La Legge del Tempo

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    Per quanto fosse legato all’Est, e avesse imparato a comprenderne i luoghi,
    non aveva mai avuto modo e tempo di esplorare o anche solo visitare le altre terre di Endlos;
    non conosceva che di nome il deserto del Sud e la sua città sotterranea,
    così come gli erano sconosciuti i ghiacci del Nord, o i picchi rocciosi dell’Ovest.

    Nel corso dell’arresto dell’uomo che gli camminava affianco,
    aveva calcato il suolo del Pentauron, ma non ricordava d’esser mai stato a Rivenore...

    ...e ora che vi si trovava non riusciva a prestare attenzione a nulla intorno a lui:
    ignorava gli arazzi alle pareti, le statue e le armature che fiancheggiavano la via,
    così come parimenti inosservate passavano anche le architetture, le planimetrie, le volte e gli archi;
    lo sguardo ceruleo scivolava sui marmi che pavimentavano i corridoi
    senza che la memoria ne trattenesse i disegni,
    perso com’era, quell’osservatore, nei propri tetri e foschi pensieri.

    Continuava ad arrovellarsi il cervello alla ricerca di... qualcosa:
    qualcosa da poter dire, qualcosa da poter fare...

    Decisamente, quella faccenda l’aveva presa troppo sul serio.

    "Di cosa siete accusato, Sir Gabriev?"

    Gli chiese d’un tratto, al riparo dalle orecchie delle guardie,
    che avanzavano in formazione facendo quadrato attorno a loro,
    mentre procedevano a passo lento per i corridoi enormi e labirintici del Palazzo della Chiave.


    "Quale crimine potete aver commesso per istigare una simile fretta?"

    Decisamente, l’aveva presa troppo a cuore.
     
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    CITAZIONE
    "Di cosa siete accusato, Sir Gabriev?"

    Le parole di Belmont sembrano riecheggiare all’infinito per i corridoi del palazzo, rimbalzando tra una parete e l’altra, in una cacofonia disordinata di echi lontani e distorti, che sembrano avere l’arcano potere di restare intrappolati nella tua testa come un nugolo di insetti impazziti, lacerando la trama stessa dei pensieri, fino a provocarti un dolore lancinante al cranio.

    CITAZIONE
    "Quale crimine potete aver commesso per istigare una simile fretta?"

    Lennesimo rintocco risuona nella tua mente, e tutto cambia: le tue membra si sono ora fatte talmente pesanti da sembrar quasi inamovibili, mentre senti una sostanza estranea e potenzialmente mortale agire su di te dall’interno: sei stato avvelenato.

    Non vi è più Belmont e la sua protezione, né i familiari corridoi della Chiave: vedi soltanto due anonime guardie, che -con estrema noncuranza per le condizioni in cui versi- ti trascinano lungo un pavimento accidentato e per lo più dissestato, che ti ferisce le gambe in più punti.

    La strada che -stranamente ne hai la certezza- ti porterà nel luogo del tuo giudizio ti sembra eterna;dopo infiniti attimi di dolore, ormai talmente forte da lasciarti completamente avvinto al nulla e al silenzio, giungete finalmente innanzi ad un’entrata chiusa da doppie porte in solido legno di quercia; nonostante la vista appannata ti sembra di scorgere un simbolo che svetta su di essa, una corona reale… ma non riesci a leggere il nome inciso poco più sotto.

    I Battenti si spalancano, ed un bagno di luce t’investe stilettandoti le iridi impietosamente.

    Delle urla riecheggiano nella sala che ti si presenta davanti:

    Assassino.
    Traditore.
    Mostro.


    Quale è il tuo crimine?
    Un barlume di conoscenza dall’angolo più remoto della tua mente,
    sembra fornirti una risposta.

    Essere vivo.

     
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  3. Moloch
     
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    Castello Centrale - Corridoi della Chiave

    Calibrare i movimenti in un nuovo corpo era meno facile di quanto la pratica lasciasse intuire: per quanto il lord alfiere non fosse nuovo all'impresa, vestire i panni -e non solo- di Gabriev Disith si stava rivelando un'esperienza piena di spiacevoli sorprese. Quell'involucro così alto, solido e ingombrante si muoveva in maniera goffa -quasi affranta- non riuscendo ad emulare perfettamente la mimica di braccia abituate a comportarsi come arcuate e sottili. Caracollò alle spalle del capitano, isolato, nella speranza che quell'uomo orribile non si insospettisse per il suo improvviso disagio: con appena un paio di metri a dividerli, la sua aura era soverchiante; tanto
    grande e compatta da impedirgli quasi di pensare.

    Di cosa siete accusato, Sir Gabriev?
    ...io...

    Balbettò in risposta una voce limpida ma autoritaria -una voce non sua- poco
    prima che fosse buio -e luce, e buio ancora.

    Quale crimine potete aver commesso per istigare una simile fretta?
    Questa volta, la confusione di corpo e spirito si manifestò netta come la rottura di un elastico teso al limite: venne -pur cosciente- letteralmente scaraventato nella memoria storica del Falco, bucando il tempo e lo spazio attraverso i canali del ricordo. Lo scenario era confuso, dilatato in una coltre grigia e indistinta, e le uniche sicurezze erano gli uomini che lo trascinavano e la destinazione che lo attendeva; poi vennero le eco.

    (assassino traditore mostro)
    la risposta arrivò con il suo risveglio.

    (essere vivo)
    ...
    Ammutolì, concentrandosi per forzarne i ricordi una seconda volta ed estorcere a quel corpo una risposta definitiva. Il tentativo si scontrò con una autentica parete di volontà, che assorbì l'intrusione come uno specchio d'acqua vischiosa per poi respingerla e tornare uniforme.
    Scosse il capo, portandosi in viso una mano che non gli apparteneva.
    E quello che intendo scoprire.
    e continuò a camminare.

     
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    CITAZIONE (Moloch @ 29/1/2010, 20:51)

    E quello che intendo scoprire.


    Il prigioniero parve perplesso per la domanda, e la risposta che fornì -così semplice eppure così vaga-
    sembrava proprio attestare che il Cavaliere Rosso ne sapesse effettivamente quanto lui:

    cioè nulla.

    "Non lo sapete?"

    Lo rimarcò con voce sorpresa, senza nascondere quel suo sentimento scettico:
    ad occhio, non gli pareva che stesse mentendo né che gli stesse omettendo la verità,
    ma mentre un sopracciglio gli si sollevava -dubbioso-,
    il Paladino non poté far a meno di constatare quanto quella situazione fosse ben strana.

    Quali ragioni poteva avere il Signore del Tempo per mobilitare espressamente lui,
    -l’attendente di uno dei suoi Alfieri, proprio lui tra tanti!-
    per effettuare l’arresto di un uomo solo, dall’aria mite, onesta e benevola,
    che non aveva opposto la minima resistenza alla sua cattura, che neppure aveva tentato la fuga,
    e che ora veniva trattato come un criminale col massimo grado di priorità

    senza neppure conoscere i suoi capi di imputazione...?

    Non trovava risposta, e la cosa cominciava ad innervosirlo,
    perché cresceva nella sua mente e montava nel suo cuore l’indignazione di stare venendo
    usato;
    usato come una pedina, come un soldatino ubbidiente per perpetrare un’ingiustizia.
    Nemmeno operando come Arcano per conto del Card-Master
    -dove eseguire indicazioni generiche senza ragguagli o spiegazioni era la prassi-
    gli era mai capitato di sentirsi così...

