta da una fetta di limone.
    Mi misi ad osservare la struttura centrale, stupito da un lato e ignaro dall’altro. Seppur ammaliato dalla cristallinità della costruzione, solo dopo diversi secondi di contemplazione riuscii a capire che era un simile del gazebo. Con più piani, ma lo scheletro era quello.
    Trasse un altro piccolo sorso dal bicchiere, ricercando l’aspro del limone sulla punta della lingua. Poi si voltò attorno, forse alla ricerca di un pretesto per cominciare pubblicamente la serata.
    Poche persone, per non dire nessuna, in grado di attirare l’attenzione. Le figure di Boemia immobili destavano la curiosità, come se fossero in trepidante attesa di qualcuno.
    Il mio sguardo si suggellò per poco sui divanetti. Quelli che vedevo erano vuoti. Era forse troppo presto? Alzai gli occhi alle stelle, infilando una mano in tasca e rimescolando le monetine. Mi sentii così solo, in confronto a tutti quegli ammassi di stelle.
    Un sorriso si dipinse non poco audace sul volto del Mimo.

    Mi ero calato così bene nella parte che ho pensato come una persona! Sono proprio un grande attore!

     
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    Drusilia era lì, sola in quel mare di stelle. E lì si sentiva persa. Cosa era, infondo, lei rispetto a tale e straordinaria forza che prendeva il nome di Natura?
    No, lei non era niente a confronto.
    Tuttavia non fu a disagio per tali pensieri, nè si sentì contrariata dalla questione che si era posta, perchè lei era senza malizia, senza oscurità, pura come solo un Galanodel poteva essere.
    E se dentro era bianca e candida come un piccolo fiore, fuori era bella ed intrigante. Una combinazione molto pericolosa per una ragazza, su questo non c'era ombra di dubbio.

    Ed era proprio la sua bellezza sfolgorante, accentuata dalla naturale luminosità emanata dalla pelle, che difficilmente la faceva passare inosservata tra la folla.

    E quel giorno il suo fascino carpì gli occhi smeraldini di un uomo, bello e dai capelli corvini. E lei fu cosciente del suo sguardo che la seguiva sin dal primo istante, tuttavia continuò a vagare per la sala in cerca di qualcosa...chissà cosa era poi....

    Ed intanto l'uomo non perse ulteriore tempo nel soddisfare la sua sola vista, e si incamminò in sua direzione, per poi sostare innanzi a lei ed esibirsi in un educato inchino.

    CITAZIONE
    « Il mio nome Kendra Aël, Signore di Imlarkaris e seguace di re Ray delle terre dei mondi mortali… »

    A quelle parole l'angelica fanciulla chinò il capo in segno di educazione e rispetto. Un inchino molto composto e senza inutili fronzoli ad alterare la sacralità di un momento quale il saluto tra due esseri senzienti.

    CITAZIONE
    « scusate la mia poca riservatezza ma non ho potuto fare a meno di notarvi quando siete entrata in questo universo di stelle, se la mia compagnia vi è poco gradita non dovete fare altro che rammentarmelo ed io mi farò da parte come si richiede ad un qualsiasi signore della nostra posizione… »

    Su quel perfetto ovale che le faceva da volto andò delineandosi un dolce e gentile sorriso.

    -Non abbia timori, Kendra Aël, Signore di Imlarkaris. La sua presenza non mi è sgradita.

    Era vero, vagare sola e senza meta, per quanto il luogo potesse essere meraviglioso, con il lungo andare, poteva rivelarsi noioso. Quell'uomo era giusto ciò che le serviva per rompere tutta quella monotonia.

    Dunque si inchinò anch'ella, portando la mano destra sul cuore.

    -Il mio nome è Drusilia Galanodel, lieta di fare la sua conoscenza.

    E con ciò la mano destra scivolò prima sui fianchi per poi tornare al punto da cui era partita.

    Gli occhi verdi scrutarono quelli dell'uomo, ma non si trattava di uno sguardo invadente, sebbene sembrasse che i soli occhi avessero il potere di entrare nell'anima di chi aveva l'onore di ammirarli.
     
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  8. Juliette
     
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    Perfino nella folla, la Rosa non riusciva a passare inosservata.
    Pur accompagnata da una scorta di due uomini, non ricorreva mai al loro aiuto per spostarsi: con le palpebre calate sugli occhi ciechi, su cui ricadevano anche alcune morbide ciocche dei capelli color mogano, camminava con la stessa naturalezza di chiunque altro, schivando gli invitati come per istinto. Incedeva con passi lenti e misurati, ma non aveva mai la minima perplessità sulla direzione da prendere, e si esibiva in un leggero cenno col capo per ringraziare chi si faceva da parte per lasciarla passare - benché non ce ne fosse, in verità, nessun bisogno. In molti, comunque, erano troppo occupati a farsi rapire dalle meraviglie della Corte delle Comete per accorgersi dell'apparentemente giovanissima Signora che fendeva la folla per dirigersi verso un angolo ben preciso della grande sala, dove la donna che rivestiva l'incarico di Capitano della Guardia assisteva un estraneo in procinto di perdere i sensi.

