Malcapitare

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  1. Pòlleo Giazàstri
     
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    Altrove. Tomba del Re.

    Conficcò, al culmine della rabbia, il pugnale nel libro.

    ~

    Endlos. Pianura sud-est di Pentauron.

    Cozzò il culo da qualche parte, voltò il capo di lato e rigozzò.
    Mentre i pezzi di cibo del primo conato finivano di scendergli per la gola, gli ciondolò la testa, perse l’equilibrio, per puntellarsi gettò una mano al suolo riuscendo così ad evitare di rotolarsi nel proprio vomito; ma sotto il palmo avvertì qualcosa che di tutta prima, nell’improvvisa foga del rigettare, aveva ignorato, qualcosa che, lì, non avrebbe dovuto esserci. Aveva gli occhi appannati, ottenebrati dalle lacrime, la testa enorme, granitica, vuota, dolorosissima.
    Stese la mano e tastò con maggiore accuratezza per sincerarsi di non essersi ingannato, ma quella che stava accarezzando, senza ombra di dubbio, era erba fresca. La seconda constatazione che urtò contro la sua convinzione di essere ancora nella tomba fu rendersi conto che una luce copiosa e onnivaga gli trapassava le palpebre ferendogli gli occhi. La terza, che una leggera brezza gli arieggiava il viso provato dagli sforzi.
    Con la mano libera si deterse il sudore, si strofinò il viso e fece schermo presso la fronte; poi, titubante, sbirciò oltre le palpebre.
    Dapprima non vide nulla, ma subito dopo due grandi macchie andarono delineandosi, una verde l'altra azzurra, e infine, man mano che riprendeva confidenza con l'uso della vista, percepì sempre più nitidi i contorni di ciò che lo circondava. Non che fosse gran che, a dir la verità. Ma, in ogni caso, lo disturbò, come se non avesse potuto fidarsi a sufficienza degli altri suoi sensi e avesse bisogno di una ulteriore conferma.
    Si levò in piedi con decisione.
    Volse il capo a destra e a sinistra e il suo sguardo incontrò solo una distesa erbosa che correva in ogni direzione fino all'orizzonte, salvo per essere interrotta, dritto davanti a lui, dalle sagome scure e remote di quelli che, dalla distanza, parevano edifici, e, nella fattispecie, edifici notevolmente grandi.
    Aveva di che essere stupito, in effetti, visto e considerato che l'ultima cosa che si ricordava era di aver piantato, in un impeto di estrema furia, il proprio pugnale nella serratura del libro – pugnale che si trovava ai suoi piedi e che si chinò a raccogliere, mentre invece del libro non riuscì a scorgere nessuna traccia. Dopo il suo gesto inconsulto, sì, forse c'era stato un fulmineo interminabile attimo di vuoto, come mai ne aveva sperimentati prima dall'ora, lui così incline a fare di ogni inclinazione una pianura dove la gravità poco aveva da comandare.
    La serratura, evidentemente, serviva a qualcosa, anche se solo l'idea di un libro incatenato continuava a riuscirgli indigesta. A proposito, decidendo che era giunta l'ora di allontanarsi dai poco gloriosi resti del suo ultimo pasto, che avevano iniziato a spandere tutt'attorno un fetore niente affatto invitante, mosse i primi incerti passi – aveva le gambe deboli e l'andatura barcollante – nella direzione di quell'agglomerato di imponenti costruzioni.
    La consapevolezza di non sapere assolutamente dove si trovasse in quel momento lo disorientava e lo rendeva inquieto. Che il libro lo avesse scaraventato da qualche parte, era chiaro; ma se si fosse trovato dentro il libro? L'angoscia che tale ipotesi gli ispirava era stemperata, inaspettatamente, da una contentezza quasi febbrile. Quella, per lui, avrebbe potuto tramutarsi in una sfida dell'intelletto. Perché in quel momento, se nulla attorno a lui né in lui stesso poteva confermare se fosse stato fatto di parole, neppure nulla, a rigor di logica, poteva affermare che non lo fosse.
    E l'idea lo elettrizzava.




