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Kisnoth la Grande Dama,
Kisnoth la Magnifica,
Kisnoth dai mille volti,
Kisnoth l’eterna.
Kisnoth.
L’antico simbolo della Capitale raffigura una spada a quattro ali;
due grandi che ascendono verso il cielo e due piccole, opposte l’un l’altra per direzione
e leggermente meno angolate,
al cui centro svetta uno splendido zaffiro di taglio ovale.
Il pomo dell’arma è invece una corona in miniatura
- forse per ricordare la stirpe reale che un tempo dominava questi luoghi -
alla base della quale sono raffigurate
tre gocce nere come l’inchiostro.
Questo simbolo è raffigurato in campo azzurro,
sul quale svettano altri due segni araldici:
un falco argenteo che stringe tra gli artigli una rosa cremisi,
simbolo di regalità e fedeltà.
Per quanti studi siano stati fatti, per quanto perfino i più eruditi studiosi di Rivenore si siano impegnati,
non è stato possibile ricondurre l’effige
ad una famiglia riconosciuta all’interno di Endlos.
L’unica somiglianza che si è riscontrata con tale marchio è la sua presenza sugli ingressi invalicabili
- perfino dai viaggi dimensionali e dai più potenti incantamenti - di tre degli edifici di Kisnoth:
il Palazzo delle Ninfe, il Palazzo della Spada ed
un'intera ala del Mausoleo della Famiglia Reale.
Attualmente, nessuno ha mai espresso il desiderio di cambiare quello stemma né di forzare
in alcun modo i segreti dei luoghi sul quale è impresso, quasi si covasse una sorta di timore
reverenziale nei confronti di questi e di ciò che esso rappresenta.
Tralasciando questo mistero, la Grande Dama è patria di meraviglie per chiunque
desideri soffermarsi per un istante ad osservarla:
terra di cultura ed arte, di storia e magia, l’Eterna vanta attrazioni per ogni cuore,
perfino per il più burbero.
Il Nucleo della capitale è formato dal cosiddetto agglomerato antico
risalente al periodo pre-imperiale, e vanta un estensione di ben dieci chilometri,
eccettuando dal conteggio le fondamenta sulla quale è stato eretto.
Probabilmente molto più antichi e ramificati sono invece
i sotterranei della Grande Dama, capaci di raggiungere e proseguire ben oltre le mura cittadine al punto da estendersi in una ragnatela di cunicoli e catacombe apparentemente senza fine.
Poco oltre il “centro storico”
si possono riconoscere i vari stili architettonici occorsi nel tempo susseguirsi in un ampliarsi a raggiera
in un crescendo concentrico,
fino a coprire un area tale da non poter essere paragonata a quella di nessun altra città di Endlos
né per varietà né per ampiezza.
Ma Kisnoth non è solo storia; essa è anche un importante scalo commerciale,
come denotano le rotte economiche che l’hanno per tappa, e che continuamente partono ed arrivano a lei,
congiungendola a tutti i luoghi abitati dello stato delle cento torri ed oltre,
fino anche ai luoghi più impervi come la cittadina sotterranea di Merovish
o la sperduta Najaza.
Una tradizione commerciale e non solo che si tramanda sin da quando
la cultura scritta possa aver menzione è la Festa di Celldara.
Attirate da questo evento, persone da tutto il mondo prendono
a peregrinare verso la Grande Dama e,
ogni cinque anni, danno vita ad un vero e proprio festival di attrazioni, mercanteggi, ed ogni altra attività che la mente possa immaginare.
Naturalmente, la cosa sembra affascinante ed incredibilmente pittoresca al solo udirla.
…Chissà come sarebbe viverla...
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Thianou.
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Non lo faceva da un po’, di questo bisogna dargliene atto.
Era appena tornato in vita, ma le reminiscenze di ciò che era stato si attardavano a togliere il disturbo: si accomodavano blande negli arti bionici, nelle gambe e negli ultimi riflessi istintivi rimasti all’automa-Van Thian. Si affollavano negli ultimi, strettissimi pensieri umani –autonomi- rimasti nella mente sempre più sintetica dell’ispettore (ex?).
E quindi?
Quindi beveva. Beveva com’era solito fare in vita; non con depressione. Non con tristezza. Forse con un filo di amarezza (la mancanza del pluritrapassato Rabdomant si faceva sentire, lampada a reostato del cazzo), ma con mestizia, distensione. Con calma, insomma. Si beveva perché non s’aveva poi così molto da fare: il committente era in ritardo, e il Palazzaccio (o meglio, ciò che rimaneva di esso –ma questo verrà illustrato in un altro capitolo) l’aveva spedito alla cieca ordinando di non sprecare un minuto in più del necessario. Era in stand-by, il cyborg-Van Thian, impegnato ad attendere –strano ossimoro. E proprio in quei rari momenti di quiete, quando il sistema passa alla cosiddetta fase di “risparmio energetico”, le difese informatico-cibernetiche atte a preservare l’integrità della creazione del Dottor Malaussène subivano un lieve ma inevitabile calo; fiaccate dagli ultimi pensieri autonomi.
Ore 23.31: lieve effetto della vodka, non che un cyborg abbia tutto questo bisogno di idratarsi; ci pensavano con affidabilità i circuiti sopra citati. Gli istinti, gli istinti descritti solo poco più sopra. Non dimenticatevene! Le lenti rinforzate e la cornea multi-spettro sembravano cedere ed annebbiarsi sotto l’effetto del nettare trasparente. Quindi domanda logica e scontata: perché la biondazza qui vicino ha la barba?
Risposta dirompente, assordante, disfacente, dilaniante. Proveniente da un megafono umano in miniatura, il suo angelo e la sua gioia. L’unico motivo per il quale quello svitato di Jerèmy aveva riportato in vita il fù-Van Thian. Verdùn.
Aveva cacciato uno dei suoi urlacci da apocalisse rivelata: il tizio lercio e logoro che la stringeva fra le mani era rimasto impietrito sul posto, col fagottino starnazzante agitato e piangente proteso nell’atto di divincolarsi dalla presa impura di quelle mani sporche e sudate.
Thianou non si domandò il perché di tale situazione, non si domandò per quale motivo il povero beone ubriaco s’era preso la briga di alzarsi dal suo angoletto buio ed avvicinarsi incautamente ai due. Ed importava ancor meno che quel mentecatto stesse stringendo un coltellaccio mentre con le stesse dita tratteneva la bimba contro –evidentemente- la sua volontà.
Van Thian sapeva solamente che ad ogni stimolo corrisponde una risposta del soggetto. Stimolo: Verdùn è in stato di pericolo. Risposta: Janine fa la sua comparsa in scena.
Il quadro non è così raccapricciante come si possa pensare: la pistola spiccò scintillante dalle falde sgualcite dell’impermeabile-Van Thian, accompagnata dolcemente dal braccio che andava a tendersi perpendicolare al lato destro del tronco seduto al bancone del pistolero. Non ebbe bisogno di guardare, l’Automa sapeva sempre e con precisione chirurgica il “dove”; perfino il fracasso del colpo che partiva dalla canna venne coperto dalle grida ossessive ed ossessionanti della piccola. Cosa vedeva quell’essere tanto infinitesimale per essere così arrabbiata?
