Insieme

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  1. Raylek
     
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    Aveva sempre vissuto in guerra. In lotta. In un modo o nell'altro.
    In guerra contro un mondo che lo voleva schiavo. Contro una genia che considerava lui e i suoi pari carne da macello, buona solo per lavorare.
    Aveva trovato il modo di alzarsi. Di diventare migliore. Di crescere.

    E lo doveva al primo che mai si era meritato l'appellativo di padre.
    Quello era stato il principio di tutto.

    Rune. Alchimia. Potere.

    E da quello erano nati il rancore di persone che avrebbero voluto per loro il potere. Per loro la ricchezza. Per loro la conoscenza.
    E forse, per loro anche quell'amore che Kaule aveva saputo mettere nel suo rapporto con quello strano figlioccio, piccolo mostro verde.
    Scelta inconcepibile, secondo la sua gente, per un thane.

    E da allora Raylek aveva usato sangue e unghie, sudore e denti per ottenere qualcosa che poteva essere a buon titolo definito come suo.
    Fatto da lui, per lui.
    Opera delle sue mani.

    Laputa era quel sogno.
    Quel sogno che condivideva con chi, ne in sangue ne in carne poteva dirsi suo fratello.
    Ma che lo era nelle esperienze di vita.
    Lo era stato sul campo. Lo era stato versando il sangue che non li accomunava perchè li rendesse uguali.
    Mostro lui. Bestia l'altra.
    Khalesis-sama.

    Il fratello che non aveva mai avuto. Di cui non approvava i modi. Di cui non apprezzava del tutto il carattere, così diverso dal suo...
    così ferale.
    Ma che la vita, il destino, o in qualsiasi altro modo lo si voglia chiamare gli aveva messo vicino.
    Da due vite diverse, ecco che ne era sorta una sola.

    Da persone che mai avrebbero potuto stare vicine altrimenti era sorta una famiglia. Loro, l'Hati. Insieme.

    Questo era il suo pensiero. Raylek, figlio di Kaule, progenie della stirpe di Quelt ,defunto signore della Rocca d' Od'Nast sedeva immobile, nella sua cabina.
    L'ambiente era stato svuotato da tutti i suoi effetti personali. Spostati alla Rocca della Città Volante.
    Rimanevano solo due coppe di legno scuro, lavorate, su un vassoio largo dello stesso materiale.
    Le accompagnava un orcio di terracotta, coperto di un merletto di goccioline di condensa.
    Nel caldo della stanza di legno che era la poppa della SbriciolaCielo, il sidro gelido rendeva chiara a tutti la sua presenza con quel manto di diamanti liquidi.

    Il goblin sospirò, naufrago dei suoi pensieri, fissando il legno della porta. Dei muri. Del pavimento. Osservando fuori dalla vetrata che, dalla sua destra alla sua sinistra, riempiva la parete alle sue spalle.

    Si guardò l'unica mano, poggiata sulla scrivania. Immobile.

    Non era più solo un comandante di vascello ora. Le use azioni lo avevano reso un autocrate. Si era mosso per salvare la sua vita, e quella dei suoi compagni... ed era diventato un capo.
    Anche se, lui, capo non ci si era mai sentito.

    Ma ogni famiglia ha bisogno di un anziano. Ogni branco di un alfa.
    Per questo lui e Khalesis dovevano parlare. Decidere.

    Quella era la loro famiglia.
    Insieme avrebbero deciso.

     
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  2. Ronin_
     
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    I passi della malabestia riecheggiano poco sul pavimento della nave.
    Non tiene armi con sé, soltanto i suoi pensieri.
    Alza il grosso muso scuro al cielo e socchiude gli occhi al sole che lo ferisce: un sole pallido, debole.
    Poi il capo ricade sconfitto, e viene scosso a destra e a sinistra.
    La stoffa grezza che copra il busto della malabestia e marrone scuro, chiusa sul davanti con un abito tipico della popolazione di Akeginu. Larghi pantaloni neri coprono le zampe sino agli stinchi, lasciando agli artigli posteriori il compito di ghermire la terra. Il braccio sinistro, come di consueto, è fasciato di cuoio spesso e duro.
    Khalesis si guarda la pelliccia del braccio destro, scoperto, e la vede rovinata dal tempo, dal sangue, dalla battaglia. Non che gli importi poi molto del suo aspetto fisico, ma dopo tanti anni comincia ad essere stanco di vedere la fine di questa vita ancora lontana. E Raylek non sembra capire, invece, cosa vuole il Dothraki.
    Questi stringe la zampa a pugno mentre continua ad accorciare la distanza con la porta della cabina inferiore. La apre e, per un attimo, il raggio di sole che era entrato ad avvolgere i calici dell'alchimista viene oscurata dalla massa del guerriero.
    Poi è la porta che adempie a questa funzione, mentre la vetrata getta nuova luce nell'abisso dorato degli occhi della Tigre bianca.
    «Allora, Raylek?»
    La voce dura e grezza prende posto a poca distanza dal goblin. La sinistra si alza a lisciare le orecchie all'indietro, poi si allunga verso un bicchiere.
    «Siamo soli. Senza l'Hati. Senza i tuoi elfi.
    «Parliamo.»

