[LC] Dissincronia

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  1. Heart of Legend
     
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    Insediamento di Acquascura - sotterranei; alcuni mesi prima

    Il cuoio delle vecchie suole strideva sul marmo come denti di fiera che macinano le ossa di una carcassa, scheggiandosi: due paia, dal timbro minuto e non troppo incisivo. Il pavimento della catacomba era calcato da piedi di donna, appena scosso e subito riassestatosi nella propria algida, secolare impassibilità dalle eco del loro scalpiccio sommesso.
    «Oh, non sai quanto mi faccia piacere ricevere visite!» pigolò una voce dagli angoli più remoti di uno studio improvvisato, con un tono lezioso e stucchevole capace di ferire le orecchie.
    «Soprattutto da una così bella signorina.» rincarò la Spada con falsa gaiezza, riemergendo dai meandri di un grosso baule fasciato di ferro e ricoperto da un generoso pollice di polvere. Il secondo del Leviatano, terrificante nella propria ascetica, considerevole stazza, torreggiò sul visitatore inatteso arroccatosi sull'unica seggiola antistante la scrivania al centro della sala, altrimenti spoglia. I lunghi capelli nocciola le incorniciavano il viso come una torma di vecchi rovi ossidati, proiettando ombre che ne accentuavano l'innaturale grandezza degli occhi e le asperità delle guance e del mento; l'ospite, seccato da una così palese, dolorosa e patetica ipocrisia, si limitò a liquidare la donna con un cenno
    del capo mosso a diniego.
    «Il piacere è tutto suo, Secondo.» sibilò l'Egida dopo un lungo silenzio stringendosi con la mancina le falde della cappa contro il viso, in un rigurgito insopprimibile di disgusto. La destra tormentava l'elsa della Stele, in attesa.
    «Tutto suo» sottoscrisse, ancora più velenosa.
    «Esaurite le galanterie, vorrei conoscere il motivo della mia convocazione.»
    «Ora?» domandò la Spada, simulando
    una quasi impeccabile ingenuità.
    «Ora.»

    [...]

    Percorsero un corridoio ricavato naturalmente nel marmo e grossolanamente arredato da tendaggi lisi e pannelli di compensato costellati di appunti; la curva si affacciava su di un secondo, più stretto camminamento, costipato per tutta la propria destra da cubicoli chiusi da inferriate metalliche atteggiati a celle di fortuna. L'ultima di queste era occupata da un uomo dai corti capelli rossi, mento volitivo ed occhi in grado di perforare la roccia di cui era prigioniero: non appena i due emblemi d'oro si arrestarono di fronte alla sua ben povera prigione, quello si limitò a restituire loro uno sguardo indecifrabile, lentamente assottigliatosi nei pochi millimetri necessari ad esprimere il disprezzo. La Spada lo indicò senza alcun pudore, parlando come se il disgraziato non fosse presente.
    «Il *146 è uno dei miei tester più promettenti: grazie alla sua naturale resistenza e duttilità, sono riuscita a sperimentare e sollecitare sino ai massimi limiti speculati uno degli artefatti più ostici mai recuperati dalla gilda nelle ultime decadi. Tuttavia, lungi da me annoiarti con tecnicismi inutili.» chiosò in un sorriso, come un maestro che spiega ad un bambino un concetto troppo difficile e getta la spugna a metà dell'impresa. L'alchimista non gradì, ma si
    limitò ad ingoiare una risposta tagliente con un breve singulto.
    «Purtroppo, destino vuole che la Mente mi abbia assegnato al patrocinato di una nuova
    zona geografica, e portarlo con me sarebbe... sconveniente.»

    E non c'era bisogno di scomodare galanti eufemismi, per esprimere il concetto:
    chiunque fosse, quell'uomo aveva la morte negli occhi.
    «Pertanto, essendo tu stata assegnata alla regione di En-»
    «-scaricabarile.» commentò brevemente l'Egida, troncando la frase a metà.
    «Uno dei suoi più grandi talenti.»
    La Spada rimase in silenzio, reclinando appena la testa sulla spalla.
    Non smise mai di sorridere.
    «Non ho altra scelta, immagino.»
    «Immagini bene, mia deliziosa, piccola frugoletta.»
    La fibbia che assicurava la Stele si sganciò, ma la reliquia rimase nel fodero.
    La tensione aveva assunto la consistenza di scariche di elemento statico,
    che danzavano attorno ai pugni serrati di entrambe le donne.
    «E va bene.» mormorò l'Egida dopo qualche minuto, sconfitta.
    «Farò da guardia alla merce
    fino al tuo ritorno.
    »


    Pentauron - Distretto di Argenstella; il giorno precedente

    Il vento si srotolava attraverso le crepe della locanda come glauchi artigli di condensa, afferrandola e rivoltandola nelle coperte di pelliccia: era un vento maligno, viziato, proveniente da nord. Gelido come la tundra che si estendeva oltre il confine dello stato centrale. Uno spasimo involontario nel sonno la portò a raggomitolarsi contro la donna che dormiva con lei, che la accolse nel dormiveglia passandole un braccio sul fianco e stringendola a sé, sorridendo.
    Althea, si chiamava. Un nome da ricordare e un episodio da dimenticare.
    Il tepore dell'altra le diede un sonno più dolce di quanto avrebbe voluto ammettere. Cercò di assaporarlo
    quanto più possibile, prima di costringersi fuori dal giaciglio:
    aveva una missione da compiere. Come sempre.

    ___
    Non fece in tempo a mettersi in piedi, che il *146 era già entrato nella camera. Senza un fiato, si era seduto su di un pagliericcio a gambe incrociate, in attesa.
    «L'obiettivo?» domandò l'uomo con tono incolore. Nei pochi mesi in cui avevano collaborato, non gli aveva sentito pronunciare una frase che superasse le dieci sillabe.
    «E' qui, Amaranth.» bisbigliò, per non svegliare l'assassina. Essendo il suo partner un senzacasta, non le rimaneva che rivolgerglisi con il nome trovato nei fascicoli della Spada.
    O almeno, uno dei nomi elencati.
    «E' qui.» ripeté, affacciandosi alla balconata.
    «Muoviamoci.» rincarò lui, impassibile. Di tutti gli agenti del Leviatano, il *146 era l'unico immune al timore reverenziale ispirato dal Flagello. Per questo, probabilmente, l'unico davvero in grado di collaborare con lei.
    «Hai ragione.» giustappose l'Egida, dando un ultimo sguardo al petto della donna che si alzava e si abbassava sotto le pellicce, addormentata.
    Non c'era bisogno di coinvolgerla.


    «Muoviamoci.»

    Pentauron - Capitale di Kisnoth; tempo presente

    Da sempre, le ville della capitale erano state protagoniste di una frenetica compravendita: essendo immobili storici appartenenti al demanio dello stesso Lord della Chiave -cedutogli in seguito alla scomparsa dell'ultimo principe conosciuto, Gabriev Disith- i loro prezzi erano proibitivi. Solo altissimi quadri della guardia reale, leader di gilde mercantili e notabili dei quattro presidi potevano permettersi una simile spesa, ed essendo fra questi il tasso di mortalità particolarmente elevato, le proprietà venivano subito rimesse all'asta per passare nelle mani di un nuovo, sfortunato padrone. La villa dove si era infiltrato il bersaglio era dimessa ormai da un paio di settimane, in attesa di un nuovo, facoltoso compratore. L'Egida, mantello ben stretto contro il viso -coperto anch'esso- era scivolata attraverso le ante del portone dischiuse approfittando di una pattuglia distratta che si era allungata a sbirciarne il salone d'entrata, allertata da dei rumori sospetti.
    Non aveva torto.
    Aveva visto il suo "sorvegliato speciale" entrare nella villa appena poche ore prima, per poi non uscirne. Stanca di aspettare, aveva fatto cenno ad Amaranth di seguirla e sgusciare all'interno non appena il drappello di gendarmi -così galanti- glielo avrebbe concesso. Una volta dentro, il portone si accostò da sé senza far scattare lo scrocco della serratura, la cui lingua metallica rimase appoggiata alla parte esterna dell'anta. Non riuscì nemmeno a calcare un passo sul marmo graffiato, che venne trascinata bruscamente a terra dal suo collega, strattonata per il braccio destro; sopra di loro, intercettò con la coda dell'occhio, una gigantesca stalattite di ghiaccio era appena esplosa in uno scroscio di cento e più frammenti opachi.


    «Ti avevo chiesto di non seguirmi, alchimista.» sibilò L'Occhio del Leviatano, scavalcando un'alcova che ospitava l'inferriata di una finestra contro cui era appoggiato.
    La sua aura, densa e brillante quanto luce fatta materia, avrebbe abbagliato chiunque abbastanza stupido da fissarla direttamente, accecandolo con la forza di
    un'autentica eclissi.
    Amaranth si fece avanti, subito trattenuto da un cenno dell'Egida. I due uomini si guardarono per un istante, troncato sul nascere dalla voce del Flagello.
    «Io...»
    «Tu, appunto.» la interruppe Earl Gray, tagliente. «Non seguirmi.»
    E le si portò di fronte, arrestandosi. La sua fragile figura da adolescente
    non lo rendeva affatto meno minaccioso. La oltrepassò,
    avviandosi verso il portone.
    «La prossima volta, non mi farò trattenere dai Dogmi.»
    E sparì, sbattendo il portone alle proprie spalle. L'Egida tirò un lungo sospiro, esausta: già che il guaio
    era fatto, tanto valeva verificare cosa e quanto il suo pari
    aveva trovato in quel rudere.

    SPOILER (click to view)
    Mille scuse per la lunghezza oscena delle premesse: avrei voluto dividere la scena introduttiva in due topic, ma ho deciso di sacrificare questa scelta a favore di una soluzione -spero- più elegante; sono certo che mi perdonerai.
    Quanto al resto, sai quanto abbiamo concordato: ho supposto che, nell'intervallo di tempo fra l'ingresso di Earl e l'arrivo dell'Egida, l'Occhio possa essersi imbattuto ed aver parlato con uno dei tuoi personaggi. Se lo desideri, hai piena libertà di interpretarlo.
    Quanto ai nodi di background cui questa scena fa riferimento, sono tutti rintracciabili nella giocata de "Respect Your Elders" -posto che a qualcuno interessi.
    Detto questo, non mi rimane che augurarti buon combattimento. =)
     
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    Al di là dei vetri della mansarda, il Pentauron si stendeva fino al limite dell’orizzonte che lo sguardo poteva carpire, lasciando che le più squisite architetture del suo profilo degradassero in un agglomerato sempre più confuso di edifici urbani, resi un ammasso indistinto e sgraziato dalla distanza che intercorreva tra loro e la villa, e dalla crescente oscurità dell’imbrunire.
    La luce del sole morente aveva tinto il cielo di sangue prima che il manto nero della notte scivolasse attorno ai fianchi della Grande Dama, come un amante protettivo, voluttuoso e impalpabile, oscurando l’ultimo perpetuo eccidio di un altro giorno; solo un altro giorno, dopotutto, un giorno trascinatosi nell’apatia e nella noia, un giorno detestabile quanto tutti gli altri della sua esistenza...

    Ma neppure assistere a quella morte ricorrente in una pozza di luce scarlatta riusciva a compiacerla, perché la consapevolezza che domani sarebbe stato lo stesso cominciava a pesarle come una di quelle oscure ossessioni compulsive che piano piano ti conducono alla follia, mentre ovunque, invece, la notte stendeva amorevole il suo pesante sudario, cullando con suono di sistro il sonno degli abitanti.
    E tuttavia, più che al mondo dove su tutto calava il buio, i suoi occhi color magenta vagavano per la plumbea volta notturna, dove una luce fioca e pallida si era accesa.