    « Karissa » le si rivolse, con un sorriso divertito sulle labbra rosate « Non avrei mai detto che tu fossi il tipo di persona che raccoglie i cuccioli randagi e se li porta a casa. »

    « Lady Juliet. »
    Il capitano si rialzò in fretta - si era inginocchiata a controllare lo stato di salute di Lapìs - per onorare i suoi doveri formali, portandosi la mano alla fronte in segno di saluto militare ed ostentando un leggero inchino, benché la Rosa le avesse più di una volta assicurato che non era affatto necessario.
    La bruna superò Karissa, lieve e profumata come una brezza primaverile, per approssimarsi al forestiero accasciato per terra.

    « Mi dicono che è proprio un gioiello di ragazzo, a giudicare dal suo particolare talento. Mi piacerebbe presentarlo a Kalia. Andresti a cercarla, Karissa, per cortesia? Non è ancora arrivata alla festa, quindi deve trovarsi tuttora nell'ala nord. »

    Il Capitano non perse tempo ad interrogarsi su come facesse Juliette a sapere che la Dama Azzurra non si era ancora presentata al ricevimento: era già a conoscenza del fatto che alla mancanza congenita della vista ella rimediava con altri e ben più raffinati sensi, di cui nessuno era riuscito a scoprire fino in fondo il segreto. Annuì con aria decisa e lasciò la sala, dove la festa iniziava ormai ad animarsi, per andare immediatamente alla ricerca di Kalia Menethil, come le era stato comandato; ciò malgrado quella della bruna fosse stata una semplice richiesta, e non certo un ordine. Almeno poté smettere di preoccuparsi per le condizioni di Lapìs, che fino ad un attimo prima assorbiva tutta la sua attenzione: dal momento che adesso si trovava con la Rosa, era in buone mani.

    Uno dei soldati che accompagnavano Juliette fece per chinarsi sull'artista al fine di aiutarlo a tirarsi su dal pavimento, dove questo sostava privo di forze; ma la fanciulla lo bloccò con un diniego del capo, come a raccomandargli di non muoversi. Fu allora che intorno a Chagall cominciò a spirare un vento leggero, una forza invisibile che raccolse il giovane e lo sollevò delicatamente da terra, per posarlo poi poco distante, mettendolo a sedere su uno dei divani di velluto porpora che erano stati approntati in quell'occasione e quindi svanendo nel nulla da cui si era originato.
    I due accompagnatori non sembrarono eccessivamente stupiti del piccolo prodigio compiutosi di fronte a loro; o, se lo erano, lo nascosero in modo egregio. Erano infatti noti, anche alle persone fuori dal castello, i poteri che legavano la dama immortale all'aria, elemento che costituiva il suo principale alleato.
    Non appena Lapìs venne fatto accomodare sul sofà dal servitore di vento, infine, prese posto accanto a lui e gli sfiorò la fronte con il palmo bianco e stranamente freddo - tanto da far rabbrividire chi lo percepiva senza preavviso -, trasmettendogli con quel contatto quanto bastava della propria riserva d'energia per permetterne il risveglio.
    Terminata l'operazione, ritrasse le dita e le abbandonò in grembo, accingendosi ad aspettare pazientemente che la stanchezza sparisse dalle membra del ragazzo, così da potergli parlare.






    Castello di Rivenore, Ala Nord

    L'armatura della divisa da ufficiale indossata da Karissa per l'occasione faceva risuonare ogni suo passo nel corridoio vuoto a tal punto che Kalia riuscì ad accorgersi di lei ancora prima che svoltasse l'angolo e la vedesse.

    « I miei rispetti, Signora di Lordaeron. Lady Juliet ha espresso il desiderio che la raggiungiate al più presto. »

    « Ma certo. »
    La Signora assunse un'espressione stupita.
    « Oh, vedo però che avete qualcosa tra i capelli (l'altra si toccò la soffice chioma dorata, interdetta): entrate un attimo, così potrò sistemarveli. »

    Ignara e piena di fiducia nei confronti della Dama Azzurra, dolce in viso al pari di un angelo, Karissa varcò la soglia che le era stata indicata. Kalia la seguì e chiuse la porta; da fuori si sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, un istante di silenzio, e poi un trambusto infernale di grida e tonfi, come se qualcuno stesse scannando il povero Capitano.
    Un ospite che passava di lì divenne pallido come un teschio nell'udire le urla disperate di quella voce femminile: indeciso sul da farsi, scelse quasi subito di accelerare al massimo l'andatura e di far finta di nulla, abbandonando la probabile vittima di una tortura disumana al suo destino.