    Vide Gabriev scuotere il capo e portarsi una mano al volto, confuso e forse stordito,
    e stringendo le labbra in una linea sottile si fece cogliere da un moto di disappunto,
    verso Lord Aeon e verso Rivenore: perché tanto accanimento su quell’uomo?

    Si fermò in mezzo al corridoio, e il drappello di guardie del corteo con lui.

    "Sir Gabriev, che avete?"

    Leon sospirò stancamente, per allentare la pressione,
    e gli occhi cerulei incontrarono quelli blu del suo interlocutore...
    fino a che -un istante dopo- la sua attenzione non fu calamitata alla fine del corridoio
    dal suono sinistro di battenti troppo pesanti, che ruotano su cardini bene oliati...

    image

    ...la porta monumentale del tribunale si stava lentamente aprendo per accoglierli...

    intimidente come un monito, distante come un presagio.
     
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  5. Moloch
     
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    Quello di Gabriev Disith era un corpo multistrato, non troppo diverso da alcuni tipi di rocce facili da rinvenire nelle cave del nord: lui non aveva accesso che alla superficie, e grattando su di questa con un raschietto spennellando via le polveri superflue poteva solo intravederne una seconda ben più compatta. Qualcuno aveva predisposto per lui più porte sbarrate di quante se ne potessero trovare in una prigione -e ironia vuole che quella, per generosa concessione di probabilità, fosse la sua prossima -ed ultima- destinazione. Da una prigione dorata e volante ad una prigione terrena; qualcosa di così umano da farlo quasi commuovere. A volte, anche la vita riserva
    delle piccole soddisfazioni beffarde.

    Non lo sapete?
    Si limitò ad annuire, accelerando il passo: che persino un uomo del genere si rivolgesse al biondo con un tono così mite, cortese e deferente lo pizzicava con un'inquietudine più segreta e meno visibile, ponendo l'accento in maniera grave su quella stessa, tragica domanda monca.
    Che cosa hai fatto, Gabriev?

    Sir Gabriev, che avete?
    L'appello del capitano lo scosse, strappandolo al suo rimuginare in maniera brusca. Si voltò, assecondando la propria naturale diffidenza, e ne incrociò lo sguardo per la prima volta dall'inizio della sua breve crociata.
    Non fu che un istante.
    La realtà circostante si sfocò, trascolorando in una nube grigia nel prodursi di un focus sulle iridi del cavaliere; in fondo a quegli occhi carpì un bagliore caldo e diffuso di umanità, che lo toccò appena prima del suo ritrarsi. Era riuscito -e gli déi solo sapevano come- a comprenderlo con un'empatia che non gli apparteneva. Una sensazione affatto sgradevole, ma del tutto aliena. Una statua di cristallo in mezzo al pantano
    della sua anima immonda.

    Nulla.
    Il corridoio terminò in una grande porta istoriata a due ante,
    che andava lentamente schiudendosi al loro passaggio.
    Nulla.” ripeté, assente.

    Era ora di pretendere qualche risposta.

     
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    La solenne aula di tribunale si schiuse oltre le doppie porte del corridoio, ergendosi monumentale e intimidatoria in tutto il suo possente e terribile splendore: dai lucidi pavimenti di marmo, in cui gli arazzi si specchiavano in riflessi capovolti, fino agli altissimi apici della volta a cupola, tutto sembrava emulare la disarmante e sontuosa magnificenza di un anfiteatro. Ma lo spettacolo -quel giorno- sarebbe stato privato, e recitato a porte chiuse:
    non un’anima viva occupava lo stuolo di panche, che si stendevano fino banco degli imputati
    -decine di metri più in là-, disposte in file ordinate e orientate verso la tribuna che sovrastava lo spazio come un pulpito, e nessuna schiera di funzionari in toga nera e bianche parrucche occupava le balconate attigue al seggio del giudice, pronti a mettere a verbale ogni accadimento. Non sarebbe stato necessario, dopotutto;
    il copione per i fatti era stato già deciso e rifinito nei minimi dettagli nel corso di tutto il Tempo del mondo.
    Le porte della Sala della Giustizia si chiusero sommessamente alle spalle dei due nuovi arrivati,
    come ad aver accettato tacitamente la loro presenza tra quelle mura e tutto ciò che ne sarebbe derivato.
    Come un Bianco Giudice Spettrale , Lord Aeon apparve nel mezzo della balconata centrale del Tribunale
    e per un istante i suoi implacabili occhi grigi andarono ad appuntarsi in quelli Celesti del Cavaliere Rosso, poi, dal nulla, prese ad echeggiare una voce eterea, quasi quel luogo fosse dotato di vita propria.

    Si Dia inizio al processo ai danni dell’imputato Gabriev Disith Erede della Ex-Casata Reale Disith,
    Aspirante al Trono del Pentauron.
    Presenzia come garante all'onestà ed alla sicurezza, Leon Belmont.
    Presiede come Giudice e Giuria, Lord Aeon di Rivenore.

    Il Signore della chiave sedeva su uno scranno di semplice legno bianco non lavorato, scevro d’ogni lusso, fronzolo o orpello che fosse; indossava un abito dai toni candidi, sul quale spiccava , a differenza dal solito,
    uno zero dalle tonalità argentee cucito all’altezza del cuore, che pareva trasmettere un senso di disagio a chiunque vi posasse lo sguardo.
    Il volto, in risposta, mostrava la solita maschera di deferenza, questa volta tradita da uno strano lucore negli occhi, un sentimento apparentemente impossibile d'associare al Lord di rivenore e che, quasi certamente, nessun alfiere aveva mai visto sul volto del loro signore.
    Un brivido percosse la schiena del Lord Alfiere: lo spettacolo che gli si profilava innanzi era pericoloso ed irripetibile al tempo stesso;Lord Aeon covava una gelida furia a stento celata e trattenuta dal senso del dovere e della giustizia che lo contraddistinguevano , indirizzata senza scampo all'uomo interpretato dall'alfiere del nord.

    Prima d’iniziare, ti porrò un'unica domanda:
    Sei tu Gabriev Disith di Pentauron?


    Il giudizio era iniziato.

     
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  7. Moloch
     
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    La sala lo investì con la luce partorita dal proprio schiudersi, comprendendolo. In bilico fra l'ipotesi terrificante del rimanere in compagnia del capitano Belmont e quella ancor più tremenda di oltrepassare la soglia, dovette rassegnarsi a scegliere la più dura. Le scelte facili, pensò attraversato da una considerazione tagliente, non ci vengono concesse nemmeno nella non-vita. Un giudizio al vetriolo che il lich condivise con un rantolo strozzato mentalmente trasmesso, e che -con sua sorpresa, per quanto non ne fosse certo- persino una parte del suo ospite biondo si premurò di dare per vero. Nel dubbio, affondò la gamba destra nello svolgersi del primo passo oltre lo stipite, lasciandosi alle spalle le grandi ante barocche: il capitano lo seguì subito dopo
    ed il portone con lui, chiudendosi.
    Non aveva scampo.

