V - Heretic, Hero

Survival Game

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  1. Bracktanus
     
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    Località ignota
    33a Età della Rivendicazione
    Da Capitano a schiavo il passo era stato breve.
    Lo avevano trovato privo di sensi su una spiaggia, disarmato e rinchiuso in una rudimentale gabbia semovente. Solo, circondato da umani e creature che non aveva mai visto. Di Rtas 'Vadum nessuna traccia. Finché gli fu possibile cercò di rimanere sveglio, ma lo imbottirono di tranquillanti più e più volte - così non seppe mai quanto il viaggio fosse durato. Ma, quando finalmente riaprì gli occhi, scoprì di essere stato venduto.
    Glielo disse il suo nuovo 'padrone'.
    Non era mai riuscito a scorgerlo in volto, costretto com'era in catene; l'altro si mostrava di rado, al di là delle sbarre lontane e immerse nella penombra di quella umida, sporca prigione. A giudicare dalla poca luce che vi filtrava, il Jiralhanae suppose di essere in un sotterraneo. I giorni trascorrevano sempre uguali a se stessi: due pasti, servitigli come si serve qualcosa a una bestia; solitudine, silenzio e -occasionalmente- qualche grido di dolore. Torture, forse. Oppure suicidi. Non faceva differenza, per lui.
    Bracktanus era rimasto solo...coi propri pensieri come unica compagnia.
    Nella sua mente riecheggiavano ancora le parole dei suoi fratelli, dei Profeti e -infine- quelle dell'Eretico: il XIX Arbiter. Colui che, solo, poteva biasimare per la sua attuale condizione di animale in gabbia. L'essere capace di insultare gli déi e il Grande Viaggio, fregiandosi al tempo stesso del titolo di eroe. Nei lunghi giorni che fu costretto a vivere così, il Brute giunse a diverse conclusioni. Si diede degli obiettivi, cancellò le colpe. Sapeva come evitare il tracollo: era già stato in prigione. Aveva già vissuto tutto quello.
    Prima su tutte, maturò la ferrea convinzione che il suo branco era morto per una nobile causa.
    I suoi fratelli avevano combattuto fino all'ultimo respiro per liberare la Reliquia dagli abomini che la infestavano. E lui...lui aveva soltanto dato pace ai loro corpi, onorandone le memorie. Non li aveva uccisi. Li aveva salvati da un'esistenza abietta, mostruosa. Ciascuno di quei valorosi guerrieri avrebbe fatto lo stesso per lui. Non ne dubitava.
    Solo in seguito si era ritrovato a pensare all'Eretico.
    Rtas 'Vadumee
    Ripeteva quel nome mentalmente, all'infinito. Forse lo nominò persino, incapace di distinguere il proprio pensiero dalla voce roca che rimbalzava sulle pareti nere della sua cella. Con lo sguardo fisso in avanti, seduto e immobile lungo il muro freddo, ripeteva.
    Rtas 'Vadumee
    Lo Shangheili privo d'onore -come il resto della sua sporca razza- e motivato solo dai propri luridi interessi, non dal Credo.
    Rtas 'Vadumee
    Bastardo.
    Rtas 'Vadumee
    Infedele.
    Rtas 'Vadumee
    Eretico.
    Rtas 'Vadumee
    Preda.
    «Rtas 'Vadumee. E' dunque questo il tuo nome?» Alzò il grugno verso l'origine di quel rumore. Si era disabituato alle voci, tanto aveva ascoltato il silenzio. Non fece caso -non subito, almeno- alla lingua con cui quella creatura al di là delle sbarre si esprimeva. La lingua degli umani, che aveva imparato a conoscere durante la lunga guerra del Primo Contatto.
    «No.»
    Trovò stranamente naturale esprimersi in quello stesso idioma.
    «...ne hai uno, almeno?»
    Rifletté per un lungo istante, ma non trovò alcuna motivazione valida per celare la sua identità. Che sapessero pure, quei vigliacchi umani. Che conoscessero il nome di colui che avrebbero dovuto temere per il resto dei loro miseri giorni.
    Un nome che pronunciò con orgoglio e forza.
    «Bracktanus.»
    L'altro non rispose. Passò del tempo, non seppe stabilire quante unità. Solo dopo una pausa il silenzio si ruppe ancora e, cigolando, una porta si aprì lungo la fila di sbarre. Una figura esile, alta poco meno di due metri entrò nella segreta fermandosi due passi appena oltre l'ingresso. Non riuscì a vederla in volto. «Bracktanus, eh?» sembrava divertito «Bel nome.» Schioccò le dita e indicò alla destra del Capitano. Questi si voltò, accorgendosi solo in quel momento che lì accanto a lui, sporca e graffiata, c'era la sua armatura. Rossa, bellissima. Con aria diffidente e confusa si volse ancora in direzione dell'umano.
    «Benvenuto a Merovish.»
    un altro schiocco, stavolta per liberarlo dalle catene
    «Benvenuto all'Arena Nera.»


