Assignment #01 - Departure.

Celentir, un angolo remoto della foresta dei druidi

Il bivacco era ben arrangiato, e gli ultimi spasmi del fuoco da campo suggerivano ancora un odore croccante e voluttuoso di cinghiale con spezie. L'artiglio lo aveva pagato bene, per il suo ultimo contratto: poteva permettersi dei piccoli lussi. Si stese supino sulla schiena, incrociando le braccia dietro la nuca. Il sonno lo colse impreparato dopo pochi minuti, in cui si beò di quel dormiveglia semicosciente in cui la fantasia si afferma in maniera quasi prepotente ed acquista una sua relativa materialità. Sprofondò nella notte, esausto e soddisfatto; avrebbe giurato di essersi addormentato con un sorriso.
Non fu un rumore a tradirlo, né un odore, né un altro indizio palpabile della sua presenza. Semplicemente, in un punto imprecisato di quel giusto sonno -e gli déi solo sapevano, se lo era- si fece spazio la profonda e radicata consapevolezza di una presenza estranea sopra di sé, che trillò nella sua testa come un campanello d'allarme. Afferrò il fodero del Replica e lo sguainò in un solo, rapidissimo fendente, portandosi in piedi alla velocità di un uomo esercitato nelle cose di guerra. L'intruso lo squadrò in maniera inespressiva, limitandosi a frapporre fra sé ed il colpo il palmo spalancato, dal cui polso pendeva un curioso ciondolo brillante.
La lama si fermò, quasi per incanto, a pochi millimetri dall'oggetto. Prese a balbettare.
«L'E-Emblema...l'emblema di cristallo.»
Inspirò e deglutì, con una rapidità tale da rischiare il soffocamento. Riprese.
«..Tu. T-tu sei... Lei è...»
«Io sono.»
Completò l'altro per lui in tono asciutto, ma non privo di cortesia.
«Innegabile, per quanto ironico. Non pretendo però che tu colga la sottigliezza.»
Sorrise, indicando il bivacco.
«Posso?»
Il sicario annuì con fare assente, gli occhi incantati dal volto del suo interlocutore. Per quanto si sforzasse di scrutarlo e registrarne i particolari, i suoi dettagli continuavano a scivolargli dalla memoria. Era come cercare di trattenere l'acqua nel pugno.
La Mente si inginocchiò in maniera composta, giungendo le mani in grembo
ed alzando lo sguardo al cielo.
«Il nostro mercato, come ben sai, si fonda su di un delicato equilibrio di potenze che si controbilanciano a vicenda con i rispettivi deterrenti. Nostro preciso incarico è, per l'appunto, fornirne di nuovi e più potenti in modo da minare quell'equilibrio stesso e creare così una domanda maggiore per i nostri contratti.»
Ascoltò come uno scolaretto, sedotto ed intimorito dalla loquela dell'altro; naturalmente conosceva lo scopo dell'Artiglio, ma non ebbe il cuore -né tantomeno il coraggio- di interrompere il suo interlocutore. Lo incoraggiò anzi a continuare con un cenno del capo, al quale gli parve di essere corrisposto con un breve sorriso.
«Recentemente, è stata aperta una nuova...nicchia di mercato? Credo di poterla convenzionalmente definire così; curioso è che questa sia stata aperta a causa di un evento che è destinato a radunare un picco consistente di potenziali bersagli. Per la gilda -e per te» e per me, sottinteso abilmente taciuto «E' un'occasione da non perdere. Recati sul luogo, indaga e prendi tutto ciò che puoi.»
Una breve pausa.
«I dogmi della Gilda, naturalmente, valgono tanto qui quanto in trasferta.
Mi auguro che tu abbia il buonsenso di tenerlo a mente.»
La mente si alzò, tirando indietro la manica destra e scoprendo un bracciale istoriato con una gemma incastonata sulla sommità. Pulsava, emanando un sinistro presentimento.
«Ulteriori dettagli ti saranno forniti attraverso la Rete, come vuole la consuetudine. Domande?»
Non ce ne furono.
«Magnifico. Torna con dei risultati, e sarai ricompensato
oltre ogni immaginazione.»
Un cerchio di rune luminescenti si disegnò ai suoi piedi scavando profondi solchi, e la Mente svanì in un'esplosione di luce. Di nuovo solo, con un bagaglio di dubbi e senza nemmeno il remoto desiderio di addormentarsi.
Sarebbe stata una lunga notte.


