[LAM] Atto primo.

L'Autarca del Dio della Legge

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    E' lei in ogni sfumatura
    di ricordi indelebili,
    di ogni parola pronunciata
    a denti stretti nel silenzio
    di una stanza vuota.
    Dimenticandone il perchè.



    Era lì, la Dama del Vento. Affacciata a quella finestra dalle forme curiose e lavorate quasi maniacalmente da qualche artista che, in quei luoghi, aveva avuto l'opportunità di dare sfogo al suo talento. Ebbene sì, perchè Lady Kalia era una mecenate e centinaia di migliaia di artisti accorrevano a lei e desideravano le sue attenzioni come le api il miele prelibato dei fiori.

    Ma qui non si stava parlando di fiori.
    No.
    Affacciata alla finestra c'era ben altro, sebbene l'aspetto fosse quello di una rosa appena sbocciata.

    Avete presente i venti che vi accarezzano il volto, dandovi sollievo nelle giornate torride, gli stessi che, poco più in là, sollevano le acque, distruggono case, villaggi e vite? Loro sono esattamente la stessa cosa, ma non sempre si è in grado di prevedere cosa faranno, tantomeno con quanto vigore si manifesteranno. Sai solo che esistono, sono necessariamente ovunque e puoi solo sperare che non ti accada mai nella vita di vederli infuriati.

    Ecco,
    Drusilia era più o meno quello.


    Erano ormai trascorsi giorni dal suo arrivo misterioso su Endlos, trascinata da un frammento di specchio, separata da Yang, suo compagno di viaggio da tempo immemore. E mentre lo cercava, aveva iniziato a costruire le fondamenta di un nuovo ordine che, chissà, forse sarebbe servito a qualcosa. Magari avrebbe in quel mondo fatto ciò che i Galanodel avevano compiuto nella sua terra d'origine.

    Chissà.
    Il futuro era come sempre una incognita.
    Tuttavia non era da lei darsi noie per timori infondati.
    Infondo sapeva che il Destino era stato un cane nei suoi confronti.
    E se lo era stato in passato, dubitava che in futuro avrebbe cambiato idea.
    Se voleva qualcosa, doveva prenderselo, perchè da solo non sarebbe mai arrivato.

     
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    Con delicatezza, la fanciulla ritrasse la mano eburnea dalla fronte umida ma non più febbricitante del giovane uomo che ora dormiva profondamente nel letto di quella stanza, non prima di avergli però staccato dalla pelle madida di sudore freddo le ciocche della frangia
    - sfilzate, ribelli, e nerissime come le ali di un corvo.

    Mentre un sorriso materno le incurvava le labbra ben disegnate, lo sguardo blu zaffiro della Dama restò a contemplare l’avvenente bellezza dello sconosciuto, che le era stato portato in tutta fretta da una carovana di mercanti solo poche ore prima: lo avevano trovato in stato di semi-incoscienza nei pressi di una delle vie che collegano Istvàn alla città di Matafleur, probabilmente intossicato da qualche ignobile morbo che doveva aver affettato i topi, dei cui denti il suo corpo recava ancora segno in alcuni punti... e Kalia si era parecchio preoccupata, perché aveva
    sentito qualcosa di strano nel campionario di mali e malattie che avevano colpito quel ragazzo.

    Fortunatamente -però- il suo corpo si era rivelato più robusto di quel che sembrava, e si era opposto strenuamente al contagio, reagendo prontamente ai soccorsi che venivano dall’esterno, e debellando così ogni malanno: chiunque egli fosse, poteva dirsi definitivamente fuori pericolo.
    Il giovane non aveva bisogno che di riposo, per questo la signora dell’Est si risolse ad alzarsi con grazia e in silenzio dalla sedia al suo capezzale, raggiungendo la porta e uscendo in corridoio dopo aver accostato l’uscio alle sue spalle.

    Una vaga sorpresa la colse nel riconoscere -pochi metri più in là- la sagoma familiare della donna bruna che osservava il verdeggiante paesaggio della Valle del Canto del Vento al di là della finestra spalancata, e un sorriso gentile le incurvò le labbra mentre -avvicinandolesi- la chiamava per nome, mantenendo un tono di voce basso e quieto per non turbare il riposto del malato in via di guarigione.


