La strada di casa

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    Camminava a passi lenti, lungo quella strada a lui così estranea.
    Dove stava andando? E soprattutto...
    Perchè era lì?
    Mille domande, e nessuno gli avrebbe mai dato risposta. Almeno non quel giorno.
    Sospirò, fissando silente l'orizzonte, rassegnato e concentrato sui suoi ultimi "veri" ricordi....perchè quelli che li seguirono non furono degni d'esser chiamati tali inquanto più nulla aveva uno scopo.
    Ormai aveva perso ciò che lo rendeva più lontano ad un vampiro e più simile ad un essere umano.
    I Galanodel erano estinti...
    ...o meglio, tutti tranne i due gemelli.
    Doveva trovarli, soprattutto la piccola Drusilia.
    E per raggiungerla era necessario tornare indietro, e doveva farlo prima che quel demone dagli occhi rossi la raggiungesse. Perfino lui, il primo maestro della Dama del Vento era infatti caduto innanzi alla potenza si Aisiling, dunque non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere alla piccola.
    Ormai era solo questione di tempo...

    -Tempo, maledetto tempo...

    Diede un calcio ad un sasso lì vicino, facendolo volare via a metri di lontananza.
    E intanto continuava a fissare il cielo con sguardo preoccupato.



     
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    Arraffava con la vista tutto quello che le bancarelle avevano da offrire; a partire dai succosi frutti esotici, passando per il pentolame, finendo al ripiano in cui un uomo -dalla carnagione olivastra- aveva disposto in maneria maniacalmente ordinata una serie di pelli di serpente.

    Per Hamelin, camminare in mezzo alla folla significava sentirsi immersi fino alla gola nella solitudine, abbracciati da una matassa di destini così distanti eppure fatalmente intrecciati.
    E lui, a dire la verità, odiava sentirsi mancare l'aria.
    Si passò una mano fra i capelli, assaporandone la morbidezza, ravviando una ciocca scura per sistemarla dietro l'orecchio sinistro; a lui arrivavano suoni di mille pensieri, di emozioni variegate ma tremendamente quotidiane.

    Tranne una.
    Quel vuoto cardiaco aveva del misterioso, perchè ammantato in una trasudante -e vibrante- preoccupazione, malcelata dietro un aspetto composto e gustosamente elegante.
    Percepì le parole anche a distanza ragguardevole, grazie all'udito che la Nera Signora aveva arricchito nel momento del trapasso: non potè fare a meno di mostrare un sorriso trattenuto, una smorfia di curiosità che ben presto lo mise fra le attenzioni delle fanciulle che gli scorrevano di lato, affascinate probabilmente dal suo bel viso e dall'andamento così regale.

    «Il tempo non è una scusa per la pigrizia.»

    Si sincerò che le sue, di parole, venissero udite solo dal diretto interessato, e perciò le pronunciò nel momento stesso in cui le due sagome si scansarono l'un l'altra, trascinate del convulso brulicare del mercato cittadino.

     
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    Continuò camminare, finchè una voce maschile sembrò rispondere alle parole poco prima pronunciate.
    Si voltò di scatto, con un movimento composto ed uno sguardo che trasudava stupore misto a curiosità.
    Poi tutto si placò, esattamente quando potè osservare bene l'uomo.
    Ormai era raro stupirlo per poco più di alcuni istanti.

    -Purtroppo per gente come me tale concetto è relativo, tuttavia incredibilmente pesante quando ci si trova a fare i conti con il mondo...

    Si sistemò sul naso aggraziato gli occhiali, scivolati di pochi millimetri a causa del precedente movimento repentino.
    Gesti galanti i suoi, composti e pacati, ormai acquisiti in secoli di servizio alla reggia dei Galanodel.

    -Mi perdoni ma temo di non averla mai vista, messere. E' possibile conoscere il suo nome?

    Perfetto, impeccabile.
    Come sempre...

     
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    «I suoi modi eleganti e cortesi sono davvero ineccepibili, messere.
    Direi...letali


    Il musico si voltò completamente, così da poter osservare faccia a faccia il galantuomo; la loro statura era pressochè la medesima, fatta eccezione per le spalle di Hamelin che parevano svettare su quelle dell'altro a causa
    -forse- dei vestiti che indossava.
    Il violinista appoggiò una mano sulla spalla dell'uomo, strattonandolo improvvisamente e senza timore della reazione che avrebbe potuto avere quest'ultimo: in quel preciso istante, un blocco granitico staccatosi da uno dei palazzi che incorniciavano la strada piombò sulla folla, schivando in maniera millimetrica i due tizi.