Dimensione di Endlos, Undarm; Linea di confine con il mare

Il sole era alto, ma non invadente; a scapito dei molti strati di stoffa della sua veste d'ordinanza, non lamentava del caldo. La vista del bersaglio -finalmente solo, e finalmente fermo- era un refrigerio più che sufficiente. Lo trovò seduto sul bagnasciuga, ignaro e vulnerabile. Compì un paio di passi, sufficienti a rendere la sua presenza inequivocabile, e sguainò la spada facendola stridere contro l'interno del fodero, di modo da annunciarsi in maniera formale. Nel suo mestiere, non c'era bisogno di parole.
Era l'etichetta. I dogmi dicevano così, ed i dogmi vanno rispettati.
Sempre.

Una risposta. Una risposta che registrò passivamente per poi dimenticarla subito dopo. Non faceva parte del protocollo, e pertanto non era essenziale. Tutto ciò che non era essenziale andava escluso per calarsi nella prospettiva esclusiva dell'adempimento contrattuale. Una delle regole, forse la più importante; l'avrebbe chiamata 'regola d'oro', non foss'altro che quel metallo non gli competeva. Non ancora, almeno.
Roteò il polso due volte, ed il Replica della falsa Crissaegrim ne imitò il percorso baluginando una minaccia impossibile da travisare; la sua arma d'ufficio, il duplicato di un duplicato. Degradante.
Scattò, e fu uno scatto rapido e fluido, accompagnato dal dibattersi delle code della veste e dell'orlo delle maniche. La creatura aveva afferrato un'arma dotata di bocca di fuoco, e la sua capacità analitica diede per scontato di dover annientare la distanza per non dargli modo di utilizzarla. Arrivato a pochi metri da lui, un ulteriore, ancor più rapido scatto cercò di oltrepassarlo sul fianco e portarsi alle sue spalle, per poi voltarsi e menare un fendente diagonale alla schiena del bersaglio. Il potere del replica si attivò, ed una lama di pura energia disegnò a mezz'aria il segmento di un fendente uguale e contrario.
I contorni del bersaglio erano confusi, monocromi, irrilevanti.
Una parte accessoria; non era essenziale.
Non per lui.

La percezione del pericolo.
Una sensazione mai uguale, che si presentava sotto vesti diverse ad ogni occasione; il mancato impatto del Replica con la corazza del bersaglio, annunciato da una improvvisa ed intensa luminescenza, era sicuramente una testimonianza del suo passaggio. Un passaggio relativamente breve, che venne accantonato nell'istante in cui il suo sguardo incrociò il reale pericolo che il suo percepibile aveva individuato: la bocca di fuoco.
Esplose un colpo -e non un colpo qualunque, un bossolo di metallo. Un autentico strale di energia a lui sconosciuta. Sollevò il piede sinistro ed attentò a compiere una rotazione del busto, ma fu una difesa monca: il colpo strisciò lungo il fianco corrispondente lasciando una dolorosa e pulsante testimonianza di sé, che i dogmi gli impedivano di lenire con il balsamo di un grido. Non poteva, non doveva. Era l'etichetta, e l'etichetta va rispettata. Mai mettere in imbarazzo l'Artiglio con una manifestazione di esplicita ed ingiustificata debolezza. Terminò il movimento, boccheggiando per la minaccia -parzialmente- scongiurata. Una nuova cattiveria si impadronì di lui, ed un lampo scarlatto si abbarbicò sul suo polso sinistro sino ad esplodere nel palmo della mano libera, concretandosi in un duplicato della sua arma; seguì un rapido fendente a croce, in parabola discendente. Una volta compiuto, avrebbe incrociato le lame in un ascendente mirato a chiudere la canna dell'arma altrui in una forbice ideale, proseguendo il movimento con il palese intento di disarmarlo. Che la manovra avesse successo o meno, avrebbe ritirato entrambe le lame a viva forza per terminare la combinazione in un doppio, letale affondo.
Dalla riuscita dipendeva l'onore della Gilda. Dall'onore della gilda, la sua stessa vita.
Una scommessa rischiosa.