    « Uffa! »
    sbuffò, dando in escandescenze una volta di più
    « Per quanto ancora vuole tenerci qui dentro, quello stupido Cappellaio?! »

    « Mia Nera Sorella Maggiore... ♥ »
    chiocciò melliflua una seconda vocetta, più acuta, più dolce, più folle
    « ...dobbiamo pazientare fino all’inizio del Gioco: il Cappellaio ha detto... »

    « Non mi interessa. »
    replicò laconica la Prima, intimando il silenzio con un’occhiata tagliente
    « Quello stupido pagliaccio deve essersi sbagliato:
    siamo qui da un mucchio di tempo, ma delle altre ancora nessunissimo segno. »


    « La Seconda si è destata. E’ ad Est... »
    puntualizzò una terza voce, piatta, atona e fredda

    Uno sbuffo insofferente suggellò quello scambio di battute, poi i loro occhi di vetro -lucenti come gemme- si volsero in alto, oltre il vetro della finestra, proiettandosi sullo lo spettro della loro madrina, che sembrava vegliarle dall’alto, in silenzio... carezzando teneramente i loro capelli diafani e donando una bellezza mistica alla già minuziosa perfezione di quelle presenze, benedette dal bacio della sua luce evanescente.

    D’un tratto, un tintinnio spezzò il silenzio, catalizzando le attenzioni sullo scatto che la testolina della bimba vestita di viola, in piedi accanto alla porta, aveva compiuto nel volgersi verso l’interno della dimora; i cristalli d’ametista, appesi alle rose di stoffa blu che le ornavano il capo come fermacapelli,
    dondolavano ancora lievemente.


    « Un intruso nella villa. »

    « Che bello! Un visitatore! ♥ »

    La notizia incontrò subito il favore della più giovane, il cui apparente candore infantile si esternava nel gioioso battito delle sue manine e si rifletteva anche nel suo aspetto: nel vezzoso abitino tra il bianco e il rosa pastello, e nei candidi fiori che le adornavano due ciocche di capelli, rosa come lo zucchero filato, sebbene più tendenti all’argento sotto quella luce mutevole...
    E nell’inquietante rosa bianca che le sbocciava dall’orbita sinistra del cranio.

    « Che bello! Che bello! Andiamo a conoscerlo! ♥ »

    « Bah. »

    Con un secco sospiro, la Prima spiccò un balzello leggero, portandosi in piedi sul davanzale e al centro del cono di luce che si riversava dalla finestra; quel bizzarro riflettore rendeva ora visibile ogni dettaglio del sontuoso abitino gotico -pieno di balze bianche e laccetti neri-, comprese le piccole e graziose ali oscure e piumate, esaltando lo scintillio dei suoi capelli bianchi come la neve, lunghi e sciolti sulle spalle sottili, e conferendo una sfumatura quasi sdegnata alla veemenza con cui diede uno spintone ad uno degli infissi, spalancandolo verso l’esterno.

    « Sarà un altro di quegli umani brutti e stupidi che vengono qui a passare la notte. »

    « Vuol dire che non vieni ad incontrarlo? »
    domandò la bimba con la rosa nell’occhio, tormentandosi le labbrucce con l’indice

    « Neanche per idea. »
    ribattè arrogante la ragazzina in nero, voltandosi sdegnosa per spostarsi sul tetto

    « Oh, beh... Andiamo, Bara. ♪ »

    Concluse allegramente la piccola dai capelli rosa, afferrando il braccio della bimba vestita di lilla -così simile a lei da sembrarne gemella- per tirarsela dietro, trascinandola oltre la porta come si farebbe con un aquilone, un trenino o qualunque altro giocattolo.

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    La luna era una pallida e vuota conchiglia, e luccicava come madreperla languidamente adagiata sui foschi flutti di un cielo d’inchiostro... eppure, la ragazzina -rimasta sola lassù, a tu per tu con lei- non poté far a meno di notare quanto quel suo sorriso somigliasse al ghigno dello Stregatto.



    I corridoi della magione erano freddi e silenziosi, rischiarati a malapena dai fiochi lumi di candela che intervallavano l’andito con regolarità: sottovetro nelle lampade appese ai muri,
    e nelle fiamme traballanti che occhieggiavano sulle bugie,
    abbandonate sul rado e massiccio mobilio che ogni tanto faceva la sua comparsa addossato alle pareti.
    E non serviva domandarsi chi -o cosa- si fosse preso il disturbo, in quel posto virtualmente deserto, di garantire l’illuminazione a tutta la casa per percepire l’atmosfera densa di mistero che rendeva piuttosto inquietante il circolarvi a quell’ora.

    Ciononostante, l’Occhio del Leviatano avanzava con disinvoltura in quella tetra penombra, proseguendo imperturbabile nella sua esplorazione della villa: visto il ritmo rapido con cui quel possedimento passava di mano, non si aspettava certo di trovarla in rovina -non ci sarebbe stato il tempo per raggiungere lo stato di decadenza-, ma anche così le condizioni delle stanze erano fin troppo buone; l’unico tocco di desolazione, quello che la rendeva al primo sguardo una casa disabitata, erano i teloni di stoffa bianca che conferivano contorni nebulosi ai pochi arredi che ricoprivano,
    e che ancora occupavano il loro posto nei grandi androni spaziosi.
    Ma il sopralluogo volto all’individuazione dei tre artefatti ancora non dava risultati.

    Naturalmente non si era aspettato di imbattervisi per caso, così come aveva escluso a priori di trovarli in bella mostra su qualche comò, come soprammobili, o di vederli appesi sopra il camino, come trofei, ma...

    ...fu un effetto ben strano incapparci svoltato l’angolo.

    Dapprima l’iride cerulea incontrò lo sguardo di una bambina albina dagli occhi dorati, che sostava in piedi una manciata di metri più in là, in fondo al corridoio, come in attesa; quella comparsa lo spinse ad arrestare il suo incedere, ma non furono necessari che pochi attimi per notare quanto quella figuretta apparisse strana: non solo per l’espressione asimmetrica sul suo faccino -per metà sorniona e per metà vacua-; anche la parte destra dell’abito pareva essere diversa dalla sinistra, e la coppia di fermacapelli mostrava da una parte una rosa blu e tre pendenti d’ametista, mentre dall’altra una rosa bianca dai rovi spinosi a mo’ di nastri...come se quella visione non fosse rappresentazione di un cosa integra,
    quanto più la giustapposizione di due metà
    somiglianti.

    E -come a dare reale concretezza a quel pensiero- le due metà presero a distanziarsi dal loro asse, svelando due corpi nella loro interezza: una con una rosa bianca nell’occhi sinistro;
    l’altra dai con l’orbita destra celata da una benda sormontata da una rosa blu.


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    « Benvenuto, Nii-san... »
    mormorò quella con i capelli rosa, reclinando la testolina da un lato
    « Vieni a giocare con noi...? »

    Le labbrucce, delicate come petali di fiore, si incurvarono in un sorriso sinistro.



    Contrariamente a qualsiasi sinistra anticipazione avrebbero con naturalezza fatto presagire le parole della bimba, alla fine ogni tensione vibrante nell’aria fredda e immota del corridoio si era stemperata nella serena e rilassata atmosfera di un focolare domestico, in una delle salette al primo piano della villa,
    qualche porta più avanti.

    Vuoi per l’aspetto infantile delle due presenze, vuoi per la semplice curiosità di studiarle un po’ da vicino, l’Emblema d’Oro si era -non senza una vaga perplessità- lasciato persuadere a coglierne l’invito, e ora il trio sedeva attorno ad un tavolino sontuosamente imbandito, come buoni commensali ad un thè delle cinque.
    Eh, sì: il thè c’era davvero, così come le porcellane, l’argenteria, i dolcetti e le torte...

    peccato solo che fosse notte fonda e non più pomeriggio.

    « Altro zucchero...? »

    A giudicare dal sorriso allegro -seppur sempre sottilmente inquietante-, la piccola padrona di casa sembrava non aver compreso il fatto di trovarsi sotto l’esame di un intruso, o -se pure l’aveva fatto- semplicemente pareva non darvi minimamente bado; cinguettava spensierata come un fringuello, e non le riusciva di starsene ferma e seduta: diversamente dalla sua gemella , che aveva preso posto e non si era più mossa -al pari di un soprammobile o di parte della tappezzeria-, la Rosa Bianca si era di nuovo alzata in piedi sulla poltroncina imbottita di velluto, sperticandosi -come aveva già fatto- per offrire questo o quello all’ospite, non mancando di usare la testa della sorella come appoggio per la zuccheriera e per i suoi altri traffici.
    E tutto perché le piaceva molto quel visitatore, e per molteplici motivi: tanto per cominciare non era troppo alto, e anche nell’aspetto era più vicino all’età dei giochi, e infine -dettaglio per nulla trascurabile- aveva pure lui un occhio solo... proprio come lei!

    Ma l’idillio finì inevitabilmente in frantumi nell’attimo in cui la bimba con la benda volse d’improvviso il visetto verso l’uscita, facendo tintinnare i cristalli d’ametista che le decoravano i fermacapelli senza -tuttavia- fare neppure traballare il pezzo in porcellana del servizio che le era rimasto in equilibrio sul capo; ebbe fine nell’istante stesso in cui parlò.


    « Altri intrusi. Due... o forse Tre. Stanno per entrare nella villa. »

    Il tempo di finire la frase, e l’ospite aveva già abbandonato la tazza sul tavolo, alzandosi impettito e dirigendosi verso la porta a passo spedito -quasi di carica-, uscendo rigidamente dalla stanza, senza dire una parola e lasciando che lo svolazzo del soprabito prelevato dallo schienale frusciasse un mormorio di saluto oltre le sue spalle.



    Lo schianto acuto e cristallino -un suono puro e vibrante, di vetro che si frange in mille pezzi- rimbalzò tra le pareti delle vaste stanze della magione, introducendo come un efficace convenevole l’ospite dall’occhio blu zaffiro e i due estranei appena introdottisi in casa.

    «Ti avevo chiesto di non seguirmi, alchimista.»
    «Io...»
    «Tu, appunto. Non seguirmi.»

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    Al breve e concitato scambio di battute, se di scambio poteva parlarsi, seguì in immediato l’uscita di scena del ragazzino: un avvertimento mormorato -più simile ad una minaccia- e nessun saluto, prima che la porta d’ingresso si chiudesse sbattendo alle sue spalle.
    Quando anche quell’eco si spense, su tutto calò il silenzio... così come silente era anche la sagoma bassa e immobile di una bambina, materializzatasi in fondo alla rampa di scale senza fare alcun rumore.
    Nella penombra vellutata, l’unica cosa a risaltare della sua figura erano i giochi di luce sui cristalli d’ametista che le ornavano i capelli, l’argento opaco delle lunghe chiome, e l’oro del suo occhio impassibile e vitreo, che fissava i due con sguardo inumano e penetrante.

    Nonostante l’aria sinistra, era di una bellezza perfetta e artificiosa... tanto che sembrava una bambola.

    Una bambola sulla cui testa qualcuno aveva dimenticato una zuccheriera.