    SPOILER (click to view)
    La scena è, almeno per il momento, riservata a Daeniem.
     
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  2. Raylek
     
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    La carovana procedeva lenta sotto al sole. Quattro carri, trainati dal doppio dei cavalli.
    A cassetta stavano cinque uomini. E un goblin.
    Erano in strada da parecchio tempo e la polvere accumulata sulle fiancate, sul pelo degli animali e sulle giacche degli uomini ne era verace testimonianza.

    Ehi, laggiù!
    aveva gridato una voce, dal primo veicolo del piccolo convoglio
    Tutto bene?

    Evidentemente il fatto che il viandante appiedato sembrasse vagamente disorientato, nei suoi movimenti incerti ed a scatti, non doveva essere passato inosservato.
    O forse, poteva essere stato per altro.. forse per il rimasuglio di energia che i passaggi da un multiverso all'altro lasciavano dietro di loro.
    O forse perchè finire fagocitati dal Maelstrom è qualcosa che, a molti su Endlos, è capitato prima, e sanno vederne traccia negli altri.

    Dite di no?
    Bhe, come volete.


     
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  3. Pòlleo Giazàstri
     
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    Non era ancora molto che camminava, eppure non a sufficienza, se l'andatura poté farsi segnale del suo dissesto, quand'ecco che un fragore dapprima lontano iniziò a farsi sempre più prossimo, e tanto più si avvicinava, tanto più aumentava in corposità e nitore. Non ebbe bisogno di voltarsi. Il rumore fu sufficiente a rendergli chiaro cosa si stesse facendo presso. Tuttavia, tale la virtù della sua curiosità inquisitrice da indurlo a voltarsi, di modo che già da tempo aveva scrutato i quattro veicoli ben prima che questi fossero arrivati alla sua altezza. E qualcosa, anche da lontano, lo aveva colpito. Aveva riconosciuto, nelle cinque figure delle vetture posteriori, altrettanti uomini, ma era lo strano essere della vettura principale – quella che gerarchicamente denunciava già tutta la sua primazia – ad aver attirato la sua attenzione e, se vogliamo, il suo disappunto.
    Si trattava di una creatura minuta, dalla statura di un bambino, ma dalla muscolatura che all'avvicinarsi scoprì rattenere meno della mollezza dell'adolescente di quanto avesse immaginato, cedendo invece alla nervosa compattezza di quegli strumenti ben oliati tipici di coloro che fanno anche dei muscoli il gancio alla sopravvivenza. Il naso, al pari delle orecchie, era lungo e acuto come un sillogismo, completamente fuori proporzione – e gli parve ridicolo fantasticare se una tale esuberanza non fosse stata ricompensata con una altrettanto grande menomazione, una piaga dell'olfatto e dell'udito, come per un derisorio contrappasso. Sebbene gli occhi di quella creatura gli apparissero indistinti nella lontananza, non avrebbe esitato a giurare sulla loro irrequieta vorticante mobilità. Ignorava perché quelle grandi orbite gli suscitassero tale impressione; forse, complice era la bocca, solcata da un sorriso di ironica furberia. I capelli che gli diramavano dal capo erano argentei e raccolti in viticci di ordinate treccine, legate in un'unica coda, e la sua pelle era verde.
    Verde! Ne aveva viste, lui, di cose, ma di un essere che poteva alla lontana rassomigliare a un uomo, e che avesse la pelle verde, mai gli era capitato di incontrarne, mai, neanche di leggerne, e sì che i libri erano la sua rovina – e il fatto stesso che si trovasse lì, in quella pianura, dinnanzi a quell'essere inaudito, ne era la più verbosa testimonianza –, tanti ne aveva consumati! Ma di un essere verde, verde!, mai, mai ne aveva letto! Una rivoluzione nell'immaginario stesso che informava la radice del suo pensiero! Un essere verde! Ma soprattutto, un essere verde, verde e senziente! Poiché nessun animale, per quanto di mirabile intelligenza, potrà mai ridere – e sorridere, poi! Ma verde!, verde!