     
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    deva


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    Ragione non c'è, in un alito di vita.

    Il corpo del ragazzo scivolò a terra, privo d'un'energia capace di sorreggerlo a seguito dello sforzo compiuto; la vista divenne nebbia, e i profumi e i suoni del diamante tintinnavano sempre più in lontananza.
    Toccò il pavimento prima con la schiena e poi con la fredda nuca, attutendo solamente in parte il colpo grazie ai capielli biondi, poichè essi erano poco folti in quel punto e piegati in un'acconciatura che prevedeva una sorta di ascensione, piuttosto che un sommesso "caschetto".

    Non ricordò molto, la sensazione del tempo scemava con l'allontanarsi dei sensi, e non seppe giudicare con onesta verosimiglianza se fosse rimasto in quello stato per minuti, ore o addirittura giorni.
    Seppe solo che il primo stimolo del corpo ricevuto fu una brezza, delicata, intima: lo sospinse, sollevandolo da terra per poi adagiarlo su un divanetto dal color viola, una tinta molto accesa ma allo stesso tempo poco invadente.
    Il formicolìo diffuso lo informò che i muscoli e tutto il corpo stava lentamente riprendendo attività, e di conseguenza anche la mente era pronta a risvegliarsi; un sospiro di vita gli trapassò la fronte, proveniente da chissà quale terra gelida, e grazie ad esso potè sentire un flusso riprendere regolarmente dentro di sè.

    Spalancò le due piccole fessure che erano diventati gli occhi, accattonando un po' di luce scampata all'oscurità di quella volta celeste senza inizio ne fine; la vide, una divinità all'apparenza silvana, poichè adornata con i colori della terra: i capelli, simili a seta ricavata dagli alberi millenari, le dipingevano un viso rilassato ma al contempo carico di emozioni e passione.


    «...grazie...»

     
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  10. Juliette
     
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    Quando finalmente sentì l'ospite riprendersi ed emettere un flebile sussurro di gratitudine, la Rosa sorrise e rivolse il viso pallido verso quello di lui. Riusciva a comportarsi esattamente come una persona normale: col tempo aveva infatti imparato qualche trucco per non mettere a disagio i propri interlocutori, e tra questi compariva il girare la testa nella direzione da cui proveniva la loro voce, così da poter fingere di guardarli in faccia nonostante in realtà fosse cieca.

    « Sono io a doverti ringraziare, per via del tuo ottimo lavoro. »

    Come sempre, dalle labbra della fanciulla scaturivano parole in forma di musica; note di uno spartito il cui significato quasi sfuggiva alla mente, se solo ci si lasciava distrarre dalla loro bellezza piuttosto che concentrarsi sul senso intrinseco.
    L'immortale sollevò le palpebre, le quali - come il coperchio di uno scrigno che si apre - rivelarono due preziose gemme ambrate a cui, forse in pegno per il loro straordinario colore, era stato precluso il dono della vista.
    Il suo sguardo vacuo si fissò su Lapìs; ed era inquietante, a detta di molti, il modo in cui sembrava davvero osservare gli altri con quelle iridi inerti. Ma aveva un'aria vagamente triste, ed un sorriso gentile ad illuminarle il volto dai lineamenti dolcissimi: non avrebbe davvero voluto incutere paura.

    « Da dove vieni? Sei qui per il torneo? »

    La sua voce si spandeva tutt'intorno come un profumo, un magico alone che annebbiava la visuale e ottundeva piacevolmente i sensi, fino a precipitare gli ascoltatori in un baratro di nuvole dove si percepiva solo l'eco dei suoni da lei formulati...
    Non era una voce umana.
    Era l'Eredità della Musa.