    SPOILER (click to view)
    Chiedo venia e perdono per il ritardo e per la lunghezza -spaventevole- del post Y_Y
    Adesso che le premesse sono fissate, garantisco che sarò più rapida e più contenuta per il futuro èOéì
    E ora: buon gioco! ^O^/ Divertiamoci! :hug:
     
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  3. Heart of Legend
     
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    L'aria era densa di vibrazioni emanate da intenzioni violente.
    Per quanto l'Egida potesse esservi sorda, Amaranth Lavoisier non aveva modo di tapparsi le orecchie: era una sequenza ruvida, raschiante ed infinitamente ripetuta, quasi fosse l'imitazione di una cantilena. Un suono costante che non lo aveva abbandonato nemmeno durante la reclusione nel filatterio, quel bizzarro, sacrale silenzio stentato che precede lo scontro. L'Emblema d'Oro aveva dato le spalle al salone, regalandosi qualche istante per osservare l'anta che, appena schiacciata con violenza nello stipite dal suo parigrado, stava tornando a schiudersi in uno scricchiolio sommesso. Il fu chierico del caos, adesso ospite inconsapevole del corpo del *146, era invece ritto in piedi a ricambiare lo sguardo della bambola comparsa in un refolo di tenebra sulla grande rampa di scale. Entrambi, immobili.
    «Ma che co-» esclamò finalmente il Flagello, subito interrotta dall'indice teso sulle labbra del compagno.
    Da quelle stesse labbra, una sola parola
    «Démoni.»
    sussurrata a stento.

    Il grottesco viso di bambina dell'Egida si contrasse in una smorfia perplessa,
    acuita sino al proprio massimo non appena quello, senza aggiungere altro,
    prese ad incamminarsi in silenzio verso la manifestazione.
    «Cosa fai, idiota? Torna qui!»
    Amaranth si arrestò, ma non fece accenno a voltarsi.
    «No.»
    E riprese a camminare, impassibile.
    «Non è una richiesta, associato.»
    Rincarò il Flagello stringendo il pugno contro la stele.
    «Ti ordino di tornare indietro.»
    L'uomo si voltò, limitandosi a rivolgerle uno sguardo di stoica, impermeabile indifferenza.
    «Non obbedirò ad un ordine irragionevole.»
    Salì le scale.

    ~
    Naturalmente, Amaranth non poteva sapere quali o quanti protocolli l'Egida
    stesse cercando di non fargli infrangere.
    Naturalmente, l'Egida non poteva sapere che per un coagulo di odio disincarnato e parassitario come Amaranth non esistevano protocolli che lo avrebbero trattenuto dall'ingaggiare battaglia con qualsiasi avversario, cercando quella libertà che tanto il culto quanto il filatterio gli avevano negato prima in vita e poi nella morte.

    Un ultimo, glorioso tributo di sangue e fuoco al suo dio senza volto prima della fine.
    Una richiesta ragionevole.

    ~

    Gli stivali di pelliccia arrivarono a calcare l'ultimo gradino che lo separava dal démone, senza che -ancora- entrambi avessero esalato un fiato per dare sostanza al reciproco riconoscimento. Al contrario di quel bizzarro esterno malvagio sotto mentite spoglie, Amaranth Lavoisier era un uomo capace di imporsi con la sola presenza: alto ben oltre la media e dotato di spalle in grado di dargli una solidità quasi quadrata nel suo insieme, esibiva un viso segaligno e spigoloso punteggiato da piccoli, acuti occhi infossati. I capelli, di un biondo ibrido con sfumature magenta, si ripiegavano sulla fronte in una frangia disordinata.
    Il chierico chinò il capo sulla bambola, fissandola per alcuni secondi: era tanto imbevuto di quello che gli eoni avevano concettualizzato come "male" da poterlo riconoscere in qualsiasi forma e contenitore grazie al semplice istinto. Levò il braccio in alto, spalancando il palmo come a voler afferrare quella piccola testolina di porcellana per sbriciolarla fra le proprie dita, e lo calò con insospettabile delicatezza. Afferrò la teiera poggiata sul capo della bambola e si chinò a posarla per terra, nell'esibizione di un garbo che univa il fascino del rituale al disagio dell'inadeguatezza.
    Una volta alzatosi, non più di una parola
    «Combattimi»
    ( liberami )
    e una speranza.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {bolero of the rascal flame} ▪ ▪ —



    Status ﻢ
      Fisico :: Eccellente.
      Psicologico :: Eccellente.
      Riserva :: 100%
      Consumi impiegati :: //%

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Ashen Dusk
      "I will consume every obstacle in my path"

      Il caos elementale non conosce confini, né limiti. Questa l'interpretazione della prima anima e fratello minore, cui era stato assegnato il patrocinato del fuoco: nella sua visione dell'entropia tramandata dalla divinità e perpetrata dal culto, nulla era per loro più rappresentativo del guizzo rapido, imprevedibile e crudele della lingua di fiamma. Una filosofia, quella del chierico, che lo portò presto a distaccarsi dal piacere morboso per il dolore statico e prolungato cui il fratello-nemesi era assuefatto per concedersi ad una disciplina fatta di inflizioni velocissime e precise, in grado di regalare la morte fulgida di un istante. Assorbendo questa capacità per osmosi, il *146 -se e solo se facente ricorso alla pirocinesi modellata sull'impronta dell'anima del giovane Lavoisier- può beneficiare
      di capacità di casting istantaneo. [passiva]

      Rascal Flame

      Glaciale nei modi, travolgente in battaglia: il caos calmo rappresentato dal chierico Amaranth Lavoisier ha contribuito a renderlo -come e ben più del fratello maggiore- una delle più temute figure all'interno del credo: questa deferenza reverenziale da lui ispirata, assimilabile ad una greve cappa di nero fumo tossico, è inconsciamente e continuamente riprodotta dal *146 durante la metamorfosi. Il personaggio è perennemente avvolto da una sottile nebbia grigia del diametro di cinque metri, nel cui circolo di influenza i sensi si assopiscono lievemente ed i movimenti si fanno più incerti. Alle vittime del flagello, non era concesso nemmeno un ultimo respiro prima di sciogliersi -e così è ancora, ora che la sua leggenda è tornata a vivere. [passiva]


    Note ﻢ
      Complice tanto la psicologia del personaggio quanto il mio volergli dare più "tridimensionalità" prima dello scontro, lascio la prima mossa a Bara.
      Spero non me ne vorrai.
     
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  4. Barasuisho
     
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    4 o'Clock, 4 o'Clock
    Never let me sleep...
    I close my eyes and pray
    For the garish light of day
    Like a frightened child I run
    From the sleep that never comes ♪
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    4 o'Clock, 4 o'Clock
    Out of bed I creep...
    To climb this tower of shame
    But the hour's still the same
    Only madness knows my name
    At 4 o'Clock... ♪


    La brezza notturna le scompigliò i capelli d’argento, facendo garrire laccetti e fronzoli del suo abitino e frusciare le piume delle sue ali nere; qualcosa sibilò un avvertimento al suo orecchio -più simile ad un’eco di risonanza piuttosto che un suono fisico e reale-, distogliendo l’attenzione dei suoi occhi color magenta dalla volta celeste e facendo sì che non vedesse il passaggio della stella cadente che descriveva nel cielo il suo arco incandescente.
    Scrutò per un lungo istante l’interno della casa -oltre il vano scuro della finestra aperta-, ma non la sfiorò affatto l’idea di muoversi per andare a controllare, così dette in uno sbuffo insofferente, e tornò ad assaporare la muta quiete della notte...
    il giusto sottofondo della sua follia.



    Il tonfo di passi che ascendevano per la rampa di scale risuonava all’unisono con i rintocchi dell’orologio a pendolo -che solo scandiva il contrappunto del perpetuo scorrere del tempo-, producendo un suono sordo e sommesso, attutito dalla pelliccia degli stivali e dal tappeto rosso borgogna.
    Uno dei due intrusi -quello più alto, e biondo- comparve in cima alle scale, emergendo progressivamente dall’orizzonte che l’ultimo gradino delimitava davanti allo sguardo aureo e impassibile della bambina, torreggiando ben presto su di lei come uno dei grandi giganti delle favole, e incombendo intimidatorio... non che fosse un’impresa, ad onor del vero, incombere: il metro scarso di altezza della piccola di certo non rendeva difficile una tale riuscita.

    Il bianco visetto di porcellana si volse verso l’altro, e l’occhio dorato incontrò quelli del chierico; rimasero a fissarsi per un lungo istante, in silenzio, mentre i loro sguardi si incatenavano creando una sorta di connessione, un interscambio intenso di intenti e impressioni, che rifuggiva la fissità delle limitazione che le parole avrebbero potuto definire.
    Fu anche per questo che la bambina dai capelli d’argento non si mosse quando l’altro sollevò il braccio in un gesto minaccioso: lasciò che quel palmo così grande calasse piano sulla sua testolina, rimuovendo il pezzo del set di ceramica che la sua gemella vi aveva dimenticato, per adagiarlo sul pavimento, e rimase ad osservarlo -in attesa- quando questo tornò ad ergersi nella sua statura.


    «Combattimi»

    E fu così che successe.
    Una risatina infantile, gorgheggiante e argentina come il tintinnare di campanelli d’argento, risuonò tra le pareti del salone d’ingresso, rimbalzando scompostamente e accrescendosi di echi spettrali, come fosse proveniente al contempo da ogni luogo e nessuno; la breve cantilena, recitata come una filastrocca, segnò l’inizio delle ostilità come un antico peana sui campi di battaglia.

    « Che bello il Balocco di Guerra
    Distruggi il Nemico alle porte
    Contiamo i Cadaveri a Terra

    Giochiamo alle Bambole Morte...! ♪ »


    "Combattimi".
    Quell’unica parola aleggiò aggraziatamente nell’aria con come una piuma condannata alla crudele e impietosa stretta della gravità... o come la nebbia fumosa e quasi cinerea che circondava colui che l’aveva pronunciata, ripetendosi nella sua mente insondabile come un comando o una preghiera. E lei semplicemente eseguì, meccanicamente: senza un solo cenno di assenso, senza che l’ombra di un emozione le colorisse di vita il viso di bambola, senza che si rendesse necessario esplicitare alcun sottinteso desiderio inespresso. Per non lasciare spazio all’assurdo pensiero di essere affini.

    image

    La bambina sollevò la destra, con un movimento misurato, fluido e tranquillo, poi lasciò che il suo potere divampasse: brillò di pallida luce lunare, poi tremolò nell’aria come un miraggio, e infine si stabilizzò, dando vita ad un meraviglioso cristallo d’ametista, fluttuante a poca distanza dalle sue dita diafane e sottili, affascinante nei riflessi che i giochi di luce facevano sulle sue sfaccettature.

    Ancora una volta la ragazzina non fiatò, e non staccò per un solo momento lo sguardo aureo e irraggiungibile dagli occhi dell’intruso, ora suo avversario; arretrò il braccio, ruotò un poco il busto, e proiettò in avanti il minerale in un lancio deciso: il cristallo si sarebbe mosso rapidamente, e -come tutti i sogni- sarebbe esploso in un doloroso tripudio di schegge affilate al primo contatto con la realtà.