     
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  3. Raylek
     
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    Come sempre sai essere così convincente, amico mio...

    Raylek osserva il compagno mentre si appropria di una delle ciotole, con un sorriso mezzo velato disegnato sulla faccia.
    E' stanco. Dentro.
    Non tanto, in realtà. Solo, per lui, è uno di quei momenti in cui fermarsi e prendere fiato. Riguardarsi indietro, e fare due conti.
    E la SbriciolaCielo gli è sempre compagna, in questo.
    Solo una manciata di mesi prima era in quella stessa cabina, a dialogare con se stesso, cercando le radici della sua vita.

    Ora, lì, ha tutta l'intenzione di volgere lo sguardo al futuro.

    ...ma hai ragione.
    Il momento di tirare le somme è giunto.


    Anche il goblin conquista il suo bicchiere, e ne priva il contenuto di una generosa sorsata.
    Discutere con il becco asciutto gli è sempre parsa una cosa innaturale.

    Insomma, eccoci qui.
    Abbiamo salvato la pelle, abbiamo ricostruito una città. Abbiamo dato a centinaia, migliaia di persone un futuro...

    Gli occhi di lui cercano quelli della malabestia.

    ...ma noi, cosa contiamo di fare?
    Questa casa, questa grande casa, piena di persone, è nostra responsabilità.
    Non mi sento tagliato per fare da mamma, in realtà, ma non posso nemmeno pensare di mollare tutta la baracca al suo proprio destino senza preoccuparmi di nulla...


    Una piccola pausa. Un altro sorso di liquore.

    Sei con me, socio?
    O sei troppo stanco per proseguire oltre?

    Sai, mi sono sempre chiesto come tu possa vivere con tutto quell'odio, dentro.
    Non deve essere per nulla facile...


    Non è pietà, e nemmeno compassione, quella che spinge il goblin ad interrogare il suo compagno.
    E' la necessità di sapere. Che la tigre lo voglia o no loro, in quell'affare, ci sono dentro assieme. E come Khalesis sa benissimo, di lui, che il guerriero lo voglia o no, non si libererà mai.

     
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  4. Ronin_
     
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    La malabestia socchiude gli occhi. Porta il bicchiere alle labbra, ma non beve. Non beve mai Khalesis: ha sempre troppo a cui pensare da quando ha lasciato la sua Foresta. Per cui, un pubblico, non perde tempo: si limita ad mimare quei gesti che, ha imparato, le convenzioni umane ritengono molto importanti.
    «La verità, Raylek» inizia con voce stanca, come se già avesse discusso del suo futuro molto, molte volte nella sua testa. Riprende: «La verità, Raylek, è che io avevo un altro destino, molto più semplice di questo. Dovevo combattere gli uomini e morire in battaglia. E tornare, da cadavere, nella mia foresta. Ma tutto questo ormai non può più avversarsi...» la voce si abbassa, così come il grosso muso da Tigre bianca.
    La malabestia, quindi, poggia di nuovo il bicchiere sul tavolo e si rialza muovendo qualche passo verso il pallido sole dell'immensa finestra.
    «Non abbiamo scelta. Non possiamo abbandonare tutta questa gente. O almeno, tu non puoi abbandonarla... Io non ho alcun vincolo con loro. E poi, la maggior parte di questa feccia è umana, Raylek. Dovrei prendere la mia mazza, aprire ogni singola porta di ogni singola stanza e fracassare il cranio di ogni singola creatura umana o umanoide che osa alzare gli occhi al mio sguardo.
    Il mio non è odio. La mia è una missione.
    E un Dothraki senza una missione non è altro che un animale.
    »
    Alza il pugno destro e lo stringe, sino a ferirsi il palmo con i propri artigli. Le vibrisse, intanto, fremono alla semplice idea del sangue.
    «Devo tornare a Celentir, qualunque cosa costi.»
    Si volta verso il goblin con un'occhiata che tradisce solo la forza della propria decisione.
    «Resterò qui solo il tempo necessario per capire come tornare indietro. Forse, come ho fatto presso i von Seamond, potrei trovare qualcosa che aiuti la causa della mia gente. Poi tornerò indietro, Raylek, e mi ritirerò per sempre nella Foresta Sacra al mio Khan e alla mia deva Vidocq.»
    Il grosso guerriero sospira, con un'ironia sprezzante.
    «Dannazione, sentimi come parlo... Sembro un umano...»
     