     
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  11. Mirot
     
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    Il Castello di Rivenore in festa come poche volte si era sentito. Pareva infatti che i Signori suoi diretti superiori avessero patrocinato una manifestazione di lotta senza precedenti nella dimensione di Endlos, un evento che aveva richiamato l’attenzione di molti e molti mondi. Lo chiamavano Warrior Day, gloria eterna al vincitore. Non ne aveva mai sentito parlare e, d’altro canto, non gli interessava. La sua vita – se di vita si può parlare – e i suoi affari giravano attorno a Rivenore e uno sciocco torneo ad eliminazione diretta – e per “eliminazione” si intende morte – non avrebbe mutato le sue abitudini o la segretezza con cui svolgeva il proprio lavoro. Ciò a cui si apprestava a partecipare, però, era un’occasione alla quale non poteva mancare, in virtù del ruolo che ricopriva all’interno del castello, se mai quel ruolo avesse avuto importanza a livello pubblico. I Signori, infatti, avrebbero aperto le danze macabre del Warrior Day con un ballo degno della magnificenza che Loro ricoprivano.
    Il vociare della Corte delle Comete faceva presagire al demone il gran numero di partecipanti alla festa, persone importanti e non da ogni parte di Endlos e oltre. Un rigurgito di carne e riflessi, quasi un banchetto per il cacciatore chiuso nel corpo che, senza preavviso, era apparso nel lungo corridoio prima delle porte del planetario.
    L’uomo, con un’espressione totalmente neutra in viso, si volse per qualche attimo al grande specchio che aveva alle spalle. Ad osservarlo un titanico aborto della natura, mostro albino senza volto; le parti essenziali di quello che sarebbe dovuto essere il viso si trovavano in zone totalmente estranee, tre grandi occhi rossi sulle code possenti e due file di zanne acuminate nel petto. Se mai quel mostro avesse potuto esprimere felicità, il momento era giunto. Le fauci spalancate, l’intero corpo sembrava preso da convulsioni gioiose, probabilmente delle risate che non riuscivano ad oltrepassare il vetro dello specchio. Era apparentemente solo un’immagine, però; l’uomo davanti allo specchio non condivideva quell’insana goliardia e anzi iniziò a camminare per allontanarsi dal maestoso specchio.
    Bene o male nel Castello di Rivenore tutti conoscevano Mirot, anche solo per sentito dire. Da lontano lo si vedeva come un ragazzo di poche parole, sempre chiuso in se stesso. Gli unici momenti in cui riusciva ad aprirsi arrivavano quando qualcuno gli rivolgeva la parola. Era un dato di fatto però quanto l’umore dell’Ufficiale fosse.. volubile. Nessuno riusciva a chiarire come quel misterioso ragazzo biondo riuscisse a cambiare umore – apparentemente addirittura personalità! – a seconda della persona che si trovava davanti. Quando arrivò di fronte alle porte della sala, non degnò di uno sguardo i due uscieri che spalancarono i battenti al suo ingresso. Lo stesso comportamento tenne con i galanti inservienti che si prostrarono a lui come ad ogni invitato e con ogni persona che gli capitò di incrociare. A capo chino come un monaco, e con lo stesso religioso silenzio, trascinò la veste candida fino all’unica persona a cui era disposto rivolgere l’attenzione e, di conseguenza, la parola. Attraversata la Corte, sopra miriadi di stelle e nebulose, solo il capolavoro di cristallo e diamante al centro di essa riuscì a fargli alzare lo sguardo; oltrepassato, arrivò silenzioso al cospetto di colei che l’aveva accolto entro le mura bianche di Rivenore. Quando Mirot incrociò lo sguardo con quello vacuo della Dama, gli occhi prima spenti di lui si animarono di una luce quasi umana. Impossibile dire, però, se fosse una luce spontanea o solo un riflesso di quella di lei.
    « Mia Signora. » sussurrò a fior di labbra, sicuro che Lady Juliet l’avrebbe sentito.
    In fondo, lei lo sentiva sempre. Una delle poche persone che ancora riuscivano a farlo.
    Passarono pochi istanti prima che il biondo s’accorgesse del pallido ragazzo che sedeva accanto alla dama. Sembrava stanco, sconvolto da una fatica troppo pesante per le sue spalle, una fatica che l’aveva abbattuto. A lui, sconosciuto, rivolse un sorriso dolce. Era una dolcezza visibilmente effimera, però: quel sorriso sembrava degno di una nobildonna preoccupata per il suo ospite e non di un cortigiano.
    Come forma di rispetto per il discorso che la Musa aveva voluto iniziare con quel giovane sconosciuto, l'Arcano indietreggiò di un passo, ritornando a quella forma di neutralità tipica delle statue di diamante e degli oggetti immobili.

     
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    deva


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    Fu uno sguardo, semplice e contemporaneamente inconcepibile, aldilà della portata di qualsiasi mente o cuore, persino di una divinità o del Demonio in persona.
    Il gelo nel suo petto, eterna bufera che tutto sopiva, tremò alla vista -non vista- dei di lei occhi, nocciole cadute dal Paradiso per dare un senso al calore che spesso si prova nella carne, giù in fondo alla gola; le sembrò un angelo di sangue ed immacolata dolcezza, un dono da vivere istante per istante.
    E pianse, perchè capì in un solo attimo, comprese la Meraviglia che ogni persona porta dentro di sè: lui, artista di sfavillante estro, ignorava in realtà il vero senso di un tiepido sentimento, coltivato nell'intimità d'una oscurità forzata, ma espanso per tutto l'Universo col dono della voce.

