La rinascita dell'Untore del Dio della Peste

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    Ti riscopri seduto su di una panca spoglia, di fredda pietra, in una stanza angusta e misera come una piccola cella. Hai un vuoto di memoria, ricordi distintamente di aver condotto il tuo signore e Imperatore in una delle prestigiose scuole di gladiatori dell'Attica, per un capriccio della moglie di allora, Clodia, che voleva assistere ad uno scontro privato. In qualità di guardia personale dell'Imperatore, hai scortato quel grande uomo nella piazza della scuola, dove i campioni hanno sfilato per voi. Assieme a te, un'intera unità di Pretoriani. Dopo questo sprazzo di ricordi, però, hai un profondo vuoto di memoria. Non riesci a ricordare cos'è successo dopo, né come mai ti trovi in quell'angusta cella.
    Sei ancora seduto sulla panca, che la porta della cella si apre e un gruppo di quattro individui trasportano un fagotto di stracci e sangue e lo depositano delicatamente sulla cuccetta, proprio di fronte a te. Inutile rivolgerti a loro, sei come un fantasma, non ti degnano di uno sguardo né rispondono qualora tu decidessi di chiamarli, si limitano a svolgere il loro dovere e poi andarsene. Davanti a te, giace quindi un giovane di forse sedici anni. Sotto la tunica malridotta che gli hanno dato, porta le vesti ed i simboli che contraddistinguono i gladiatori che nelle arene combattono come Traci e che tu conosci bene, dati i tuoi trascorsi nei ranghi dei Mirmilloni, spesso opposti proprio ai Traci durante i giochi. Il giovane è coperto di ferite che non sono state medicate. Con la tua esperienza puoi esser certo che per quanto possa essere tenace, quel giovane non sopravviverà alla notte.

    « Eri fiero, un tempo, di compiacere i potenti. Eppure, godevi nel togliere la vita ad altri uomini? Sì: eri oggetto di simpatie di un popolo, ma cosa provavi ad essere nient'altro che uno strumento di divertimento per uomini potenti? »
    Una voce antica e profonda ti scuote nell'animo. Proviene da un individuo, forse un vecchio, che giace nella penombra alla tua destra, il suo profilo completamente oscurato. La sua voce senile è piena e saggia, rievoca alla tua memoria ricordi passati.
    Il giovane morente geme per il dolore. Sta delirando. Chiama dei nomi -forse nomi dei suoi cari- e chiede libertà. E' una scena miserabile, perché egli si sta apprestando all'unica libertà concessa ai gladiatori: quella della morte.

    « I potenti si divertono e prosperano sulle carni dei deboli e degli oppressi. Trovi tutto questo giusto? Trovi che sia normale togliere la libertà ad un tuo fratello per puro sollazzo? »
    Il vecchio ammantato nella penombra sembra quasi alzarsi, e solo ora ti rendi conto che è alto quasi due metri e stringe nella mano destra un pesante bastone nodoso. Devi rispondergli, non puoi sottrarti in alcun modo...

     
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  2. Alexander_III
     
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    Chapter 1
    Debug della mente





    Perchè proprio a me?


    Domanda spontanea.
    Riflette mentre è seduto su una panca spoglia, riflette domandandosi.

    Dove sono?


    La stanza è buia, angusta, una cella quadrata di ridotte dimensioni, adombrata a tal modo di lasciare meandri nel mistero, tuttavia riflette sulla vera domanda.

    Cosa è successo?


    Perché vuoti di memoria celano la verità.
    Ricordava con precisione di essere giunto nell'Attica con l'imperatore, e sua moglie.
    Lo ricordava perchè era stato un capriccio della donna a portarli lì, voleva vedere uno scontro tra veri maschi, assaporare per un attimo la visione di due corpi caldi, maschi che se le danno di santa ragione.
    Così erano partiti per una delle migliori scuole di gladiatori di tutto l'impero. Erano giunti lì in tarda mattinata, scortati da altri inutili pretoriani, si erano goduti la vista della solita sfilata di campioni, certo erano forti, belli, alti, ma nessuno vagamente gli ricordava lui, erano in qualche modo inferiori.
    Poi vuoto.
    Non ricordava più nulla, né cosa fosse successo, né come si trovasse in quel posto.
    Qui ritorna indisciplinata la seconda domanda.