    « Drusilia...? »
    bisbigliò raggiungendo il suo fianco
    « Scusa il disturbo, ma ho una cortesia da chiederti... Dovrei allontanarmi per alcuni servizi, e...»
    e la testolina azzurra mosse un cenno in direzione della porta da cui era uscita
    « ...ti spiacerebbe controllare che il mio paziente non se ne vada in giro da solo?
    E’ ancora convalescente... »
     
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    CITAZIONE (Djibrielle @ 4/7/2010, 15:58)

    « Drusilia...? »


    Per un istante la Dama sobbalzò, concentrata com'era nel labirinto dei suoi pensieri. Poi si voltò riconoscendo il suono dolce e delicato. Non poteva che appartenere alla Dama Azzurra, incontrata proprio quella mattina. Le chiedeva di rimanere con un malato dato che, per ragioni che Drusilia non volle nemmeno approfondire, la costringevano ad allontanarsi. Povera, dolce Kalia. Così indaffarata.

    Poteva forse Drusilia negarle quel favore?
    Ovviamente no.

    Sorrise benevola, annuendo leggermente col capo, lasciando che le ciocche castane danzassero accompagnando i suoi movimenti. Ed il sole illuminava entrambe; sembravano due veneri dai tratti così diversi, eppure così preziosi.

    -E' per me un immenso piacere renderle il mio aiuto.
    Sarà fatto.


    E con ciò la guardò dolcemente, con espressione rassicurante, come per dirle di non temere, perchè tutto sarebbe andato nel verso giusto.

     
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    -E' per me un immenso piacere renderle il mio aiuto. Sarà fatto.

    « Ti ringrazio di cuore, cara... »
    le sorrise la Castellana, indicando alla Galanodel la porta della camera
    « La stanza è quella laggiù... Tornerò non appena mi sarà possibile. »

    Così dicendo, si esibì in una riverenza piena di solenne gratitudine,
    poi si allontanò per il corridoio, lasciandosi alle spalle solo l’eco dei suoi passi leggeri.
     
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    Kalia se ne andò, e fu Drusilia a prenderne il posto.

    Avanzò lentamente, senza fare alcun rumore, quasi come se stesse volando nell'etere... o forse era proprio così. La sua sagoma sinuosa fece capolino dalla porta socchiusa, e sempre di più andò avvicinandosi a quella del giovane dalla chioma scura. E fu allora che rimase a contemplarne il bel volto, pensando a quanto fosse fragile la bellezza umana; quella creatura sarebbe invecchiata, e lo splendido volto sarebbe stato segnato dal tempo, prima di rimanere immobile per l'eternità. Quasi le fece male il cuore, tuttavia ciò che più la rincuorava era la speranza che quell'anima restasse inviolata dal tempo, che la forza d'animo da essa sprigionata non si indebollisse mai fino a spegnersi.

    image

    E' vero, forse non era il caso di sperare nel bene di uno sconosciuto.
    Poteva essere qualunque cosa, anche un terribile assassino.
    Tuttavia, lui era un umano, e come i suoi fratelli dormiva protetto dalle sue ali di Galanodel.
    E così la Dama gli rimase vicino, seduta a un lato del letto, vegliando su di lui come vigile sentinella.

     
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  6. Evan O' Byrne
     
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    Da quanto tempo era immerso in quel nero fondo e senza sogni? Lui non poteva saperlo.
    Ebbe l’impressione di star galleggiando in un denso liquido amniotico, freddo e senza vita.
    Sebbene non riuscisse a riagguantare la sua coscienza, lo sforzo di riacquistare frammenti di sé gli elargì istantanee di un passato prossimo, briciole di ricordi che riaffioravano a pelo d’acqua sul mare torbido e vischioso dell’incoscienza.

    Rivide se stesso, duro e affilato come acciaio temprato, combattere con le unghie e con i denti in nome del suo Dio, e prima ancora impugnare il Libro della Legge, in un tumulto dell’anima che gridava al mondo la giustezza dei suoi ideali.

    Un senso onirico si mescolava a quelle visioni, facendole assomigliare alla pellicola logora e stantia di un qualche vecchio film muto; eppure in un angolo remoto del suo cuore, Evan nutriva ancora la speranza balorda e mendace che fosse stato solo un delirio della sua mente febbricitante, e che presto si sarebbe svegliato… o che forse, in fondo, lui era già morto…

    Ma doveva davvero finire così? Davvero ciò che lo attendeva era solo una morte insignificante e senza gloria? C’era ancora tanto che doveva fare, e tanto rammarico da espiare, sebbene avesse deciso di pagare lo scotto del suo agire con la vita, qualunque fosse stata la punizione ad attenderlo sulla soglia dell’Inferno, come un rapace pronto a cadere in picchiata sulla preda.