    Castello di Rivenore - Sala della Giustizia; interno

    I seggi del tribunale, notò, erano completamente spogli: non una sola anima ad occupare le curve che si spiegavano a semicerchio lungo tutta la stanza, intersecandosi nel compiuto del reciproco tragitto nel pulpito -leggermente più alto- occupato dal giudice. L'unico sul quale fosse seduto qualcuno, composto in un grigio tanto dell'anima quanto dell'uniforme con cui aveva imparato a conoscerlo: Lord Aeon della Chiave, signore del Castello Centrale e del mondo di Endlos. Non appena alzò il capo -il capo di Gabriev- per deferirgli uno sguardo indagatore, la sala venne animata dal tombare di una voce
    disincarnata e fonda, potentemente autoritaria.

    Si Dia inizio al processo ai danni dell’imputato
    Gabriev Disith, Erede della Ex

    C a s a t a R e a l e D i s i t h

    Aspirante al

    T r o n o d e l P e n t a u r o n.

    Presenzia come garante all'onestà ed alla sicurezza,
    Leon Belmont.
    Presiede come Giudice e Giuria,
    Lord Aeon di Rivenore.


    Si portò una mano alla fronte, e Gabriev fu lesto a imitarne il gesto. Le parole "Casata Reale" e "Trono del Pentauron" lo aggredirono con la forza di un pugno, vorticandogli nella mente nell'esplosione di un'improvvisa emicrania. Non appena il dolore si ritirò dalla parte non-latente della propria consapevolezza, capì che una delle tante porte
    chiuse di quel corpo si era appena aperta.
    Il Lord della Chiave non aveva mai smesso di squadrarlo, muto. Nel suo sguardo c'erano un disprezzo ed una furia gelida che, per un folle istante, gli fecero vedere l'uomo col volto del Dio Straniero che lo minacciava, rivelandogli la sua natura mostruosa. Un pensiero che deglutì mentalmente, sfidando l'occhiata del reggente
    con un astio uguale e contrario.

    Prima d’iniziare, ti porrò un'unica domanda:
    Sei tu Gabriev Disith di Pentauron?

    Sono Gabriev, Falco dei Disith ed unico erede della mia casa.
    rispose con voce fonda, pronunciando una frase
    che gli apparteneva solo a metà.
    E...” indugiò, combattuto. Non era certo di voler porre quella domanda.
    Non subito.

    ...voglio sapere di quali crimini sono stato chiamato
    a rispondere

     
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    .†.Godwrath.†.

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    Nulla. Nulla.

    La voce del Cavaliere Rosso centellinò una risposta, parca, assente e distratta...
    quasi egli l’avesse udito appena.
    Subito, Leon si domandò se il timore di un giudizio -certamente ingiusto- potesse fare un simile effetto, e naturalmente si rispose di sì, ma... nonostante quell’ipotesi potesse essere ben più che plausibile, qualcosa non gli tornava nei conti che aveva cominciato ad abbozzare.
    Forse per via della consapevolezza che Gabriev Disith non fosse un uomo comune...
    e che -in proporzione- tali non potevano essere le sue reazioni.

    Impossibilitato a venire a capo dell’enigma, al Paladino non restò altra sorte che rinchiudere tutti i dubbi nelle invalicabili pareti della sua mente, e avanzare con passo posato nella deserta e monumentale aula di tribunale, restando presente a sé stesso e scortandovi all’interno il prigioniero; nemmeno stavolta riuscì a godersi le bellezze architettoniche del Palazzo della Chiave delle Dimensioni, guardingo com’era in quegli istanti, reso cauto dal silenzio assoluto che regnava nel locale così sinistramente vuoto d'ogni segno di vita.


    Si dia inizio al processo ai danni dell’imputato Gabriev Disith
    Erede della Ex-Casata Reale Disith, Aspirante al Trono del Pentauron.
    Presenzia come garante all'onestà ed alla sicurezza, Leon Belmont.
    Presiede come Giudice e Giuria, Lord Aeon di Rivenore.


    Quando Lord Aeon comparve in cima alla balconata centrale, che coronava il ballatoio sovrastante la sala, l’aria stessa dell’aula di giustizia parve scuotersi e vibrare quasi fossero quelle mura e non labbra o voce di uomo a pronunciare le loro sentenze, calamitando lo sguardo ceruleo del Sole verso la figura bianca, asettica, rigida e severa del giudice, quel tanto che bastava a imprimersene l’immagine nella memoria, prima di riportare l’attenzione -e tutta la sua ferma e dissimulata sorpresa- sull’uomo che stava scrotando.
    Erede della Ex-Casata Reale. Aspirante al Trono...

    Prima d’iniziare, ti porrò un'unica domanda: sei tu Gabriev Disith di Pentauron?

    Sono Gabriev, Falco dei Disith ed unico erede della mia casa.
    E...voglio sapere di quali crimini sono stato chiamato a rispondere


    Magnifico: non solo lo avevano trascinato via da Chediya -appena tornato dal suo lungo viaggio, lontano dal suo Dreamer- per fargli arrestare un uomo mite che non aveva opposto alcuna resistenza a farsi mettere in ceppi e portar via; ora, la cosa assumeva pure i connotati sempre più sudici e viscidi di una bega politica... una farsa di cui poco gli sarebbe normalmente interessato, a cui mai avrebbe anche solo accettato di presenziare in silenzio, e a cui adesso lo costringevano addirittura a partecipare chiamandolo in causa direttamente, come... cosa...?
    Teatrante ammaestrato in una commedia che non conosceva, che non capiva e che disprezzava?

    Una situazione simile gli era già capitato in passato, e il ricordo gli bruciava ancora.
    Se il Signore del Tempo era preda di una collera gelida, visibile come mai nessun’altro sentimento era stato sul suo volto impassibile, ora anche il Paladino era arrabbiato, seppur a modo suo; composto e dignitoso, come sempre, ma reso più intransigente dal giusto sdegno che cominciava a covare per quel posto.


    Perdonami, Kalia...

    Borbottò Leon, parlando a sé stesso -a mezza bocca- e restando rigido e severo al fianco dell’imputato, sapendo con piena coscienza che quanto sarebbe potuto accadere da lì in avanti avrebbe anche potuto mettere nei guai l’Alfiere dell’Est, suo garante e responsabile in quella circostanza impossibile.
    Garante all’onestà e alla sicurezza” avevano detto? Perfetto.
    Non sapeva certo cosa si aspettassero da lui affibbiandogli quel ruolo -anche se suonava tanto una provocazione-, ma sapeva esattamente cosa ci avrebbe fatto.
     
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    PoV~†~ Generale
    La domanda del Cavaliere Rosso -nella sua ingenua semplicità- ebbe il potere di lasciare spiazzato il Lord della Chiave. Lui era il Signore del Tempo, nulla del passato o dell'avvenire gli era sconosciuto,
    eppure -ciò non di meno-al presentarsi di quel quesito si ritrovò interdetto:
    non gli era forse più che evidente?
    Gabriev sapeva perfettamente quali erano le sue colpe, ma nonostante ciò aveva osato alzare la testa e chiedere spiegazioni.
    E questo suonò alle orecchie del giudice come il peggiore dei crimini del Cavaliere Rosso; un gesto di supponenza ed arroganza, che però
    -nel disprezzo che covava nei confronti del Disith- non gli avrebbe mai imputato.
    Per un istante, un fremito d’ira parve farsi strada negli occhi di Aeon:
    avrebbe provveduto a sbattergli in faccia uno dopo l’altro le mostruosità da lui commesse, colpe così gravi che avrebbero spezzato lo spirito e frantumato il cuore di chiunque li avesse uditi nella sua interezza…!
    Sospirò - ...ma non prima di aver recuperato la sua gelida ed inattaccabile compostezza.
    Non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione.