    «Mi spiace per la scortese manovra, ma la signora qui sotto era giunta al capolinea

    Indicò sorridendo, con un gesto del mento, la mano insaguinata che si intravedeva fra le macerie, unica parte visibile -e probabilmente rimasta intatta- di una certa Donna Morantina Alastea, madre di famiglia e diligente lavoratrice.

    «Peccato, era venuta al Mercato a comprare dei regali per i due pargoletti.»

     
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    Quell'uomo in nero si voltò completamente, e lui potè scrutarlo con i suoi occhi grigi ed inespressivi.
    Abito nero, lunghi capelli del medesimo colore, ed occhi ancora più scuri sembravano brillare in un violento contrasto con la pelle così chiara, di una tonalità che pareva avvicinarsi alla propria.
    Fu proprio in quel momento che il misterioso individuo posò una mano sulla spalla, trascinandolo via da quella che sarebbe diventata una tragedia.
    Orrenda si, ma di ordinaria amministrazione...
    Infondo a tutti i mortali era stato dato quel destino, perfino lui era morto, in un certo senso.
    Più di duemila anni fa.
    Ed anche in quella stuazione non si scompose, preoccupandosi solo di riaggiustare sul proprio naso le lenti vitree che spesso lo accompagnavano, conferendogli la tipica aria da intellettuale.

    -Comprendo.

    In quel momento cercò di analizzare con un rigore che aveva del maniacale tutti i dati raccolti riguardanti il giovane che gli sostava davanti, considerando che non aveva accettato di rivelargli il suo nome.
    Tenuta nera poteva dire tutto e niente, pallore quasi vampirico poteva essere una caratteristica razziale oppure...
    ...oppure era esattamente come lui: morto.
    Forse un Vampiro?
    No, i vampiri non giravano di giorno; lui stesso era una rarissima e forse unica eccezione alla regola.
    In più attaccavano gli umani per nutrirsi; quell'essere sapeva che la donna doveva morire, sapeva cosa aveva intenzione di fare, eppure non aveva fatto nulla per aiutarla.
    Un killer professionista?
    Un sadico profeta?
    O forse era ben altro.
    A quel punto l'unica ipotesi era che si trattasse di qualche scagnozzo con poteri simili ai propri, magari capace di usare la telecinesi, oppure in grado di compiere magie.
    Perchè tutto sembrava un incidente.
    Ma era davvero così?

    -Letali quanto la sua presenza, messere.

    Le labbra sottili disegnarono un sorriso affilato, tuttavia ancora inespressivo.

    -Sbaglio o è molto informato riguardo la vita dei singoli cittadini di questo centro abitato?

    Da bravo studioso avrebbe atteso pazientemente, alla verità sarebbe giunto anche da solo, e con il semplice ragionamento.



    Edited by *+..._Lucifer_...+* - 9/8/2009, 18:40
     
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    La gente iniziava ad accorere, preoccupata per la vita della donna (o forse veniva a sincerarsi che il colpo l'avesse uccisa senza troppa agonia); presto, l'animalesca agitazione che assale le folle avrebbe spinto i passanti a domandare della salute dei due uomini, miracolosamente scampati al brutto incidente.
    Il Thanatomusico invitò l'altro a spostarsi ed intraprendere una lenta ma decisa camminata per la via del Mercato, seguendo un invisibile tragitto che snodava fra tappeti, giare, cibo essiccato e frutta esotica.


    «Oh, la mia presenza non è poi così letale.
    Diciamo...è più un brutto presagio che altro.»


    Sorrise divertito, poichè -senza darlo molto a vedere- gli piaceva intessere discussioni machiavelliche con personaggi interessanti come quello.

    Gli abitanti? Bè, ne so quanto ne sanno gli altri:
    prima o poi, tutti dobbiamo morire.
    Diciamo che ho un 'sesto senso' per le fatalità...»


    ...o per meglio dire,
    qualcuno lo avvertiva in anticipo.

    «Non vorrei averla turbata con questi discorsi...
    ...Signor

     
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    Strano, davvero singolare.
    Un uomo che parlava della propria presenza come un brutto presagio in modo così naturale lo aveva incuriosito; in duemila anni non gli era mai accaduto, ed erano rare per lui le novità.
    Di una cosa poteva ritenersi certo: quello era un modo di fare che in genere spaventava la gente, e probabilmente quell'uomo non amava particolarmente i rapporti umani.
    Tuttavia stava discorrendo con lui...
    ...beh, forse perchè, tecnicamente, lui non era umano.

    -Arthur Friederick Giles, onorato.