    Così, mentre la sua anima vacillante – e il corpo bollente che giaceva tra lenzuola accaldate e spiegazzate – veniva trascinata sull’orlo di un improvviso abisso, il Corvo si sentì stranamente calmo e sereno, assorto nella contemplazione del nulla che presto avrebbe rapito il suo spirito.

    Tuttavia, il Richiamo atavico che sentiva risuonare prepotente nell’anima lo stava trascinando in qualcosa di incredibilmente più magnifico…

    Aprì gli occhi, e ciò che si ritrovò davanti andava oltre ogni più spinta immaginazione; era immerso fino alla cintola in un mare giallo, ondeggiante al ritmo di una brezza fresca e profumata, che carezzava la pelle e giocava con la sua chioma d’ebano.
    Il giovane uomo sgranò gli occhi grigi, impietrito, sorpreso, forse impaurito; eppure – in qualche modo – realizzato, e finalmente completo. Una mano grande e forte ravviò le ciocche per sgombrare la visuale, adesso libera di spaziare per quel luogo sconfinato, bellissimo e perfetto, attraverso l’aria colma di petali vorticanti, con lontane nuvole di bambagia che si disfacevano nella luce piena e intensa di un mattino d’Estate.

    L’aria riecheggiava di suoni e melodie senza nome, ma che Evan – in cuor suo – sapeva di conoscere. Di aver sempre conosciuto.


    « Non sei morto, giovane Evan…
    Non vuoi sapere il perché ti trovi qui? »


    Una voce indefinibile suonò più forte del resto, intensa e totalizzante nel suo eco di infinito.
    Evan si volse, fronteggiando un’Essenza materializzata dal nulla; era celata da strati di organza che cadevano leggeri sino al suolo, trapunti da una quantità infinita e sempre mutevole di fiori. Tra le dita – velate anch’esse – reggeva una piccola sfera ialina, scolpita in un materiale trasparente come il cristallo, ma più puro e traslucido.

    Il ragazzo la fissò con lo stesso smarrimento di un bambino che non trovi più la madre, incapace di articolare anche una sola sillaba; da sotto il velo, Evan credette che l’Oracolo stesse sorridendo.


    « Tu sei la Rudbeckia. Incarni la Giustizia di cui sei baluardo. Difenderai la Creazione e la sua Legge. Ora vai, vai e vivi il miracolo della tua esistenza. »

    E prima che potesse dare anche solo una risposta, il Corvo venne risucchiato in un mare di luce incandescente, brillante come milioni di stelle, e gettato di nuovo nel mare ribollente della vita.


    Le ciglia fremettero, e le palpebre bordate di nero si schiusero su un mondo sconosciuto.
    Era spossato, e le membra gli dolevano, stanche; ciocche sfilzate si erano incollate al viso sudato, disegnando sottili e intricati arabeschi dalla filigrana di pece, ed Evan le scostò, sollevando una mano per tergere la fronte imperlata.

    Lasciò che lo sguardo vagasse pigro lungo la stanza, indugiando su particolari dell’arredamento, sui giochi di luce che il sole disegnava sulle pareti…

    … e sugli occhi bellissimi e verdi della ragazza seduta al suo capezzale, una venere dalla chioma fluente e castana, che lo fissava con cipiglio tanto assorto, quanto attento.

    La vide, e si chiese se quello fosse il Paradiso.


    Edited by Evan O' Byrne - 8/10/2010, 15:32
     
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    Rimase particolarmente sollevata quando vide gli occhi del giovane uomo aprirsi, mostrandole la freddezza dell'acciaio. Per quanto il suo potesse essere uno sguardo duro e glaciale, alla Dama comunicava molto più di quanto si potesse pensare. Era disorientato, lo capiva. Chiunque si trovava su Endlos, per un motivo o un altro, finiva per trovarsi disorientato. Lo vide guardarsi intorno e, quando l'acciaio ebbe incontrato lo smeraldo, un sorriso bello quanto solo l'Arcano dell'Amore potesse donargli si sarebbe mostrato in tutto il suo splendore. Era felice, si. Era felice che quel corpo, fino a qualche attimo prima inerme, si fosse finalmente mosso, dando prova al mondo della sua esistenza. A dire il vero non riusciva davvero a comprendere quel sollievo; forse si trattava della musica della terra della Dama Azzurra, che acquietava gli animi donando loro mite gioia, o forse perchè quello fu in un certo senso un amore a prima vista, un "colpo di fulmine", sebbene nulla lasciasse pensare ad un sentimento carnale. Era come se dentro di sè sapesse di dover essere lì, in quel momento, e che qualcosa aveva fatto in modo che lei fosse la prima cosa da lui vista dopo quel lungo torpore, lo stesso qualcosa che l'aveva condotto da lei.