Il rivolo di fumo salì al soffitto, perdendosi senza ritorno nell’atmosfera pesante e nebbiosa della bettola. Il cerchietto disegnato in mezzo ala fronte dell’aguzzino pareva averlo lasciato inebetito; stupito, più precisamente: le pupille gli si incrociarono tremolanti per tentare di delineare le proporzioni di quel disastro, mentre una mascella ormai abbandonata ed indegnamente spalancata sembrava voler gridare allo scandalo, ma senza voce. Presto, come prevedibile, a forza abbandonò le braccia del poveraccio senza nome e dai lunghi capelli impiastricciati di sporco e sudore. La presa sul corpicino di Verdùn si estinse fulminea, in una frazione di improvviso. Il segugio-Van Thian già stava muovendosi verso la figurina in caduta libera: con la mancina cinse il profilo della piccola, che come d’incanto frenò i suoi singhiozzi e l’irritante frignare, mentre la mano destra tornava a nascondere la pistola-Janine fra le falde del soprabito.
Già le gambe si avviavano verso l’uscita.
Ah, si. Un biglietto ricevuto solo un minuto prima gli intimava tramite una sfilza di persuasivi “zeri” di accingersi a raggiungere la piazza in mezzo al centro abitato. L’automa-Van Thian inglobò lo step e si accinse ad elaborarlo, l’uomo-Van Thian non era più capace di stupirsi nel vedere un luogo talmente gremito di gente.
Silenzio attutito nelle corde vocali.SPOILER (click to view)Non ho riletto, non ne ho voglia e devo studiare. Non scartavetratemeli. XD
Buon divertimnto a tutti. ;*
Edited by Thianou - 5/2/2009, 09:47. -
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Si sentiva "vivo" in un tempo tutto suo.
La sabbia gli scorrevva addosso, lo toccava e lo graffia solo superficialmente, per poi passare oltre, ignorandolo.
Era lì, schiavo di ciò che non capiva.
Era lì, immobile.~Verso Kisnoth
La sontuosa carrozza sapeva metterlo in imbarazzo, al pari di una donna dalle curve generose che invita un timido giovanotto a danzare, oppure ad avvicinare il volto al corpo di lei, per annusare l'odore del piacere e del corteggiamento.
Era stato un bel dono, quello dei Signori di Rivenore: tutto era nato il giorno in cui Lapìs, curioso più del solito, aveva raggiunto involontariamente la Biblioteca del Castello, mentre disperato vagava alla ricerca di qualcuno da ringraziare.
Una donna, conosciuta tempo fa, in un giardino e con una rosa.
Una donna col coraggio di un re.
Aveva incrociato lo sguardo con una moltitudine di volumi, e con ogni impercettibile movimento della pupilla il suo cuore s'era riempito sempre di più di stupore e meraviglia.
Spinto ad agire, esortato dal silenzio maestoso proprio dei luoghi della conoscenza, s'era messo a divorare famelico quante più notizie il suo corpo di ragazzo poteva contenere.
Date, nomi, fatti, coincidenze, teorie e congetture: ma, sopra a tutto, immagini.
Descrizioni, messe nero su bianco con un inchiostro a cavallo fra il nero della notte e il blu della seta d'oriente; il dito aveva corso, cavalleresco, sotto le righe immaginarie d'una calligrafia tranquilla, abituata ormai da secoli -o forse millenni- a riposare in attesa di essere letta.
La promesso di raggiungere le terre della Dama Azzurra non aveva perso di significato, anzi: si sentiva in dovere di conoscere un posto simile, prima di pensare anche solamente d'avvicinarsi alla cultura delle terre dell'est.
Doveva andare a Kisnoth.~Kisnoth, Capitale di Pentauron.
Non era un amante della folla, poichè in essa vedeva il riflesso di un nucleo interno e ferino che gli uomini avevano, con il passare dei secoli, imparato a domare.
Era affascinante, sì, ma totalmente imprevedibile.
E pericoloso.
Di solito, quando ci si trova immersi nel brulicante spettacolo di persone che passeggiano, si prova a farsi spazio, a farsi valere, ad "ingigantirsi": eppure, fra tutti, Lapìs diventava sempre più raccolto ad ogni metro che sorseggiava fra il via-vai generale, opponendo alle burbere spallate una posizione di taglio, così da poter scivolare indisturbato.
Tutti erano vestiti a festa, tant'è che l'artista non si sentì come al solito fuoriluogo oppure eccentrico nell'abbigliamento; le luci della sera, quelle che facevano da surrogato al sole mezzadrino -che lavorando, un po' teneva per se-, proiettavano ombre di fuoco sulla pietra e sui tetti.
Seppure piccolo e poco imponente, ciò che faceva brillare lo Chagall in quella moltitudine di donne e uomini era il suo sguardo, limpido e sfavillante, sincero e pieno d'una curiosità e d'un dubbio artistico alla base di tutto ciò che era la sua vita ed il suo modo di viverla.
Non aveva mai visto strutture simili, fiori di marmi iridescenti abbracciati da serpenti ritorti; solenni, corpi celesti stilizzati cesellavano iscrizioni e simboli persi fra le pieghe del tempo, impressi a caldo sulle anime e sull'immaginazione di chi, come lui, voleva conoscere e sapere.
E mentre osservava, estasiata, il brusìo generale divenne un vociare corredato di causa, legato all'attività e al movimento che si percepiva nell'aria e pareva provenire dal punto in cui sfociavano un po' tutte le vie principali: la piazza.
Si lasciò cullare, dalla brezza e dalle strane forme che le fila di bancarelle, armature di legno per coraggiosi e buffi venditori, dipingevano appoggiandosi alle mura di fredde ma vive abitazioni.. -
Holy`.
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Sorrise.
Il vetro indifferente erto sotto la candida maschera parve cadere in frantumi, mentre la malizia veniva dipinta sulle rosse labbra.
Stava seduto, quasi un sublime manichino posto sul palco di un teatro dalla scadente qualità, per nulla degno di ospitare una tale opera d'arte. Attorno a lui s'agitavano mille e più figure, affaccendate nelle rispettive mansioni: la sera della Prima era finalmente giunta! S'illuminò quindi un barlume d'eccitazione, nel fondo del suo cuore; dopo un'infinità di tempo, l'aggraziato Stephane sarebbe tornato a danzare sul palco, incantando pubblico e attori con l'innata grazia che parea avvolgerlo.
Lanciò uno sguardo verso il cielo, lasciando che la momentanea dipartita del sole portasse con sé i suoi pensieri, quasi l'avvento della sera potesse decretare il suo declino. Ma sapeva che ciò altro non era che una mera menzogna: il suo momento stava quindi giungendo!