    Why can we never go back to bed?
    Whose is the voice ringing in my head?
    Where is the sense in these desperate dreams?
    Why should I wake when I'm half past dead?
    image
    Sure as the clock keeps its steady chime
    Weak as I walk to its steady rhyme
    Ticking away from the ones we love
    So many girls, so little time... ♪



    SPOILER (click to view)
    Barasuisho
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    Fisico: Illesa
    Status: Imperturbata
    Consumi: 2/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Le Rozen Maiden sono bambole, oggetti stregati e senz’anima; per quanto sia a volte difficile ricordarlo trovandosele di fronte, esse non esseri viventi... sebbene si muovano e parlino come autentiche creature senzienti.
    Per loro intrinseca natura non emettono aura, e sono praticamente impossibili da rilevare con mezzi mirati a percepirne la particolare forma di esistenza, considerabile “vita” solo in senso lato; essendo fatte di materia inorganica e artificiale, non possiedono un sistema nervoso né di onde celebrali: questo le rende naturalmente immuni ad attacchi di genere psionico e illusorio fino al livello medio. [Abilità Passiva]

    Crystal Carnage: Creando dei cristalli di ametista dalle dimensioni di un pugno, la Bambola li solleva in aria per psicocinesi; al primo contatto con gli avversari o con qualsiasi emanazione a questi appartenente, essi deflagreranno con un’esplosione di un paio di metri di raggio, e si frantumeranno in microscopiche schegge, impossibili da estrarre con mezzi normali.
    Aguzzi ed affilati come rasoi, i cristalli penetreranno nelle carni, avvolgendo il corpo nemico in un sudario di sangue; se si frangono in viso, s'incorre nel rischio reale ed incombente di inalare le taglienti schegge, danneggiando dall’interno i polmoni in modo irreparabile, perché essi cominceranno a riempirsi di sangue, uccidendo il malcapitato con una lunga e dolorosa agonia.
    Consumo: Medio
     
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  5. Heart of Legend
     
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    Nello sguardo livido del démone riuscì a riconoscere una muta, crudele accondiscendenza. Che la memoria lo aiutasse, nessuno -o almeno, nessuno prima che il traditore lo imprigionasse nel filatterio- gli aveva mai rivolto un'occhiata simile: Amaranth Lavoisier era abituato a nutrirsi di sguardi ben diversi, fatti di crani dilavati dal fuoco e dallo zolfo le cui orbite vuote erano congelate in un'eterna, eternamente disattesa richiesta di compassione. Strinse il pugno, ancora, e stille di fuoco dorato presero a gravitare attorno alle nocche come piccole comete subito estinte nella luce di un orizzonte immaginario. Indietreggiò di un paio di passi, concedendo all'esterno un'ultimo spiraglio di quell'insospettabile, inattesa etichetta che aveva fatto propria durante le ordalie contro gli altri membri del credo, e spiegò la mano ad invito per dargli silenziosa licenza di attaccare. Il demonio non si fece attendere.
    Schiuse il palmo destro in maniera meccanica, e fu luce che gravitava sulla sua mano di bambina: un armonico contrarsi, ed un cristallo di amestista prese a galleggiare a pochi centimetri dal palmo stesso, subito contratto in un gesto di rapido accompagnamento che scagliò l'arma evocata contro il chierico, che si mosse d'istinto compiendo un balzo all'indietro.
    Mossa infelice.

    Il cristallo si frantumò a mezz'aria in una farragine di frammenti affilati, proiettati a centottanta gradi verso il suo corpo ancora stupidamente sospeso nel gesto del balzo.
    Pensieri lo aggredirono, senza alcuna ragione né alcun ragionevole riguardo.
    Pensieri, di nuovo. Pensieri non suoi.
    Che seccatura.

    ~
    Noi non dobbiamo...
    ...dovevamo, ma non abbiamo potuto
    possiamo, ma non vogliamo...
    ...dobbiamo volerlo, per il bene del
    culto, che ha ordinato l'ordalia...
    ...perché hai tradito, fratello?

    io non ho tradito.



    « Lui non ha tradito. »
    disse il vescovo del culto, sorridendo.
    « Ciò non significa che non deve morire. »
    ~

    Le scaglie gli si conficcarono nel cuoio della veste, nel parabraccia e nei cosciali, pungendolo sino a rendere le sue maniche e le sue suole zuppe di sangue. Buona parte dei proiettili, tuttavia, si era misteriosamente arrestata a pochi millimetri dall'impatto, ed aveva preso a roteare in un nugolo di polvere vetrosa che, non appena il chierico -ora atterrato- ebbe sollevato la testa per squadrare l'avversario, si accesero all'unisono in piccole vampe scarlatte di fuoco arcano, sinistramente immobili ma vivaci e pulsanti come stelle in un cielo nero e terso.
    Il ricordo -quel pensiero intruso- aveva innescato qualcosa.
    Qualcosa che non era certo gli appartenesse.

    «Non abbastanza.»
    Si limitò a sentenziare il chierico, asciutto, mentre i frammenti ora accesi del suo amato elemento venivano scagliati in uno sciame roboante verso la bambola, nella speranza di bruciarla fino ad esaurirne le giunture, la vernice e la porcellana
    in un cumulo di pasta informe.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {bolero of the rascal flame} ▪ ▪ —



    Status ﻢ
      Fisico :: Eccellente.
      Psicologico :: Eccellente.
      Riserva :: 70% (-3 bassi)
      Consumi impiegati :: 10% +20 (basso + medio)

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Ashen Dusk
      "I will consume every obstacle in my path"

      Già citata [passiva]

      Rascal Flame

      Già citata [passiva]

        The Darkest Hour per quanto il *146 si classifichi principalmente come metacreativo, non è stata rilevata alcuna evidenza della sua incapacità di esprimere il proprio potenziale psionico per altre vie, siano queste sottili come i canali illusori o dirette e brutali come la manipolazione spaziale: in questo paragrafo, si tratterà la seconda. In breve, telecinesi.
        Il personaggio è in grado di muovere/manipolare/trattenere oggetti con la sola forza di volontà e rilasciare potenti onde d'urto, ma non di applicare tale forza su di un personaggio nemico in maniera diretta (non si potrà, ad esempio, immobilizzarlo fisicamente o strangolarlo); può tuttavia essere utilizzata in difesa per ritardare-smorzare l'impatto di colpi fisici o deviare-disperdere colpi magici. Il consumo della tecnica è variabile. [basso]

        Rains of Ragnarök consacrato al fuoco arcano in ogni sua possibile, fantasiosa e tremenda manifestazione, la prima anima aveva scalato la piramide del culto in seguito al successo di diverse ritorsioni comandate lui dagli alti quadri, puntualmente risolte in un tappeto di cenere senza alcun corpo cui dedicare le lacrime. Gli adepti lo hanno visto più volte generare fiamme dalle mani o anche solo da una studiata alterazione del cipiglio, soffiare fiumi di scintillante fuoco dorato o addirittura carbonizzare i nemici del credo col tocco e strappare loro le armature di dosso dopo averle sciolte. Il crisma di cui è stato investito è il controllo del fuoco elementale in ogni sua possibile manifestazione, riprodotto dal *146 sotto forma di pirocinesi. [variabile - medio]

    Note ﻢ
      Lo scagliare i frammenti di cristallo infuocati, in realtà, è un semplice escamotage scenografico che non coinvolge un secondo utilizzo di telecinesi -anzi: in realtà, quando il personaggio blocca i proiettili con "the darkest hour" e li accende grazie a "rains of ragnarok", quelli che si limita a scagliare contro Bara sono i "gusci di fuoco" intravisti nel casting della tecnica. Il tutto per dare l'impressione all'avversaria di doversi difendere da un attacco fisico (le scaglie di cristallo) e non da una mezza pippetta semplicemente magica.
      Perdonatemi la poca chiarezza. =/
     
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  6. Barasuisho
     
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    Got a secret: Can you keep it?
    Swear this one you'll save
    Better lock it, in your pocket
    Taking this one to the grave
    If I show you then I know you
    Won't tell what I said
    Cause two can keep a secret
    If one of them is...
    dead…♪



    Quante cose si nascondono nel silenzio di uno sguardo.
    Quanti significati inespressi, quanti desideri senza speranza,
    quanti segreti inconfessabili... una cacofonia di emozioni capace di assordare, se solo si avesse la volontà -la sensibilità- di prestarvi ascolto; come una barriera protettiva e una maschera invalicabile per chi osserva il mondo dal di là di quell’impalpabile muro di cristallo. Uno scudo... ma anche una prigione.

    Suo padre Enju l’aveva creata per il suo desiderio di rivalsa su Rozen, per tacitare il suo complesso di inferiorità verso il Maestro a cui aveva sempre guardato con invidia... e lei -ubbidiente- aveva abbracciato quel destino che le imponeva di misurarsi nel Gioco di Alice -contro le
    figlie del rivale- per una battaglia non sua, perché vincendo dimostrasse la superiorità del suo demiurgo come artigiano e alchimista.
    Affinché non vacillasse e non divenisse preda di inutili esitazioni o ripensamenti le era stata apposta la benda sull’occhio destro, perché ne sigillasse ogni emozione, e lei aveva lasciato che succedesse senza opporsi; così aveva continuato a condurre la sua esistenza, andando avanti eseguendo gli ordini che le venivano impartiti, compiendo quel che le veniva detto.

    Esattamente quello che aveva fatto anche questa volta.

    L’intruso le aveva detto di combattere, e lei aveva agito per assecondarlo di conseguenza, ma non era stato solo per quella sua perpetua remissiva apatia che si era mossa all’istante, con tacito consenso e tanta solerte determinazione.
    Era stato per qualcosa che aveva visto negli occhi di quello straniero.
    Qualcosa che sembrava averla convinta che anche colui che le stava davanti dovesse conoscere la connaturata mancanza di libertà e l’anelito d’oblio come una liberazione... oppure, non si trattava di null’altro che di un’interpretazione fallace, frutto ingannevole della proiezione dei suoi stessi pensieri più nascosti: forse vedeva nell’altro solo il riflesso di ciò che non osava desiderare per sé.

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    L’esplosione del cristallo viola tornò a focalizzare la sua attenzione sulla realtà più concreta della battaglia; scintille d’oro erano comparse attorno al pugno dell’intruso, come falene danzanti al lume di una candela, ma ben poco avevano compiuto per difendere il loro padrone dalla raffica di schegge affilate che l’avevano scelto come bersaglio: con l’intento di arretrare -nel tentativo, forse, di evitare l’assalto- l’umano (?) aveva finito per divenirne più facile preda, ammantandosi con una progressiva e ineluttabile rapidità di un pesante e appiccicoso sudario rosso cremisi.
    ...o, almeno: questo era facile pensare vedendo il sangue spandersi per le vesti del giovane, ora riverso sul pavimento del pianerottolo.
    Molti dei frammenti di vetro sembravano essersi bloccati a mezz’aria per poi adunarsi in una nube ribollente, e quando l’uomo senza nome sollevò il volto dai ricchi arazzi intrecciati nella trama del tappeto, essi cominciarono ad ardere e splendere come le fatue fiamme che solo poche altre volte aveva potuto ammirare, guizzanti, feroci e fameliche.

    «Non abbastanza.»

    Quella semplice e ruvida constatazione fu l’unico convenevole che anticipò l’arrivo della rappresaglia: la piccola nebulosa di lucciole fiammeggianti le si avventò contro, e la bambola emanò ancora una volta il suo potere, lasciando che un monolite di ametista sorgesse intorno a lei, per racchiuderla sottovetro come una bestia rara in piena esposizione.
    I frammenti impattarono la superficie spessa del cristallo, in parte frantumandosi con un tintinnio argentino e finendo sul tappeto, in parte conficcandosi nella superficie liscia e luccicante, scheggiandola... ma non era momento di perdersi in indugi, contemplando il mondo da quel sacro baluardo: mentre le fiamme generate dall’aura avversaria si dissipavano, neutralizzate dalle energie che permeavano quella teca viola, la ragazzina scattò in avanti.


    « . . . »

    Il feretro che la circondava si lasciò attraversare dalla sua figuretta come fosse stato fluido, e mentre una lama d’ametista si concretizzava nella sua piccola e graziosa mano, ella si addentrò a passo di carica nella densa nube che circondava il suo avversario; lo avrebbe trovato, lo avrebbe raggiunto, e avrebbe sferrato un fendente orizzontale, un tondo roverso preciso ed impietoso che sfruttasse il divario d’altezza tra loro per assaporare le carni del ventre molle, con l’intento di aprirvi uno squarcio, per srotolare i suoi intestini come splendidi nastri di un rosa vivo e intenso.