    Si, ne era convinta.

    -Buongiorno, e ben svegliato.

    Una volta Hamelin parlò che tra vari individui esiste un filo che li unisce, e lei ebbe la sensazione di vederlo, quel filo.

    -Riposato bene?

    Evidentemente quel filo era molto spesso.

     
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  8. Evan O' Byrne
     
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    La donna lo spiazzò con un sorriso radioso e dolce, lasciandolo più confuso di prima: non era abituato a simili accoglienze.
    Eppure, nonostante il vago senso di ansia che poteva sentire raggomitolato da qualche parte nel fondo dell’anima, il Corvo era più calmo di quanto egli stesso potesse ammettere; forse era la spossatezza che ancora impigriva la mente e il corpo, forse era solo la dolce nenia che sentiva provenire dall’esterno, anche a vetri chiusi; ma era un fatto innegabile che non fosse connaturato a chi – come lui – aveva vissuto in un certo modo.

    Si tirò a sedere, permettendosi ancora qualche istante di silenzio prima di parlarle: ora che poteva osservarla dalla giusta prospettiva – e resosi conto che quello non era il Paradiso –, Evan constatò ancora una volta l’avvenenza della ragazza, su cui aveva appuntato gli occhi bigi screziati d’oro e di verde.


    « Cosa.. è successo? »
    Raccolse il capo nel palmo della mano dalle lunghe dita affusolate, mentre una fitta di dolore torceva la linea della bocca ben disegnata
    « …Dove mi trovo? »
     
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    Evidentemente non si trattava di una guardia di palazzo, dato che non sapeva in che posto si trovasse, e qualcosa le diceva che non era nemmeno un nativo dell'Est, dato che non aveva riconosciuto nemmeno la musica che sola caratterizzava quel dominio. Gli occhi verdi della Dama del Vento lo fissarono arguti, cogliendo ogni movimento del giovane, ogni suo sguardo. Era spaesato. Forse si trattava di qualcuno molto più simile a lei di quanto pensasse, forse anche lui veniva da un altro mondo, e lì era stato scaraventato per chissà quale capriccio del destino.

    -Sei a Lordaeron, nel maniero della Dama Azzurra, Alfiere dell'Est di Endlos.
    Ed io sono Drusilia Galanodel, e son qui solo di passaggio a dire il vero.


    Avrebbe atteso qualche secondo per osservare il suo bel viso, infine avrebbe continuato.

    -Immagino tu non sia di queste parti, o sbaglio?

    E sulle labbra rosse si sarebbe stampato un sorriso malizioso.

    -Beh, poco male. Lo siamo un pò tutti.
    Il mondo dove ora ci troviamo non è altro che un enorme mosaico le cui tessere son state strappate da altre opere.
    Dimmi straniero, da dove vieni?
    Quale è il tuo nome?

     
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  10. Evan O' Byrne
     
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    -Sei a Lordaeron, nel maniero della Dama Azzurra, Alfiere dell'Est di Endlos.
    Ed io sono Drusilia Galanodel, e son qui solo di passaggio a dire il vero.


    Se quella frase avesse dovuto rispondere con semplicità abbagliante ai suoi quesiti – spazzando via al contempo il senso di smarrimento e diffidenza che lo ghermiva – purtroppo non sortì l’effetto desiderato dalla Dama.
    Il Corvo poté scorgere l’avvicendarsi di diversi, contrastanti sentimenti sul suo volto angelico – la cui bellezza lo lasciava confuso e turbato, come se una forza magnetica calamitasse irresistibilmente il suo sguardo nei pozzi verdi che la donna aveva per occhi –, e che spaziavano da una viva preoccupazione a un più pacato sollievo… restando inspiegabili per lui, abituato a una composta diffidenza dinnanzi a una sconosciuta – seppur innegabilmente bellissima.