Purtroppo non avea potuto vestire gli abiti del protagonista: tal ruolo spettava ad un certo Armand, capitano di quell'insulsa banda di attori, ma poco gl'importava: non v'era dubbio alcuno, ogni paio di labbra si sarebbe schiuso in un lieto sorriso, ogni occhio avrebbe accolto dolci lacrime, ogni volto si sarebbe tramutato in un'estasiata espressione, udendolo.
Scosse appena il capo, portò una mano dinanzi al volto e, quasi per magia, osservò una cremisi rosa farvi capolino. Assaporò per un attimo eterno la dolce fragranza emanata dai petali, quindi si levò in posizione eretta e lasciò la compagna a sostituirlo in quel luogo.
Forse, si domandò vagamente divertito, la maldestra ragazzina, rimanendo abbagliata dalla bellezza del fiore, avrebbe evocato nella sua memoria la squisita esibizione che l'uomo era prossimo a compiere. E così sarebbe stato per ogni membro della Compagnia, sino al suo ultimo respiro - ma, con la caduta dell'ultimo petalo, il ricordo sarebbe mutato lievemente: più amaro, sì, ma non per questo più sfocato.
Prese a marciare lento per il palcoscenico, avvicinandosi di tanto in tanto il morbido sipario, per accarezzarlo appena e sfuggire alla sua vista subito dopo.
Giungevano, nel contempo, sempre più voci, quasi un coro mal assortito, composto da stridule voci fuori tempo. Ma era il suo pubblico, e presto avrebbero goduto della sua vista; come provare dispiacere per loro, quindi? Avrebbero cantato e narrato di quell'efebo a lungo, provando gaudio nel rimembrare quella creatura divina venuta a recitare per loro.
Quando i suoni dalla sua parte del palco presero a scemare, s'arrestò. Cercò con lo sguardo il protagonista, chiedendo con mute parole un inutile ripasso della sua parte. Infine, prese la sua posizione e attese che la sera venisse ad assistere all'opera.SPOILER (click to view)Purtroppo sono ancora un po' fuori forma, ma vabbeh XD
Buon divertimento a tutti ;P. -
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Gli umani lo guardavano sempre in modo strano. I più evitavano di spingersi fino a scrutare le linee ruvide del volto, assoggettati dalla stazza del troll; altri arrivavano perfino a scoprire che intorno alla pelle ed al pelo verde c’erano occhi molto simili a quelli di un essere umano, quasi si trattasse di un mezzosangue. Ma tutti, indistintamente, si spostavano al suo passare e facevano comitiva nel borbottare su quanto fosse anormale. Quell’anno però Makor-Erenai decise di passare sopra ad offese di basso livello da parte di una razza così infima, data la motivazione reale che lo aveva spinto verso la Grande Dama.
Riassaporava con curiosità ogni stranezza dello spirito che si era manifestato a lui qualche giorno prima: ascoltava di nuovo il suo messaggio, crudo, che puzzava di inevitabile. Anche il vecchio sciamano sentiva in cuor suo l’anomalia che avvolgeva la città, in mezzo a tutta l’euforia incalzante: pur avvertendone la presenza, non riusciva a decifrarla perché ancora troppo vaga, come se la terra stessa non sapesse ancora a cosa andava incontro. Oppure, più semplicemente, la natura non voleva esternare le proprie emozioni ad una mazza di zotici non pronti ad ascoltarla.
Quasi a voler dare corda al vociare degli uomini dietro di lui, che lo etichettavano come “barbaro”, si sedette in mezzo ad un vicolo, a gambe incrociate. Avvolto in un rozzo mantello sporco della montagna da cui proveniva, Makor si era andato a rifugiare nel punto con più – relativo – silenzio che era riuscito a procacciarsi. Attese pazientemente lo scorrere degli eventi.
« Ansuz, guida la mia mente. » sussurrò, per poi tacere, respirando piano.SPOILER (click to view)Buon divertimento cari =). -
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La distanza tra due universi è infinita. Per questo le persone sono in grado di
percepirne soltanto uno.La piazza era ormai gremita di esseri d’ogni razza e ceto sociale, in attesa dell’inizio
dell’opera che avrebbe dato il via alla festività patrona di Kisnoth:
la “Celldara”.
Un silenzio innaturale cadde sulla piazza mentre tutti attendevano con ansia
il monologo di Armand che, per qualche ragione,
tardare ad arrivare.
Un palco vuoto era ora l’oggetto degli sguardi di tutta la folla
Radunatasi in quei luoghi.
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« Raro, molto raro. »
La montagna verde fino ad allora immobile sembrò scuotersi con quell’affermazione, un ruggito come di una frana. Si alzò in piedi, elevandosi di fatto molto al di sopra di tutti gli umanoidi presenti nelle vicinanze. Ignorò gli sguardi, dato che neppure più pensava e dava importanza all’intero mondo reale. Si era completamente perso tra le entità incorporee, incuriosito come loro da un qualcosa di indefinito: forse, dopo tanto tempo, il mondo reale l’avrebbe sorpreso e forse scosso.
« Per una volta l’attenzione dell’uomo è puntata nella giusta posizione. » commentò a sé stesso, abbozzando un sorriso grezzo ed impacciato.
Continuava a muovere lentamente le dita delle mani, per mantenere il cervello in contatto col suo corpo materiale: non voleva rischiare di essere troppo preso da un presentimento. Ma diavolo, che presentimento: aveva intravisto forse l’intero mondo spirituale, la piazza era tanto affollata da farlo diventare claustrofobico al solo pensarci. Qualunque cosa stesse per accadere, nessuna favola del branco raccontata attorno al fuoco delle montagne né contatti spirituali con gli anziani sciamani reggevano il confronto.. -
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Il tempo passa, ed il fermento aumenta.
Il pubblico che gremisce la piazza principale della Grande Dama è ancora in attesa che gli venga tributato lo spettacolo per cui hanno pagato, in denaro e aspettative, ma i minuti si avvicendano nel loro fluire, e il silenzio carico di eccitazione va via via condendosi di vocii deboli e brusii dubbiosi, che pian piano crescono nella loro certezza di smarrimento, diventando sementa di indignazione e germoglio di protesta.
E al di là delle pesanti tende di velluto, le labbra ben disegnate di Armand liberano un’ultima bestemmia sommessa all’indirizzo di quella maledetta maldestra di Amèlie.
Il suo costume di scena è rovinato, probabilmente in modo irrimediabile,
- andranno mai via quelle macchie di succo? - e tutto per colpa di quella stupida incapace!
Ma che le è passato per la testa?
Se tentava di boicottare la rappresentazione per invidia del talento altrui c’era riuscita.
Una nuova ondata di furia lo invase, e la trattenne a stento serrando il pugno;
se ce l’avesse avuta davanti – se si fosse attardata a piagnucolare invece di sparire - in quell’esatto momento l’avrebbe presa a sberle fino ad ucciderla.
E al diavolo il bon-ton, la cavalleria e l’estetismo degli artisti.
