Let the Curtain Down

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    “...perciò buona notte, Signore e Signori: non sarebbe mai stato possibile senza di voi”

    Il sorriso maliardo e perfettamente confezionato che il Cappellaio aveva accomodato sul volto per l’occasione rimase intatto sul suo viso bianco e nero, truccato da pagliaccio, fino all’ultimo istante; poi, la sua voce suadente come il più dolce dei veleni si librò per l’ultima volta -per quella sera e per quel piano dimensionale- nella vasta cupola della sala da ballo, ponendo fine al discorso di commiato, e con esso alla Cerimonia di Chiusura.

    “Arrivederci al prossimo anno!”

    Promise, poi si sfilò il cappello dal capo,
    e si esibì in un pomposo inchino che parve compiacere la platea,
    dopodiché tornò a raddrizzare la schiena, e mentre la mancina riaccomodava il copricapo al suo posto, celando il volto dietro l’ampia visiera, la destra levò il pugno in un cenno entusiasta.

    In reazione a quel gesto, dagli astanti scaturì uno scroscio di applausi,
    e -come pattuito- un boato allegro e scoppiettante sancì l’esordio della batteria pirotecnica.

    image

    I colori dei fuochi d’artificio si avvicendarono nel tetro firmamento notturno,
    bagnando con la loro luce i marmi della pista da ballo al di là di balconi e finestre del palazzo,
    e la musica cominciò a intonare un solenne valzer per offrire ai presenti un ultimo giro di danze.

    Ma la festa era terminata per il Pierrot.
    In silenzio, col passo lieve di una farfalla, girò compostamente sui tacchi
    e scese dal palco adibito a podio per imboccare il vicino corridoio,
    sfilando -senza degnarlo d’uno sguardo- accanto al
    vincitore della competizione...

    ...cioè il primo gonzo cui aveva appioppato il trofeo.

    Non seppe trattenere uno sbuffo contrito e una smorfia di disappunto al ricordo,
    ma era solo per la lunghezza di quell’androne, e quindi si concesse un piccolo strappo:
    pur non essendosi scomposto più di tanto,
    -preferendo trovare una soluzione anziché rimarcare il problema-
    non aveva affatto gradito l’uscita trionfale dei due finalisti.

    Quando si erano incontrati sul ring dell’ultimo turno,
    Catastrophe e Hisagi avevano preferito isolarsi -letteralmente- in un mondo tutto loro,
    per godersi gli intimi momenti del combattimento senza render conto a nessuno.

    ...lasciando l’organizzazione a dover fare i salti mortali per sopperire ai loro colpi di testa
    e non perdere la faccia davanti a migliaia di spettatori paganti interplanari.

    Fortunatamente, si era attivato con tempestività;
    non appena i due erano saltati nel varco dimensionale, il Cappellaio era sceso sul ring,
    aveva sfilato il copricapo e spiegato le ali nere che identificavano il suo retaggio negli Inferi:
    compiere l’artificio del mesmerismo su così vasta scala era stato piuttosto spossante,
    ma alla fine tutto aveva funzionato nel migliore dei modi.

    Nessuno in quella folla -che non fosse stato dotato di una forza psionica sufficente-
    avrebbe ricordato come si erano svolti davvero i fatti di quel giorno:
    il volto di Catastrophe, così come il suo nome e il suo aspetto, erano svaniti dalle loro menti,
    sostituiti da quelli di un paggio particolarmente talentuoso solo nella preparazione del thè,
    così come la persona di Hisagi era svanita, obliata e surrogata da un nobiluomo di terre lontane.
    Insignificanti.

    Gli unici che lo avrebbero ricordato, non avrebbero avuto alcun interesse a rivelarlo;
    per tutti gli altri, lo scontro era stato avvincente e spettacolare,
    e si era concluso sotto i loro occhi attoniti ed emozionati.

    Tanto bastava.

    Il Cappellaio si fermò davanti ad una porta-finestra, e con passi eleganti si avvicinò al vetro;
    lasciò gli occhi cerulei liberi di vagare oltre la superficie ialina,
    per il cielo stellato dove lo spettacolo dei fuochi era appena terminato,
    contemplando la volta a cui giacevano appesi solo nastri di denso fumo grigio.

    Con un gesto distratto infilò la mano nel panciotto, e ne estrasse un orologio da taschino,

    e le labbra nere si schiusero in un taglio divertito quando lo sguardo di ghiaccio cadde sul quadrante.

    “Ma guarda quanto si è fatto tardi...”
    mormorò la sua voce suadente
    “ Sarà meglio affrettarsi.”

    Mosse un passo in vanti, e il cristallo della finestra l’avvolse come l’acqua di una polla;
    non c’era tempo per crogiolarsi nel successo di quel lavoro,
    giacché una seconda nuova prova in un altro e sconosciuto mondo lo stava già attendendo.

    Concluso un Warrior Day, se ne fa un altro.
     
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