    Dove sono?


    Non lo sapeva, ne tanto meno sapeva come fosse arrivato lì.
    Anche questa domanda rimase senza risposta.
    E mentre così, cercava di rimembrare qualcosa, la porta della cella si aprì. Quattro uomini, trasportando un malconcio fagotto, entrano, buttarono il peso sulla cuccetta dinanzi a lui e sparirono.
    Ancor prima di dargli spiegazione.

    A niente servirono, le urla, le grida, le imprecazioni, venne bellamente ignorato.
    Come un fantasma.


    E dinanzi a lui, il fagotto, si dimenava, lamentava, gridava e urlava. Un'onda senza tregua di lamenti, dolori di un ragazzo sulla strada della morte.
    Un morsa allo stomaco lo attanagliò, era così giovane. Un gladiatore a quanto pare.
    I tagli su tutto il corpo smorzavano ogni speranza di sopravvivenza, sarebbe morto. Inesorabilmente. Morto tra mille angosce, gettato in una fossa comune, ecco cosa gli aspettava.
    Poi una voce profonda lo destò dal suo viaggio iperbolico della mente.
    Una voce saggia lo scosse nell'animo, cercando di smontare quel suo castello di pseudo convinzioni che si era creato in anni e anni di difficile vita.
    E si, aveva ragione, infondo era solo un mero strumento per il sollazzo di potenti, ma chi dice che non poteva provare soddisfazioni ad uscire vincitore da un arena?
    Popolo in visibilio, il suo nome veniva urlato a gran voce. Questa poteva essere un motivo di soddisfazione?
    Quello in fin dei conti era stato un breve passaggio per ottenere la libertà.
    Ora era la guardia del corpo dell'imperator in persona, contava più lui di tutti quei senatori abietti che un tempo detenevano il potere, di tutti quei nobili che si trastullavano nelle giornate afose con giovani donzelle che ti fanno aria. No, lui aveva in pugno la vita del princeps.
    Infine si, era realizzato.
    Ignorò i lamenti del ragazzo morente, sarebbe morto con onore, in nessun modo gli avrebbe alleviato la sofferenza, doveva morire da uomo, nonostante la sua giovane età.
    A quel punto l'uomo che aveva proferito parola si alzò in piedi, e si mostrò alla luce, mostrando il suo volto.
    Era un vecchio saggio burbero, con in mano il solito bastone rugoso, la sua altezza però lo colpì negativamente, diamine, era alto dieci centimetri buoni più di lui.
    E Alexander non era certo basso, anzi...
    A quel punto, sentendosi in tal modo minacciato, decise di prendere parola, soppesando attentamente ciò che sarebbe uscito dalla sua bocca.

    Trovo sia normale che i forti abbiano il potere, loro comandano, loro ottengono.
    Noi siamo si pedine nelle loro mani, ma i più forti tra noi godono di privilegi che molti umani non godono.
    Non trovi che sia altrettanto normale, che io, l'uomo più fidato dell'imperatore, possa decider di metter la parola fine alla sua vita? Anche il mio infin dei conti sarebbe semplice sollazzo.
    I deboli restano infondo alla piramide, i forti la scalano.

    Questa è la legge di natura.



    E di nuovo.

    Perché proprio a me?


     
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    Nell'aria risuonò come un ringhio ferino, e la figura massiccia immersa nell'ombra sembrò sfiatare come una bestia. Si mosse d'un passo e ci fu come un risuonare di zoccoli contro la terra, ma non c'era nessun cavallo o bove nelle vicinanze.