    Una distrazione lo sgorgò dai suoi pensieri – una voce, la voce di un uomo. Incolore, ma agitata da una leggere apprensione.
    «Come dite?» interloquì lui, poi si fece un attimo pensoso, come per ritrovare il filo di un ricordo che sta dietro l'angolo.
    «Tutto bene?...»
    Fece scorrere lo sguardo lungo l'arco della carovana.
    «Non credo, almeno – non proprio», e ripensò al cibo rigettato, e a tutto il resto. «Non so dove mi trovo.»
    Li guardò.
    «Non è che potreste darmi qualche informazione?»
    E l'attenzione era ancora tutta per la creatura.

     
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  4. Raylek
     
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    Il primo carro si fermò stridendo, piano; i cavalli, purtroppo però, sembravano non apprezzare.
    Il più vicino al ciglio della strada polverosa, infatti, a froge dilatate, roteava indietro le orecchie quasi stizzito, graffiando a terra con uno degli zoccoli dei quarti anteriori.
    Avrebbe nitrito il suo disappunto, se non fosse stato per l'uomo seduto a cassetta accanto al goblin, che diede uno strattone alle redini prima che l'animale potesse esporre le sue rimostranze.

    Anche le altre vetture avevano arrestato, in quegli attimi, la loro marcia.

    Certamente.

    il goblin sorrideva, cordiale, sperando in fondo al suo cuore che le sue manifestazioni di cordialità non finissero, come più o meno sempre accadeva, ad intimorire quel ragazzo.
    Troppi denti in una bocca, e troppo aguzzi, fanno spesso cattiva impressione.

    Non è così raro, sai, quello che ti è capitato.
    Sei finito in una terra che i suoi abitanti chiamano Endlos. Un accozzaglia di luoghi differenti tenuti insieme... bhe... dal caso.

    il pelleverde ancora sorrideva, incoraggiante.
    Possiamo accompagnarti in città, se può interessarti l'offerta...

    Accompagnando le parole ad un cenno del capo, il goblin seduto in cassetta, agghindato alla stregua di un lavorante di bottega tra i più classici, stava indicando all'orizzonte la grossa distesa nera delle sagome dei palazzi.
    La città, quella città. Una città grande come un'intera regione : un quarto di Endlos.
    Il Pentauron.

     
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  5. Pòlleo Giazàstri
     
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    Uno stormo di rapidi uccelli attraversò il cielo mandando suoni che si spersero nelle lontananze.
    Mentre la creatura parlava, un rèfolo troppo gelido per la stagione spirò dalle loro spalle gonfiando vestiti e trascorrendo in mezzo ai carri.
    Àpulo rabbrividì. Quel sole non pareva raggiungerlo.
    I suoi occhi persero il fuoco dell'oggetto su cui erano fissati.

    «Temo... di non capire,... o di non afferrare compiutamente. Non sarei dunque più nella mia terra, e insomma questo era chiaro, ma...», parve cercare le parole «neppure sarei ancora nel mio mondo. È questo che mi dite?»

    Lo guardò con fermezza: «Certo, voi nel mio mondo non ci siete, ma questo non è di per sé un elemento probante.
    Potrei snocciolare una catena di altre spiegazioni tutte altrettanto possibili, a partire da quella per cui siete voi, e non io, a essere capitato troppo lontano da casa.»

     
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  6. Raylek
     
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    Il goblin annuì, continuando a sorridere cortese alle parole del povero spaesato viaggiatore nolente.

    Così dico, sì. Questo non è più il tuo mondo, qualsiasi esso sia stato.

    Comprendeva il panico e l'angoscia del momento. Il senso di vuoto, profondo, come se la terra fosse strappata via, a viva forza, da sotto ai piedi.
    E' come cadere, senza muoversi. Come essere privati dell'ossigeno, del respiro, pur avendone attorno in quantità, il fiato mozzo dentro alla gola.