    -Immagino tu non sia di queste parti, o sbaglio?

    Quella proseguì imperterrita, lasciandogli la più comoda e confortante possibilità di contraccambiare la domanda con un compito cenno del capo.

    -Beh, poco male. Lo siamo un pò tutti.
    Il mondo dove ora ci troviamo non è altro che un enorme mosaico le cui tessere son state strappate da altre opere.
    Dimmi straniero, da dove vieni?
    Quale è il tuo nome?


    Evan tralasciò deliberatamente la frase che precedette le nuove domande; non sapeva se fosse uno scherzo, un incubo a occhi aperti, il delirio di una ragazza un po’ tocca, o semplicemente la verità. Considerate le sue condizioni e l’assurda esperienza che si era lasciato alle spalle, constatò che non fosse il caso di indagare oltre.

    « Mi chiamo Evan… Evan O’ Byrne, e vengo dall’Irlanda. Tu, invece? »

    Rispondendole, strappò gli occhi bigi spostandoli oltre, verso i vetri delle ampie finestra, inondate da generosi fiotti di luce calda e dorata.

    Chissà se sapevano dove fosse Eirin, qui...

     
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    La dama lo guardò con una leggera nota di malinconia nello sguardo, qualcosa che in un certo senso andava oltre le sole parole. Forse non era credibile ciò che pensava, nemmeno per lei stessa, ma era come se avesse già incontrato quel giovane, nonostante il fatto che probabilmente i loro mondi erano ben diversi fra loro, a partire da quel regno chiamato Irlanda che aveva nominato. Intanto un venticello fresco scivolò da una finestrella semiaperta, accarezzando così i capelli della sua Signora della fragranza della primavera. E Drusilia sembrava ascoltarlo, quel vento. La mano si allungò al volto di lui, accarezzandolo delicatamente. Le labbra rosse si mossero, lasciando uscire suoni leggeri e comprensivi.

    -Il mio nome è Drusilia Galanodel ed in questo mondo vivo a Laputa.

    La bocca di rosa si piegò in un dolce sorriso, quasi una madre al proprio figlio.
    In un certo senso era preoccupata.

    -Ma dimmi, Evan, ti ricordi per caso come hai fatto ad arrivare qui?
    O almeno l'ultima cosa che ricordi?


    Il tono si fece più soave.

    Se vuoi, posso aiutarti, basta chiedere.


     
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  12. Evan O' Byrne
     
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    -Il mio nome è Drusilia Galanodel ed in questo mondo vivo a Laputa.

    Il gesto gentile e assolutamente disinteressato della bella fanciulla castana lo lasciò confuso e sgomento, quasi quella dimostrazione di umana comprensione e vicinanza fosse totalmente avulsa dalla sua natura; non per l’assenza di sentimenti nel suo cuore, ma per la semplice mancanza d’abitudine, propria di chi ha fatto della durezza d’animo l’arma e la corazza con le quali difendersi dalle brutture del mondo.

    Erano anni che viveva come un clandestino, al riparo tanto dal pericolo quanto dall’amore di un famiglia che ti avvolga nel suo abbraccio gravido d’attenzioni; allontanare il mondo era più semplice che spiegargli le ragioni di una vita consacrata al sacrificio – proprio e altrui.

    Pensieri che si srotolarono in lunghi minuti di silenzio smezzato dal canto del vento, che s’insinuava sin nella stanza con carezze invisibili, ma non meno tangibili di quelle della Dama, che seguitava a parlare.


    -Ma dimmi, Evan, ti ricordi per caso come hai fatto ad arrivare qui?
    O almeno l'ultima cosa che ricordi?
    Se vuoi, posso aiutarti, basta chiedere.


    Sorrise amaramente.
    Non credeva davvero qualcuno potesse aiutarlo, non dopo quello che gli era successo. Perché adesso lo ricordava perfettamente, e chiudendo gli occhi poteva quasi riviverne ogni scena, come un film proiettato sulla pelle sottile delle palpebre.


