» Ciò che ti rende uomo,è la tua essenza Mortale. Lusingala, incantala, accedi alle sue graziepoiché invero non stai vivendo ma lentamente morendo .
Nome: Beatrice Pandora. Cognome: Delacroix. Allineamento: Neutrale Puro. Pseudonimi: // Razza: Lich. CITAZIONE
Il termine lich deriva da una parola in antico scozzese: "cadavere". In particolare il lich è uno stregone o necromante che cerca di sconfiggere la morte trasformandosi, per mezzo della magia nera, in una sorta di non-morto. Durante questo processo, il lich perde la propria anima, che deve essere conservata in uno speciale recipiente chiamato filatterio. Distruggere il filatterio di un lich è l'unico modo di uccidere questa creatura; l'uccisione del corpo fisico, infatti, porterà il lich a un processo di metamorfosi (ovvero, alla creazione di un nuovo corpo). Questo processo di rinnovamento corporale avviene tramite un complesso rituale di sacrificio, in cui viene impiegato il nuovo "contenitore" del lich che viene legato all' anima, racchiusa nell' apposito contenitore.
Sesso: Femmina. Età: Pare abbia stabilmente 17, 18 anni. Classe: Illusionista-Necromante -Alchimista. Aspetto: Nessuno rimembra quale fosse il suo primo corpo, quale fosse la sua voce e le sue sembianze originali. Gli anni passano e la memoria degli uomini sbiadisce, inesorabilmente. Beatrice si presenta, tuttavia, sotto le spoglie di una giovane donna dalla carnagione chiarissima e dai capelli di fiamma. Gli occhi gialli sono simili a quelli di un gatto, screziati di un timido verde. Si presenta perfetta nel suo metro e settantacinque d'altezza, proporzionata ed aggraziata in ogni singolo movimento, come se esso fosse calcolato in ogni minimo dettaglio. Carattere: Possiede un' indole tranquilla e poco incline allo scontro. Non è mai animata da rabbia, violenza o crudelta, ma nemmeno da un atteggiamento positivo e bonario. Semplicemente indifferente agli affanni in cui gli esseri, mortali ed inferiori, si dibattono. Subisce solamente il fascino delle cose immobili, perfette, misteriose; che ritiene insomma al proprio livello o superiori. Il suo unico scopo è quello della sapienza nella propria astrazione, da qui deriva la propria necessità di raggiungere l'immortalità. Biografia: “L’imputata è accusata di stregoneria, negromanzia, infanticidio e truffa ai danni di ogni membro del villaggio di Heavenstead, in seguito ai fatti avvenuti il giorno 15 del mese Febbraio dell’anno passato. La donna è stata sorpresa a praticare il malocchio sul corpo privo di vita di un bambino di anni dieci. La giuria si è consultata sulla pena da scontare: la morte, purificatrice, sul rogo. L’esecuzione avrà luogo domani nell’ora in cui il sole sarà più alto nel cielo. L’imputata ha qualcosa da rettificare?” Finisce, o meglio, comincia sempre così. Poi mi afferrano per le braccia, nonostante io non abbia intenzione di opporre resistenza, e sgualcendo le maniche di seta del mio prezioso abito di turno, mi trascinano fuori dal fienile con funzione tribunizia, nell’esaltazione generale. Naturalmente, in seguito, tentano di decapitarmi, darmi fuoco o sventrarmi, dipende dalle preferenze del popolo; non che mi faccia impazzire farmi mettere sulla pira, oppure poggiare il mio candido collo su quel lurido ceppo per le esecuzioni, ma il divertimento viene dopo: adoro gli sguardi inorriditi dei bifolchi che mi vedono andare in fumo d’innanzi a loro, oppure rimirano il mio corpo senza testa svanire in un luccichio tremolante. Lo ammetto: mi piace fare teatro, uscire con stile, magari aggiungendo quel tocco vintage della risata stregonesca che non stona mai, se intendete. Io mi ritengo una studiosa, ecco, una filosofa, se proprio vogliamo andare sul fine, anche se, in effetti, sono parecchio incompresa; immagino che ai villici non piaccia mai farsi rapire i figli ed incantare gli amati ed i mariti, comunque vada finisce sempre male per me, ma la vita è bella, perché varia, no? Ma torniamo a noi, dopo che mi hanno messo sul rogo senza minimamente sospettare le mie sublimi capacità di eludere la morte, mi bruciano, dimenticando la parte fondamentale dell’ opera: uccidermi realmente. Tutti lo dimenticano sempre. Questa è la verità: purtroppo siamo rimaste in poche. I tempi moderni non sono più cose da Streghe, e se una volta vivevamo tranquillamente mescolate agli umani, temute e rispettate, ora veniamo braccate come animali e trucidate sadicamente. Il mio disincantato e cinico parere è questo: si sono semplicemente stancati delle nostre “vessazioni”, poveri esseri stupidi ed infelici. Dovete sapere che fino a qualche migliaia di anni fa le Streghe si trovavano spesso a capo di piccole comunità umane: in cambio della protezione da