    Gabriev Disith
    Come a dar voce ai suoi desideri, la volontà della Sala della Giustizia prese a parlare con voce disincarnata e tonante, che echeggiava non tanto nell’ambiente,
    quanto nel cuore di chi la udiva.
    Sei accusato di Istigazione alla Rivolta;Parricidio;Genocidio;Crimini contro la Vita;Crimini contro l’Umanità.
    Questa corte, ti riconosce il diritto di difesa. Cosa hai da dire a tua discolpa?

    Nell’aula cadde il silenzio.



    PoV~†~ Moloch
    Un brivido interiore ti coglie nel sentire le accuse mosse dalla sala della giustizia, gelido nella sua estrema sgradevolezza eppure elettrico di vibrante inquietudine:
    la sensazione che hai è quella della tua mente deformata da un cuneo, che preme nel bel mezzo della sua integrità quasi volesse spaccarla in due parti...
    tale è l'impatto della verità che sta brutalmente cercando di lacerare e penetrare quella placida membrana che divide la mente di te stesso in quanto Moloch da quella del corpo di Gabriev,
    che stai indossando come un vestito. Poi, le parole della Sala riecheggiano nelle tue orecchie, ma al di sotto,
    -quasi vi fosse sovrapposta e nascosta per te soltanto- odi un'altra voce,
    stavolta nel tuo io, quella più netta e precisa di Aeon...

    Gabriev Disith
    (Infine eccoti. Siamo rimasti solo io e te)
    Sei accusato di Istigazione alla Rivolta
    ( e tu non dovresti esistere)
    Parricidio
    (La tua stessa natura è malata)
    Genocidio
    (Quante persone non esistono più a causa tua?)
    Crimini contro la Vita
    (Quante esistenze estirpate ancor prima di nascere?)
    Crimini contro l’Umanità
    (vuoi che tutto si ripeta?)
    Questa corte, ti riconosce il diritto di difesa. Cosa hai da dire a tua discolpa?
    (è giunta l’ora che tu esca dalla Storia, Hawk.
    Anzi, Master Gabriev Disith, senza tempo.)


    ~Ω~
    La placida membrana che separa il più profondo io del Disith dalla tua persona, pare teso al massimo, in uno spasmodico protendere all’infinito.
    Ti sembra quasi di poter vedere attraverso di esso e ciò che percepisci ti lascia sgomento: un infinità di ricordi /Da oggi in poi, voi sarete la TK6/
    sembra travolgerti come un fiume in piena /Il mio nome è Erion Blackwings / quasi togliendoti il respiro /la principessa ti ha avvelenato/
    un vortice incontrollato d’immagini/A Gerrard, piace la cameriera/e sensazioni /non può funzionare Hawk!/
    che si scompongono/Progetto Genoma/e ricompongono/Leudast, se perdessi il controllo uccidimi/
    come in un gargantuesco caleidoscopio/il Dio delle lacrime/
    di cui non riesci a delineare i confini/Doc, cosa significa?/.
    Nulla sembra più appartenerti mentre,/io sono Ihias/
    contro ogni aspettativa, /non perdere te stesso/
    ti senti trascinato all’interno di quel gigantesco maelstrom emozionale.
    /Quale è il tuo nome?/

    …AeonTkErionYuzaLeudastGocciaTerra21DreschCerberos
    AntoniusGenblenQueenReviMaxvilVeroniqueTeresaYasul
    AlexanderVorocrorNemicoEgoCattercubeLacrimeperdute
    BloodrunnerIlneroDyakyrArcangelohLabirintoGenoma
    ProgettoErroreRealtàfttiziaFuoridaltemposceglieresalvare
    perditasacrificiodoverevivereperisopravvissuti….

    Lo spazio attorno a te muta.
    Ora il Terreno circostante è simile a quello di un mattatoio: il sangue scorre a rivoli e si spande a macchie, fra alberi abbattuti, foglie marcite e corpi recisi, fino a fondersi con i grani di sabbia; l’odore del liquido cremisi è così penetrante da superar in intensità perfino quello della salsedine portata dal vento e la stessa pioggia. Nel mezzo di quel grottesco paesaggio ci sei tu, al fianco d’una pila di corpi divelta e rivoltata,
    poco al di là del tuo sguardo:sei imbrattato dalla testa ai piedi dei rossi umori dei cadaveri,
    che giacciono al suolo, e lì -tra le mani- stringi un’arma che senti appartenere intimamente al Disith, e che
    -quasi senza ombra di dubbio- è lo strumento che ha dettato quel massacro.
    Il panorama svanisce, lasciando solo te ed una piana sconfinata coperta di umori rossi.
    In alto, in un cielo dalle tonalità aliene, scorgi una nave in fiamme che qualcosa ti suggerisce chiamarsi Queen Revi:
    sta per schiantarsi al suolo. Attorno ad essa percepisci un infinità di esistenze sospese al di fuori del tempo,
    congelate in una stasi priva di una vita che non nascerà mai.
    Nemmeno il tempo lava via i ricordi.
    /Il mio nome è Gabriev Disith, e sono un’Anomalia./




    PoV~†~ Leon
    Stupore.
    Non c’è altra parola per descrive il tuo stato d’animo quando, in risposta alla tua risolutezza precedente - mista al disgusto-, la voce disincarnata, fattasi giudice inquisitore, prende ad elencare capi d’accusa che suonano alle tue orecchie come gesta impossibili per un solo individuo, figurarsi per un uomo mite ed arrendevole come quello che hai al tuo fianco. No, deve esserci un fattore che non conosci, un dato che non ti è chiaro e a cui questa vicenda fa capo.
    Qualcosa che…

    D’improvviso la tua attenzione viene attirata da un evento, o meglio, dalla mancanza pressoché totale di esso:
    attorno a te non vi è più alcun suono.
    Ti volti di scatto, come preda d’un improvviso allarme e, con tuo sommo stupore, noti come, sia la vittima che l’aguzzino, siano preda del medesimo fato: completamente immoti, giacciono al pari di statue, Lord Aeon e Sir Gabriev, ognuno nei rispettivi ruoli, quasi le loro essenze fossero andate a trovarsi al di là dei battiti dell’orologio.

    Ad infrangere quell’innaturale staticità è un suono completamente estraneo al contesto; alle tue spalle, si sta lentamente spandendo il suono soffice e soffuso di un melodioso carillon, accompagnato da un sommetto fruscio di vesti.
    Il tuo senso del dovere ed il tuo coraggio hanno la meglio sulla situazione innaturale creatasi, spingendoti a guardare subitaneamente all’indirizzo di tali suoni.