    Continuarono a scendere lacrime, nascoste col braccio che Lapìs portò per coprire il volto, timido e nudo e salato: portandosi una mano al petto, fu lui a ringraziare nuovamente la gentile fanciulla, mentre ancora non riusciva a cogliere l'innaturale sensazione di "vita" che lo stava smuovendo.
    Si inginocchiò ai suoi piedi per accompagnare la sua solenne riconoscenza e stupefacenza, con la crescente consapevolezza che la materialità dello sguardo della ragazza vacillava senza un perchè, quasi fosse un'impressione dipinta sulla superficie di un lago.
    Tremò, in equilibrio sulla gamba sinistra e sul ginocchio opposto, ma riuscì comunque a non crollare di nuovo grazie all'aiuto che si dette con la mano destra.


    «Mi perdoni Milady, devo essere ancora turbato dallo sforzo...la ringrazio.»

    Stava ignorando la gente presente, tranne lei: trascinato nel profondo d'un mare sconosciuto, la sua anima era preda di emozioni contrastanti, una poziome magica mescolata e tenuta a bada per troppo tempo e ora pronta a ribollire, esalare fumi cangianti e farli ascendere fino al cielo...e forse anche più su.

    «Provengo da un altro mondo, sono nato alle Cave di Kor. E mi è estraneo questo torneo, non so di cosa si tratti...»

    Sapere o non sapere, in quel momento, avevano perso di senso.
    La sensazione di essere stato vuoto per la sua intera -breve- vita era una preoccupazione che appena nata lo stava già divorando ma, paradossalmente, risvegliando da un letargo emotivo destinato a terminare in quel luogo, davanti alla fanciulla.

     
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    ЩД


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    Fu con un assurdo, stiracchiato sorriso che entrò in sala: posto che quella si potesse definire "sala". Non era nuovo a simili incantesimi, uno l'aveva addirittura creato lui stesso, però rimaneva sempre sorpreso dalla quieta grandiosità che conferiva lo spaziare nello spazio. Quando gli occhi rimiravano nel nulla, conferendo piena nullità al proprio essere, si sentiva come rimesso al posto che gli spettava, giusto ed equo per le sue capacità. Non era una visione disfattista come potrebbe sembrare all'inizio, ma anzi dava il giusto equilibrio: come lui poteva, volendo, causare morte e distruzione più comuni nelle saghe epiche di eroi transdimensionali che nella vita comune, così esistevano altri enti capaci di annichilire lui, proprio lui, come fosse un'infinitesimale particella di materia indegna di considerazione.
    Era uno sconcertante equilibrio.

    Coff...

    ...e una seccatura: ma questo solo perché c'era un tizio che lo scrutava con aria perplessa dall'alto in basso. Non se ne ebbe a male: visto che interpretava una gargolla alta a stento uno e venti se comodamente accoccolata sulle ginocchia come suo solito fare, non si era aspettato di trovare molte persone con gli occhi al suo stesso livello... o, addirittura, ad un'altezza inferiore.

    « Le armi, vero? » disse, tranquillo ma senza distogliere gli occhi dalle galassie intorno a lui. Lo sgherro dei Lord di Rivenore emise qualche parola di assenso, che lui ignorò completamente. Invece, estrasse da foderi, maniche, tasche, bisacce e quant'altro due spade bastarde forgiate alla maniera delle katane, dieci coltelli capaci di tagliare l'adamantio, un bordone da mago che levitò a mezz'aria quando Alicamantus lo lasciò andare, svariati dardi da lancio, una dozzina di corde incantate, una lancia che sfrigolò d'energia pura quando la toccò e una Pietra di Lava. Poi avanzò sul vuoto, lasciando alle sue spalle una catasta di armi alta quanto lui e un lacché alquanto indeciso nel domandargli se avesse ancora altre armi.

    La sala, a dispetto dell'accoglienza iniziale, era stata evidentemente ideata da una mente con palese ed ottimo gusto: niente di eccessivo, sia pur raffinato in ogni dove, e niente di pretenzioso o banale. A parte ciò, le affascinanti strutture di cristallo vennero ignorate in toto dalla gargolla... eccetto la prima, e più alta, là dove sarebbero arrivati i Signori di Rivenore. Constatato che non c'erano, tuttavia, anche la piattaforma alta venne ignorata.
    A lui non interessavano le sculture, quanto invece le persone.

    Non era un compito facile, il suo, e tuttavia era stato deciso ed approvato proprio da lui: fingersi il Demone del Vento, enigmatica creatura trasfigurata di raziocinante segretezza e irrazionalità pura, per partecipare ad un torneo interplanare cui avrebbe dovuto partecipare, ma che per strani e arcani motivi non sarebbe nemmeno stato uno spettatore. La prima delle... irregolarità, dunque, il primo degli errori inerenti Alicamantus che loro quattro dovevano correggere.
    E finché ciò si era limitato nella sorveglianza ventiquattr'ore su ventiquattro del Demone, costantemente in movimento lungo Celentir per tessere le sue trame contro i Von Liebetiz e la Bestia, era stato facile: la Bestia in persona aveva applicato un faro psionico alla psiche della gargolla onde meglio seguirlo proprio in quegli spostamenti così caotici, quindi loro quattro non avevano fatto nulla più che inserirsi nella mente della gargolla, isolare per qualche attimo il Cristallo di Jee Das che ne schermava blandamente la mente da simili intrusioni e trovare la traccia del faro; poi era stato lo stesso Demone a guidarli a zonzo per Celentir. La più grande seccatura era divenuta il doversi portare appresso il pranzo, poiché non si sapeva mai se quella gargolla volesse fermare il suo volo per mangiare qualche boccone come lo stomaco comanda o se invece avesse intenzione di continuare fino a quando si rischiava di essere scoperti a causa dei borbottii oramai forti come rombi di tuono!
    Tutta un'altra storia, invece, per il Warrior Day...