    Lasciò con pazienza che il giovane desse quindi suono alle sue angosce, mentre i cavalli, impazienti, sbuffavano. Alcuni di loro, più mansueti, si erano a buon gioco adattati invece alla situazione, brucando con noncuranza i ciuffi di erba su cui riuscivano a mettere bocca, sporgendo i colli oltre il ciglio della strada.

    Ancora una volta, poi, il pelleverde annuì.

    E' vero. Potrei essere io a trovarmi oltre il mio giardino.
    Purtuttavia considererei anche il fatto che io, in questo momento, trovo familiare a me tutto ciò su cui posso posare lo sguardo.
    Tu, al contrario, giudicando dall'espressione che ti si vede stampata in faccia, fai fatica persino a credere che sotto ai piedi hai l'erba.
    Eppure ci sei sopra.


    Diede un attimo di tempo alle sue parole di morire nell'aria, prima di continuare oltre.

    Fidati di me, ragazzo.
    Non sei più a casa tua. Quello che hai alle spalle è il Pentauron. Lo stato delle Torri.
    Siamo diretti là. Puoi scegliere se credere a ciò che ti circonda facendoci compagnia fino in città, o se restare qui sbigottito a fare chissà che fine solitaria.

    La scelta è solo tua.




    Edited by Raylek - 8/6/2010, 00:38
     
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  7. Pòlleo Giazàstri
     
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    «Non non sei nel tuo giardino? Sei nel tuo giardino? Ma questo che significa? Potrebbe semplicemente che casa mia è troppo lontana per aver sentito parlare di te, e di questa Pentauron, senza dover postulare un intero altro mondo in cui sarei capitato mah, così! Per una gratuita-fortuita coincidenza!
    L'aria è più densa, l'erba meno verde. Sembra pure che qui si stia peggio. Che i cavalli siano più stanchi, o più irrequieti. Che si debba giocare a chi li sa spaventare di più, a chi la briglia la sappia tirare con più nerbo. A me a questo gioco mi piace giocare. E dimmi, come potresti dimostrare quello che dici? Dov'è la sua logica, se il mio rasoio la può tagliare? Come posso esperire che questo sia un altro mondo, se non solcandolo in ogni suo punto finché del mio paese non ne avrò scorta neanche una traccia? Finché ne avrò fatto il periplo e mi sarò detto per casa mia non c'è strada? Come potrò sapere di non essere a casa finché casa non avrò non trovato? Sono tutte prove negative, quelle che puoi portare! Puoi sempre dirmi che questo non è ancora il mio mondo, ma non mai che questo è un altro mondo, perché non puoi farmelo abbracciare tutto, e farmi vedere che casa non c'è!»

     
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  8. Raylek
     
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    Il sorriso che colorava il volto del goblin era cambiato, divenendo a mano a mano che la filippica del giovane andava sgranandosi sempre più un sogghigno da gatto.
    Dietro al pelleverde, anche l'uomo a cassetta sembrava spaesato da quelle tante parole che riempivano l'aria, ma era come se non intendesse - per qualche oscura ragione personale - darlo a vedere.

    Ciccio, tu mi stai veramente simpatico.
    Personalmente trovo assolutamente degni del mio rispetto quelli che non credono per principio a quello che gli viene detto da mostriciattoli verdi perfettamente sconosciuti...


    Il goblin piegò la testa di lato, leggermente, dando a tutta la sua figura una posa piuttosto strana, in qualche modo fanciullesca.

    ...quindi, volendo, puoi pure continuare a predicare per il resto della mattinata, ma questo non cambierà le cose.
    Ti posso garantire - parola d'onore - che qualunque fosse il tuo mondo no, non è più quello dove sei ora.

    Se poi tutto quello che ti basta per credere alle mie parole è cominciare a girovagare qui e là per i Presidi, bhe, accomodati.
    Con il carretto noi arriviamo fino al Pentauron, e poi da lì a Rivenore.

    Se vuoi venire, c'è posto anche per te.

    E due.
    Stavolta però, forse tanto valeva offrire anche un incentivo alla scelta.

    Possiamo anche continuare il discorso strada facendo, eh.