    Una figura eterea, quasi spettrale, ti si para innanzi con le sembianze di una giovane donna: soffici e lunghi capelli color dell’oro incorniciano un volto dai tratti femminei ed evanescenti, su cui spiccano due occhi blu oltremare, specchio perfetto di quelli del Cavaliere Rosso.
    Sulla sua mano, giace compostamente un piccolo carillon di semplice fattura che, ai tuoi occhi, rivela un energia misteriosa ed insondabile.
    Finalmente comprendi; non sono gli altri ad essere al di fuori del battito delle lancette, bensì la tua persona, ora non più totalmente nel flusso del tempo, eppure ancora in esso quel tanto che basta per far passare la scena inosservata agli altri presenti.Ti sorride dolcemente con le sue rosse labbra ripiene, inclinando leggermente il capo di lato.

    Non temere cavaliere, non hai tradito la fiducia d’alcuno. Sir Gabriev ha piena fiducia in te e ti ha affidato la salvezza non solo di se stesso, ma anche di colui che veste i suoi panni e di aeon stesso.
     
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  10. Moloch
     
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    Allibì, congelando la propria espressione in stupore indignato.
    Man mano che la volontà della sala - sospettava, manovrata dallo stesso Aeon - continuava ad aggiungere righe alla lista dei crimini imputati all'uomo di cui indossava il corpo, i suoi occhi - e gli occhi di Gabriev con loro - si dilatavano di un millimetro in più, sino a sgranarsi completamente in una stucchevole paresi di incredulità. Il viso del Falco rimase inviolato, ritto nella propria alterigia che conduceva il gioco di sguardi contro il lord della chiave; dietro quel viso, Moloch di casa Aldeym si sentiva mancare, strappato dagli appigli che lo legavano all'involucro del biondo come se risucchiato da una invincibile forza traente.
    Lottò fino alla fine, cedendo eroicamente solo al termine dell'arringa.
    Le labbra del Falco tremarono, nel disperato tentativo di esalare quanto poco rimaneva del signore del Nord all'interno di quel corpo devastato dalla pena.

    Io...non...

    Una scusa, quella di Gabriev e Moloch, che il mondo non sarebbe
    mai stato disposto ad accogliere.

    [...]

    Il suo ego venne respinto nel limbo ovattato dell'infrapossessione, un nulla scintillante infinitamente proteso verso infiniti orizzonti di bianco straziante. Non aveva percezione del visibile, né del suono: tuttavia, nulla gli impedì di dare colore e tono ai capi d'accusa che, conditi dalla eco nascosta di un secondo, ancor più velenoso magistrato,
    venivano fatti piovere sul suo capo una seconda volta.

    « Gabriev Disith »
    solo io e te.

    « Sei accusato di Istigazione alla Rivolta »
    tu non dovresti esistere.

    « Parricidio »
    la tua stessa natura è malata.

    « Genocidio »
    quante persone non esistono più a causa tua?

    « Crimini contro la vita »
    quante esistenze estirpate ancor prima di nascere?

    « Crimini contro l'umanità »
    vuoi che tutto si ripeta?
    ~

    è un maelstrom di emozioni che vortica, ruggisce.
    sarete la TKVI

    Domande. Colpevole? Colpevole. Diniego.
    Progetto Genoma

    Senso di colpa. Il male: concetto. Umano?
    Erion Blackwings

    Nessuna risposta. Solo silenzio, e lacrime. Lacrime,
    Progetto Genoma - non perdere te stesso!

    e vuoto.
    Qual'è il tuo nome?

    ~
    « Questa corte ti riconosce il diritto alla difesa. Cos'hai da dire a tua discolpa? »
    Io...non...
    Ripeté, strozzandosi con ogni singola lettera sino all'asfissia.
    Avrebbe voluto gridare.

    ( è giunta l’ora che tu esca dalla Storia, Hawk. )

    Io non.

    e si spense.

    [...]

    AeonTkErionYuzaLeudastGocciaTerra21DreschCerberos
    AntoniusGenblenQueenReviMaxvilVeroniqueTeresaYasul
    AlexanderVorocrorNemicoEgoCattercubeLacrimeperdute
    BloodrunnerIlneroDyakyrArcangelohLabirintoGenoma
    ProgettoErroreRealtàfttiziaFuoridaltemposceglieresalvare
    perditasacrificiodoverevivereperisopravvissuti


    [...]

    Lo scroscio cantilenante delle informazioni contro la parete del suo io cosciente indusse la stasi a mutare in dormiveglia prima ed in risveglio poi, divenendo un tutt'uno - grottesca analogia - con la pioggia che infuriava sopra il capo del Lord. Pioveva davvero, per quanto non avrebbe saputo dire né dove né da quanto. Una pioggia sapida e grave, viscosa al tatto, che scavava profondi solchi sul suo corpo nudo: alzò le mani per coprirsi in un gesto di primitiva protezione, e si accorse di star stringendo una spada - sciabola - in maniera convulsa. Le nocche, adesso sbiancate dallo sforzo, si rilassarono nello schiudersi delle dita e del palmo. Su di questo, inciso in profondità nella carne come se tracciato da un bisturi, c'era l'impressione degli sbalzi presenti sul manico dell'arma. L'Erede - il nome gli scampanellò nella testa, rimbalzando dolorosamente fra le pareti del cranio - cadde a terra in un gorgoglio prolungato, quasi che stesse affondando in un oceano di liquido denso e colloso. Abbassò lo sguardo.
    Cadaveri. Migliaia. Legioni senza volto -



    ( - quante esistenze estirpate ancor prima di nascere? )
    Cadaveri, e sangue.

    Si afferrò la testa, chiamando le ginocchia al petto e premendo il volto contro di queste per censurare quella sterminata distesa di oscenità. Tentò di aggrapparsi a un appiglio, di crearne uno, di evocare un singolo pensiero razionale che riuscisse nel tentativo di definire la propria identità rispetto quella cui apparteneva quell'inferno rosso, marcando fra loro una invalicabile linea di confine. Cercò di appellarsi persino al lich, ma nemmeno la sostanza del lord suo padre, in quel monumento di espiazione sospeso nel tempo, disponeva
    di orecchie con cui catturare la sua richiesta d'aiuto.
    Finalmente, urlò.

    UUUUUUAAAAAAAAARRRRRRRGHHHHHHHHHHH!!!
    ( - quante persone non esistono più a causa tua? )

    Il sangue si estinse ed il cielo si schiuse.
    Sopra di lui, la Queen Revi affondava fra le pieghe dello spaziotempo trascinando con sé
    mille di mille bagliori fiochi e disperati, il cui pianto luminoso inglobava tutta
    la carena della nave in un alone dorato.

    UUUUUUAAAAAAAAARRRRRRRGHHHHHHHHHHH!!!
    Continuò a gridare, tendendo la destra insanguinata verso l'alto
    per afferrare l'immagine della Regina e trarla in salvo.
    Come sempre, fallì.

    [...]

    Erion. Yuza. Leudast. Goccia.
    A E O N


    [...]

    Unico nel multiverso, ancora una volta.
    Infinito, ed infinitamente solo.
    Per l'eternità.

     
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    La semplice domanda dell’Imputato ebbe sul Giudice lo stesso effetto di un pungolo su una bestia dormiente; quelle poche parole sembrarono scatenare la ripicca di un rancore mai sopito, che doveva segretamente bruciare in quiescenza nei più remoti recessi dell’animo del Lord della Chiave.
    Leon non conosceva che di nome la leggendaria imperturbabilità del Signore del Tempo, eppure se ne accorse perfino lui che c’era un insolito trasporto nel suo comportamento in quel consesso; l’aria stessa della stanza -già fredda, austera e intimidatoria- sembrava ora permeata da una vibrazione elettrica, una tensione statica fattasi palpabile come un sudario.