Infine, un barlume d'infido compiacimento, s'accese nel suo animo, placcando momentaneamente i dissapori:
non avrebbe permesso a quella piccola sgualdrina d'averla vinta su di lui e sulla occasione.
Lo spettacolo doveva continuare.
L’attore trasse così un profondo respiro, si stirò l’abito macchiato di sidro che aveva indosso -per liberarlo dalle antiestetiche grinze che lo percorrevano- e, raddrizzando la schiena e la postura, si preparò a varcare il confine del sipario, sollevando fieramente il capo, a testa alta.
Era ora di andare in scena.
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L’esplodere del corpo fu l’inizio del tutto: urlato, più che annunciato, da ciò che gli uomini non potevano vedere. Al di là del guanto, il confine tra il materiale e lo spirituale, le entità incorporee fremevano – con tutta probabilità stavano già osservando da molto vicino il fenomeno in costante evoluzione. Nessuno di loro sembrava inoltre riconoscere più la propria natura e la conseguenza diretta fu il caos: mutavano con velocità senza un minimo criterio, variando d’atteggiamento e di forma.
Concentrando la propria attenzione sul mondo materiale vide finalmente chi sembrava tirare le redini di tutto lo spettacolo: l’aspetto ed il modo di fare non tradivano di certo il messaggio che lanciava, tuttavia si chiese se si trattasse della vera forma di quel qualcosa che ammaliava tanto gli uomini quanto gli spiriti; forse la maschera che indossava era un messaggio, forse la sua era solo paranoia.
Qualunque cosa fosse, però, di certo stravolgeva la capitale così come aveva già fatto con il mondo che gli uomini non vedevano. Nell’altra realtà le entità incontrollate comunicavano il loro essere preda di una forza degradante e caotica ad ogni angolo del mondo, ed evidentemente ciò influenzò gli esseri viventi: gli uomini si lasciarono andare a barbarie d’ogni genere, e Makor ci si trovò in mezzo.
Suadenti come non mai, forti di un potere non loro, gli spiriti cominciarono ad aleggiare attorno anche allo sciamano che, sentendo dal fondo dell’animo urlare la bestia, socchiuse gli occhi per ricercare la pace: fu inutile, la potenza del nemico era grande. Non aveva dubbi sul fatto che, di lì a poco, si sarebbe ritrovato come quella massa di uomini: ma loro erano diventati preda di istinti rinnegati da tempo, a cui lui era certamente più vicino.
« Sono io che decido quando e come scatenare la furia che custodisco dentro! »
Urlò all’intera piazza mentre già richiamava attorno a sé uno degli spiriti della terra: con il caos che aveva d’intorno non sarebbe stato facile, ma era certo che le entità primordiali non si sarebbero lasciate catturare così facilmente da una danza maligna.
L’immenso corpo del troll, prima ricurvo su sé stesso, si drizzò in una postura innaturale per la sua razza, ma che gli permise di svettare al di sopra di tutti: sfiorò con le mani i balconi più bassi, mentre un bagliore rossastro scintillava – con forza crescente – attorno a lui. Il troll ruggì con forza: la bestia aveva deciso quando e come uscire. Una fiamma partì dal terreno e tracciò una spirale attorno al pelleverde, estinguendosi poi nel nulla: lo spirito di Dagaz aveva risposto al richiamo, traendo in salvo lo sciamano dalle mani del nemico per condurlo sì in uno stato animale, ma volontario.
Il troll travolse un primo gruppo di uomini che gli si stava gettando contro con fare violento, per poi colpire impietosamente altri individui divenuti schiavi. Il gigante mostrò alla piazza cosa voleva dire essere un predatore.SPOILER (click to view)Energia rimanente: 90%;
Condizioni fisiche: indenne, preda della furia (turno 1/1);
Passive utilizzate: Sangue dei troll
Gli oggetti di Makor-Erenai sono funzionali sono in rapporto alla sua forza straordinaria, data dall’appartenenza alla razza dei troll. Il “nano”, volendo privilegiare l’aspetto difensivo sull’offensivo, ha deciso di vestire l’Armatura d’osso ed il Dono di Nidavellir: egli è riuscito ad indossare il tutto e muoversi con agilità e velocità normali solo dopo un lungo allenamento, in cui è riuscito a concentrare la sua forza nella sopportazione di tale peso. Ai fini del gioco, questo potere è un power-up in forza “applicato” al peso dell’equipaggiamento: grazie ad esso il troll non risente dell’eccessivo carico ma non può neppure far uso della sua dote fisica straordinaria al meglio.
In mancanza dei due artefatti il troll gode del suo naturale bonus di forza del 50%.
Abilità Passiva
Tecniche utilizzate:
Dagaz
Questa runa del fuoco simboleggia un cambiamento esplosivo, radicale ed istantaneo. Per utilizzare il potere di questo spirito occorre gettare in esso tutta la propria fiducia, ed equivale ad un salto nel vuoto. La volontà primordiale dell’entità si sostituisce a quella di Makor-Erenai, portandolo in uno stato di furia. Lo sciamano è costretto ad attaccare per tutta la durata dell’incanto, ma la sua mente sarà protetta da eventuali attacchi mentali ed ignorerà le illusioni di potenza adeguata a quella di Dagaz. Dura un turno.
Consumo Medio. -
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Strano nome, a dire il vero, tuttavia non era là per riflettere su di uno stupido appellativo; ben altre le sue mire, ben altri i suoi pensieri. Da mesi era ormai esule, e lui, giovane senza casa, fremeva al solo desiderio di poter raggiungere la propria dimora, di riabbracciare Lei e di porre fine alle esistenze di tutti coloro che l'avevano separato dalla creatura che era sua anima gemella. Perchè se era in quel mondo sporco era per colpa loro, e se soffriva così tanto era perchè non avevano saputo comprendere i suoi sentimenti. Maledetto, maledetto mondo falso, avrebbe bruciato tutto, raso al suolo ogni testimonianza d'amore o di cose altrettanto insulse solo perchè potesse sentire un dolore simile al suo espandersi e rimbombare in quella gabbia in cui era rinchiuso, spegnendo la volta celeste come il soffio una candela.
Solo allora si sarebbe sentito compreso.
Gli occhi d'oro fissavano il cielo, mentre capelli lunghi e splendenti danzavano al vento riflettendo la luce come frammenti di vetro. E la bocca di rosa ferma, fredda come ghiaccio. Ahi, quanta poca dolcezza su quelle labbra! Rimase immobile fino a quando non fu spintonato da un gruppo di umani, tutti intenti a raggiungere quello che era il centro delle loro attenzioni, come se avessero potuto davvero fare qualcosa. Poveri esseri sporchi...si credevano onnipotenti quando non erano altro che formiche. E formiche molto stupide...
Quarion Galanodel era lì, nella piazza dove mille occhi all'unisono sembravano rapiti da un palco vuoto, bramando l'inizio della "Celldara". Eppure tutto era fermo. La gente si agitava, ormai gli animi sembravano turbati dal pensiero che, forse, i loro risparmi erano stati sprecati, e che era tutta una recita. Quarion continuava a guardarsi intorno con disprezzo, fino a quando qualcosa cambiò: Un uomo entrò, la folla si zittì. E poi un canto...