    Purtroppo, se Alicamantus non voleva andare al Warrior Day, loro non potevano costringerlo. Dunque, si era deciso di mandare al Warrior Day una copia del Demone, una copia abbastanza verosimile da non essere scoperta. Replicare il suo corpo era relativamente facile, qualunque alchimista di una certa abilità ci sarebbe potuto riuscire, dargli una personalità sarebbe stato altrettanto semplice... ma dargli proprio quella della gargolla? No, questo era troppo difficile: la coscienza di un essere era il prodotto dell'allacciamento di innumerevoli imput susseguitesi durante tutto l'arco di una vita, e la vita del Demone gettava ombre di criminalità su Celentir da più di quindicimila anni. E tuttavia, la copia doveva essere perfetta in ogni dove per ingannare tutti i partecipanti del Warrior Day.
    Ecco perché, invece di una copia, era andato lui. Una vera coscienza, viva da più tempo del Demone, con abbastanza somiglianze con l'io di Alicamantus per fingersi lui anche nei pensieri. Irriconoscibile, indistinguibile.
    Quasi perfetto.

    Un picco di magia vicino lo fece allarmare. In un attimo sfondò la sottile parete di coscienza fra lui e la magia e si voltò, pronto al combattimento. Con un guizzo di sorpresa, vide semplicemente un giovane che plasmava diamante in forma liquida. "Scemo: se tu non sapessi controllare la tua espressione, ti saresti già scoperto!" si disse, dandosi una calmata. L'unico grande, quasi enorme problema in quel piano era che lui sapeva fare molte cose in più del Demone: una di quelle era la visione dell'aura, che aveva attivato inconsciamente quando era entrato in una sala con così tante persone. Era una sua misura precauzionale basilare per evitare gli agguati, ma gli aveva quasi fatto saltare la copertura. Rimproverandosi per la dabbenaggine, la gargolla ritrasse la sua coscienza ben all'interno del suo essere e si diede da fare per sembrare ammirato dall'opera dell'umano che continuava a costuire meraviglie. Cinque secondi prima avrebbe apprezzato, e non poco, ora usava la sua arte solo come distensivo.

    Sospirò, leggermente irritato da sé stesso, e mostrò le spalle al giovane e alle sue creazioni, facendosi largo senza una meta fra gli ospiti e perdendosi fra loro, sia in senso fisico sia in qualità di psiche. Una molteplicità di razze, vesti, lineamenti e abilità lo circondava, e vi sprofondò come solo lui e il Demone sapevano fare, assorbendo come una spugna una molteplicità di informazioni che stivò in un angolino della sua mente, pronte per essere riutilizzate in combattimento. Vide umani e goblin ed elfi silvani dal portamento di un dio in terra, vide l'ombra di rami di quercia intessuti in incantesimi boschivi e barbigli di magia nata dalle emozioni più disparate, vide vesti di seta e gioielli di oro e argento, vide opulenza e sicurezza...
    ...e vide un uomo vestito di abiti neri che reggeva il braccio ad una donna dal bianco vestito scollato.

    Prima di commettere sciocchezze, azzerò quasi fino all'ultimo la sua aura: così la vera potenza della sua ira non fu percepita da alcuno. Bruciando dentro come poche volte aveva fatto in vita sua, sgusciò fra le gambe degli invitati ed arrivò alle spalle dei due, non visto, proprio mentre l'uomo finiva una frase che lasciava poco adito a dubbi.

    « ...è un maestro del trasformismo, è ovvio che non riesco a trovarlo. »

    « Trovare me? » chiese candidamente, e godette nel vedere sussultare sia l'uomo sia la donna. Con un'espressione stupefatta sul viso si girarono ad affrontarlo.
    « Madame Miremel, Monsieur Gerad, a che devo il piacere? » disse, la voce flautata nell'inchino che stonava terribilmente con il lampo amaranto dei suoi occhi.