    Facendosi più accigliato per quella situazione sempre più misteriosa e incomprensibile ad ogni momento che passava, il Paladino non poté fare a meno di rivolgere uno sguardo sottecchi al Cavaliere Rosso, domandandosi una volta di più cosa ci fosse stato in passato tra quei due.

    E per un attimo gli tornò alla memoria la notte alla Pagoda di Mistymoon,
    e con essa l’immagine di Mathias che svelava senza rimorsi il suo tradimento e il suo inganno.

    CITAZIONE (Endlos @ 29/4/2010, 20:12)

    Gabriev Disith: sei accusato di Istigazione alla Rivolta; Parricidio; Genocidio; Crimini contro la Vita; Crimini contro l’Umanità. Questa corte, ti riconosce il diritto di difesa. Cosa hai da dire a tua discolpa?


    Le accuse piovvero con la crudele violenza della grandine, nauseandolo per la loro ingiustizia, ma anche sopraffatto dallo sdegno Leon si accorse che non era stato Aeon a parlare, bensì le mura tutto intorno a loro... quasi i capi di imputazione fossero stati espressione dalla stessa Sala della Giustizia, veicolata da una coscienza autonoma e non da un suono concreto e reale.

    Nemmeno il tempo di sorprendersene o di indagarne le cause, che anche molto altro gli parve d’improvviso esule ed estraneo alla realtà; inizialmente ebbe l’impressione di essere stato tagliato fori dal mondo: più nessun suono poteva raggiungerlo... eppure, mentre i suoi sensi urlavano l’allerta, il Cacciatore notò che -diversamente da se stesso- erano gli altri attori di quella commedia ad essere divenuti improvvisamente fissi e immobili come statue di pietra...

    Qualcosa lo spinse a guardarsi intorno, alla ricerca di qualche altro riscontro, ma fu difficile trovare conferme al tarlo che si faceva largo tra i suoi pensieri essendo il locale deserto di ogni altra forma di vita.
    Era come se il Tempo avesse interrotto il suo fluire, e sebbene esso non fosse più un concetto così grande e spaventoso per lui, lo colse immediatamente lo smarrimento e la leggera ansia che sempre scaturisce dalla consapevolezza di trovarsi in frangenti di vitale importanza senza essere però preparati e coscienti del proprio ruolo nella storia che viene raccontata.

    Quando il suono dolce di una melodia senza parole gli carezzò le orecchie, Leon seppe dove dirigere l’attenzione degli occhi azzurri, e il suo sguardo si posò sulla figura eterea e biancovestita di una donna dai lunghi e soffici capelli d’oro: sulle prime fu per un istante convinto di trovarsi di fronte alla Luna... ma lei non poteva più lasciare le lande della Corte, e il colore delle loro iridi era diverso: non smeraldo bensì zaffiro, che la faceva somigliare incredibilmente al Disith che aveva appena condotto in manette a Rivenore.
    Amareggiandosi per l’errore che era certo di aver compiuto consegnando Gabriev ad Aeon, il Cavaliere abbassò gli occhi, distogliendo lo sguardo dal volto della Dama, e l’attenzione ricadde sul piccolo artefatto pregno di potere che ella recava nel palmo delicato: si trattava di un carillon.


    CITAZIONE (Endlos @ 29/4/2010, 20:12)

    Non temere cavaliere, non hai tradito la fiducia d’alcuno. Sir Gabriev ha piena fiducia in te e ti ha affidato la salvezza non solo di se stesso, ma anche di colui che veste i suoi panni e di Aeon stesso.


    La fanciulla reclinò il capo da un lato, e gli sorrise; quando parlò non fugò affatto i dubbi del Sole, sollevando -al contrario- in lui molti altri interrogativi: cosa era stato chiamato a compiere? In che modo poteva farlo? E -soprattutto- se Gabriev non era lì, chi era la persona col suo aspetto?
    Chi era colui che ne stava vestendo i panni? E per quale motivo?
    Riportò lo sguardo sul volto della donna e mosse un cenno deciso di assenso col capo.

    « Allora non c’è tempo da perdere, Signora: che cosa posso fare? »
     
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    PoV~†~ Generale

    Il Lord si sfilò mestamente gli esili occhiali, ripulendoli su una pezzuola custodita nella tasca della giacca con un gesto ormai meccanico ed istintivo; una sorta di rito obbligato, atto a riordinare le idee.
    Alla fine, il Cavaliere Rosso non era stato in grado di reggere il confronto con la cruda verità: lo vedeva nello sguardo muto e sperduto dei suoi occhi color zaffiro, lo percepiva dai lineamenti del suo volto -pallido e cinereo al pari di una smunta maschera di cera-, e lo capiva dalla postura arcuata che aveva assunto, schiacciata dal grave peso dei crimini di cui si era macchiato.
    Con tutta la calma concessagli dal suo stato, il Signore del Tempo reinforcò la montatura, fissando i suoi occhi grigi in quelli di lui. Il Falco l’aveva deluso. Era convinto che l'avrebbe affrontato con lo stesso coraggio di sempre, anche alla sua morte, e invece…
    … alla fine, gli eroi non esistevano.
    … alla fine, anche lui era soltanto un uomo.

    PoV~†~ Moloch

    Disperso per il vasto deserto rosso, giaci immobile nella tua solitudine.
    Nulla del mondo esterno pare essere in grado di raggiungerti:
    né la voce accusatoria della Sala della Giustizia
    né il grigio e ruvido sguardo del Lord della Chiave...
    neppure la presenza di Sir Belmont ti è più nota.
    Tutto ciò che percepisci è unicamente il tuo respiro in un mondo alieno, distante e… solo.
    Lentamente senti scivolar via tutto ciò che è tuo: ricordi, volti, nomi…
    Qui non vi è la tua patria, Najaza.
    Qui non vi è il Lich, tuo padre.
    Qui non vi è il Dio Straniero.
    Qui, ci sei solo tu.
    Tu.
    E nient’altro.
    Un infinita prigione priva di mura, ma non per questo meno efficace.
    Ti senti solo, abbandonato, inerme.
    Ogni via d’uscita ti è preclusa.
    Dopo un tempo incalcolabile alzi lentamente lo sguardo: lì, davanti a te, vi sono piccole impronte nella sabbia cremisi, che stanno venendo lentamente ma inesorabilmente spazzate via dal vento di quel mondo vuoto e, con esse, la direzione da loro indicata.

    L’ultima speranza, soffiata via.

    Cancellata.

    Per Sempre.



    PoV~†~ Leon

    Sia Aeon che Gabriev avevano visto giusto: sei un puro di cuore, un uomo che, per molti versi, somiglia ai presenti all’interno della stanza ed allo stesso Disith,
    solo che, forse, non lo sai ancora.
    Eleonora sorride di un sorriso segreto, caldo e rassicurante,
    in grado di scaldare il più gelido degli animi.
    Nel mentre, la musica continua a spandersi soffice e melodiosa,
    all’interno dell’immota Sala della Giustizia.

    Il Tuo Compito è semplice, esattamente al pari di tutte le cose difficili.
    La sua voce è diversa da quella della luna, è più calda e profonda, quasi esotica nelle sue tonalità e, i suoi occhi blu oltremare, sembrano abbracciare l’immensità di ciò che la circonda.