    SPOILER (click to view)
    Barasuisho
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    Fisico: Illesa
    Status: Risoluta
    Consumi: 6/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]

    Amethyst Coffin: Questa pratica permette assai semplicemente di creare all’istante uno o più costrutti di cristallo viola dal suolo, il cui effetto si esaurisce nello stesso turno di evocazione, alla fine del quale le pietre vanno in frantumi; estremamente resistenti, le stalagmiti possono essere assai versatili e letali se sapientemente impiegate, in quanto hanno la particolarità di lasciarsi attraversare dalla Bambola e dalle sue armi, costituendo però una solida barriera a qualsiasi corpo estraneo.
    Tuttavia, essa rappresenta il non plus ultra delle tecniche difensive, permettendo a Barasuisho di rinchiudere se stessa in una bara di cristallo fatta interamente di ametista; la gemma, resa dura e resistente dall’afflusso di aura, la protegge dalla maggior parte degli attacchi.
    Consumo: Variabile > Medio

    Spada d’Ametista: Barasuishou può emanare qualsiasi tipo di solido cristallino -vetro compreso- per psicogenesi direttamente nella propria mano, modellandolo a piacimento e nelle forme che desidera, con il semplice impiego –oltre che delle proprie energie- della sua volontà, ricreando oggetti, quali armi o altri utensili, come si trattasse della più stupefacente magia di evocazione; sua più tipica abitudine è quella di ricreare una o due spade fatte di cristallo d’ametista, incredibilmente robuste e dal bordo mortalmente affilato -che durano 2 turni.
    Di una bellezza perfetta e commovente, la creazione d’ametista può venire fusa al corpo del combattente -se questo è ciò che egli desidera- per divenire un prolungamento del suo braccio.
    Consumo: Medio
     
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  7. Heart of Legend
     
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    Il fuoco arcano andò a piovere sulla figuretta di quel grottesco démone di porcellana, cozzando contro una superficie minerale traslucida sorta dalle vecchie assi per inglobare il suo protetto in una teca invulnerabile che ne congelò lo sguardo assente nel proprio cristallino. Una beffa, probabilmente; in realtà, un muto, preliminare scoprirsi dei reciproci intenti. La gamba gli pulsava per le schegge confitte all'altezza del polpaccio, e la sensazione della pianta che aderiva ad una patina di sangue nero stesa sopra la suola lo infastidiva: soppresse il dolore in uno stringersi convulso del pugno, che richiamò un secondo baluginare di scintille cenerine tutt'intorno le nocche. Così come lui, le sue indirette manifestazioni
    stavano perdendo colore, sbiadendosi.
    Ancora, pensieri. Li maledisse a denti stretti, stendendo il destro
    ad invito del mostro in carica.

    ~
    La stanza era umida ma spaziosa. Nell'androne si respirava un miasma dolciastro, che saturava i polmoni sino ad occluderli salvo l'arrivo provvidenziale di uno starnuto. Avanzò con passo svelto attraverso la navata centrale, le lunghe vesti di panno di seta che si torcevano inquiete nella sua corsa. Tutt'intorno a lui, uomini in uniforme nutrivano adepti vestiti di sola tela di sacco e corda con una polvere maleodorante, che versavano con l'aiuto di piccole palette in delle ciotole da delle grosse gerle adagiate in terra. Qualcuno dei disgraziati lo chiamò per nome. Scarlet.

    « Scarlet! »
    Scarlet. Il traditore.
    Suo fratello.

    Il vescovo rideva sguaiatamente,
    inebriato dalla droga.



    « Scarlet. »
    ~

    La spada di ametista attraversò la nube, fendendola.
    Prima che il filo potesse strisciargli sul fianco, il chierico oppose all'arma il palmo aperto della mano sinistra nel tentativo di arrestarne la corsa. Non urlò. La lama aprì uno squarcio che arrivò a grattare le ossa, e l'impatto gli lussò l'articolazione della spalla, unica responsabile deputata ad incassare il colpo. Non urlò. Aveva dimenticato come dare avvio allo sfogo, e cosa potesse accadere quando - e perché - gli uomini aprivano la bocca per gridare. Il filatterio lo aveva addormentato, riducendolo ad uno strato di dolore superficiale spalmato su di un'intelaiatura vuota.
    Il ricordo del fratello lo aveva ucciso, ancora.
    Definitivamente.

    Tentò di afferrare il braccio della bambola con la destra libera, abbassando
    lo sguardo quanto bastava per incrociarne il grande bulbo di vetro.

    «Non fa male.»
    Bisbigliò casualmente, aumentando la stretta.
    «Non abbastanza.»
    Le assi tremarono; dalle crepe cominciarono a sfilare
    volute di fumo nero.



    «AMARANTH, NO!»
    Esclamò l'Egida del Leviatano, anticipandone le intenzioni.
    Anticipandole troppo tardi.

    Il pavimento si crepò, spezzandosi: dalle stesse fondamenta dell'edificio sorse una colonna di autentico magma, che sommerse entrambi prima ancora che il Flagello potesse terminare la propria imprecazione. La furia del fuoco arcano scavò la propria strada sino al soffitto, creando una voragine sulle assi del pavimento del piano superiore
    che rovinò in una pioggia di detriti e calcinacci.

    «Gra..zie...»

    Dopo,
    ( finalmente )
    silenzio.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {bolero of the rascal flame} ▪ ▪ —



    Status ﻢ
      Fisico :: Profondo squarcio alla mano sinistra, inutilizzabile; spalla lussata; diversi tagli
      di bassa entità sul torace e gravi ustioni diffuse su tutto il corpo.
      Psicologico :: Rassegnato.
      Riserva :: 30% (-4 bassi)
      Consumi impiegati :: 40% (alto)

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Ashen Dusk
      "I will consume every obstacle in my path"

      Già citata [passiva]

      Rascal Flame

      Già citata [passiva]

        Ominous Blight cuna delle arti più crudeli del chierico, più o meno fedelmente riprodotta dal soggetto in maniera grezza ma assolutamente efficace: se Amaranth Lavoisier imponeva il palmo al terreno per far scorrere dalle palme stringhe di inchiostro incantato che si allacciavano in uno stigma elementale sotto la vittima per arderla viva, il *146 ne riproduce l'effetto nella propria mente per dare sfogo ad una risonanza metacreativa che interpreta l'immagine nella sua più genuina distruttività, dando vita ad un continuo sollevarsi
        di colonne di fuoco. [variabile - alto]

    Note ﻢ
      Ho eseguito un cosiddetto "subisci e mena", incassando l'attacco di Bara nella speranza di trattenerla e - complice la passiva di istant casting - coinvolgerla nella mia tecnica di immolazione.
     
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    .
  8. Barasuisho
     
    .

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    Goodbye.
    So I've said too much
    and not enough...



    Negli istanti che scandiscono il passaggio dalla vita alla morte i battiti del cuore del mondo sembrano scorrere sempre più rarefatti, sospesi senza peso nello spazio
    come ali colorate nell’ipnotico volo delle farfalle.
    ...e mentre si avvicinava come una falena alla fiamma vitale di quell’esistenza umana, in qualche modo attirata da quella luce di brace quiescente -che sarebbe potuta divampare in un attimo, divenendo la sua fine-, i colori erano le sole cose che il suo occhio aureo e spento di ogni vitalità seppe trattenere in quei momenti di concitazione: il grigio denso e avvilente del fumo, il viola etereo e nostalgico dell’ametista, il cuoio brunito del guanto...
    Poi il rosso del sangue e il bianco delle ossa.

    Lo sconosciuto dallo sguardo spento aveva frapposto la mano spalancata all’avanzare della lama, e il bordo affilato del cristallo non aveva mostrato alcuna esitazione nel valicare la barriera costituita dalla stoffa, penetrare la fragile pelle e baciare le profondità della nuda carne; la ragazzina assaporò quella sensazione senza entusiasmo, ma al grattare del minerale contro la resistenza delle calcificazioni non fece eco nessun grido né alcun singulto di dolore, e così anche quel momento di vita che sboccia in fiori scarlatti scivolò via, attraversandola senza lasciare alcuna impronta del proprio passaggio su di lei: era solo un'altra battaglia senza senso, dopotutto...
    Solo altro dolore inferto e ricevuto unicamente perché così era stato ordinato.

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    Quando percepì la stretta di quella mano -enorme rispetto al suo braccio sottile di bambina, troppo calda e troppo umana per la sua sostanza artificiale- solo allora Barasuisho sembrò tornare presente a sé stessa: con un leggero sussulto riemerse dalla tabula rasa della sua interiorità, e sollevò il volto di scatto, facendo oscillare scompostamente i capelli bianchi come la neve che cade; la presa dell’avversario si fece più forte.

    «Non fa male. Non abbastanza.»

    La prima cosa che le sorse spontaneo replicare furono delle scuse, ma quell’impulso istintivo fluttuò tra le idee senza mai divenire azione, e rimase intrappolato al di là dello specchio d’oro del suo sguardo, sigillato nella linea delle labbrucce morbide.
    Silenziosa come una bambola, lei tacque, incatenando gli occhi impenetrabili a quelli del chierico: non ebbe bisogno di vederle per percepire le assi di legno della casa tremare sotto i suoi piedi, piagnucolando scricchiolii sinistri sempre più acuti e striduli mano a mano che una ragnatela di crepe si allargava su di loro; per un lungo istante fu tentata di non muoversi dalla sua posizione: l’idea di finire annichilita e di poter consequenzialmente smettere di combattere riusciva a toccare con carezze lascive una parte di sé che non sapeva -non poteva permettersi- di possedere...
    Per questo, una frazione di secondo più tardi, si trovò risoluta a combatterla e reprimerla con forza.

    Quando il fumo scuro ed acre cominciò a fuoriuscirne in dense volute, il tempo degli indugi giunse al termine: era momento di agire, per questo -con la maestria che solo la pratica sa conferire- la bimba si preparò ad eseguire la sua manovra di fuga, l’unica che avrebbe potuto rappresentare per lei la salvezza e la sopravvivenza... pur non priva di sacrificio.
    Le dita agili si mossero rapide, accompagnandosi a leggeri e sapienti gesti del polso, e la spada di ametista -ancora impugnata dall’arto immobilizzato dall’avversario- compì una rotazione attorno al fulcro statico costituito dalla manina diafana: Barasuisho passò il controllo dell’arma alla mano rimastale libera, e l’arco della lama di cristallo la condusse all’intersezione del braccio con il tronco, sotto l’ascella, a recidere la giuntura per permetterle di disimpegnarsi.


    «Gra..zie...»

    « E’ stato un piacere. »
    mormorò in risposta, con voce piatta e senza un sorriso

    Ma aveva perso troppo tempo in inutili tentennamenti -o, semplicemente, l’umano era troppo veloce per lei-, e quando la colonna fiammeggiante eruppe sotto i suoi piedini, non ebbe nemmeno l’opportunità di provare ad allontanarsi arretrando con un balzo: finì investita da tutta la crudele e vorace violenza del fuoco, ma priva dell’ancoraggio che la stretta del suo avversario compiva sul suo braccio, vincolandoli, fu sollevata dall’impeto ruggente dell’incanto e sbalzata via.
    Precipitò al suolo qualche metro più in là, percorrendo per inerzia alcuni gradini della scalinata principale prima di arrestarsi immobile, bruciacchiata e fumante, sulla sezione del ricco tappeto; l’occhio dorato, sbarrato e fisso.


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    E lì giacque, come una bambola morta.