     
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  14. Miremel
     
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    Le grandi porte bianche si aprirono dinnanzi ai due. Miremel inclinò la testa con grazia verso le due guardie, poi lasciò che il braccio di Sarbad la guidasse dentro la sala con una leggera pressione alla sua mano ricoperta da un bianco guanto lungo fino al gomito. Il suo sorriso di circostanza non attenuava la gioia pura che provava la donna

    ...le apparenze ingannano...



    nell'essere in quel luogo, nel castello dei Signori di Rivenore, in un'altra dimensione, a partecipare ad un ballo della crema della società del Multiuniverso stesso. Il sorriso delle sue labbra rosate irradiava felicità dovunque lei posasse gli occhi attenti e risplendenti di cento stelle, mille costellazioni, infinite galassie. La sua bocca si aprì ed esalò un unico sospiro di sorpresa quando entrarono nella Corte delle Comete, e persino l'impassibile espressione di Sarbad mostrò qualche accenno di sorpresa incredibilmente buffo, su quel volto impassibile. La sala fu riempita per alcuni soavi attimi dalla sua risata cristallina e musicale, come il suono di un'arpa di diamante, e le stelle stesse parvero tremolare, commosse per quel suono. Sarbad le rivolse un sorriso leggermente imbarazzato e negli occhi di lei passò un lampo malizioso prima che un uomo attirasse la sua attenzione, le afferrasse la mano e gliela baciasse. Poi l'uomo si rialzò e voltò la testa verso Sarbad, soffermandosi però per un istante sulla scollatura del vestito di Miremel.

    « Signori, sono il Guardarobiere. Posso chiedervi di consegnarmi le vostre armi? » chiese.
    « Ma certamente. » disse Sarbad, slacciando il fodero di AmmazzaDraghi e porgendolo all'uomo. « La prego tuttavia di prenderla dal fodero, poiché l'elsa reagisce male al tocco degli estranei. »
    « Allora non le darò modo di aversela a male. » replicò l'uomo, afferrando il cuoio liscio del fodero. « Signore, Signora... »

    Miremel sorrise candidamente e fece un cenno al sorriso biricchino dell'umano, il quale le fece ancora il baciamano e li oltrepassò, dirigendosi verso altri ospiti.

    « Non credo che quel tizio vorrebbe ancora fare ciò che voleva fare, se sapesse che cosa sei tu in realtà.... » le sussurrò Sarbad all'orecchio.
    « E' una punta di gelosia, quella che avverto nella tua voce? » replicò Miremel, e stavolta fu lei a guidare lui lungo l'abisso stellato.

     
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  15. Sarbad Gerad
     
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    Sarbad scosse la testa e si lasciò trascinare verso la struttura di cristallo. Poteva capire come quell'ambiente raffinato, ben lontano dagli ambienti selvaggi di Celentir che avevano visto negli scorsi mesi, potesse attrarla tanto. Lui, però, se ne curava poco o nulla: i millenni di Maledizione che aveva vissuto lo avevano reso insensibile a molti piaceri, inclusa la bellezza dei luoghi. Semmai, ciò che l'aveva lasciato a bocca aperta erano gli incantesimi.

    All'inizio, lui aveva creduto che la dimensione che avrebbe ospitato il Warrior Day era una dimensione qualunque, eccezionale in quanto dotata di una propria unicità e basta. E invece... e invece non era assolutamente così! La dimensione di Enlos era niente di meno che un parto del Multiuniverso resosi stabile per chissà quale miracolosa casualità o prodigiosa azione e preservata dall'azione disgregatrice dell'Immaterium. Per quanto le sue conoscenze di magia, negromanzia, alchimia e dominio della mente fossero estese, non riusciva a credere all'immane quantità di energia necessaria a porre una coscrizione magica del genere ad un intero mondo. Eppure era così, era vero, e il castello ne era la verace prova: quelle mura costruite in pietra e magia, quei tetti di tegole e sigilli, quelle guglie che s'innalzavano beffarde contro il Caos... tutto sfolgorava di una tale energia ai suoi occhi che aveva dovuto smettere di guardare e reprimere parte del suo auspex, riducendolo ad una comune visione dell'aura: solo allora la magia gli era apparsa come un velo soffuso che annebbiava forme e contorni, tant'era onnipresente.
    E nonostante lo vedesse coi suoi stessi occhi, nonostante riuscisse comunque ad analizzare ogni stringa di energia e ogni dettaglio di quegli incantesimi... non ci credeva.

    « Allora? » disse Miremel, riscuotendolo dalle proprie riflessioni.
    « Scusa? Temo di essermi distratto. » si scusò Sarbad, evitando di urtare un invitato troppo vicino.
    « Lo hai percepito? » domandò ancora la donna, leggermente seccata.
    « No, ma è qui: per un attimo ho avvertito il suo auspex tremare e ritrarsi. » rispose.
    « Ritrarsi? Perché avrebbe dovuto...? »
    « Perché in questo periodo temporale il Demone non ha alcun tipo di auspex passivo. » spiegò, fermandosi dall'altra parte di un laghetto di diamante creato da pochissimo tempo. « Mi stupisce anzi che abbia espanso la sua mente, anche se solo per un attimo. »
    « Ma adesso lo senti? » insistette Miremel.
    « No, ovviamente, com'è giusto che sia! » replicò Sarbad, con voce piccata. « Sta' tranquilla: è un maestro del trasformismo, è ovvio che non riesco a trovarlo. »
    « Trovare me? » chiese una voce dietro di loro, candidamente.