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  5. Raylek
     
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    Lascia che la bestia parli, senza interrompere. Non avrebbe senso farlo.

    Quella è la volontà di Khalesis, per quanto a lui possa fare male.
    Perchè se è vero che la tigre ha... deve avere... dei progetti, una missione, è pur anche vero che lui pure aveva una strada davanti.
    Se l'era immaginata. L'aveva pensata, studiata.
    Ma sentire ora quello strano testamento del compagno gli lasciava molto amaro in bocca.

    Più di quanto una bocca di goblin potesse contenerne, in effetti.
    Non tanto perchè sentiva che era ingiusto l'idea di separarsi da qualcuno che ha combattuto al tuo fianco, e con cui prima ancora è stato un piacere incrociare le spade, ma soprattutto perchè ogni parola del monologo dell'amico gli sembrava così dannatamente uguale ad un testamento.
    L'ultimo lascito di un soldato che non sa trovare una fine diversa per se stesso se non il rogo purificatore che solo una pira può portare.
    Il cadavere bruciato di un eroe.
    La morte fiorita. La morte in battaglia.

    ...e non contava quale fosse la battaglia.
    L'importante era sapere di avere un destino che finisse nel sangue.

    Trovo sarebbe molto idiota fare una mattanza.
    Soprattutto perchè gli umani che tu e la tua gente incolpate del Grande Cataclisma sono svaniti dalla faccia della nostra terra da secoli. Se non millenni.
    Ma ovviamente, sei libero di fare come credi.
    Se per te le colpe dei padri ricadono sui figli, prego, accomodati.
    Laputa è ogni altro mondo in cui esistono umani sono là fuori... ad aspettarti.


    Raylek prende fiato. Ingoia di getto un ulteriore sorso di liquore e posa la ciotola davanti a se, al centro del tavolo, di nuovo sul vassoio.
    Lo fà in modo che il suo compagno lo guardi. Ammiri il gesto. La sua lentezza.

    Perchè pensa di aver capito che è così che secondo i Dothraki agisce un guerriero. Centellinando il suo fare.

    Soprattutto mi spiace che tu voglia andartene.
    Anche se, a dire il vero, me lo aspettavo.
    Non penso tu sia uno da gabbia. E un mondo diverso da quello in cui sei nato, e una vita così aliena dal tuo canone, bhe, penso siano la gabbia peggiore che uno possa avere...


    Inchioda i suoi occhi in quelli della tigre. A lungo, senza abbassare mai lo sguardo.

    Se deciderai di andare, però, lo sai, mi mancherai.
    E non è vena sentimentale. Trovo che ci sia un che di rassicurante ad avere vicino amici come te. Assolutamente incapaci di doppiezze o viltà.
    Alle volte orrendamente inflessibili... ma non si può avere tutto, dicono, dalla vita.

    Insomma, mi lasci qui con la nostra città.

     
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  6. Ronin_
     
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    «Non adesso, Raylek.»
    Khalesis respira profondamente, poggiando una mano artigliata sul tavolo.
    «Io so che tu non puoi capire il mio (il nostro) odio, ma io non l'ho mai chiesto a nessuno.
    Neppure all'Hati.

    «In ogni caso» riprende dopo una breve pausa «per adesso restiamo qui. Questa cittadella volante ha bisogno di disciplina e comando e...» l'accenno di un sorriso non troppo sprezzante sporca l'austerità del guerriero mentre mantiene il contatto visivo col goblin «tu non sei troppo in grado di darli. A meno che non ci troviamo sulla SbriciolaCielo, quello sì. Ma da a Senju qualche mese di pratica, e stai sicuro che diventerà un perfetto secondo in comando su quella nave.
    «In ogni caso, sei tu che comandi qui, Raylek. A me non interessa.
    «Io resto libero, e con me i miei uomini. Ci preoccuperemo di difendere Laputa...» e qui la voce s'incrina: non per qualche stupido sentimento tipicamente umano (o, addirittura, femminile) ma perché, d'improvviso, Khalesis si rende conto che non sfodera la sua spada bastarda per un'ottima ragione da troppo tempo e rimpiange il tempo in cui incrociava le spade con cadenza assolutamente regolare; continua: «...da qualsiasi minaccia. Di tanto in tanto, però, io e la mia squadra scenderemo a terra per delle spedizioni: se non conosci il terreno della battaglia, perdi.»
    Sposta col dorso della zampa il bicchiere.
    «Parliamo d'altro.
    «Ci saranno sicuramente dei signori della guerra, qui. Hai intenzione di prendere contatti con loro prima che siano loro a venirci a cercare?»
     