    « Si, lo ricordo… »
    Esordì piano, esitante, dovendo ancora accettare appieno il peso di quella verità
    « Sono precipitato qui dopo aver combattuto nella Camera dei Prescelti Eterni,
    come Autarca del Dio della Legge… »

    Tacque per un momento, evadendo lo sguardo dal viso della donna per lasciare che si perdesse tra le pieghe delle coperte
    « Non so… non so neanche io come sia stato possibile… »

     
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    Gli occhi tristi di Drusilia vagarono nei suoi, freddi come l'acciaio, eppure in quel momento così umani. Avvertì una sorta di sconforto provenire da lui, o forse solo confusione riguardo ciò che era e sarebbe stato, più o meno come era accaduto anche a lei al suo arrivo, privata di Yang e ritrovata in chissà quale strano luogo. Fu probabilmente in base a tale somiglianza con lei che Drusilia sentì d'un tratto dentro di lei l'immenso bisogno di sollevarlo di tutto quel peso che evidentemente gravava sulle sue spalle, quelle di un uomo ancora troppo giovane per essere chiamato tale. Ahimè, la Dama era però cosciente dei suoi limiti, ed a nessuno era dato cancellare il passato, nemmeno a quelli che come lei avevano il compito di vegliare e proteggere.

    Tuttavia...

    -Hai una mezza idea di cosa farai ora?

    ...c'era ancora il tempo per rimediare.

    -Se lo desideri, sono disposta a darti un lavoro ed una casa.

    Sorrise amabilmente, accarezzandogli il volto con fare materno.

    -Tu, in cambio, dovrai solo proteggerla, questa casa.

     
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  14. Evan O' Byrne
     
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    Il contatto di sguardi fu lungo, intenso e profondo; come riflessa sulla superficie liscia e ialina di un lago dalle profondità verdi e insondabili, Evan poté scorgere la medesima tristezza macchiare gli occhi della Dama con ombre scure; non seppe immaginarne il perché, ma riuscì chiaramente a intravedervi un riflesso della sua stessa anima. Quella donna aveva letto nel suo cuore, vedendo il peso che si portava dentro – il dolore che aveva provocato, ma che era necessario –, sorretto da una volontà ferrea e incrollabile.

    -Hai una mezza idea di cosa farai ora?

    Stava per ammettere la mancanza di qualsivoglia piano; non conosceva neppure il posto in cui era stato scaraventato, figurarsi immaginare cosa fare della propria vita… e d’improvviso si sentì come un bambino smarrito in mezzo alla folla, senza più nulla – neppure la sua ragion d’essere – a guidarlo per mano.

    -Se lo desideri, sono disposta a darti un lavoro ed una casa.
    Tu, in cambio, dovrai solo proteggerla, questa casa.


    Fu come un raggio di sole che squarcia le nubi dopo una notte di gelida tempesta.
    Il grigio ferro dei suoi occhi si illuminò d’improvviso, così come si rilassò la linea scolpita dalla mandibola: ora sembrava più tranquillo.
    Tacque, evadendolo sguardo dalla figura della Dama; si concesse attimi di riflessione, chiedendosi se si sentiva pronto per avere un nuovo posto da chiamare casa, almeno fintanto non fosse riuscito a tornare anche dall’altra.

    Ora sapeva cosa fare: avrebbe portato avanti il suo incarico come Prescelto dal Dio della Legge.
    E l’avrebbe fatto lì.


    « Si, lo voglio. »

    Poi, finalmente, le sorrise.

     
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    Il sorriso del bel moro fu ricambiato dalla dama dagli occhi di smeraldo, mentre con un gesto forse un pò troppo spontaneo andò ad abbracciarlo. Sapeva che, in un certo senso, se magari non fosse appena giunto su Endlos ed avesse avuto altro da fare, probabilmente non avrebbe mai accettato quella proposta, o almeno non così rapidamente come era stato. Tuttavia qualcosa dentro di lei le aveva sussurrato che quell'incontro non era casuale, ma dettato dalla Fortuna che, gentile, quel giorno aveva sorriso ad entrambi. E così la bella Drusilia avrebbe incontrato un suo futuro braccio destro, mentre il forte e sicuro Evan avrebbe ottenuto un posto da chiamare "casa". E con esso, una famiglia, ma quello lo avrebbe compreso solo dopo. Per ora l'importante per lui era riposare, recuperar le forze ormai perdute, per poi partire con Drusilia verso Laputa. Kalia sicuramente non avrebbe serbato alcun problema o rancore, piuttosto si sarebbe assicurata che fosse tutto pronto e sicuro per il viaggio piuttosto lungo ma tuttavia necessario.

    E così il primo atto della fondazione del nuovo Ordine degli Aviatori si concluse,
    ma molte erano le prove che li attendevano...

     
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14 replies since 2/7/2010, 00:05   258 views
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