Il suo cuore vibrò. Sebbene fosse particolarmente resistente a manipolazioni psichiche, avvertì comunque un senso di angoscia, paura... eppure lui era forte, doveva non farsi influenzare da quello strano ed intrigante incantesimo.
Un uomo dalla maschera verde fece la sua comparsa; pareva un saltimbanco, ma considerando l'atteggiamento delle guardie non sembrava che facesse parte di quella manifestazione. Un contrattempo, forse, in ogni caso davvero grazioso. Sorrise mentre vide le guardie sparire dietro una pagina, ed il giovane Galanodel si levò in volo, ad un metro da terra, quando vide quella piazza deformarsi.
Sapeva che annualmente una creatura infestava una città a caso nel Pentauron. Sapeva che veniva chiamato S. o Autunnonero e che nessuno aveva mai avuto il coraggio di farne parola. Sapeva molte cose, forse anche di più di quello che gli venne in mente in quel preciso istante, ed anche se maledì quel vuoto di memoria ormai non c'era più tempo per rilassarsi.
Le cose si facevano interessanti...SPOILER (click to view)Abilità Passive:
- Resistenza alle Manipolazioni Psichiche: Qarion, grazie al prolungato studio delle forze esoteriche, ha sviluppato sufficienti contromisure alle intrusioni e raggiri mentali: ha una resistenza alle manipolazioni fino a livello medio.
- Volo: Poichè deriva da creature del cielo, è in grado di sollevarsi in aria e muoversi in essa grazie al pensiero. Il suo volo non può superare i 5m e viaggia a velocità normale (cioè uguale a quella di cui il personaggio dispone sul suolo).SPOILER (click to view)Ho resistito all'attacco mentale, ma ho interpretato la deformazione della piazza in un cambiamento che non c'entra con l'attacco psichico. Se ho sbagliato posso correggere.... =). -
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« Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. »
I suoi occhi scorrevano rapidi su ogni riga di piccole lettere, allineate a formare parole stampate sulla carta consunta e lisa dal probabile viaggio dimensionale che il tomo aveva dovuto sostenere, descrivendo un movimento fluido e regolare delle iridi grigie.
Come il susseguirsi sempre uguale e meccanico delle onde di risacca sulla battigia, il suo sguardo percorreva la pagina da sinistra verso destra, per poi tornare indietro con un sol balzo e riprendere con la stessa operazione una riga più in basso.
Il discorso sembrava interessante, e pieno di nozioni affascinanti a lui sconosciute,
ma c’erano cose che –proprio perché estranee- non riusciva a capire.
Così -di tanto in tanto- si imbambolava davanti alla bancarella dove si era fermato, attirato dalla sagoma familiare dei volumi cartacei, e sollevava la testa dal libro per appuntare gli occhi vitrei e vuoti sul mercante e chiedere...
"Che cosa significa stronzate?"
...come aveva fatto almeno una decina di altre volte:
“che significa questo?” “che vuol dire quello?”
L'uomo si limitò ad ignorarlo, respingendo la richiesta con un cenno della mano;
aveva capito che quel gigante dai capelli blu -così alto da sovrastare la maggior parte dei passanti- non doveva avere tutti i sensi in testa, ma se non altro era convinto che non potesse essere un ladro o una minaccia per la sua attività:
troppo tonto.
Il ragazzone si limitò a reclinare la testa da un lato, e una scintilla azzurrina e crepitante percorse la lunghezza del corno dorato che spiccava tra i suoi capelli, prima che -rassegnato- riabbassasse la faccia sulla carta stampata.
Tralasciando il fatto che non sapesse la risposta, il commerciante aveva di meglio da fare che star dietro ad un bambinone: oltre agli abitanti di Kisnoth, la Festa di Celldara richiamava alla Grande Dama un numero enorme di visitatori, e avere un banco che affacciava sulla Piazza Centrale rappresentava una grande occasione per fare affari d'oro!
« Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo. Tendiamo però a dare per scontata questa situazione. Gran parte delle persone confidano nella propria capacità di riconoscere le stronzate ed evitare di farsi fregare. »
E una volta usata l’accortezza di far spostare quel gigante da un lato del banco, dove non desse fastidio e dove non coprisse con la sua stazza la merce esposta, non c’era nessun problema a tenerlo lì a leggere...
"Che vuol dire farsi fregare?"
...forse.
Quando però sollevò il capo, il Raitei si ritrovò a fissare le ben note profondità imperscrutabili di un cappuccio, in un luogo diverso da quello dove il vento di Chediya lo aveva condotto, promettendogli una sorpresa.
I contorni della città, la folla che occupava l’ampia piazza in attesa di uno spettacolo, il suolo lastricato e persino il cielo blu... tutto era stato sostituito dalla quiete tonante della Curtis Arcana, con il suo pavimento di nero cristallo, le sconfinate pareti di vuoto e un cielo oscuro che cielo non era.
"Siamo stati invitati ad una Festa, Brifos..."
Esordì la voce, che sapeva di mille essenze diverse, mentre il manto si scostava e una mano guantata si protendeva a porgergli una caramella nel palmo.
"...e non stà bene presentarsi a mani vuote. Offrila come regalo."
La Carta dell’Eremita fissò il Card Master per un lungo istante, in un silenzio interrotto solo dal ronzio leggero dell’elettricità in punta al suo corno aureo, mentre, imitando l’altra entità, a stendeva sua volta il braccio per ricevere il bonbon.
"Che vuol dire farsi fregare?"
Insistette, continuando a fissare il suo interlocutore con gli occhi bigi, e questi –sebbene non potesse vederne il volto- gli lasciò l’impressione di aver sorriso all’interno del suo cappuccio.
"Che si deve stare molto attenti. ...una cosa difficile, da ricordare sempre."
L'Amal reclinò il capo da un lato, e sbatté le palpebre non più di un paio di volte, stupendosi -come sempre- di quanto quell'intervallo temporale minuscolo fosse tuttavia bastante al mondo per cambiare faccia; la Corte era svanita, come uno scherzo della mente, ma neppure la città di Kisnoth era rimasta uguale a prima: in mezzo alla piazza svettava una colonna che prima non c’era; su di essa –quando sollevò lo sguardo grigio per scrutarne la sommità- uno strano essere antropomorfo in abiti verdi e dai capelli rossi.
Brifos non seppe spiegarsi perché, ma gli bastò guardarlo per sentirsi... strano.
Un capogiro lo colse, facendogli cadere il volume per terra, e, in un tentativo tutto personale di schiarirsi le idee,il Raitei lasciò la forza del fulmine libera di fluire nelle sue membra; l’alta tensione gli schiarii le idee, così –di nuovo padrone di sé-
si apprestò a fare ciò che più gli premeva al momento.
Finire la pagina.