    Completamente colti di sorpresa, sia Sarbad che Miremel sobbalzarono e si voltarono, assumendo un'unanime espressione esterrefatta quando videro lui, proprio l'oggetto della loro discussione, guardarli con espressione cortese e sguardo infuocato. La gargolla fece un piccolo inchino ad entrambi, soffermandosi giusto l'attimo necessario a connotare quel gesto di rispetto con molteplici parole sottointese.

    « Madame Miremel, Monsieur Gerad, a che devo il piacere? » domandò la gargolla, raddrizzando la schiena.
    « Ehm... ciao... » borbottò Miremel, imbarazzatissima.
    « Ma che coincidenza! » esclamò Sarbad con voce cordiale, ad uso e consumo di eventuali ascoltatori. Non sarebbe stato bene in un'occasione mondana che qualcuno ascoltasse gli improperi che mentalmente rivolgeva alla... gargolla. « Davvero non ci aspettavamo di incontrarla qui, in un simile ambiente. »
    Un guizzo passò negli occhi della gargolla, segno che aveva capito.
    « Davvero un'incredibile coincidenza, invero, poiché neanche io avrei mai pensato di vedervi qui ad un simile avvenimento, con tutti i vostri impegni. » replicò la gargolla, a tono. Ovviamente non c'era alcuna diatriba, fra loro due, ma un'antipatia reciproca avrebbe spiegato agli osservatori più attenti il comportamento segretamente ostile (e neanche troppo) della gargolla.
    « Oh, dopo tanti mesi di fatica una vacanza è ben apprezzata, tanto più che i miei... impegni verranno accuditi per la durata del torneo da uno dei miei collaboratori più stretti. Conosce forse Aggron? »
    Ambo le sopraciglia della gargolla s'innalzarono verso la Stella Polare, in quel momento proprio sul loro zenit, e suscitarono un guizzo di divertimento in Sarbad. "Uno a zero"
    « Non avrei mai creduto che Aggron potesse rivelarsi all'altezza di simili compiti. » sibilò la gargolla.
    « E tuttavia, se ne è già dimostrato all'altezza nei dintorni della Domia Skulblaka: riesce ad immaginare la nostra sorpresa nello scoprire che un piccolo demonietto ha avuto l'incredibile idea di penetrarvi per carpirne i segreti? » ridacchiò Sarbad.
    « Ma davvero? » fece la gargolla, realmente sorpresa. « E questo... Demone è per caso rimasto intrappolato nel castello? »
    Sarbad sorrise.


    ~ † ~

    Una coda gigantesca si abbatté come un maglio a pochi centimetri da Alicamans, scagliandolo a terra. Con un ringhio di frustrazione, il Dragone della Mezzanotte si voltò alla velocità della luce ed afferrò coi denti le gambe del terrorizzato Elessedil prima che avesse il tempo di rialzarsi o schivarlo e lo proiettò in aria con lo stesso movimento con cui avrebbe spezzato l'osso del collo di un cervo, poi spalancò le fauci ed eruttò un getto di fiamme nere come la notte a malapena deviate da un invisibile scudo magico. Grugnendo, Aggron si chinò sulle zampe posteriori e saltò in aria con la forza di muscoli grandi come quercie, tendendo il collo rettiliforme per inghiottire quella minuscola gargolla dalla punta delle corna a quella degli artigli inferiori...

    ~ † ~

    « Temo proprio di si. » rispose. « Una vera fortuna, per noi due, vero? »
    Lente, le labbra della gargolla si schiusero in un ghigno che esprimeva tutta la sua approvazione.
    Un ghigno quasi crudele.
    « Oh, si. » sussurrò. « Una vera... fortuna... »


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    Mana: 95%

    Vedere il vero: Per quanto l'auspex di Sarbad possa essere di acutezza invidiabile, esso può essere ingannato. Vero, la visione dell'aura non è più il suo unico senso, eppure Sarbad ci fa ancora molto affidamento: per questo, se Sarbad ha il sospetto di essere ingannato, può concentrare parte del suo potere per aumentare a dismisura la definizione del suo auspex e rendersi capace di vedere direttamente il tessuto di magia, potendo così accedere al testo completo della tecnica.
    [Basso, istantanea]

    Riassunto: usato Vedere il vero per percepire la rete di magie del Castello dei Signori di Rivenore.


    SPOILER (click to view)
    Scusate i papiri, mi serviva per il bg!
     
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