    « Giusto! E' così! »
    Il ringhio del vecchio fu quasi ferino, colmo di una ferocia ancestrale capace di far tremare ogni singola cellula.
    « I forti, regnano. I deboli, periscono. E' questa la legge. Così è giusto! Il leone divora la gazzella troppo lenta per fuggire, il lupo sbrana la pecora troppo stolta per rimanere nel gregge. Ma adesso guarda questo tuo fratello. Osservalo: tu potresti essere al suo posto. »

    Il gladiatore morente gemeva e implorava con un filo di voce di avere dell'acqua.
    Lentamente, nella mente di Alexander riaffiorano i ricordi. Clodia, dispotica e annoiata dalla vita di corte, aveva convinto il nobile Augusto a portarla in quella scuola come regalo di compleanno. Con lei c'era anche la cognata Lucia, con cui è costantemente in rivalità. Le due donne avevano scelto un gladiatore ciascuno, e gli avevano osservati mentre nell'arena lottavano fino ad uccidersi a vicenda. Il gladiatore Trace che giaceva morente era il vincitore. Aveva vinto, ed ora il suo premio era morire come un cane nella sua cella, senza nemmeno qualcuno che si degnasse di dar lui dell'acqua.

    « Dimmi, piccolo uomo. Il leone sputa sulle carni della gazzella che ha sbranato? Il lupo ride della pecora che ha dilaniato? Quest'uomo è dunque meno di una bestia da macello. Questo tuo fratello non è nemmeno degno di avere in se il riconoscimento di un orgoglio, men che meno di una dignità? »
    Grondava disprezzo da ogni parola. Sputava veleno come se fosse una pestilenza. E le sue parole attecchivano nell'animo e rievocavano immagini di dolore, ricordi a lungo surclassati dalla gloria e dal successo, ma che seppur repressi nella giovinezza venivano ora liberati, lasciati liberi di sfogarsi e di emergere in tutta la loro importanza.
    « Lo schiavo impara ad amare il morso del collare, non è vero, umano? Hai imparato a chinare il capo ed accettare ciò che ti veniva imposto. Quando ti hanno strappato dal seno della madre! Quando ti hanno istruito come schiavo! Quando ti hanno gettato in arena! Quando ti hanno dato una libertà fittizia in cui sei costretto a servire! E tu, povero stolto, pascendoti di questa tua fortuna hai dimenticato dei tuoi fratelli morti come schiavi nelle miniere! Uccisi per il divertimento di un gregge di pecore che si dichiarano lupi!! »
    Un dito macilento e coperto di un pelo malsano emerse dalle ombre. La creatura che si nascondeva in quel buio indicò con un artiglio il gladiatore ormai prossimo al trapasso.
    « Tu hai ucciso quest'uomo due volte. Dapprima lasciando che in quell'arena si scannasse per la gioia di una sgualdrina, poi di nuovo dichiarando giusta la sua morte. »

     
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  4. Alexander_III
     
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    Chapter 2
    Leoni in gabbia

    Per molti di noi l'uguaglianza consiste nel ritenerci uguali a coloro che ci stanno sopra, e superiori a coloro che ci stanno sotto.
    Si accorse che sbagliava a pensarla così.





    Si sentì piccolo.


    Piccolo come una formica schiacciata dai piedi di un uomo, piccolo come un'insignificante scarafaggio, piccolo come un uomo. Quel vecchio saggio, benché non sapesse chi egli fosse, gli spalancò gli occhi. Gli sputò la semplice verità in faccia, come un pugno ben assestato.
    Come ogni colpo, aveva fatto male. D'un tratto tutto il suo ragionamento precedente andò a puttane.
    Ora ricordava.
    Ricordava come è pesante essere schiavo, come la sua libertà fosse stata, fin dalla nascita, rubata.
    Come un leone ammansito in gabbia.
    Lui, che si era sempre riproposto di non diventare come suo padre. Mai e poi mai nella vita.
    Adesso era identico a lui, un pretoriano si, ma comunque uno schiavo.
    E così rivedeva i suoi vecchi amici, quelli che per il destino avevano perito sotto la stessa sua mano.
    E il tutto per soddisfare qualche nobile del cazzo.
    Lui ora era in cella, come un prigioniero e perchè? Perche quella zoccola voleva un regalo di compleanno.
    Che avrà, il più bello di tutti. Avrà in dono la morte.