    Spostò la mano al petto, chinandosi quasi impercettibilmente come era solito fare nelle presentazioni.
    Che poi il nome era infondo poca cosa; quasi non ricordava più quello con cui era nato umano, il primo di tutti.
    Ebbene si, Arthur era la sua perfetta maschera creata per celare ciò che si nascondeva dietro.
    Anni di delitti, ferocia, studio matto e disperato sotto un appellativo greco antico che non avrebbe più portato.
    Ora lui non era più un folle studioso, ora era un Maestro, un Educatore.
    Da qualche secolo a questa parte era Arthur Friederick Giles.

    -Mi permetta di dirle che possiede una abilità davvero singolare, quasi pari ad alcuni oracoli o grandi veggenti, tuttavia mi ha lasciato perplesso la sua sua noncuranza di ciò che "percepisce". In genere chi prevede tende per natura ad evitare tali incidenti....

    In quel momento si sentì ad un passo dalla verità.
    Rimase in tacita attesa, pacato seppure cosciente d'essere pervaso da un vibrante interesse per quella creatura.

     
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    Il passo del violinista rallentò in maniera infinitesima, assecondando lo sforzo mentale che stava compiendo nel cercare un "esempio" chiarificatore della sua presenza.
    Udì il nome dell'altro e, come per abitudine, lo ripetè nella sua testa un paio di volte, sperando di non trovare corrispondenza nella sua lista di lavoro.


    «Hamelin...e basta.
    Purtroppo, non ho la fortuna di avere importanti cognomi.
    Non che mi dispiaccia, d'altronde.»


    Lo degnò di un'occhiata fugace, per poi fermarsi ed agguantare una mela accatastata su una montagna di fruttosio racchiuso in geoidi rossastri; la strinse nella mano, per poi mostrarla chiaramente ad Arthur.

    «Se mangiassi questa mela, lo troverebbe ingiusto?»

    L'apparente banalità di quella domanda aveva reso impercettibilmente più gelida quella giornata di mezzastagione.

     
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    -Il nome è solo un insieme di suoni che ci distinguono dalla persona che ci sta di fianco. Tuttavia, per quanto necessario, non ha valore quanto "chi siamo".

    Si arrestò di colpo, rendendosi conto che quella sua frase aveva toni fin troppo sibillini ed una nota di saccenza.
    Ed in genere ciò poteva dar fastidio a chi gli stava intorno, dunque deviò il discorso con pacata diplomazia.

    -Mi perdoni, alcune volte posso parer noioso e pesante.

    Sorrise affabile, prima che Hamelin prendesse tra le mani diafane una mela rossa.

    -Non vedo la ragione per cui non debba farlo, messer Hamelin. Dunque direi di no.



    Edited by *+..._Lucifer_...+* - 11/8/2009, 13:46
     
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    Il violinista sorrise, quasi compiaciuto della risposta.
    Dopodichè, ruotò leggermente il capo, indicando con esso un angolino riparato della bancarella posta dirimpetto a quella dalla quale aveva preso la mela.
    Accovacciato, un piccolo spettro vestito di stracci, materializzato alla vista come un bimbo malnutrito e probabilmente malmenato;
    l'infante, come lo chiamavano per quelle strade, osservava estasiato la forma perfetta della mela, assaporando con gli occhi una prelibatezza che forse lo avrebbe sfamato dopo settimane di digiuno.

    «E ora?
    Trova ingiusto che io mangi questa mela, piuttosto che darla a quel povero morto di fame


    Non poteva trovarsi crudeltà nelle sue parole, quanto piuttosto un punto di riflessione sul quale Hamelin s'era stazionato per poter spiegare a pieno i motivi per cui si trovasse a parlare con Arthur.

     
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    Rimase leggermente spiazzato da quell'apparizione.
    Lo osservò silente mentre Hamelin parlava, con una nota triste negli occhi grigi.
    Per quanto fosse un vampiro, un demone, aveva sempre nutrito un certo sentimento verso i "cuccioli".
    Infondo, era stato per secoli un educatore...

    -Temo di si. Tuttavia la giustizia è spesso lontana da ciò che accade nella realtà.

    Per un attimo pensò a come avrebbe reagito la sua padroncina a quella situazione, e sorrise tristemente al ricordo del suo volto candido e molto più umano di qualsiasi altro Galanodel.
    Lei Non avrebbe indugiato a trovare una risposta razionale.
    Avrebbe risposto con fermezza.
    Tuttavia lei era candida.
    Lui il frutto del Male.

    -Sarebbe tuttavia malvagio nutrirsi di fronte ai suoi occhi innocenti e colmi di sofferenza. Perchè oltre al dato di fatto, come si suol dire, si "gira il coltello nella piaga", messere.