    SPOILER (click to view)
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    Barasuisho

    Fisico: Braccio destro sacrificato per tentare di limitare i danni; investita in pieno dalla colonna di fuco
    Status: Priva di sensi
    Consumi: 6/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]
     
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  9. Suiginto
     
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    Il Tempo è un pazzo che sparpaglia della polvere;
    la Vita, una Furia che butta fiamme.



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    Schiamazzi concitati -come avvisaglie di bagarre- distolsero l’attenzione degli occhi color magenta dalla contemplazione del placido cielo notturno, spingendola a volgere la testolina argentata verso la finestra e a tendere distrattamente le orecchie per captare il suono argentino del cristallo quando va in frantumi.
    Ma non fu che il pensiero di un istante: subito dopo scrollò le spalle e tornò ad osservare la luna, mentre nemmeno la sfiorava la preoccupazione che le sue sorelle più piccole stessero bisticciando tra loro per qualche motivo o fossero piuttosto in difficoltà di fronte alla minaccia di qualche stupido umano introdottosi nella villa con cattive intenzioni: insomma, a lei non poteva interessare di meno; che se la sbrigassero da sole.
    L’incolumità delle sue sorelle non era cosa che la riguardasse.

    D’un tratto, il tetto su cui se ne stava appollaiata come un pigro rapace notturno tremò con violenza, disegnando ragnatele di crepe sulle tegole e liberando nell’aria intricati arabeschi di fumo; poi, una colonna di fuoco eruppe sotto di lei.



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    Quando l'inferno si fu dissipato, la sua discesa all’interno del pozzo tetro e afoso che la colonna di magma aveva scavato nell’edificio la condusse al ballatoio affacciato sull’atrio della casa, in cima alla grande rampa di scale; in qualche modo, la piccina era riuscita ad evitare gli effetti più disastrosi della fiammata, ma non tutti... come testimoniava il fil di fumo che si levava dalla punta di alcune piume delle sue alucce nere. L’incolumità delle sue sorelle non era un suo problema...
    ma la propria -accidenti- sì!
    Atterrò con leggerezza, planando dolcemente in mezzo ai ruderi di quello che -fino a non più tardi di un’ora prima- era stato l’ingresso vuoto e silenzioso di una casa signorile, passeggiò con grazia sul corrimano dove gli stivaletti avevano trovato appoggio, e cominciò a percorrerlo in perfetto equilibrio, senza vacillare; infine, incrociò le braccia al petto e abbracciò ognuno dei presenti nella morsa ostile ed indignata di un’occhiata decisamente torva.
    -nel complesso, la bambina dai capelli d’argento sembrò anche piuttosto buffa, a dirla tutta-

    « Chi è stato? »


    SPOILER (click to view)
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    Suigintou

    Fisico: Incolume
    Status: Stizzita
    Consumi: 10/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]
     
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  10. Heart of Legend
     
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    Ricordava...
    Poteva avvertire le bruciature allargarsi sulla pelle e scavare sino ai muscoli, mettendo a nudo ciò che solo il dolore poteva risvegliare - ciò che solo suo fratello e assassino, Scarlet, ricordava a sua volta.
    Gli ordinarono di ucciderlo, ma lui non eseguì.
    Il suo primo, ultimo ed unico rifiuto rivolto ai dogmi del credo.
    Mentre le strisce di magma macinavano brandelli di carne attorno alle braccia ed ai polpacci
    sino a scioglierli lasciandoli colare lungo le ossa,
    ricordava.

    Li drogarono, entrambi.
    Il soluto lo indebolì a tal punto da renderlo fragile, manipolabile. Il vescovo lo venne a trovare nella cella poco prima dell'ordalia, condizionandolo con una lenta, lugubre litania ripetuta a fior di labbra
    contro il suo orecchio sanguinante per le percosse.

    uccidilo.
    uccidilo.
    uccidilo.
    uccidilo.
    uccidilo.
    uccidilo.
    uccidilo.


    Chiuse gli occhi. Le orbite vuote si riempirono di lacrime subito evaporate
    dall'inferno che lo circondava.
    Lo aveva ucciso.

    Cadde all'indietro, inconsapevole. Avvertiva gli invisibili artigli del regalia che bramavano la sua coscienza vigile come falene che si avvicinano ad un fuoco intenso, arcuando le piccole, irsute zampe di insetto. Si sentì trascinare nel vuoto, e - mentre affondava - ebbe la certezza di essere stato sfiorato da qualcosa che emergeva a suo discapito. Cercò di afferrarlo, senza riuscirci. Non aveva più mani per stringere né più occhi per piangere.

    «AMARANTH!»
    pigolava una debole eco nella sua testa, ormai esauritasi.
    Il suo ripetersi cantilenante, come rifranto contro le pareti invisibili del suo ego assopito, giunse
    a creare una nitida risonanza con l'ultimo ordine impartito dal vescovo.



    Finalmente, morì.

    [...]

    La nube di fumo nero che aveva fagocitato l'intero accaduto si disperse come se fosse appena occorsa una grande esplosione silenziosa. Nel punto focale di questa, dove poco prima c'era un cadavere carbonizzato, ora si presentava un uomo sottile e leggermente curvo con lunghissimi capelli albini e piccoli occhi cattivi. Il volto allungato, le profonde occhiaie e le dita affusolate gli davano l'aria di una grossa mantide.
    Proiettò il braccio destro verso l'esterno, e quanto poco rimaneva del pulviscolo e dei detriti venne spazzato via come se obbediente ad un comando che non aveva bisogno di parole. Il nuovo venuto fissò la bambola alata con avido interesse, inchiodandone il viso di porcellana con le iridi di un giallo felino. Dal suo sorriso sghembo, sembrava
    ben deciso a raccogliere la provocazione.

    «Scarlet.» cinguettò, in una breve risata allucinata. «Scarlet è stato, mia dolce; ma non preoccuparti...»
    L'uomo congiunse le palme all'altezza del petto, chinando il capo. In obbedienza a quella gestualità rituale, strie argentate di nuovo, più letale elemento presero a vorticargli intorno sino a spandersi in trecentosessanta gradi di gelo impenetrabile. La patina di ghiaccio arcano corse forsennatamente sino alla scala, divorandola e abbarbicandosi - finalmente - al corrimano: se il piccolo démone non fosse riuscito a sollevarsi per tempo, ne sarebbe rimasto inevitabilmente invischiato all'altezza delle cosce come un uomo affondato nel permafrost della tundra. Esaurito quel particolare flusso di mana elementale - la cui fedele riproduzione, per quanto nessuno ne fosse cosciente, era costata al *146 un notevole sforzo - il chierico-emblema si sarebbe avvicinato alla bambola in corsa, caricando un grosso pugno diretto al cranio. Il pugno di uomo adulto, avido di vita ed arrabbiato con l'intero universo contro un sottile strato di legno e ceramica.
    Poco prima di vibrare il colpo, poche parole.
    Sottili e schiacciate fra i denti, come
    il sibilo della serpe in caccia.

    «...sono certo che saprà farsi perdonare!»

    Alle loro spalle, l'Egida inorridiva.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {minuet of the long-lost blight} ▪ ▪ —



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    Status ﻢ
      Fisico :: Eccellente.
      Psicologico :: Eccellente.
      Riserva :: 80% (-2 bassi)
      Consumi impiegati :: 20% (medio)

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Diamond Sunrise
      "I will not yield."

      Il caos elementale conosce la propria massima espressione nel particolare, in un'istantanea di dolore da poter rivedere e rivivere fino a saziare la propria fame. Questa l'interpretazione della seconda anima e fratello maggiore, cui era stato assegnato il patrocinato del ghiaccio: nella sua interpretazione della mistica del culto, nulla era per loro più rappresentativo di una lacrima congelata attraverso cui ripercorrere le evoluzioni del tormento ivi intrappolato fino all'apice che ne ha portato la cristallizazione. Al contrario del fratello, che adempieva con abnegazione ai suoi compiti di flagello, Scarlet Lavoisier si era reso celebre per le sue doti di interrogatore: gli bastava uno sguardo per indurre il gelo nell'anima, e non più di dieci minuti per estorcere qualsiasi tipo di confessione -vera o falsa che fosse. Li congelava, li spezzava e ne scioglieva i resti di fronte ai loro occhi; quando non confessavano, si diceva, congelava e scioglieva persino quelli. Un freddo, il suo, che travalicava persino il concetto del suo elemento: uno spregio, una malignità tale da averlo irrobustito nell'esercizio delle crudeltà più raffinate, esercitate per tanto tempo ed in tanti modi da averlo reso straordinariamente resistente. [passiva]

        Riverbed of Styx Forte della suggestione indotta dal filatterio estinto, il *146 concentra un picco notevole della propria energia metacreativa nel palmo della mano destra, schiantandolo in terra nel dipanarsi di una spessa, rapidissima cortina di ghiaccio: questa si apre a ventaglio lungo una traiettoria di sei metri, e -come una pianta rampicante- si inerpica sui piedi, i polpacci e le cosce dell'avversario al solo scopo di impedirne o rallentarne i movimenti. Come la tecnica gemella in possesso della prima anima, gli effetti di questo arcano riprodotto possono essere prolungati in due turni di gioco, diminuendone sensibilmente l'efficacia. [medio]

    Note ﻢ
      Le mie scuse per il ritardo occorso.
     
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  11. Suiginto
     
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    Generalmente, ciò che detestiamo negli altri
    lo detestiamo perché lo sentiamo nostro.
    Non ci danno fastidio i difetti che non abbiamo.



    L’oscura e pesante cortina di denso fumo, che ancora si librava pigra nell’aria riarsa dell’atrio al suo arrivo, venne d’un tratto dispersa come da un colpo di vento, e gli occhi scarlatti della Prima Bambola indugiarono fieri e agguerriti sul fulcro di quella gelida folata; non appena la visibilità fu ristabilita, le iridi color magenta ne trovarono la genesi nella forma scialba e sgraziata di un umano dai lunghi capelli nivei.
    E lei gli umani li odiava.

    Mentre il suo sguardo e quello dell’intruso si incatenavano in un confronto silenzioso, la piccola storse il nasino con evidente tedio e arricciò le labbra con plateale e rimarcata repulsa, prima che un sorrisetto diabolico e affilato -non meno perfido di quello dell’albino-, ne vivisezionò la figura con sguardo impietoso, alla ricerca di qualsiasi imperfezione fisica che ne avrebbe avvalorato la tesi -già decisa a priori- di considerarlo solo un piccolo, patetico e disgustoso rifiuto organico.
    E trovò riscontro nella postura curva, nella corporatura emaciata, nel volto allungato, nelle occhiaie livide e nelle dita ossute.

    Insomma: che brutto.

    «Scarlet. Scarlet è stato, mia dolce; ma non preoccuparti...»

    Il solo suono della sua voce la infastidì.
    Si trattava di un’antipatia a pelle, non propriamente legata al suo interlocutore in particolare quanto a tutto il disprezzo che nutriva per la categoria e il loro essere solo un rozzo involucro di carne, abbracciando un più ampio excursus di brutte esperienze vissute da lei stessa e di brutti ricordi di quanto accaduto alla sua padrona.
    I movimenti rituali compiuti dell’umano le provocarono insofferenza per la loro disarmonica esecuzione, ma la resero anche guardinga e concentrata su ciò che stava per accadere -e che, era in grado di percepirlo, sarebbe accaduto-: l’umano aveva congiunto le mani, e barbagli di lucido e gelido argento si erano manifestati in reazione al comando, danzandogli attorno come un corteo di lucciole in festa e intessendo l’incanto, dilagando ovunque nell’androne, spandendo gelo lungo la loro scia, e cristallizzando le assi di legno del pavimento e le fibre del tappeto sotto un sudario bianco e greve, di una bellezza crudele.