    Come un leone chiuso in gabbia, ruggisci, assali, ti ricordi che la vita nella savana era bello, dove tutti erano uguali, dove chi era più forte cacciava solo per istinto, per saziare la propria fame.
    Fame.
    Non divertimento.


    Rabbia illuminante cresceva nei suo occhi, rabbioso come un cinghiale pronto la carica, ma prima doveva dar giustizia all'uomo morente.
    Si avvicinò al giovane, con cura di una mamma che stringe la mano del figlio malato, lo assistette nei suoi ultimi istanti, asciugandogli la fronte.

    Avrai giustizia, periranno tutti.


    Ma quello ormai era già sul viale del tramonto, e probabilmente le fantomatico tunnel stava già avvistando la luce.
    Luce. Onore. Quell'uomo doveva morir con onore, come un soldato caduto in guerra, cantato nelle ballate popolari. Come un uomo che perisce alle difficoltà della vita. Non come uno schiavo.
    Come illuminato da una nuova forza, da una nuova consapevolezza, si rialzò e tornò al cospetto del vecchio saggio.

    Hai ragione, troppo tempo ho chinato il capo dinanzi al potere, per troppo tempo ho scordato ciò che loro hanno fatto a me.
    Io sono un privilegiato e da tale devo assicurare che la legge sia uguale per tutti.
    Andiamo a prenderci la libertà che ci tocca.



    Avrebbe lottato, avrebbe ucciso. Avrebbe cercato di assicurare una legge paritaria per tutti.
    E nel caso morire. DA EROE.
    L'ultimo ruggito del leone in gabbia.


     
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    « Sì. »
    Nella penombra, un sorriso di compiacimento si dipinse sulle labbra bestiali della creatura.
    « Fratello, infine ti sei destato. La verità di questo mondo ti ha bagnato gli occhi, ed ora puoi vedere oltre il velo di menzogne. Da questo momento tu non proverai alcuna paura. »

    Ci fu un suono metallico e stridente. La creatura sollevò un fagotto di stracci e lo porse al Prescelto. In esso, sciolti i brandelli di stoffa che lo coprivano, Alexander avrebbe trovato un'antica compagna di molte battaglie: una spada. Un gladio romano, che forse l'ex schiavo avrebbe riconosciuto.

    « Quest'arma ha ucciso nelle tue mani, ed è stata impugnata con passione. Da allora, ha guadagnato uno spirito proprio e ti ha chiamato padrone. Tutti coloro che l'hanno impugnata dopo di te, hanno avuto disgrazia poiché non gli apparteneva. Il Padre l'ha consacrata, ed io te la consegno assieme alla sua benedizione. La tua via è chiara, oggi tu sei morto, ma impugnando quest'arma rinasci nella verità e nell'amore del Grande Padre. Ora hai uno scopo: vuoi accettare questo tuo destino glorioso? »

     
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  6. Alexander_III
     
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    Chapter 3
    Death





    Morto?
    Si domandava, si chiedeva.
    Come mai era morto?
    Non lo ricordava. Di fatti dell'intero discorso aveva colto solo questo piccolo quanto importante particolare.
    Morire. Sperava di essere morto con onore.
    Poi colpito da un'ulteriore consapevolezza capì che avrebbe potuto risorgere, avrebbe avuto nuova vita.
    E in più, un dono. Un fagotto lercio, lacerato, consumato.
    Lo aprì e fu sorpresa.
    Non c'erano dubbi era lui, il suo gladio che mille battaglie aveva visto, una forza nuova lo circondava. Una nuova linfa vitale, un nuovo potere.
    Lo impugnò ricordando perfettamente come si faceva, ricordando vecchi momenti passati in un'arena.
    Pianse.
    Una lacrima gli bagnò la gote, scendendo velocemente passò via non lasciando nessuna traccia, come rugiada di mattina.

    Lotterò per l'eternità, affinché il Giusto governi queste terre. Abbatterò i prepotenti, come loro hanno schiacciato i deboli.
    Il mio braccio si chiamerà giustizia.