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  7. Raylek
     
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    Il discorso, tigre, non fa una piega. Ma tu sottovaluti il goblin : lui può capire benissimo cosa voglia dire odiare. Cosa voglia dire detestare ogni secondo della proprio vita qualcosa.
    Anche lui è schiavo, reietto. Un morto che cammina, con una taglia sulla testa che più di una volta hanno provato ad incassare.

    Solo, la differenza fondamentale è quello che si decide : Raylek ha deciso che non si sarebbe fatto manovrare dal suo odio come un pupazzo.
    Che avrebbe vissuto la sua vita per quello che lui avrebbe - o non avrebbe - voluto.

    Ma in realtà non è certo un problema. Ognuno può credere quello che vuole. Anche che gli altri non lo capiscano.
    Solo, agli altri spiacerà molto.

    Riguardo alla disciplina e all'ordine, probabilmente hai ragione.
    Ma io non sono mai stato un capo carismatico.
    Forse un promettente artigiano, o magari anche un artista. Ma non mai un condottiero.

    Sul fatto che però Laputa sia sotto alla mia custodia, direi che non sbagli. E farò quanto è necessario.
    Mi spiace solo che tu consideri possibile che io voglia schiavizzare te e l'Hati obbligandovi a stare con me.

    Ho sempre pensato fossimo insieme, in questo affare. Ma devo aver frainteso. Colpa mia.


    Lo sguardo del goblin si era spostato dal compagno alla sua coppa, posata nel centro del vassoio, vuota.
    E lì era rimasto qualche istante, mentre il silenzio prendeva possesso della cabina del Capitano della SbriciolaCielo come fosse stato qualcosa di vivo, dedito alla caccia del rumore.
    Dentro alla stanza, per un momento, tutto era sembrato come congelato.
    Nemmeno i cuori dei due lì raccolti sembravano intenzionati a battere.

    Poi, come era cominciato, l'incanto si era spezzato, e il goblin aveva ripreso, scorrendo sul filo dei pensieri che la tigre gli aveva esposto : i passi successivi.

    In realtà intendo aspettare.
    Siamo finiti qui da un altro mondo, e visto il modo in cui siamo approdati su questo mondo, trovo impossibile che qualcuno non ci abbia notato.

    Sicuramente questa terra è di qualcuno, e qualcuno verrà per rivendicarla come sua dalle nostre sgrinfie di schifosi invasori...
    ...perchè per loro saremo solo questo.

    Non intendo muovere un muscolo prima di allora : cercare noi per primi potrebbe dare l'impressione che stiamo provando ad organizzarci per un eventuale espansione, o roba simile.

    No. Trovo utilissimo che tu e l'Hati facciate quello che sapete fare meglio : studiare il terreno di scontro.
    Quanto al resto, attenderemo tutti insieme che chi di dovere si faccia vivo, chiedendoci chi siamo e da dove veniamo.

    Per allora, io credo, saremo sufficientemente pronti a riceverlo. Qualunque siano le sue intenzioni...


     
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  8. Ronin_
     
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    «Nessuno potrebbe piegare l'Hati, Raylek.
    «Neanche io ormai posso costringerli a fare qualcosa che non vorrebbero comunque fare.»
    Pausa.
    «Ho fatto proprio un buon lavoro.»
    Khalesis si allontana dal tavolo, lasciando l'eco delle parole del goblin ad aleggiare ancora per la stanza.
    «Allora il patto è sancito: io difendo Laputa, tu la reggi. Ma promettimi una cosa: dovrai riferire questo messaggio ai signori di queste terre.
    «Di' loro che Laputa è difesa da artigli e acciaio, da spade benedette e da guerrieri fieri del loro nome.
    «Ma, sopra tutto questo: Laputa è appena diventata la tana della tigre.»
     
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  9. Raylek
     
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    Così come ha fatto la sua apparizione, la tigre lascia la cabina. Dietro di se però, la sensazione che lascia è quella di un peso tangibile.

    La sua rabbia, forse, o la sua tensione combattiva.
    Ricolma ancora il vuoto che il guerriero malabestia occupava solo pochi istanti prima.

    Raylek lo lascia alzare, senza dire una parola. Sa benissimo che quello che hanno appena avuto lui e Khalesis non è mai stato un colloquio, fin dall'inizio - anche se, per tutto il tempo, ha sperato lo diventasse -.
    Le parole del Condottiero dell'Hati sono state un dictat. Niente di più.
    « Io difendo Laputa, tu la reggi. »
    Lascia chiudere la porta, il goblin.
    Aspetta che il silenzio, per la terza volta, riprenda possesso del locale.
    E poi, cosciente di farlo, lo spezza, dando consistenza ad alta voce ad un pensiero che è solo per lui.

    Così è, amico mio.

     
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8 replies since 14/11/2009, 15:19   216 views
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