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    Essersi lasciata distrarre dallo spettacolare fascino del cristallo, e sopraffare dal lontano ricordo di aver già assistito a meraviglie del genere, non fu privo di conseguenze; sebbene avesse creduto di essere in salvo nella sua posizione (al sicuro, in cima al suo trespolo), troppo tardi si ritrovò a dover accettare che così non era: il ghiaccio ricoprì gli stivaletti, arrampicandosi su per le caviglie, avvolgendo le solide spire attorno alle ginocchia e inghiottendo anche le cosce nella sua morsa paralizzante.
    Ben conscia del fatto che non sarebbe comunque servito, sorpresa e vagamente incredula, la bambola assecondò il naturale istinto di dimenarsi; come preventivato, il costrutto glaciale non allentò la presa e a lei non riuscì di muoversi di un millimetro.

    Imprigionata come una pivellina.

    Gli avrebbe fatto scontare pure questa.
    Non riusciva a pensare ad altro mentre il giovane dai capelli candidi copriva la distanza tra loro a passo di carica, scivolando con rapide falcate sul pavimento gelato, serrando le dita a pugno e caricando il colpo, mentre il suo sibilo saccente le giungeva alle orecchie.


    «...sono certo che saprà farsi perdonare!»

    Paradossalmente, la nuova ondata di ostilità che sentì montarle dentro la riportò indietro dal confine dell’irritazione, ricomponendo sul suo viso perfetto una maschera imperturbabile e sorridente: la consapevolezza di non voler concedere a quell’insignificante umano alcuna soddisfazione sembrò restituirle tutta la sua cinica lucidità.

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    « Ti ridurrò a un rottame! »

    Così -ostentando una calma glaciale- lo rimbeccò,
    folle e affilata come una deliziosa bambola assassina...
    poi, si preparò a riceverlo.


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    Suigintou

    Fisico: Bloccata nel ghiaccio
    Status: Agguerrita
    Consumi: 10/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]
     
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  12. Kirakisho
     
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    Clock on the wall,
    I will keep your hands from turning
    Or this night will end too soon...♪



    ...ma il Destino -o chi per lui- sembrava avere in mente altri piani.
    Scricchiolii fruscianti e sibili sferzanti furono il preavviso giunto ad annunciare l’azione, così come era usanza per i corni da guerra mugghiare prima della carica sui campi di battaglia: in un istante tralci di rovi -rovi bianchi- si dipanarono nell’aria, sfrecciando in direzione perpendicolare all’umano, pronti ad intercettarlo al cospetto della bambola vestita di nero per costringerlo così ad allontanarsi rinunciando all’assalto o a rischiare l’impalamento sui rigidi viticci coronati di spine.

    Percorrendone a ritroso la sinuosa lunghezza, cercandone con lo sguardo l’origine la si sarebbe trovata nella bianca manina della bambola abbigliata di malva e ametista, rimasta inerte sul pavimento a qualche metro di distanza... e certa sorpresa avrebbe destato lo strano spettacolo di cui fu protagonista: con movimenti malfermi -lenti ed esitanti- la piccola trovò la forza necessaria per rigirarsi prona e far leva sulle braccia e le ginocchia per mettersi carponi, mentre la sua immagine tremolava come il riflesso in uno specchio d’acqua percosso da un susseguirsi di increspature.
    Poi altri rovi l’avvolsero, issandola in piedi mentre trasfigurava.

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    La benda ornata dalla rosa blu cadde dall’occhio destro -svelando l’iride d’oro al di sotto-, i capelli acquistarono sfumature delicate passando dal freddo bianco perlaceo al rosa zucchero filato, e persino il vestiario mutò per adattarsi alla nuova forma che la bambola stregata stava assumendo: la stoffa stinse dal viola lavanda al candido rosa pastello -arricchendosi di ricci, trini e merletti ben più vezzosi-, e i cristalli di ametista dei fermacapelli caddero al suolo infrangendosi in schegge viola mentre le rose di tessuto viravano dal blu al bianco, generando piccoli rovi spinosi come nastri.

    Dall’orbita sinistra, al posto del bulbo vitreo dell’occhio aureo, sbocciò una rosa bianca.

    « Non è ancora tempo che tu scenda in campo, mia nera Sorella maggiore… »

    La sua voce dolce e melodiosa redarguì la bambola dai capelli d’argento, ma l’occhio dorato non lasciò mai la figura dell’umano, mentre -sorridente come un piccolo adorabile angelo malefico- si ergeva in tutta la sua moderata altezza, per rivolgergli la parola.

    « Non ti va di giocare con me, Nii-san...? ♥ »


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    Kirakishou

    Fisico: Incolume
    Status: Cinguettante come un fringuello
    Consumi: 8/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]

    Nido di Rovi: Lunghi fino a 10 metri ciascuno, questi bianchissimi tralci spinati si dipartono direttamente dal corpo della Rozen Maiden come rovi da una rosa; possono muoversi secondo il suo pensiero come vivi tentacoli snodati in tutto il tutto il loro raggio d’azione, sono evocabili in un massimo numero di 4, e permangono in gioco per 2 turni -a meno che non vengano congedati prima.
    Consumo: Medio
     
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    .
  13. Heart of Legend
     
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    Ricordava...
    Erano stati svezzati dall'incenso di un falso dio.
    Il vescovo, che li aveva accolti entrambi - "fratelli", ricordava, anche se non di sangue - sin dalla loro più tenera età non aveva fatto altro che imbottirli di bugie. Una più grave dell'altra.
    Non esisteva nessun dio, né alcun culto lui dedicato. La chiesa del caos non era altro che una pericolosa combinazione di squilibrati, mercenari e schiavisti itineranti, votata ad accrescere le proprie fila attraverso la sottoposizione degli adepti ad una droga rilassante che li rendeva facilmente manipolabili da chiunque avesse per sé abbastanza carisma da tentare l'impresa. Di ritorno da un interrogatorio, aveva assistito per caso ad alcuni gerarchi che somministravano il soluto ad una classe di dodici bambini,
    trascinandoli nel gorgo di quella deità posticcia con
    il ripetersi angoscioso di una cantilena.

    Una cantilena di cui gli sembrò possibile catturare la eco, mentre una nuova luce
    si schiudeva nella stanza assumendo la forma di bianchi viticci spinati.

    «...»
    Il silenzio mentale che accompagnava il chierico durante ogni combattimento gli impedì di frenare il pugno: conservando abbastanza senno da arrestare la corsa appena prima di rovinare nel groviglio di tralicci, Scarlet accompagnò il braccio coinvolto all'indietro con un movimento di spalla ben calibrato, lasciando che il pugno - ormai caricato - si sfogasse nel vuoto. Sotto la superficie parassitaria e frizzante di magia oscura del regalia, tuttavia, il *146 stava già mettendo in moto le proprie capacità latenti per venire in soccorso di quel corpo che aveva smesso di appartenergli.
    Un lampo di lucidità in un oceano di buio e voci.

    «ahahAHahaAHaAHAHHHAH!»
    La cinesi del fu emblema di ossidiana deflesse l'intrico di rovi incantati con una breve esplosione, appena percettibile grazie ad uno sfocarsi improvviso e violento dello spettro visivo. I tralicci, dispersi dal colpo, si divisero appena prima di trapassare il chierico, impegnato nel vomitare a colpi di tosse gli scampoli della sua ultima, agghiacciante risata.

    «Ah..aah..ah.»

    Sollevò lo sguardo di scatto, lasciandolo scivolare dalla bambola intrappolata sino alla nuova, più tremenda apparizione spettrale: la droga lo aveva dilaniato a tal punto che, in un momento di folle consapevolezza, si intristì nel realizzare di non ricordare se e quando fosse mai stato timorato del sovrannaturale. Di certo, da bambino - e ne aveva una solida sicurezza - aveva avuto ben più da temere dei fantasmi.
    Il tono lezioso e trascinato del secondo démone lo infastidiva. Gli ricordava sé stesso quando tormentava i prigionieri del culto prima di consegnarli alla giustizia del vescovo.

    «...Scarlet non è mai stato così.»

    Borbottò trasognato, forse giustificandosi di fronte ad un condannato senza nome.

    «...mai, non avrei mai voluto. Mai.»

    Confessò, fissando l'occhio della bambola con insistenza. Il passaggio dalla terza alla prima persona
    lo confuse a tal punto da dipingergli in volto un'espressione sinistra, alienata,
    capace di rendere il suo ghigno da cavalletta
    ancora più affilato e pericoloso.


    «...»

    Portò il braccio davanti a sé con insospettabile grazia, facendo schioccare pollice ed indice in maniera tanto esperta e rumorosa da bucare l'aria come un colpo di pistola. Il pavimento di ghiaccio evocato per trattenere la prima bambola si frantumò appena un secondo più tardi, le schegge pilotate da un gesto dimesso a velocità folle verso la nuova minaccia. Sarebbero scattate dal basso, convergendo sulla disgraziata come i raggi di un cerchio si connettono inevitabilmente al proprio centro assegnato. La geometria, come la vendetta, richiede calcolo e grande costanza: così, ad una vita e diversi anni - decadi? - di distanza, il chierico Scarlet stava consumando la propria accanendosi contro un nemico sconosciuto, dipingendogli in volto
    la maschera di tutti i suoi aguzzini passati.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {minuet of the long-lost blight} ▪ ▪ —



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    Status ﻢ
      Fisico :: Eccellente.
      Psicologico :: Confuso; frustrato.
      Riserva :: 40% (-2 medi)
      Consumi impiegati :: 40% (medio + medio)

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Diamond Sunrise
      "I will not yield."

      Resistenza +50%, già citata. [passiva]

        The Darkest Hour per quanto il *146 si classifichi principalmente come metacreativo, non è stata rilevata alcuna evidenza della sua incapacità di esprimere il proprio potenziale psionico per altre vie, siano queste sottili come i canali illusori o dirette e brutali come la manipolazione spaziale: in questo paragrafo, si tratterà la seconda. In breve, telecinesi.
        Il personaggio è in grado di muovere/manipolare/trattenere oggetti con la sola forza di volontà e rilasciare potenti onde d'urto, ma non di applicare tale forza su di un personaggio nemico in maniera diretta (non si potrà, ad esempio, immobilizzarlo fisicamente o strangolarlo); può tuttavia essere utilizzata in difesa per ritardare-smorzare l'impatto di colpi fisici o deviare-disperdere colpi magici. [variabile - medio]

        Silent Dirge Una crepa sulla superficie del silenzio, in grado di allargarsi nel prodursi di numerose schegge. Agitando casualmente la mano, il chierico-fantoccio disturba il cristallino molecolare del ghiaccio creato sul campo con un fine esercizio di telecinesi, facendolo così esplodere in nugoli di frammenti affilati ciascuna sua propaggine precedentemente evocata. [variabile - medio]

    Note ﻢ
      Le mie scuse per l'immenso ritardo occorso.
     
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    .
  14. Kirakisho
     
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    ‘Cause Love itself
    is just as innocent as roses in May
    It is pure white... just like Sin...♪



    Il sibilare dei rovi risuonò autoritario e acuto nell’aria come un segnale di fermo che intimasse l’Alt ; interrotto sul più bello, al giovane dai lunghi capelli candidi non restò che coordinare le sue fragili membra di carne per contrastare lo slancio che si era impresso nella carica, nel tentativo di tornare padrone del suo corpo all’interno di quello spazio, che non faceva altro che continuare a mutare,
    riservandogli sempre nuove -sgradite- sorprese.