    Edited by Raylek - 8/6/2010, 00:39
     
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  9. Pòlleo Giazàstri
     
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    Amava gli idioletti.
    Quelle particolari misture di parole con cui gli uomini – e, a guardar bene, non solo loro – tentano di parlare del mondo, e con cui finisco per parlare di loro stessi. Le apostrofi, poi, erano le sue preferite, perché in esse riverbera l'intero singolare sguardo metafisico con cui ogni parlante guarda il mondo, e con cui quindi ogni ascoltante può tentare di leggere quello altrui.
    E lui in quell'esserino leggeva uno sconfinato amore per tutto ciò che è mobile e acuto, una dedizione per tutto ciò che è piacevole, divertente e frenetico, e un culto al dinamismo quale universale oppositore a quanto è quiescente, acquiescente, statico, immobile. Ad Àpulo non era certo sfuggita in quel ciccio l'irriverente carica polemica né tanto meno la precisa volontà di contravvenire a quei triti divieti che per il pelleverde dovevano rappresentare il puzzo di quanto è polveroso. Il quale al contrario doveva amare il rischio, l'audacia, l'agilità, l'ironia, la risata, tutto ciò insomma che denota un movimento, una capacità di azione mentale e fisica, la scelta di non mai arrestarsi né di mai riposare. Chissà, forse denotava l'intera sua specie, se specie avesse avuto alle spalle, quell'incapacità a frenarsi, quella divorante ansia di velocità.

    «Mh...»

    Mentre pensava si era messo a fissarsi i piedi. Con un calcio spostò di lato un sassolino che seguì distrattamente con lo sguardo rotolare lontano. Ogni alternativa che soppesava non gli pareva più vantaggiosa, né meno rischiosa; sapeva per istinto che in quel frangente l'alea non era meno impietosa che imperscrutabile, ma sfortunatamente non si era mai considerato un buon giocatore, ma quello in cui era bravo, lui, era arrampicarsi sulle situazioni.
    Cosa che avrebbe fatto, se vi si fosse stato costretto.

    «Accetto il tuo invito, mio piccolo amico, ma – come posso chiamarti?»
    Poi, con una mano piantata in mezzo al petto:
    «Io, per voi, posso essere Àpulo.»

    Si avvicinò alla creatura e, invitato, si issò nella carretta e le si sedette accanto.
    Un pizzicotto nel ventre gli ricordò che il suo stomaco, mercé la vomitata di poco prima, era contrariatamente vuoto, e allora gli parve opportuno domandare se per caso in quella carovana disponessero di cibo. Poi, squadrando con fare inquisitorio la magrezza del compagno di viaggio, aggiunse, caustico:
    «Sempre ammesso che tu ne faccia uso, del cibo.»

     
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  10. Raylek
     
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    Il piccolo metaumano scoccò al suo nuovo vicino di vettura uno sguardo salace, ammiccando e ampliando ancor di più, se possibile, il suo sogghigno.

    Magari sei uno di quelli che pensa si possa viver d'amore...
    gli stava dicendo, dopo aver armeggiato per un po in una sacca che gli stava alle spalle, floscia sul cassone del carro, per poi porgergli con l'unica mano che aveva un pezzo piuttosto grosso di carne salata essiccata.

    I miei amici mi chiamano Forge.
    continuò, per rispondere alla domanda che gli era stata rivolta.

    Solo allora, ricevuto un cenno d'assenso piuttosto sbrigativo, l'uomo con le redini diede un brave colpo, facendo scattare in avanti i cavalli, che si rimisero in marcia lenti, forse leggermente svogliati.
    Partita la prima vettura, anche le altre la imitarono entro brevissimo.

    Dimmi un po, come lo chiamate il tuo mondo?