    Questo luogo è un gigante dormiente, in cui son sepolti recessi
    di un passato che non è mai avvenuto.

    Per un attimo, hai come l’impressione che vorrebbe dire qualcosa di più, qualcosa che forse riguarda lo stesso Disith; poi, sembra desistere.

    Nelle Profondità delle sue stanze, giace una porta simile a quella dello studio privato di Aeon stesso, ma in metallo battuto.
    Su di essa vi è inciso lo stesso simbolo che vedi ora sul suo petto.
    Dietro di essa vi è una stanza, completamente vuota fatta eccezione per una tastiera e quello che è un enorme monitor olografico… una volta lì, dovrai immettere i codici che ora imprimerò nella tua mente.


    D’improvviso, una lunga sfilza di lettere,numeri e simboli s’affaccia dentro di te, rivelando i tenui confini di un universo matematico a te completamente alieno.
    Abbiamo dovuto attendere quest’attimo, poiché il mio potere ha durata limitata e, solo in quest’istante, Lord Aeon è lontano da essa.

    I suoi occhi si appuntano nei tuoi e percepisci l’immensità sepolta in essi.
    Dovrai Correre Cacciatore. Dovrai correre come se avessi il tuo peggior incubo alle spalle.
    Perché lo stesso Aeon ora è cieco e soffre.
    Non temere per la via però…avrai un valido alleato ad indicartela.

    Come a dar maggior concretezza a quelle parole, una massa grigia prende letteralmente a staccarsi dall’ombra della dama, definendosi gradualmente, in quella che ti appare come una figura umanoide, talmente alta da superarti di almeno tre spanne.
    Il suo corpo - e con esso i suoi lineamenti- è completamente celato da un numero pressoché infinito di catene, eccezion fatta per gli occhi, due piccoli, sottilissimi rubini silenziosi che, indagatori, ti fissano e sembrano scrutare nei recessi della tua anima.

    Poi, senza proferir verbo alcuno, l’essere mostruoso estende quello che sembra un braccio avvolto in grigi catenacci e, da esso, prende ad estendersi rapida e furtiva, una sottile catena d’oro. Dopo alcuni istanti, l’anello più vicino alla creatura, sbianca in un tenue grigio smorto.
    Vai Mortale. E Ricorda. Dovrai riessere qui, prima che la mia catena ridiventi argento.
    Tempus Fugit.

     
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  13. Moloch
     
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    Il suo respiro era roco e leggermente baritono, come esalato da un uomo più corpulento - l'uomo, ne era certo, che aveva invaso i confini delle reciproche identità appena qualche minuto prima,
    trascinandolo nel gorgo delle proprie emozioni.
    Il rimpianto, si dice, va nutrito di "se".
    Solo, nudo e ricoperto di coagulo ormai secco sino alla base del collo, notò che i suoi "se" andavano confondendosi con quelli di Gabriev, in un malmostoso miscellanea di rimpianto.

    "Se" non avesse mai trovato il filatterio.
    "Se" non fosse stato l'ultimo a sopravvivere.

    "Se" l'uomo in rosso non lo avesse condotto su Endlos.
    "Se" Leudast fosse stato costretto a rendere onore al suo giuramento.

    "Se" il suo assassinio avesse avuto successo.
    "Se" il suo assassinio avesse avuto successo.

    Vomitò una risata di gola, abbaiando ad un cielo inesistente. Di tutti i luoghi, i nomi e i volti che avevano attraversato entrambe le loro vite, l'unico che gli riusciva di richiamare era quello del proprio assassino. Il torneo dello stato centrale, due anni prima; una sagoma sottile avvolta in un pastrano scuro rigurgitata da uno squarcio nel tessuto del piano; un viso severo e livido contratto dall'agonia. Ricordava ogni minimo dettaglio, come se una mano sconosciuta stesse srotolandogli dal cranio una stringa di negativi della sua memoria, mostrandogliela in controluce tassello dopo tassello. Inconsciamente, strisciò sui gomiti all'inseguimento di un tracciato fatto di impronte sulla sabbia rossa, generate e terminate nell'indefinito.
    Un'ultima istantanea lo costrinse alla resa. L'assassino, ricordava, aveva grandi occhi ametista punteggiati d'oro.
    I suoi stessi, identici occhi.

    Le impronte scomparvero, e la sua ultima speranza con loro.



    Io non.
    Ribadì in un fiato strozzato, appena prima
    di lasciarsi morire.

     
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    Quando la voce del Paladino risuonò nell’aria immota di quel paesaggio atemporale, la donna dai lunghi capelli d’oro rispose alla sua esortazione con un sorriso caldo e rassicurante; tutto intorno a loro la Sala della Giustizia ancora indugiava nel suo torpido sonno irreale, ma ai suoi sensi di Cacciatore all’erta, la fibra stessa della realtà sembrava sul punto di spezzarsi per la tensione.
    Respirava elettricità statica, e sentiva vibrare nell’anima la consapevolezza che da un momento all’altro avrebbe dovuto gettarsi in una prova sconosciuta in cui non erano concessi errori.


    CITAZIONE (Endlos @ 12/5/2010, 17:32)

    Il Tuo Compito è semplice, esattamente al pari di tutte le cose difficili.


    Tacque e annuì, con volto serio e tono grave; conosceva la profonda -amara- saggezza di quelle parole, e come inizio non lo trovò affatto incoraggiante... ma, scrollando leggermente il capo, si scrollò di dosso anche la sensazione di ansia che minacciava di velare il suo spirito: doveva ignorare ogni interferenza alla sua concentrazione, perché la concitazione del momento richiedeva di agire con massima lucidità.

    CITAZIONE (Endlos @ 12/5/2010, 17:32)

    Questo luogo è un gigante dormiente, in cui son sepolti recessi di un passato che non è mai avvenuto. Nelle Profondità delle sue stanze, giace una porta simile a quella dello studio privato di Aeon stesso, ma in metallo battuto.
    Su di essa vi è inciso lo stesso simbolo che vedi ora sul suo petto.


    Gli occhi cerulei del Cavaliere guizzarono verso il Signore del Tempo, scorrendone la figura in modo da imprimersi nella mente le geometrie di quello stemma, ma le orecchie ben tese non stavano perdendo una sola sillaba delle spiegazioni che la Dama gli stava fornendo.
    Dopo un lungo istante riportò lo sguardo su di lei.


    CITAZIONE (Endlos @ 12/5/2010, 17:32)

    Dietro di essa vi è una stanza, completamente vuota fatta eccezione per una tastiera e quello che è un enorme monitor olografico… una volta lì, dovrai immettere i codici che ora imprimerò nella tua mente.
    Abbiamo dovuto attendere quest’attimo, poiché il mio potere ha durata limitata e, solo in quest’istante, Lord Aeon è lontano da essa.


    Un piglio pensieroso scavò solchi leggeri sulla fronte liscia del Cavaliere: percepiva in quella donna una riservata esitazione, ma più di questo lo impensierì il fatto di non avere la più pallida idea di che cosa fosse una “tastiera” o un “monitor olografico”.
    Stando alle informazioni, essendo le uniche cose nella stanza non avrebbe rischiato di sbagliarsi, ma -in ogni caso- non si sarebbe tirato indietro, neppure se ce ne fosse stata la possibilità.