    La voce quasi rotta dal pianto era valorosa come l'ultimo soldato rimasto in piedi per salvare i propri figli, come un gladiatore sopravvissuto a dieci leoni, come un uomo che raggiunge l'immortalità.
    Fiero della sua nuova posizione, si consacrò al suo Padre, lo avrebbe onorato, avrebbe combattuto in suo nome, e avrebbe vinto.
    Ora che lui aveva vinto la morte.
    Aveva scoperto che non era poi così doloroso morire.


    CITAZIONE
    Scusa il ritardo, sono tornato adesso a casa e appena ho visto ho scritto.

     
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    « Così è giusto. »
    Anche nel buio, è palese l'annuire del vecchio. Il giovane gladiatore ferito è ormai spirato, ed il calore si appresta a sparire dal suo corpo.
    L'anziano si fa avanti, e di nuovo uno scalpiccio di zoccoli percuote il terreno. Il profeta del Dio della Pestilenza aveva un corpo piagato e coperto di sette malattie diverse, gli occhi ciechi e bianchi vedevano di una luce che è proibita a coloro che vedono ma non sanno vedere; il pelo scabbioso del suo corpo era coperto da stracci, e sotto di essi si intravedevano brandelli di un'armatura di metallo nero simile ad una doppia pelle. Il volto dell'anziano era di un bove, ed un palco di corna cresceva sulla sommità del suo cranio, le sue gambe erano voltate all'indietro come quelle dei satiri, o delle capre. Nella sua mano destra reggeva un bordone di legno contorto, e un'aura di potere lo circondava. Un'altra persona l'avrebbe chiamato disgustoso, poiché le sue sembianze erano quelle di un mostro ed il suo corpo era coperto di malattie. Ma un Prescelto i cui occhi sono stati aperti dalla Verità poteva vedere oltre quelle apparenze orribili, e rimanere indifferente vedendolo. Poiché che importanza può avere l'aspetto, a paragone dell'anima? Quale falsità si cela dietro la nobiltà, quando l'animo è impuro? Saggezza, carisma e potere: queste qualità erano trascinate dal vecchio saggio e rinchiuse nella sua putrida carcassa. Era queste cose che il Prescelto poteva vedere, e per questo il vecchio uomobestia gli appariva come un anziano bianco dalla barba candida.

    Analogamente, le terribili pestilenze che l'avrebbero colpito brandendo quel gladio in nome del Dio della Peste non gli sarebbero apparse come piaghe spaventose. Le terribili ferite da esse procurate, l'orribile dolore di cui erano latrici, non erano altro che un giusto obolo di un dono di luce sfolgorante, e per questo viste come tali: doni, virtù acquisite grazie ad un Padre più grande di qualsiasi falso idolo, simili a fasci di luce e vesti sfolgoranti se viste con gli occhi colmi di Verità.

    « Così sarà fatto. Questo nostro fratello riposerà nell'Oltretomba del Grande Padre, e la Putrefazione sarà conforto alla sua anima. Tornerà alla terra e ne spargerà le messi, ma poiché la sua morte non sarà dimenticata la sua anima vivrà in eterno. »
    Investito di tale potere, l'Untore del Dio della Peste scopre di non trovarsi più nella stanza, bensì di essere nell'ambiente familiare di un'arena, da solo, in attesa di fronte ad un portone che si chiude dietro di lui. Non ha paura, non si pone domande su dove si trovi, nelle sue mani ha il fido gladio e l'odore e la voce del Profeta gli sono compagni.
    « Colui che incontrerai in questa sala è alfiere di ideali opposti di quelli di cui ora tu sei portatore. Egli è cieco: vede verità che non sono importanti. Per lui cose come la grandezza di una nazione e l'identità di un popolo sono valori superiori a quelli della vita umana, mentre in realtà sono falsità indegne perfino di attenzione, sciocchezze puerili di bambini viziati paragonati ai veri valori di fratellanza.
    E' un assassino che uccide per falsi idoli e la cui cecità ha portato solo distruzione... »

    Scena conclusa
    Prosegue nella Camera dei Prescelti eterni, nell'Arena Est.

     
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6 replies since 26/3/2010, 21:13   154 views
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