    Aveva indossato le placche dell'armatura.
    Gli scudi sembravano ancora funzionanti, nonostante il pessimo aspetto della corazza nel suo insieme. A vederla, avrebbe detto che era stata usata a lungo nel periodo della sua prigionia. Ma quanto? Quanto tempo era trascorso dall'ultima ora di libertà?
    Rtas 'Vadumee
    Aveva percorso un dedalo di cunicoli che sembravano -misteriosamente- condurlo in una sola direzione, svolta dopo svolta. Disarmato, privo di un qualsiasi punto di riferimento, si era fidato del proprio istinto. Annusava la libertà, oltre quel tunnel.
    Rtas 'Vadumee
    Aveva seguito il percorso fino alla luce -quella luce! così bella, gli ricordava la Reliquia.
    Rtas 'Vadumee
    Sempre e solo, in nome del suo obiettivo.


    «Signore e signori!!» Riconobbe la voce come quella dell'uomo che lo aveva liberato per poi sparire nel nulla. Sebbene si trovasse distante, oltre l'imboccatura del lungo corridoio oscuro, Bracktanus ne distinse chiaramente il tono. Inoltre notò che non era sola, molte altre voci si confondevano l'un l'altra al di là di quel varco lontano. «Questo è un martello!» Trasalì e affrettò il passo, correndo con passi pesanti lungo la sola strada che potesse percorrere. Cominciava a capire cosa fosse successo: era stato attirato fuori dalla gabbia come uno stupidissimo Unggoy. Si maledisse per quell'ingenuità, ma continuò a correre colmo di rabbia. «L'unico strumento di cui lui avrà bisogno, per regalarvi uno spettacolo emozionante.» ancora pochi passi, accelerò l'andatura «Vi presento...Bracktanus!!!»
    Emerse nell'Arena proprio mentre l'uomo pronunciava il suo nome. Dovette proteggersi gli occhi color dell'ambra con un braccio, per difendersi dal riverbero: aveva pur sempre trascorso un'eternità in prigione, al buio. La luce -per quanto non esagerata- di quel luogo lo frastornò. Fermando la sua corsa sotto scroscianti applausi, il Capitano alzò il muso possente per guardarsi attorno. Era in un gigantesco stadio nero, sui cui spalti migliaia di creature (per lo più umani) gridavano il suo nome e fischiavano.
    Quell'immagine gli riportò alla mente la vita all'interno del suo Clan, prima di diventare un ufficiale dei Covenant.
    A pochi passi da lui vide il suo Martello Gravitazionale.
    Era integro, ben piantato per terra col manico rivolto in alto. Lì affianco, ecco il suo carceriere e liberatore. Finalmente lo vide bene: alto, per la sua razza, e snello. Una figura slanciata avvolta in uno strano abito in tinta con la sabbia, su cui svettava un cappello del medesimo colore. Lo salutò con un cenno, ma il Jiralhanae non poté rispondere, perché era già scattato ruggendo nella sua direzione.
    Raccolse il suo maglio e vibrò un violentissimo colpo orizzontale volto a distruggere il Cerimoniere.
    Ma andò a vuoto.
    La sagoma dell'uomo esplose come una montagna di sabbia, spazzata via dal vento.
    "Rilassati, Capitano." le frasi viaggiavano nel nulla, racchiuse nei suoi pensieri "Non sono io il tuo obiettivo, lo so."
    Si guardava intorno, confuso e arrabbiato.
    Ma non per questo disattento.
    "Conquistati la libertà, dai all'Arena ciò che vuole"
    pausa, una grata che si apriva dall'altra parte dell'ovale
    "e lei darà a te quello che desideri."
    Non ebbe il tempo di considerare i significati impliciti di quelle parole, che già qualcosa era pronto a fargli compagnia nella sabbia dello stadio. Strisciò fuori da un'apertura simile a quella da cui era arrivato lui, ma con lentezza inaudita. Era una creatura di metallo, affilata e alta quasi quanto un Lek'golo. Il suo braccio sinistro era una trivella e con la sua espressione vuota gli ricordò più un Grunt che un Cacciatore.
    Sorrise fra sé e sé.
    Finalmente aveva capito.
    Vivere per combattere, combattere per vivere.
    Solo dopo avrebbe potuto dirsi pronto ad affrontare Rtas 'Vadumee. La sua vendetta sarebbe stato un piatto freddo, preceduto da molti antipasti. E poi chissà, magari avrebbe trovato un nuovo obiettivo. Per il momento sapeva di doversi conquistare la sopravvivenza.