Il filo dei Replica cozzò contro l'involucro della creatura, producendo quel suono caratteristico che annunciava il compimento di un altro passo verso il completamento del contratto assegnato: ogni ferita inflitta, ogni ecchimosi ed ogni ematoma -sino ad arrivare al colpo letale- era la tappa di un percorso più grande. A giudicare dalla scarsa reazione del bersaglio, tuttavia, capì di essere ancora a metà strada. L'avversario -con suo grande disappunto- trattenne l'arma con ambo le mani, ed ebbe la sorprendente -così gli concesse- prontezza di far fuoco una seconda volta dopo aver guadagnato una breve distanza fra sé e le due lame: oppose al colpo ormai prossimo il polso del braccio armato, sotto la cui manica prese a brillare il cristallo incastonato nel convertitore. Chiamò in suo aiuto un rudimento di magia elementale, ed uno sperone di roccia si levò dalla sabbia del litorale per far sì che il raggio si frangesse contro la sua superficie, fungendo da spartiacque. Lo sperone esplose per l'eccessiva sollecitazione, ed il sicario approfittò del pulviscolo per descrivere con il Replica un rapido arco dal quale si partì una mezzaluna iridescente che a metà tragitto si scisse in tre proiezioni di sé, ben intenzionate a tagliare il torso dell'unico, ultimo ostacolo al compimento della sua missione. Quasi simultaneamente al loro proiettarsi verso la nemesi, il sicario scattò nel tentativo di accompagnare all'esecuzione un fendente diagonale frontale, nella speranza di minarne l'equilibrio.
La Mente sarebbe stata orgogliosa di lui.

Il bersaglio non reagì; perseverò anzi nel suo grottesco rantolarsi a terra, dandogli quasi l'impressione di aver accettato il suo essere 'accessorio' e 'transitorio' con muta acquiescenza. Lo avrebbe ricordato, per quella cortesia. Forse.
Le stringhe di trama apolare liberate dal suo ultimo assalto incontrarono la difesa stoica del braccio dell'altro, che si mosse istintivamente a proteggere quanto rimaneva di lui -e non contento, a scagliare una manciata di sabbia e ciottoli verso il suo viso. I connotati disperati e rudimentali del gesto, uniti alla sinistra luminescenza degli umori che colavano dalle ferite aperte della creatura, furono sufficienti a trattenerlo quanto bastasse perché la sabbia gli obnubilasse la vista nel momento critico. Si avventò in avanti, caracollando alla cieca nel goffo tentativo di prevenire quanto presentiva, ma non ci riuscì. I sintomi della lacerazione e l'odore dolciastro della carne bruciata intervennero a dargli ragione un secondo dopo -odore che, curiosamente, gli ricordava il cinghiale con cui aveva inconsapevolmente inaugurato la vigilia del contratto. Il solo ricordo gli fece venire il vomito.
Si lasciò cadere, fiaccato -ma non sconfitto. Fece in modo da trovarsi in condizione di precipitare di peso sul corpo avversario, e frappose fra sé e la caduta, ancora, quel bagliore alieno che gli promanava dal polso. Il convertitore rispose allo stimolo, e la sabbia attorno alla figura supina del cacciato si fece densa e liquida come fango, per poi mutare in un composto vischioso e tenace simile all'argilla; se l'androide non avesse reagito, si sarebbe certo vista preclusa ogni via di fuga.
Un pensiero precede l'azione; una formula di rito. Protocollo, ancora una volta.
Missione Completata.

Nella parentesi di coscienza lucida e dolorosa che attraversò prima dell'impatto, vide -scorse, al più, con la coda dell'occhio- che il bersaglio lottava furiosamente per liberare il proprio braccio armato -o almeno, per torcere il polso quanto bastava per puntare la canna- dalla bara di argilla che lo aveva quasi completamente inglobato. Un'ispirazione, dovuta tanto all'adrenalina quanto alla trama che gli scorrevano in corpo, gli permise di proiettare il braccio in fuori e di intercettare il calarsi della canna verso la sua tempia, al sacrificio del dito indice che venne investito dal fascino con cui si manifestò la scarica dell'ultimo nocciolo di energia. Si accasciò sul bersaglio, finalmente -e finalmente certo di averne avuto ragione- e si mise in ginocchio sul cumulo di liquame grigiastro solidificato sito sulle prossimità del suo sterno. Impugnò il Replica
con ambo le mani, rivolgendone il cuneo verso la fronte della creatura.
Aveva finito. O almeno, così sperava.