malanni e sventure, i contadini sottomessi dovevano pagare esigui tributi alle Sacerdotesse (così venivano appunto chiamate le donne alla testa della comunità). Il nostro governo era diffusamente giusto e benvoluto, ma gli uomini, creature deboli e superficiali, bruciano sempre per qualche desiderio. Cominciarono ad avvelenarsi fra di loro, bramosi di potere, designando noi come la causa di qualsiasi cosa. Così da padrone giuste e benevoli divenimmo rapidamente donne crudeli e vessatrici del genere umano.. E poi, poi hanno iniziato a bruciarci con pretesti che andavano dalla religione alle loro patetiche credenze popolari. Il nostro numero è rapidamente diminuito, il loro invece continuava ad aumentare. Gli uomini: infide creature che si riproducono più rapidamente degli insetti che abitano il terreno. Parassiti del fertile mondo su cui poggiano i piedi. Comunque, non ci rimase altra mossa: la ritirata. Fuggimmo dai nostri villaggi come criminali della specie peggiore, per rifugiarci nei boschi Proibiti. Perché queste foreste vengono chiamate Proibiti? Non c’è una particolare motivazione, veramente, ma questo gli umani non lo capiscono, forse sono troppo ottusi. Il risultato? Si tengono alla larga e noi possiamo.. Vivere in pace. Ora voi vi chiederete cosa ci faccia io qui, quando posso vivere tranquillamente nascosta nel mio villaggio. Ma soprattutto vi starete chiedendo chi sia io. Oh, la mia sbadataggine è senza limiti, dimentico sempre di presentarmi. Piacere. Io sono Beatrice Pandora, la Strega Dorata dai mille e più anni. Le mie radici affondano nella storia del mondo. Tutto avvenne un giorno lontano, di un anno sconosciuto, a quel tempo il mio nome non era questo. Io ero la figlia primogenita di un Anax ovvero un Re di un’ antica tribù delle Isole Orientali, di cui oggi si è persa la memoria. A soli nove anni ero la gioia dei miei genitori, ricevevo l’educazione adatta ad una donna del mio rango, destinata a sposare un principe o un potente feudatario, che aumentasse il fasto e la gloria della mia famiglia. Questa era la mia vita, in un grande palazzo, servita, riverita e sola. Così, probabilmente, sarebbe stato anche il mio futuro. Io non desideravo altro. Non importava che io amassi il mio futuro marito, il mio unico fine era generare discendenti forti e degni di salire al trono ed essere la bellissima moglie che ogni uomo avrebbe desiderato. Poi un giorno, o meglio, una notte, venni rapita. Semplicemente riaprii gli occhi in un altro luogo, lontano, estraneo. Non piansi, non tentai di fuggire; sapevo già che sarebbe stato tutto inutile. Il mio aguzzino, era in realtà un’ aguzzina. Una donna dalla stupefacente bellezza; ricordo che appena la vidi rimasi in silenzio ad osservarla, abbagliata, mansueta e servizievole. Mi parlò, a lungo. Per la prima volta nella mia vita, qualcuno si rivolgeva a me con semplicità disarmante, instaurando un rapporto quasi paritario. Non mi trattava come una cosa, come lo strumento per raggiungere un fine già definito, ma come una persona, reale, in carne ed ossa. Mi parlò, spiegando chi fosse, dove mi trovassi e perché: lei era una Strega, si chiamava Cassandra, ed io la sua Prescelta, la Figlia. Destinata a raccogliere ogni suo insegnamento per farne il mio credo, per farne ciò che ne volevo. La Libertà presa a grosse dosi è inebriante, ha un sapore dolce come il miele. Non fece in tempo a chiedermi se volessi seguirla, che io avevo già deciso. Così iniziò il mio apprendistato alla Sacra Rocca, situata su una costa sperduta, tra gli abbaglianti riflessi di un mare perlaceo dal gusto amaro come le lacrime. Imparai la difficile arte della Matematica, dell’ Astrologia. Mi abbeverai alla fonte del sapere. Chiromante, Indovina, Negromante, Psiomante e Illusionista. La mia sete non era mai estinta, Cassandra sapeva di aver scelto bene, di aver trovato la migliore. A 17 anni arrivai alla comprensione del Segreto, senza difficoltà apparenti. E poi fui pronta per la Cerimonia. Ricordo chiaramente quella notte, come se fosse stato ieri: ero vestita di argento e porpora, i lunghi capelli morbidamente intrecciati a fili e morbide piume. Mi condussero in alto, sulla più imponente scogliera di tutta la Troade. La Luna, la nostra protettrice Selene, brillava bianca nel cielo di pece. L’odore dell’ incenso e del fuoco erano ipnoticamente corposi ed inebrianti. Lunghe furono le danze ed i giochi attorno al falò, infine, solo quando la luna giunse al tramonto, fummo presentate al suo cospetto per salutarla. Quell’ anno eravamo in dieci, le prescelte del Clan della Civetta, che attendevano l’investitura ufficiale alla stregoneria. Io ero la Figlia di Cassandra, la Sacerdotessa del nostro clan. Fui