« Così il fenomeno non ha attirato molto interesse, né ha suscitato indagini approfondite. Di conseguenza, non abbiamo una chiara consapevolezza di cosa sono le stronzate, del perché ce ne siano così tante in giro. »
...e tutto intorno a lui, la gente si rotolava per terra: c’era chi urlava e chi piangeva, chi si dimenava e chi faceva del male agli altri.
I Ningen erano ben strani.CITAZIONEConsumi: Basso x (1); Medio x (1); Alto x (0); Critico x (0)
Impiegata energia per resistere all'assalto psichico.
P.S. Quel che Brifos legge è una citazione di "Stronzate. Saggio filosofico." (On Bullshits) di Harry G. Frankfurt, professore emerito di filosofia all'Università di Princeton.
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dra31.
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Merovish, Bazar delle Talpe. Dieci giorni prima. La Festa di Celldara, a Kisnoth. L'aveva sentita nominare da mercanti di passaggio nel Bazar delle Talpe, a Merovish: un immenso festival di bagordi, scambi, affari, affari e ... affari, occasioni d'oro dietro ogni angolo.Durante Celldara, la 'Grande Dama' diventa la Mecca del commercio.
La luce che brilla nei loro occhi mentre ne parlano, quella che varia da tizio a tizio ma è sempre la stessa, non lo convince più di tanto ma, come dicono gli anziani, tentar non nuoce. Inoltre non approfittare di una tale manifestazione, anche se fosse più semplice di quello che raccontano, andrebbe contro la sua etica: In ogni incontro si nasconde un potenziale affare, ogni persona è un possibile cliente.
Alla fine, dopo aver atteso che i colleghi di passaggio si fossero allontanati e dopo aver raccolto la sua merce, parte senza indugio verso la capitale di Pentauron.
Kisnoth, Festa di Celldara. Oggi. Dopo aver battuto la via mercantile Merovish-Kisnoth, e fermatosi nei vari insediamenti civili sulla via per mercanteggiare e rifornirsi, giunge nella capitale in concomitanza con l'apertura del festival. Sospinto dalla massa trepidante di uomini, donne, ragazzi e carri, di 'colleghi' e lavoratori di ogni razza, il mercante si addentra sempre più all'interno della grande distesa di pietra e colori. Tagliando in diagonale il flusso di viandanti riesce a portarsi su un via meno frequentata e da lì inizia a studiare la città. Ovunque volga lo sguardo vede solo un'infinità di case, strade e piazze; le buone condizioni delle vie e degli edifici elogiano un'opulenza che attende solo di essere messa sulla bilancia. Gli basta un giro della zona intorno a quella che sembra essere la piazza principale, per individuare un buon punto di passaggio e di guadagno. Oggi è troppo caotico e snervante mettere in mostra la merce, la folla è presa più dall'evento big della serata, lo spettacolo d'apertura della Festa di Celldara, che dagli acquisti.
Il sole morente che infiamma le vie e i tetti sono lo stimolo migliore per iniziare la notte dei bagordi seduto al banco di un chiosco di cibi caldi locali, che non dista molto dalla piazza e si trova su una traversa tranquilla e rilassata. Con la sacca sotto lo sgabello, il cappuccio calato sulle spalle, e gli occhiali a tenere fermi i capelli, il mercante si appresta a fare gli onori per la decima volta alla cucina, quando sente l'ovazione della folla per la comparsa degli attori.Iniziano? De già, eccheddiamine. Capo, 'n'artra brocca de quello forte a portà via.
La mutazione del linguaggio da 'normale' a 'particolare' è il segnale dell'aver alzato il gomito, peccato che il suo fisico non mostri i cedimenti dell'ubriachezza, mantenendo il passo fermo e sicuro lungo la via che lo conduce verso la piazza principale.
Svoltando l'angolo non nota subito il cambio di scenografia che lo circonda, intento com'è a riempire lo stomaco con un lungo sorso di quell'alcolico dolce ma forte di cui non conosce il nome. Un due, tre passi verso il centro della strada e l'urto con un cittadino gli fa volare dalle mani l'otre, che s'infrange sul lastricato.Ma 'n do guarde quanno cammine? Oh, ma che c'hae?
Il volto trasfigurato da qualcosa dell'investito riporta la sua attenzione alla realtà che lo circonda; Kisnoth era, come dire, diversa dalla mattina, sembrava un ... boh, qualsiasi cosa somigliasse, per il mercante c'è solo una domanda: che cavolo c'era in quell'intruglio?
Sull'angolo di una casa vede una botte per la raccolta dell'acqua piovana e ci infila la testa mandando giù ampie boccate di acqua stantia e risputandola fuori. Un metodo veloce e sbrigativo per togliere una sbronza sul nascere e le sue assurde visioni, almeno è quello che pensa. Solo che pur avendo tolto il torpore dell'alcool e del cibo dal viso, la scena non cambia. Gente che dà di matto a destra e manca, un esagerato carnevale fuori periodo e fuori luogo, roba da mettersi le mani tra i capelli e urlare di terrore.Però, uno spettacolo d'effetto, decisamente.
Ok, siamo in mezzo ad una bolgia di suonati, gli addobbi festivi sono orripilanti e c'è un rossino in preda a crisi canterine che sembra essere con le mani in pasta, con questo macello. E lui che fa? Ci scherza sopra. La cena deve avergli mandato in blocco il cervello.. -
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Topsy turvy!
Urlarono tutti in coro,
ma -dato il contesto di quest’assurda situazione-
diventa indispensabile specificare l’identità dei coristi.
Non certo la folla.
Non certo gli umani - e non -
intenti com’erano a votare ogni atto a remoti, perversi e repressi desideri,
osceni, efferati, egoistici e personali che fossero.
Non certo gli occupanti della piazza, o meglio, non ancora:
qualsiasi cosa, qualsiasi oggetto, si scuoteva
in un tentativo entusiasta di emulare la danza dell’uomo in verde,
e minuscole grottesche bocche
- labbra e ugole rosse come il sangue, voragini di gole nere come la disperazione
bianche file irte di denti affilati ed aguzzi -
erano comparse su tutte le pietre che pavimentavano la piazza,
su ogni ripiano e oggetto che ingombrava le bancarelle di chincaglieria,
su ciascuna mela del mercato e su qualsiasi lucernario di lampione.
Tutta la città sembrava di colpo viva,
e non c’era parete, fontana, o finestra che non intonasse
-pervasa di smodata e macabra euforia -
una cacofonia tetra e nel contempo coinvolgente e orecchiabile;
a tutti gli effetti un coro, e anche magistralmente diretto e coordinato.
Ev'rything is upsy daisy!
Rispose la star, dai capelli sanguigni come il tramonto,
prendendo a scivolare sulla rampa comparsa a ridosso del suo piedistallo,
in perfetto equilibrio e con la massima fluidità,
quasi avesse una tavola da surf o dei pattini sotto i piedi.
Topsy turvy!
Rimpallarono tutti gli abitanti di Kisnoth e i viaggiatori che ingombravano le sue strade,
articolando quelle due parole con fonazioni eterogenee,
che spaziavano dai gemiti alle grida, dai righi ai sospiri, in un orgiastico festino di baccanti.