    CITAZIONE (Endlos @ 12/5/2010, 17:32)

    Dovrai Correre Cacciatore. Dovrai correre come se avessi il tuo peggior incubo alle spalle.
    Perché lo stesso Aeon ora è cieco e soffre.
    Non temere per la via però…avrai un valido alleato ad indicartela.


    Schiuse le labbra pallide e ben disegnate per domandare altri ragguagli, ma desisté quando vide concretizzarsi la risposta sotto i suoi occhi; dall’ombra della fanciulla sorse una strana creatura: aveva una forma vagamente antropomorfa, era più alta di lui, e riluceva di argento per le catene che lo fasciavano -o lo costituivano interamente come sua sostanza?
    I piccoli occhi rossi del golem di metallo lo scrutarono penetranti prima di sollevare un braccio, e tendere nello spazio -diretta chissà dove- una catena d’oro... il cui primo degli anelli -quello maggiormente a contatto con il costrutto- all’improvviso cominciò a stingere nei pallidi toni lunari dell’argento.


    CITAZIONE (Endlos @ 12/5/2010, 17:32)

    Vai Mortale. E Ricorda. Dovrai riessere qui, prima che la mia catena ridiventi argento.


    « Bene...! »

    Il commento abbandonò la chiostra serrata dei denti bianchissimi sarcastico come un’imprecazione mentre il Paladino si gettava in avanti -con la palandrana bianca e rossa simile a un vessillo oltre le sue spalle e il sangue che batteva il ritmo del suo cuore contro tempie-, e l’adrenalina gli fu d’aiuto, conferendo una marcia in più alla sua corsa all’inseguimento di un orizzonte sempre a portata di mano e sempre sfuggente, fatto di porte, marmi e corridoi, che di volta in volta la catena aurea gli indicava.
    Presto fu fuori dalla Sala della Giustizia, superando i doppi battenti che la catena attraversava come fossero fatti di fumo, e si lanciò per i corridoio, scartando fulmineo negli anditi adiacenti quando il suo filo di Arianna compiva brusche svolte; non si soffermò a contemplare chi tra lui e il Tempo stesse conducendo la gara, perché sapeva che indugiare in simili lazzi lo avrebbe condannato alla sconfitta in quella lotta impari.

    Sbucò su di un ballatoio che si affacciava sulle grandi scalinate del Palazzo della Chiave, e non si concesse più un istante per studiare l’ambiente: rintracciare con lo sguardo la sua guida -che compiva spirali per le rampe di gradini- non richiese sforzo, così come altrettanto immediata fu la decisione di prendere una “scorciatoia”; senza pensarci due volte, Leon balzò in piedi sul parapetto, e lo scavalcò, lasciandosi avvincere dalla presa della gravità al di là, e mantenendo una posizione centrale rispetto al perimetro del pozzo, delimitato dalle mura che gli sfrecciavano intorno mentre precipitava.
    Prima di schiantarsi sui disegni che i marmi delineavano sul pavimento per giustapposizione, il Paladino si apprestò ad arrestare la sua caduta: afferrò la frusta, appesa al suo fianco, e attese l’ultimo istante per sferzarla nell’aria.

    Vampire Killer si avvolse strettamente alla balaustra della ringhiera del primo piano, attirando il suo padrone inevitabilmente contro la parete; l’elongazione dell’arma e il suo stesso peso corporeo impressero a Leon lo slancio che lo proiettò nel corridoio dove la catena proseguiva il suo tracciato, dieci piani più in basso.
    Il soffitto -contro cui aveva rischiato di spiaccicarsi- sfrecciò sopra la sua testa mentre liberava la frusta con uno strattone, e il biondo atterrò in scivolata sul marmo, usando la palandrana per ridurre l’attrito; quando sentì esaurirsi la forza di inerzia, il Cacciatore puntellò i piedi contro il pavimento e con una spinta vigorosa delle anche si rimise in piedi -in corsa- proseguendo la staffetta verso la porta che cominciava a intravedersi alla fine del corridoio.


    Immediatamente riconobbe lo stemma vestito dal Signore di Rivenore.
     
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    I passi pesanti e fugaci del Paladino danzavano il ritmo di una corsa contro il Tempo mentre -senza rallentare- egli macinava gli ultimi metri che lo separavano dalla meta; fu qui che le catene di Ihias -giunte alla fatidica porta contrassegnata dallo “00”- terminarono il loro tragitto: vestivano ancora di aureo fulgore, e ancora una volta attraversavano l’ostacolo come intangibile ma -fenomeno curioso!- diramandosi in altre serie di anelli, le cui traiettorie si allontanavano le une dalle altre, ritagliando la forma ideale di un passaggio che l’arcano vi aveva plasmato ad altezza d’uomo.
    La superficie dei solidi battenti metallici sembrava come deformata dall’azione di una violenza spaventosa, ma ancor più singolare di questo era il fatto che -tuttavia- lo stemma che campeggiava in rilievo al centro dell’ingresso fosse al contrario rimasto intatto, sospeso indeformabile nel nulla come fosse un punto di riferimento fissato nello spazio.

    Trattenendo il fiato corto, il biondo decelerò solo quando fu a ridosso della sala adiacente, e si insinuò agilmente nello spiraglio creato dalle catene per introdursi all’interno: così come gli era stato detto, nella stanza non v’era null’altro che uno strano
    mobile; avvicinandosi, Leon lo identificò come una specie di tavolo sormontato da una grande, incorporea specchiera rettangolare, sulla cui superficie scorrevano -come ninfee affioranti dall’acqua- un gran numero di caratteri, in parte conosciuti e in parte no, ma di cui pure riconobbe identità nei simboli incisi che ornavano i tanti tasselli in rilievo sul ripiano.

    Contemplando quella visione nel suo insieme, un cipiglio perplesso corrugò la fronte del giovane, ma nemmeno il dubbio circa la natura e il funzionamento di quegli strani aggeggi poté minare la sua determinazione a fare la sua parte; trasse un profondo respiro e, con tocchi impacciati ed esitanti, si arrischiò a digitare sulla tastiera con la mano guantata, replicando la sequenza di simboli che la Dama aveva caricato nella sua memoria poco prima.
    Quando lo ebbe fatto, una scritta comparve davanti a lui, sospesa al di fuori dello schermo olografico.


    Q.O.S.A.C
    Queen Operative System Access Control

    Poi, una serie infinita di numeri, lettere, grafici, simboli e altre rappresentazioni che il Cacciatore non era in grado di discernere cominciarono ad affollare tutta l’estensione dello schermo, e nel caotico marasma che rimbalzava da una parte all’altra, gli occhi cerulei seppero carpire, trattenere e intendere solo poche parole il cui significato appariva frammentato e privo di un filo conduttore capace di dar loro un senso.

    Riabilitazione. Sigillo. Gabriev Disith. Osmoraph. Chiave d'Accesso. Aeon.
    Accesso Consentito. Richiamo TK in corso.


    Strinse quelle parole nel segreto della sua mente, riservandosi di ricercarne le connessioni nella strada a ritroso verso la Sala della Giustizia; poi, senza perdere altro tempo prezioso in indugi inutili, volse le spalle al computer e lasciò la stanza per cominciare la risalita.
     
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