    A quelle parole avrebbe preso un'altra mela dal bancone, e l'avrebbe allungata al bambino.

     
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    Il violinista osservò l'uomo porgere la mela e fece lo stesso; il bimbo, quasi rapito dalla miracolosa apparizione di ben due frutti, li accolse a braccia aperte, potendo solo gemere di felicità poichè le corde vocali se ne erano andate -tempo fa- assieme ai suoi denti.
    Le ingurgitò senza ritegno, pulendosi solamente alla fine con un pezzo sudicio del suo straccio: rinsavito, quasi rivitalizzato, si issò in piedi, aiutandosi con un legno sporgente della bancarella, iniziando poi a camminare a passo spedito in direzione della fontana, posta in fondo alla via ed unico e vero ritrovo di divertimento per quei poveri
    orfànes.

    A metà via, il bimbo cadde a terra in preda alle convulsioni, mentre la bocca contorta lasciava fuoriuscire un liquame biancastro e spumoso, simile alla schiuma del mare in burrasca: due occhiati di sdegno da parte di alcuni mercanti, che non prestarono soccorso per paura di perdere clientela, e l'
    infante morì in poche manciate di secondi.

    «Iperdiabetismo Mieloplastico.
    Un morso di mela sarebbe stato sufficiente a farlo soffocare:
    due, una dietro l'altra, lo hanno stroncato di netto.»


    Guardò, privo di sentimenti, il volto di Arthur, in attesa di qualcosa che potesse somigliare a stupore, o forse altre reazioni interessanti...magari, addirittura, una conclusione, oppure una morale di quella bruttissima favola che avevano vissuto.

     
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    Arthur osservò la scena senza proferir parola, mentre le fredde mani si stringevano in pugni.
    Tuttavia rimase fermo nella sua compostezza.

    -Uno stolto direbbe che nulla può essere considerato davvero giusto, o forse che nessuno può saperlo con certezza. Tuttavia tale considerazione è solo parziale, poichè è evidente che lei sapesse perfettamente ciò che aveva quel ragazzino, e come accaduto alla donna non ha fatto niente per salvarlo o impedire la tragedia.

    Lo fissò con i suoi soliti occhi inespressivi, mentre le dita pallide si distendevano nuovamente.

    -Conosco gente che l'avrebbe presa diversamente, signor Hamelin. Tale comportamento per molti umani e non è inammissibile. Tuttavia, personalmente lo trovo interessante principalmente per una cosa.

    Si sistemò gi occhiali con il dito indice, ruotando il corpo verso il suo interlocutore in modo da rimanere "faccia a faccia" con lui.

    -Cosa è lei?

     
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    «Non parlo di giusto o sbagliato.
    Gli esseri umani hanno la pretesa di voler intervenire in ciò che non li riguarda.
    La loro vita è un dono, piena di "pro"
    e con un unico "contro": va vissuta e basta.
    Non vanno avanzate pretese, non ci si interroga su chi debba morire o meno.
    Le cose succedono per un motivo ben preciso,
    seguendo uno schema che solamente pochi conoscono...
    ...e conoscerlo, non autorizza a modificarlo


    Scrutò gli occhi profondi di Arthur, espandendo involontariamente il suo fascino tenebroso e sepolcrale; una folata di vento strisciò nel ventre della strada, alzando qualche sbuffo di polvere ed animando i vestiti di entrambi.

    «Cosa sono?
    Questa è una bella domanda.
    Se ha un po' di tempo, preferirei riparlarne al chiuso,
    sorseggiando qualcosa.»


    Alzò il braccio destro e poi lo distese, indicando una piccola bottega dalle cui vetrate si intravedevano tavolini e gente seduta, impegnata a gustare caffè bollente ed altri strani infusi fumeggianti.

     
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    Ascoltò l'uomo impassibile.
    Avrebbe continuato la discussione ma il suo interesse verso l'identità di quell'essere lo attraeva più di qualunque dibattito etico o filosofico.
    E sorrise, all'invito di Hamelin a quel bar esibì una espressione diversa dal solito.
    Lui era un vampiro, in genere beveva sangue.
    Tuttavia del cibo mortale non gli avrebbe fatto assolutamente nulla, dunque accettò volentieri l'offerta.

    -Come desidera, messere.

    Chinò leggermente il capo in segno di rispetto prima di continuare.

    -In effetti questa strada è fin troppo caotica e rumorosa. Un luogo più appartato è decisamente l'ideale per una piacevole conversazione.

    E con ciò si diresse al locale.

     
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