    L’occhio aureo della bimba lo vide contrarre buffamente i muscoli, e un senso di compiacimento la colse nel vedere il pugno andare a vuoto, lontano dalla sua diletta sorella maggiore; stava appena chiedendosi se ciò gli sarebbe bastato ad evitare i bianchi tralci spinosi -che viaggiavano spediti contro di lui al pari di lance- quando la risposta precedette il suo pensiero, manifestandosi improvvisa e violenta come una due esplosioni.


    «ahahAHahaAHaAHAHHHAH!»

    La prima fu quella della sua risata: folle -molto simile alla propria- ma chiassosa e sguaiata -e ciò non andava bene!
    La seconda -praticamente contemporanea- si sviluppò lungo la strada dei suoi viticci, generando un sfarfallio luminoso che ne sfaldò la congiunzione, deviandone la traiettoria... ma non abbastanza da far sì che il chierico scampasse del tutto al loro doloroso abbraccio.


    ««Ah..aah..ah.» »

    L’albino tossicchiò la conclusione della sua risata convulsa,
    e solo dopo sollevò di scatto il volto per volgerlo nella sua direzione,
    riservandole un’occhiata secca e penetrante.


    «...Scarlet non è mai stato così. ...mai, non avrei mai voluto. Mai.»

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    Quando finalmente le parlò, tuttavia, il senso delle sue parole sembrò così oscuro da risultarle divertente, e la bambina dai capelli rosa come lo zucchero filato gli sorrise con tutta la sua candida dolcezza infantile... quella che poteva ispirare, e che sapeva replicare in una perfetta imitazione.

    « Allora la piccola Kira è molto contenta che il Nii-san Scarlet abbia fatto qualcosa di speciale solo per lei...! ♥ »

    Il giovane uomo dagli occhi d’oro levò il braccio innanzi a sé, portandolo elegantemente a schioccare le dita con fare teatrale, e -in risposta a quell’azione- la superficie liscia e fredda del cristallo, che aveva rinchiuso la bambola nera in una trappola di ghiaccio, si ricoprì di una ragnatela di crepe, prima di esplodere in un tripudio di briciole ialine...

    In vero, sarebbe incorretto dire che
    esplose, perché ciascun letale frammento si mosse con la coordinazione di un proiettile -scagliato con mira e cognizione di causa contro ad un bersaglio preordinato-, piuttosto che con la furia cieca di una scheggia impazzita: a grande velocità, i pezzetti di vetro gelato conversero sulla Rosa Bianca, e lei si preparò a farvi fronte come poteva.
    Kirakishou richiamò indietro i rovi con uno strattone, e quelli risposero come serpi solerti e ubbidienti al comando loro impartito di disporre le bianchissime spire a protezione della fanciulla... ma -per quanto i viticci fossero snodati e coriacei, e la loro protetta piccola e poco ingombrante-, almeno la metà delle munizioni la raggiunse, picchettando impietosa sul suo corpo artificiale e incidendo dolorosamente segni scabrosi e sgraziati sul suo involucro. Nei canoni umani, quella sarebbe stata una ferita
    lieve.

    ...ma era stata comunque abbastanza profonda da indispettirla e amareggiarla.
    Quell'umano... e anche la sua adorata sorella maggiore: perchè la respingevano sempre con freddezza?
    Lei voleva solo giocare insieme a loro, infondo...
    Quando i rovi decaddero -rinsecchiti e ormai distrutti dai danni subiti-, svelandone nuovamente la figuretta e offrendola alla vista, la piccola era in ginocchio, con le lunghe chiome rosa pastello che le scavalcavano le spalle sottili, celandole il viso minuto e grazioso.


    « Mi hai fatto male, Nii-san... »
    pigolò, mesta ma tremendamente seria, scoccandogli un’occhiata di rimprovero

    La bambola sollevò il volto, per trafiggerlo con l’occhio colore dell’ambra, e mentre un sorrisino affilato e folle le arcuava le labbrucce rosee e delicate, ella rimase accoccolata sul pavimento... che ora -nel raggio di 10 metri- andava ricoprendosi di un tappeto di splendide rose bianche.
    I loro effluvi dolcissimi e intensi non erano mai stati più insidiosi...

    Perché lo avrebbero armoniosamente condotto per mano verso un’onirica landa di Nulla.


    SPOILER (click to view)
    Kirakishou
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    Fisico: Incolume
    Status: Cinguettante come un fringuello
    Consumi: 6/10 Bassi

    Vuoto Simulacro: Assenza di Aura | Resistenza alle Illusioni | Resistenza Psionica [Già citata]

    Nido di Rovi: [Già citata - Secondo e Ultimo Turno]

    Essenza di Rose: Infondendo nel terreno il proprio potere, la bambola può far fiorire dal nulla -su qualsiasi superficie- un tappeto di rose bianche e spinose in un raggio di 10 metri; il profumo che si innalza da questi bellissimi fiori è semplicemente meraviglioso, dolcissimo e letale: difatti, la fragranza inibisce a poco a poco, senza traumi, i sensi e le percezioni dell’avversario, avvelenandolo e inducendolo ad assopirsi, preda di oniriche allucinazioni. L’odore obnubila la percezione della realtà per un intervallo di 2 turni.
    Consumo: Medio
     
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  15. Heart of Legend
     
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    La risata gli si spezzò in gola, rifluendo oltre il pomo d'adamo con l'asprezza di liquido bilioso. Con la gola scottata, gli fu impossibile rimbeccare il piccolo, sfrontato démone che lo stava sfidando con alterigia: quel sorriso appena accennato, conteso fra il superficiale e il compassionevole, era tanto evidente ed offensivo da fargli quasi male. Per Scarlet Lavoisier, un allucinato che sul volto del proprio prossimo non aveva mai letto altro che odio cementato nella morte gelida da lui inflitta e muto, supplichevole orrore, un'espressione simile aveva abbastanza forza da strapparlo dal proprio contesto per scaraventarlo in un confronto alieno. Contrariamente a quanto si crede degli squilibrati - contrariamente, certo, di quanto i "fratelli" credevano del torturatore - molti di loro si aggrappano a delle manie sulle quali costruiscono, mattone dopo mattone, il castello del proprio angoscioso ma ordinatissimo sancta sanctorum. Sottratta una di queste pietre angolari - foss'anche il disprezzo di un prigioniero torturato fino alla consunzione - il santuario si sgretola: e così come si sgretolò nell'apprendere della trama del vescovo - di cui, è ironia, entrambi avevano preso il nome di Casa - si lasciò attraversare da invisibili vibrazioni per quel semplice, sfrontato sorriso blasfemo.
    Come l'epicentro di un terremoto,

    ( « Allora la piccola Kira è molto contenta che il Nii-san Scarlet abbia
    fatto qualcosa di speciale solo per lei...! »
    )

    la sua lucida follia si incrinò sino quasi a spezzarsi,
    consumando una catastrofe invisibile agli occhi di tutti.

    «Mi hai fatto male, Nii-san... »
    Non rispose. Si limitò a rimbeccare il pigolio imbronciato dell'entità con un raglio rorido e fondo, nel tentativo di raschiare quella stessa gola riarsa alla ricerca del veleno che da sempre lo aveva animato. Avvertì i germogli sbocciare nel ghiaccio in una sequenza di acuti tanto perfetta da apparire premeditata, e si concesse un istante per passare in esame la stregoneria: aveva una propria filosofia riguardo i fiori, di cui invidiava la capacità - propria ad alcuni - di schiudere e serrare i petali attorno al pistillo. L'idea di raggomitolarsi in una corona di sfoglie colorate e luminose in grado di proteggerlo dal mondo aveva mantenuto viva quella parte di sé ancora non completamente obnubilata dalla droga del credo, alimentandola negli sguardi di quei pochi che, ad insaputa del vescovo, lasciava fuggire dai sotterranei nei propri momenti di lucidità. Perfino nello sguardo del fratello Amaranth, nel cui piglio severo, appena prima della fine, giurò di aver intravisto
    un barlume di comprensione.

    «E' vero.» tuonò una voce grigia alle spalle del chierico.
    «E' vero.» rincarò, poggiandogli la mano
    sulla spalla intrisa di sangue secco.

    Le dita del fratello lo strinsero con gentilezza, invitandolo a voltarsi.
    Amaranth Lavoisier si ergeva alle spalle del chierico in tutta la propria considerevole altezza, proiettando un'ombra abbastanza generosa da inghiottirlo ed allungarsi sino alla bambola fluttuante.
    Il chierico raccolse la mano nella propria, scuotendo il capo.
    «Scarlet pensa che non lo meritiamo.»
    bisbigliò, in un anelito di contrizione.
    «Non meritiamo di vivere in questo corpo.»
    «Liberiamocene, quindi.»
    sentenziò il Flagello, portando anche la sinistra a congiungersi
    nelle mani del fratello albino.
    «Insieme.»
    «Insieme.»

    L'Egida e la bambola non videro che un uomo parlare fra sé e sé, rispondendo concitatamente ad un interlocutore immaginario. Scarlet vide gli elementi suoi e del fratello intersecarsi e respingersi, avvolgendolo in un tifone di trama apolare abbastanza forte da scavalcare i paletti imposti dall'illusione e manifestarsi ai convitati - complice il *146 - in tutta la propria oscena rivoluzione. In quel turbine di energie caotiche e prive di identità, quanto rimaneva dell'anima dei due fratelli - imitando gli elementi loro consacrati - si incontrava per poi respingersi e disperatamente cercarsi l'ennesima volta.
    Una inspiegabile, affascinante



    dissincronia.

    La confusione di identità costrinse il *146 a rielaborare quei contrastanti imput metacreativi in qualcosa che non era mai stato processato né dall'una né dall'altra anima assorbita: un colosso taurino, quasi demoniaco nel suo presentarsi, completamente ammantato da refoli e spire di caotica energia turbinante. La creatura, ancora ubriaca del polline delle rose avversarie, corse per la sala sfondando muri e colonne, sfrondando arazzi ed ululando una nenia di lamenti incoerenti.
    Alla piccola non rimaneva che sperare
    di non rimanerne travolta.

    SPOILER (click to view)

    — ▪ ▪ {minuet of the long-lost blight} ▪ ▪ —



    image
    Status ﻢ
      Fisico :: Lievi ferite sulle spalle e lungo gli avambracci. Stremato.
      Psicologico :: Risoluto.
      Riserva :: 0% (-2 medi)
      Consumi impiegati :: 40% (alto)

    Equipaggiamento ﻢ
      ///

    Abilità impiegate ﻢ
      Diamond Sunrise
      "I will not yield."

      Resistenza +50%, già citata. [passiva]

        Gateways of Slumber un prolungato periodo di osservazione e campionamento dati ha rivelato che, per quanto il soggetto possa essere fisicamente duttile ma mentalmente resiliente rispetto all'influenza esercitata dal REGALIA, esiste un non ancora ben definito punto di rottura: se sottoposto ad un forte shock emotivo (si veda sopra) o ad una dose generosa di dolore -meglio se improvviso e concentrato, la metacreatività innesca un meccanismo di difesa che porta la capacità di adattamento/metamorfosi del *146 a deragliare dai binari prestabiliti dalla pietra ed evolversni in un mutamento repentino e mostruoso, che trasforma il disgraziato in un cumulo agonizzante e titanico di solida materia oscura. In termini di gioco, il personaggio subirà una metamorfosi prolungata per due turni totali durante i quali beneficierà di un PU alla forza pari a medio. [consumo alto - img]

    Note ﻢ
      Avendo raggiunto lo 0% di energie totali, il personaggio è destinato a perdere i sensi all'inizio del prossimo turno; spero mi scuserai questa ultima forzatura, a beneficio - se così vogliamo - di scenografia.
     
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29 replies since 11/4/2010, 18:30   1418 views
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