    Sarebbe stato divertente partecipare a quel gioco.
    Gli ricordò i sanguinosi duelli dei giovani Jiralhanae per guadagnarsi la supremazia all'interno del branco. Erano due attività molto simili, dovette ammettere. Peccato che stavolta non sarebbe stato altrettanto stimolante.
    «E sia, umano.» mormorò «Abbiamo un accordo?»
    La risposta non si fece attendere.
    "Sì, Bracktanus: abbiamo un accordo."
    Digrignò i denti in quello che si sarebbe potuto definire 'sorriso'.
    Quindi batté per tre volte il manico del martello sulla mancina aperta, avanzando lentamente verso il suo nuovo nemico.
    Che inezia, affrontare una sola di quelle creature. Per lui che aveva guidato la repressione della Rivolta dei Cacciatori, sarebbe stato uno scherzo metterla a tacere.
    Scattò verso la bestia di ferro, pestando la sabbia con le sue zampe corazzate. Ruggì, ricevendo come replica un grido straziante e acuto, che tuttavia non sortì in lui alcun effetto. Il mostro sollevò la trivella e l'azionò per intercettare la corsa di Bracktanus, ma il Capitano ne deviò l'attacco con la baionetta del Martello. Aprì la guardia, entrò fra le braccia del Titano e mulinò una rapida combinazione d'attacchi: pugno, spazzata e colpo secco sempre con il maglio gravitazionale. Subì il ritorno della trivella, ma l'armatura ne attutì la forza. Venne spinto indietro e cominciò a sanguinare -una sostanza rossa, tendente al violaceo macchiò la sabbia- urlando non per il dolore, bensì per la gioia dello scontro.
    Roteò su se stesso per colpire l'arto che teneva la bestia ancorata al suolo.
    Nel farlo, fece scattare la sicura e attivò il repulsore di materia. L'impatto fu duro, inaspettato per il pubblico quanto per la vittima. Spezzò di netto il braccio di metallo, piegando il Titano su un fianco. Un istante dopo si ritrovò con la trivella in pancia, bloccata dagli scudi e comunque abbastanza forte da lanciarlo diversi metri più in là.
    Con un tonfo finì fra la polvere, pronto a rialzarsi. Caparbio, testardo. Coraggioso. Gli spettatori già gridavano esaltati ad ogni sua mossa. Fra una fase di studio e un'altra di frenetici scambi di colpi, Bracktanus e il Titano finirono uno di fronte all'altro. Colmo di tagli e ferito il primo, ammaccato e piegato il secondo.
    La creatura metallica sollevò la trivella, pronto ad assestare un tremendo affondo al terreno. Ma il Capitano Brute fu più veloce. Si gettò verso il golem e, come se il tempo avesse improvvisamente deciso di rallentare, sentì i propri ultimi tre passi nella sabbia rimbombare al di sopra delle urla. Ogni tonfo spostava della polvere, ogni respiro gli dilatava le narici. Quando spiccò il salto, roteando l'arma sopra la testa, tutti parvero trattenere il fiato.
    Poi, il terremoto.
    Mentre l'arma del Titano colpiva il pavimento di ossidiana e faceva tremare tutto, ancora una volta, il Jiralhanae si abbatté su di lui ruggendo. La baionetta del Martello Gravitazionale si piantò fermamente nel 'cranio' del mostro di metallo, generando una scossa di antigravità potente, che lo indusse -forzatamente- a fermarsi. Si accasciò, spegnendosi tutto d'un tratto. In ginocchio dinnanzi al Capitano dei Covenant, inerme.
    Questi assestò un ultimo calcio alla carcassa, facendo poi perno con la gamba per estrarre la propria arma dal cadavere.
    L'Arena era ammutolita.
    Aspettava un suo segno e lui, galvanizzato da quella nuova vittoria, volle darglielo.
    Sollevò alto, sopra la testa il proprio Martello. Lo stringeva con entrambe le mani pelose, grigie e viscide per il sangue. Lo alzava per urlare la propria forza, per mostrare a quegli umani di cosa fosse capace un vero guerriero di Doisac.
    Ruggì forte, mentre la folla acclamava il suo nome.
    Ruggì, Bracktanus.
    Nuovo eroe dell'Arena Nera.
     
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