Ev'ryone is acting crazy
Dross is gold and weeds are a bouquet
That's the way on Topsy Turvy Day
Alzando le mani nel corso della sua discesa, come ad abbracciare l’intera folla,
l’uomo con la maschera saltò giù dall’enorme scivolo che aveva eretto
atterrando al centro della piazza con sorriso smagliante stampato sul volto pallido.
Quasi come ammaliati da lusinghiere seduzioni di madre natura, le erbacce dei cespugli circostanti fiorirono,
sbocciando d’improvviso in una quantità di fiori variopinti ed esotici:
dei toni rossi del sangue, arancio di zucca, multicolori d’arcobaleno, come anche scozzesi,
dalle forme più elaborate e ardite… persino alcune antropomorfe.
Altrove, nelle forge di tutta Kisnoth, gli scarti delle fucine si animarono solerti,
domandandosi l’un l’altro il perché del loro destino di abbandono,
assaltandosi, attaccandosi, saldandosi divorandosi e fondendosi non trovandone uno,
fino ad assemblarsi in forme compiute, di cui – specchiandosi l’uno nella superficie dell’altro -
ciascun pezzo di metallo pareva contento:
soldati grotteschi, simili a dei Ser Zucca,
crebbero e uscirono dalle fucine per dirigersi verso la piazza,
orgogliosi e lucenti nelle loro armature smaglianti,
incise con decori di scene orrende, che incutevano terrore al solo sguardo.
Topsy Turvy!
E mentre ogni cosa intonava un peana di osanna a S.
questi, avanzando nella folla ora correndo, ora saltando, e ora danzando,
di persona in persona, di animale in animale e di cosa in cosa,
elargiva a ciascuno una benedizione, un bacio, una carezza, un saluto,
una parca pacca sulla spalla o una virile stretta di mano,
un buffetto affettuoso di puro terrore.
Unmarchiosegno della sua benevolenza.
Beat the drums and blow the trumpets
Urlarono all’unisono, tutti insieme, e così accadde:
tamburi e trombe sorsero da anfratti bui,
da voragini nelle pietre o dalla bocca di qualche cosa o creatura...
...e suonarono, senza indugi, e la folla - come ipnotizzata - prese a seguirne il ritmo.
Topsy Turvy!
Presto la folla divenne un’onda oscillante,
poi un flutto di marea, che, in preda all’esagitazione,
prese a muovere verso la piazza come un sol’uomo.
Tutta Kisnoth si spingeva per le arterie cittadine,
intasandole quasi fino a farle esplodere:
chi correva per I tetti, chi passava per le fogne, chi saltava sulla gente
e chi si apriva la strada a suon di colpi di mano, botte di bastone o fendenti di spada.
Join the bums and thieves and strumpets
Streaming in from Chartres to Calais
Scurvy knaves are extra scurvy
On the sixth of "Januervy"
E mentre la sua voce solista risuonava eufonica su quella del coro
l’uomo con la maschera verde spiccò un balzello aggraziato e leggero
e, saltando sulla folla, si fece trasportare sino in piazza.
All because it's Topy Turvy Day!
Con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra
l’agitatore si issò agilmente in piedi su quel carnaio palpitante
e prese a correre sino alla testa del corteo,
usando quella dell’apripista portabandiera come trampolino per rimontare sul palco del teatro,
lo stesso da cui era arrivato, ma fattosi ora estremamente - e stranamente! - più largo, e…
...angosciante nei dettagli, quasi non fosse neanche vero,
ma quanto più un parto dell’immaginario di qualche mente malata.
L’uomo a capo di quell’evento eseguì un inchino alla sua platea,
e per un istante una ciocca ribelle di capelli rossi gli cade sul volto mascherato.
Come one, come all!
Hurry, hurry, here's your chance
See the myst'ry and romance
Con aria da gran imbonitore di folle,
egli fece cenno a tutti di radunarsi, prima, e di calmarsi,
prima che nel suo palmo facesse comparsa un sontuoso drappo di satin rosso.
Un manto degno di un re...
Come one, come all
See the finest girl in Kisnoth
Make an entrance to entrance
...o, forse, di una regina.
L'uomo con la maschera sorrise, e fu un inquietante linea a solcare amabilmente il suo bel volto
mentre il drappo calava su di lui, facendolo sparire per virtù di un gioco di prestigio.
E la seta cadde a terra, vuota.
Dance la Amèlie...
Dance!
… ma la sua voce - calda, irreale e suadente -
risuonò ancora un’ultima volta anche in assenza del suo corpo, priva di involucro;
prima che il drappo tornasse a gonfiarsi, a riempirsi,
ad acquistare volume sotto il suo morbido mistero, soltanto per…
...rivelare una Amèlie dagli occhi sgranati
nel momento in cui la seta scivolò da un lato.
Senza comprendere come, ella prese a danzare,
terribilmente goffa nelle sue forme acerbe,
eppur sublimemente aggraziata in movimenti che non le appartenevano.
Ma più passavano i secondi, più sembrava che ella venisse posseduta dalla danza
o che si lasciasse andare, abbandonandovisi,
come se la voce stesse sussurrando qualcosa di udibile solo a lei.
E Amèlie prese a mutare, divenendo bella,
bella come non mai,
talmente bella da apparire quasi irreale
nella sua nudità celata solamente da in quel drappo rosso,
che l’avvolgeva e rivestiva di maestà.
I suoi occhi cambiarono colore,
tingendosi uno di aurea ambra, e l’altro di rosso cremisi,
e i capelli crebbero arrivando alle spalle, fluenti e neri come le tenebre,
riversandosi sinuosi oltre le spalle, rivestendo che forme non erano più le sue.
E sorrideva, Amèlie.
Sorrideva e danzava…
Danzava in maniera ipnotica.... -
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Solo quando gli occhi bigi del Raitei giunsero -non senza una certa soddisfazione- alla fine della pagina, Brifos concesse al suo sguardo -vitreo e assente come al solito- di sollevarsi ad incontrare quello del mercante: c'erano ancora un paio di cose il cui significato gli richiedeva delucidazioni...
Quando sollevò il capo, e la perplessità di vedere l'uomo dare la bancarella alle fiamme si esacerbò nel gigante, il lieve crepitio del suo corno aureo fu completamente inghiottito dal baccano che sempre più dilagava attorno a loro: il negoziante -così come molti altri umani che non conosceva- stava ora balzando verso di lui con un'espressione contratta sul volto, che gli risultò... spiacevole.
Volle farli smettere -lui e gli altri ningen-, ma... come fare...?
Gli avevano insegnato, nel Makai, con le parole e coi fatti, che per far smettere qualcosa di spiacevole basta distruggerla...
...ma ricordava anche le parole della Luna, e rispettava i precetti del tenshi:
"se c'è qualcosa di spiacevole, cerca di capirla" e "non nuocere agli umani se non strettamente indispensabile".