    Edited by Raylek - 8/6/2010, 00:39
     
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  11. Pòlleo Giazàstri
     
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    Detestava le pietanze salate, ma fu comunque grato per quella carne essiccata.
    Il pane, e dell'acqua, si sarebbero rivelati gli emollienti congeniali; ma gli parve di aver già troppo abusato della gentilezza del suo ospite, quindi si limitò a ringraziare e a mangiare con generose boccate quanto gli era stato offerto. Il cibò sparì così subitamente nella sua bocca che la creatura accanto a lui, dopo aver dato intesa di ridare abbrivio ai cavalli, non aveva ancora terminato di esporgli la sua curiosa domanda.
    Apulo, fissando assorto i cavalli davanti a sé, si concesse qualche secondo per riflettere. Quando ebbe deglutito anche l'ultimo boccone, aprendo le braccia con fare stupito, disse:

    «Non saprei... Dipende da cosa intendi per mondo: la mia realtà, no, quella un nome non ce l'ha; ma ci sono, in compenso, stati, nazioni, continenti, e quelli sì, hanno il loro nome. Ma, Forge – »

    Si interruppe di colpo, come se avesse perso le parole sotto la spinta di un'intuizione inappellabile.

    «Forge... Mh...», esitava come se si stesse rigirando per la bocca quello strano nome. «È singolare: in almeno una lingua del mio mondo, forge è una parola dotata di significato. Nel vostro idioma ha un senso?»

    Ora una inquietudine febbrile gli lampeggiava negli occhi improvvisamente folli.

     
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  12. Raylek
     
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    Il viso del goblin si accese ancor di più di un sorriso sghembo, brillante; più o meno l'effetto che si potrebbe ottenere gettando una tanica di benzina sul fuoco.
    La punta del lungo naso del pelleverde sembrava fremere leggermente.

    Guardò il ragazzo appena salito in cassetta, con l'aria di chi doveva saperla davvero lunga.

    Non vedo perchè non dovrebbe averne.
    Quando era più giovane, il mio tutore di allora mi ha spiegato che, all'inizio, tutte le parole hanno avuto un senso specifico. E' con l'andare del tempo che poi perdono il collegamento con la loro radice.


    Solo un infinitesimo attimo basto al pelleverde per far mente locale al ricordo di Kaule, alle lezioni che gli impartiva. Tempo e luogo erano così lontani da lì.

    Mi chiamano Forge perchè sono un fabbro, ragazzo.E, sì..
    disse, anticipando una delle possibili domande che a quel punto, in genere, gli venivano rivolte.
    ..un fabbro con un braccio solo.



    Edited by Raylek - 8/6/2010, 00:39
     
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  13. Pòlleo Giazàstri
     
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    Dunque non si era ingannato.
    Nelle due lingue, i significati della parola forge coincidevano, il che equivaleva per lo meno a dire che le due lingue in realtà erano una. O due perfettamente somiglianti. Ma allora tale strettissima parentela sterrava la strada a molteplici ipotesi. La prima – quella che giudicava meno probabile – era che le due lingue si fossero sviluppate in parallelo e indipendentemente l'una dall'altra; tuttavia, postulando che una lingua è un prodotto socio-economico-antropo-culturale, una simile fioritura esigeva come minimo una simile pianta, vale a dire necessitava di una congiuntura tale che le due società genitrici dovessero risultare fortemente somiglianti. La seconda ipotesi gli suonava più accettabile, soprattutto prendendo per vero quanto il pelleverde aveva sostenuto – e si sorprese non poco a scoprirsi sussumere quell'idea bizzarra. Ma se tra le due realtà – le due realtà! – intercorrevano continui commerci, per quanto, poniamo, non voluti, allora tali scambi potevano agevolmente dare ragione di siffatta linguistica geminazione.
    Ora, però, il baricentro della questione si trovava a cadere altrove: quale delle due lingue aveva dato origine all'altra? E se fossero stati i coloni del suo mondo ad aver ereditato la loro lingua, di cui andavano così giustamente fieri, da lontani e dimenticati fratelli?