Passarono un lungo, ridicolo minuto di stasi costretti in quel curioso assetto, prima che l'agente della gilda prendesse per buona la resa dell'altro; si issò in piedi, scavalcando il corpo con un passo lungo, ed il torrente di fanghiglia calcinosa che aveva annegato il malcapitato si ritirò sino ad essere completamente assorbito dal bagnasciuga, non lasciando a testimonianza di sé altro che il biancore aranciato della sabbia di litorale che rifletteva la luce del primo sole. Si chinò sul corpo esanime, tastandone le estremità: certo era una creatura curiosa. La sua arma doveva avere un valore considerevole. La afferrò per la canna, ruotandola in un minuzioso scrutinio: c'era di che sistemarsi per una vita intera.
Si guardò intorno con apprensione, quasi che il semplice formulare un pensiero simile potesse costituire un pericolo -e forse, si disse, lo costituiva davvero. Sospirò, esausto. Era troppo vecchio e
troppo stanco per avere paura.


Merovish; un bazaar sconosciuto

Trovare un compratore non fu difficile. Spostandosi nelle budella di roccia dove si innestavano i batteri del commercio illegale, prolificava una vera bengodi di atrocità: donne, armi, bambini, schiavi. Non c'era un bugigattolo che non ne offrisse ad un prezzo migliore e più conveniente del precedente. Era seduto su di un logoro sgabello, sotto un tendone rigato che emanava un puzzo acre di aria viziata e sozzura secolare; per fortuna, con l'età aveva raggiunto la pace dei sensi.
Aveva poggiato l'arma di fronte a sé, ed ingannava l'attesa lucidandola con un panno di feltro. La superficie scintillava ormai da più di mezz'ora, ma la meccanicità del gesto gli regalava un conforto del quale non gli riusciva di fare a meno. Un rumore di legno che cozza contro la terra battuta, e lo sgabello di fianco al suo venne occupato da una figuretta intabarrata nella sua medesima, inconfondibile uniforme. Dall'altezza, poteva essere un nano o un bambino. Naturalmente, lui sapeva esserlo nessuno dei due. Salutò l'emblema con un cenno del capo, esibendo il suo. Un ciondolo di bronzo legato al polso, dal quale pendeva il blasone della gilda; lo sconosciuto esibì un ninnolo analogo, ma di un deciso color giallo oro.
Capì, senza bisogno di parole.
«Usciamo?» domandò lui dopo un breve, muto momento di intesa.
Il suo tono era acerbo, ma non privo di musica. Sembrava quasi la voce squillante di un ragazzino.
Sembrava.
«Naturalmente.» e si avviarono entrambi fuori dall'emporio.
Una volta fuori, lo sconosciuto gli si parò di fronte, e srotolò un lungo involto di bende scure che aveva assicurato sulla schiena da una fibbia a tracolla. Ne trasse un oggetto curioso -simile ad un pilastro- sul cui dorso erano incisi degli sconosciuti caratteri cuneiformi.
«Hai tradito i dogmi. Ne sei consapevole?»
L'agente annuì. L'oggetto prese a brillare di una luce aliena. Qualcuno si voltò,
qualcun altro prese ad affrettare il passo.
«Hai paura?»
Lo sguardo dell'uomo si indurì.
«No. Cambierebbe qualcosa?»
La stele esplose in un bagno di luce, dal quale riuscì come un colossale spadone a due mani. Confisse la lama
in terra di diversi pollici, ed uno sperone del medesimo, lucido materiale divelse
il terriccio sotto l'agente per trapassarlo dal fianco alla gola.
«No. Non avrebbe cambiato niente.»

A seguito di un consulto, assegno a combattimento concluso punti 1 all'utente Tahoma,
da spendersi per il personaggio utilizzato durante il confronto.