la prima a salutare la Luna e ad offrirle il mio sangue, poi vennero le altre. Dieci lune dopo la mia investitura, scoppiò la guerra. Un giovane sconsiderato aveva rapito per amore una donna. Il marito, infuriato, aveva deciso di venire a riprenderla, insieme al suo esercito. Ricordo il terrore che animava il cuore della nostra gente, il fervore della città, il brivido generale nel osservare le nere navi farsi sempre più vicine al nostro lido dorato. Il Consiglio del clan si riunì quella stessa sera, vi erano tutte le esponenti più anziane della famiglia. Streghe millenarie già in quei tempi acerbi. Io sedevo alla destra di Cassandra, il posto riservato alla futura Sacerdotessa ed ascoltavo, assorta. Commettemmo un grande errore quella sera: decidemmo di non intervenire nel conflitto. Era una guerra di uomini e di uomini doveva rimanere, dicevano. Passammo alla votazione e solo due mani si alzarono a favore del nostro supporto ai Troiani durante la guerra: la mia e quella della mia Strega. L’assemblea decise che il clan della Civetta non avrebbe protetto i propri umani. Nessuna delle donne presenti volle ascoltare la profezia di Cassandra, nonostante fosse lei la Sacerdotessa, fosse lei la prima Strega. Lo scontro durò dieci anni, dieci lunghi anni. Poi Ilio cadde nell’inganno dei nemici. Essi entrarono in città e cominciarono il saccheggio. Rimembro come la Madre mi costrinse alla fuga, soggiogando perfino il mio volere di prendere parte alla difesa che in estremis avrebbero condotto lei e le altre anziane. Mi promise che sarebbe ritornata, che avrei dovuta aspettarla sul promontorio della Cerimonia, per cinque giorni. Quella fu l’ultima volta che la vidi. Aspettai cinque, sei, sette giorni, disperata. Forse se non fossi rimasta lì avrei potuto fare qualcosa, non lo so. Dicono che fu uccisa. Nessun corpo. Nessuna testimonianza.. Era semplicemente finita. Ed io mi ritrovai sola, in un mondo che avevo solamente studiato sui libri, maestra di arti inimmaginabili. Se fino a quel momento avevo avuto i limiti morali e sociali imposti dal mio clan e dalla mia posizione di rilievo, da quel momento in poi compresi come fossi realmente sola, abbandonata a sguazzare in una distorta forma di libertà senza limiti, distruttiva per chiunque, ma perfetta per me. Ero una donna senza alcun limite culturale. Rimaneva però la mia ingombrante difficoltà fisica: la mortalità. Spesso ne avevo discusso con Cassandra. Avevo un opinione chiara in merito: noi siamo esseri superiori, noi non dobbiamo morire. Lei invece, come tutte le Streghe ignorava la morte, la considerava solo uno stato passeggero, mentre per me diventava lentamente una croce. Così iniziai ad approfondire i miei studi di necromanzia. All’interno del nostro clan non era una pratica in uso, ci venivano impartiti i fondamenti, che rimanevano tuttavia lettera morta per noi, era un’ arte troppo “grezza”, indegna di essere appresa. Dopotutto le Streghe, rifiutando il concetto stesso di morte, disprezzavano lo studio di una pratica esclusivamente basata su di essa. Per me era tutto un altro discorso: io che la morte l’avevo vista in faccia, che avevo assaggiato il gusto amaro delle lacrime, che avevo osservato la Falce riprendersi ciò che era suo; io non potevo che essere affascinata da questa meravigliosa signora, la mia eterna avversaria. Così cominciai a giocare con il fuoco: dalle più basilari conoscenze del corpo umano, passai rapidamente a confezionare riti e piccole resurrezioni, fatte solamente di carne o esclusivamente di spirito. Immersi ogni fibra del mio corpo in questa nobile pratica, girai il mondo e conobbi i più grandi necromanti delle terre conosciute. Fino al giorno in cui riuscì a vincere la morte. Theana, si faceva chiamare in questa maniera. Viveva sola, suprema discepola dell' oscura necromanzia. Ricordo la notte in cui divenni immortale. L'odore forte d'incenso, mescolato al mio sangue e quella sensazione orribile, come se bruciassi dentro, di una fiamma inestinguibile e ghiacciata. Il dolore di non sentire più l'aria scorrere nei polmoni. Forse morì quel giorno, per rinascere in quella sfera di cristallo dorato, il mio piccolo sole. Ero morta, ma viva. Più viva di chiunque altro. Decisi di mettere in pratica tutto ciò che apprendevo. Esperta di un mondo che non avevo mai vissuto realmente. Ora senza limiti, a braccetto con la morte, mia compagna. Tutt'ora viaggio alla ricerca di risposte.. E di vendetta. Gli ultimi discendenti di quella razza immonda, che aveva osato espugnare la mia dimora e massacrare le mie compagne, calcano ancora il suolo di questo luogo. E finchè non li avrò eliminati, uno dopo l'altro, non avrò riposo. Edited by Felì. - 30/7/2010, 14:17