Fu per questo che la sua scelta cadde sull'abbraccio materno dell'aria anziché sul morso feroce del fulmine.
Chiuse gli occhi grigi come perle per un solo istante, e immediatamente, in risposta, una brezza soave gli agitò i capelli blu elettrico: densa, fumosa e dolciastra, la caligine nebbiosa che aveva evocato prese a spirare attorno al suo protetto, serpeggiando tra i ningen fuori di senno, e carezzandoli con il proprio tocco conciliante, benevolo e rasserenante.
"Non mi faccio fregare."
Sentenziò il gigante, sicuro della sua nuova nozione di vocabolario, mentre schiudeva nuovamente le iridi metalliche
per osservare gli umani cadere addormentati uno dopo l'altro nel raggio di metri.
Brifos intascò la caramella, e volse lo sguardo in giro, per fare mente locale in quella strana situazione.
Ora, come se quella piazza non fosse stata già abbastanza affollata, molti altri Ningen vi si stavano riversando dalle altre strade, portando in trionfo uno strano Qualcuno vestito di verde; percepì vaga e distante una sorta di eco dentro se stesso, simile ma tutta diversa dalla Risonanza con gli altri Arcani e -insieme all'ennesima scossa elettrica- gli balenò nella mente il pensiero che forse la caramella fosse per lui.
...ma quello scomparve subito dopo che fu salito sul palco, all'interno di un drappo di stoffa di un rosso molto bello.
Al suo posto, c'era adesso una giovane, ma non seppe redigerne per la propria memoria una descrizione che la raffigurasse.
Se non altro perché ella sembrava cambiare ad ogni istante...pur lasciando intatta in lui quella sensazione.
Forse era il caso di avvicinarsi e chiederglielo...
-pensò, mente muoveva una prima quieta falcata tra i corpi assopiti, verso il palcoscenico-
Chiederle se fosse suo quel -come l'aveva chiamato il Card-Master?- "compleanno".CITAZIONEConsumi: Basso x (1); Medio x (1); Alto x (1); Critico x (0)
Vento del Letargo: Appellandosi alla forza lenitiva dell’Aria, è possibile far alzare un vento lieve, tiepido e carezzevole, fumoso ed agrodolce che, avvolge il soggetto agendo sulle cellule recettive di chi lo inala, causando un intorpidimento dei sensi e facendo scivolare in un sonno profondo e riposante chiunque si trovi nell’aria d’azione del potere; l’effetto preponderante di questo incanto, però, consiste nel fatto che la brezza accarezza le ferite del bersaglio richiudendole, sebbene non sia in grado di rigenerare il sangue e le energie perse, guarendo così pressoché all’istante le ferite di media entità.
Consumo: Alto
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Un troll nato e vissuto per settant’anni tra le montagne innevate sa cosa significa combattere contro una valanga. Idealmente rappresenta uno scontro impari, nella quale l’individuo si pone contro una forza continua, in grado di rinnovare la propria furia più e più volte. Il migliore dei combattenti della più grande tribù potrà resistere, forse persino avanzare per i primi istanti, ma cadrà inevitabilmente se l’affronta all’apice della violenza: il detto, per l’appunto, sta ad esemplificare la capacità secolare del predatore di riconoscere il valore del nemico, le possibilità di vittoria e quando colpire nel modo migliore.
Il ripensare a questi insegnamenti ricevuti in tenera età – e che allora sembravano così banali – fece placare l’ira di Makor-Erenai, che seppe conservare l’impeto per il futuro.
Ritrovata la pace ed il respiro calmo capì di aver evitato lo stato di caos mentale e spirituale diffuso dalla presenza della Minaccia. Si chinò, così da non svettare più tra la folla: la sua fortuna, pensò, era che probabilmente in quel delirio la sua furia di poco prima non aveva raccolto troppe attenzioni. Si lasciò toccare dal vento, indice della presenza dello spirito a lui più legato: Algiz, la protezione. Concentratosi sentì il manto della runa appoggiarsi sulle sue spalle, invisibile agli occhi ma utile per deviare quella corrente di uomini. Acquattato e protetto dall’energia affine al vento doveva sembrare poco più di un masso bagnato e senza spigoli.
Lo sguardo seguiva i movimenti della Minaccia – mentalmente le aveva dato quel nome, dato che non si fidava per niente delle sue fattezze attuali; la forza di volontà giocava un ruolo di primaria importanza: era sotto pressione, come continuamente infilzata da tutte le irregolarità del paesaggio circostante. Cercò di non sentirsi un animale in gabbia, per quanto la situazione rendesse quell’immagine molto, molto vicina alla realtà: la paura di essere braccati è pericolosa, specie in un predatore.SPOILER (click to view)Energia rimanente: 90%;
Condizioni fisiche: indenne;
Passive utilizzate: Sangue dei troll
Gli oggetti di Makor-Erenai sono funzionali sono in rapporto alla sua forza straordinaria, data dall’appartenenza alla razza dei troll. Il “nano”, volendo privilegiare l’aspetto difensivo sull’offensivo, ha deciso di vestire l’Armatura d’osso ed il Dono di Nidavellir: egli è riuscito ad indossare il tutto e muoversi con agilità e velocità normali solo dopo un lungo allenamento, in cui è riuscito a concentrare la sua forza nella sopportazione di tale peso. Ai fini del gioco, questo potere è un power-up in forza “applicato” al peso dell’equipaggiamento: grazie ad esso il troll non risente dell’eccessivo carico ma non può neppure far uso della sua dote fisica straordinaria al meglio.
In mancanza dei due artefatti il troll gode del suo naturale bonus di forza del 50%.
Abilità Passiva
Algiz
Runa che simboleggia lo spirito della protezione. Affine alla natura elementale dell’aria, aiuta da sempre gli sciamani a prendere la strada giusta e a difendersi durante i viaggi. Il legame tra Makor-Erenai e questa entità è stato affinato nel corso degli anni, fino a raggiungere un livello totalmente nuovo nel campo delle conoscenze sciamaniche. Invocando la sua protezione, egli ne riceverà una particolare.
Mantenendo l’assoluta immobilità e concentrazione (è possibile in questo stato utilizzare solo le tecniche denominate «supporto ad Algiz») sotto ai suoi piedi si formerà un luccicante simbolo azzurrino – intangibile – raffigurante la runa stessa, segno che l’abilità, che in assenza di totale attenzione ad essa è in una sorta di stand-by, si è riattivata. Attorno alla pelle ed agli oggetti del troll si formerà una sorta di barriera protettiva di natura non-elementale, una forza che, data l’affinità dello spirito in questione, emula lo scorrere del vento. Non è statica, ma in continuo movimento, ed è in grado di bloccare o deviare attacchi con efficacia sorprendente fino ad un livello di potenza pari al basso (non difende da attacchi che influenzino la mente).
La vera particolarità di questa barriera è però quella di prelevare dall’assalto lo spirito stesso dell’assalto. Per il funzionamento di questo, vedere l’abilità successiva.
Abilità Passiva
Tecniche utilizzate: Nessuna..