-Survival Date-

Lo striscione recitava esattamente quelle fiere, rubiconde, parole. Bianco su Rosso. Un contorno di coriandoli vivaci e petali ancora freschi appiccicati con la colla ad inondare di colori quell’esuberante tentativo pubblicitario. O quella devastante presupposizione di buon gusto.
Pendeva un poco verso destra. Il lato storto dell’insegna della taverna “ Connemite and Son” ( due grandi mustacchi arricciati in stile far-west) che , inevitabilmente, svirgolava anche lo sgargiante sorriso del bando “amoroso”.
Cielo.
Caliel, gli abiti da lolita svolazzanti attorno alle membra affusolate, posò delicatamente due foglietti – anch’essi rossi, ovviamente- ai lati opposti del tavolo numero 13. Spostò di un paio di centimetri una delle due sedie poste attorno allo stesso e poi, con uno svolazzare di merletti e pizzi, passò oltre. L’aria profumata di un misto fra cannella, vaniglia, e salamini messi a rosolare sulla piastra in cucina venne catturata dal suo agile movimento da ballerina. Poco distante, lo schiumare e gonfiarsi della birra alla spina in un bicchiere mentre il barista, la mano da muratore ferma e pelosa al punto giusto, inclinava appena il collo del boccale, attirò lo sguardo concentrato del pianista che, un attimo di pausa per le dita, già si apprestava a snocciolare un nuovo motivetto da accompagnamento.
Caliel, con un nuovo movimento più simile al frullio d’ali che all’umana movenza, posò un altro paio di foglietti al tavolo 12. Sembrò soffermarsi un istante sulle parole in argento calcate a mano sugli stessi per poi, con un sospiro divertito, passare nuovamente oltre riprendendo il giro.

“ Avanti, ragazzina, non abbiamo tutta la giornata per quei tre tavoli! I clienti aspettano!”

gridò direttamente dalla fornace-alias cucina- la proprietaria.
Stranamente, nonostante la voce da tenore mancato, la Signora Connemite pareva una modella preraffaellita strappata direttamente dalla tela e catapultata per uno strano senso del grottesco nella brutta simulazione di un girone infernale. Le vesti abbondanti, come se ella fosse dimagrita senza volerlo, scivolavano dalle braccia candide come i resti bisunti di una toga romana. O di un mantello medievale.

“ Sbrigati e apri la porta! La gente non arriverà se tu te ne stai qui dentro a girarti i pollici!”

Con una smorfia contrita, la faccina da micio che si torceva in un che di risentito, Caliel trottò agile fuori dalle porte della taverna e, sistemandosi alla bell’e meglio gli abiti forse un po’ ingombranti, prese una gran boccata d’aria.

“ Avanti signori! Avanti! Sfidate cupido al suo stesso gioco! Un buon drink per una altrettanto buona compagnia! Avanti signori e signore, la timidezza non è di casa qui al Connemite and Son!”

Da dentro l’edificio, il “Son” in questione rilassò il volto affilato in un sorriso gongolante, due boccette identiche che brillavano poco distante da lui sugli scaffali degli alcolici.