    L'elucubrazione durò solo lo spazio di qualche istante, giusto quell'esiguo lasso di tempo che intercorse tra la conferma delle sue supposizioni e la nuova sorpresa che seguì le parole di Forge. Si chiese, in effetti, come avesse potuto essere così distratto da non notarlo prima. E sì che per essere una mancanza, era decisamente evidente. Un intero braccio – il destro – mancava là dove le braccia destre abitualmente troneggiano: a dirla tutta, fin da subito il gesticolare della creatura gli era apparso singolare, ma non si era dato la pena di cercare cosa lo rendesse tale. Troppo preso dal resto, probabilmente.

    «Mi rincresce per il tuo braccio. Incidenti di lavoro?»

    Con un brivido si pensò lui mutilo di un braccio, e la prospettiva non lo solleticò. Affatto.



    SPOILER (click to view)
    Questo è, se la memoria non mi inganna, il topic GdR in cui ho risposto il maggior numero di volte. ;)
     
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  14. Raylek
     
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    ..e non abbiamo ancora finito, amico :8D:



    Da dietro alla schiena, il goblin aveva tratto un piccolo otre, di pelle chiara, da cui aveva dato una lunga sorsata.

    Se vogliamo dire così..
    cominciò, sogghignando ancora. In effetti più rifletteva di quella storia, più trovava sfaccettature diverse per poterla raccontare

    Praticamente ho pagato pegno per avviare la mia attività in zona.

    E' successo tutto quando sono finito qui, su Endlos.
    Al tempo possedevo solo una nave e la mia isola, oltre che il mio culo e la ciurma che stava a bordo della SbriciolaCielo - che è la nave.
    La Tempesta Infinita ci ha succhiato via dai cieli di Celentir per risputarci qui, in una regione di questo piano chiamata Klemvor.

    Lì uno stronzo mi ha fatto saltare spalla e braccio. Ma poteva andare peggio, in realtà : il bastardo mirava alla testa.

    Il pelleverde gongolava, quasi truce. Era una delle sue pose più riuscite, quella.

    In realtà ho un progettino tutto mio su come ovviare al problema, ma al momento sono un po impegnato altrimenti.

    Tornò a sorridere più gioviale, tendendo al nuovo compagno di viaggio l'otre.

    Sidro?

     
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  15. Pòlleo Giazàstri
     
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    Certo non avrebbe potuto rimproverare all'improvvisato compagno di viaggi di essere poco loquace.
    Nel giro di poche battute aveva squadernato una compagine quanto mai nutrita di argomenti, di modo che, a quel punto, a inoltrarsi per i suoi sentieri si sarebbe potuti arrivare ovunque. La questione si faceva complicata proprio perché tutte quelle linee, anziché puntare in un'unica direzione, non facevano che allontanarsi le une dalle altre come sotto la forza di una spinta centrifuga. Da quella infinita potenzialità dei discorsi percorribili – quella onnipotente, onnisbandantte libertà – si sentì minacciato e il capo gli vorticò in preda a una sgradevole vertigine che non aveva come causa alcunché di fisico.

    Strinse le palpebre per riguadagnare stabilità al mondo.
    Inghiottì, anche, a fatica. Per sua fortuna era riuscito a domarlo in tempo. Vuoi per il basso voltaggio, vuoi per la repentinità della reazione. Non importava, non più di tanto. Quando quei momenti di lucidità estrema gli sovvenivano, non era mai un piacere; gli rovesciavano lo stomaco, la vista e molte altre facoltà – e in quel momento non reputava certo fosse il caso di lasciarsi intrappolare da una quanto mai filosofica ambagia.
    Allungò la mano, con un sorriso mezzo abbozzato a tendergli le labbra, e afferrò l'otre che gli era porto. Il sidro odorava di salubre, e si disse che qualcosa di più forte dell'aria non avrebbe potuto che giovargli per scacciare le proprie nuvolaglie. Bofonchiò un grazie tra il primo e il secondo sorso, incerto sul da farsi. Si risolse, dopo essersi deterso la bocca con il dorso della mano, a domandare di quanto, in effetti, più l'aveva colpito.

    «SbriciolaCielo? Che nome singolare, per una nave.»

     
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17 replies since 24/5/2010, 10:49   272 views
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