[CSV] Gita Notturna

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  1. Daligar
     
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    La sera era scesa da un paio d'ore. Il nero della notte aveva inglobato l'azzurro del giorno ed era cosparso di piccoli puntini bianchi che erano le stelle, splendide e lucenti come ne aveva viste poche. L'astro notturno più luminoso di tutti era rimasto a dormire, privando il cielo della sua bellezza. Le strade della città erano illuminate da dei lampioni, finte stelle poste su dei pali di ferro che nulla avevano da spartire con le loro sorelle del cielo.

    L'ombra del ragazzo che, avvolto nel mantello nero, passava furtivo da un vicolo all'altro veniva proiettata sui muri da quelle luci artificiali. Già una volta aveva attraversato quei posti quando, tempo addietro, era andato a parlare con la Dama dell'Est. Quella dolce creatura che amministrava la giustizia in quei luoghi, la cui sola presenza rischiarava perfino un anima nera come la sua. Non se l'era certo dimenticata. Questa volta, però, il suo obiettivo era un altro: la Biblioteca. Gli avevano detto che lì dentro avrebbe potuto trovare tutto riguardo tutto e anche se non cercava qualcosa di preciso era convinto che avrebbe trovato preziose informazioni su oggetti magici o tesori perduti. Tutte cose che lo avrebbero messo in buona luce con la Testa.

    Passando da una stradina all'altra pensò a quell'uomo. Rain. Il suo obiettivo. Gli aveva promesso di aiutarlo e poi lo aveva privato della sua vendetta. Sicuramente lo aveva fatto in buona fede, ma non contava. Ora, doveva morire. Arrivò finalmente in vista della Biblioteca. Ospitata da un enorme, bellissimo palazzo. Con grandi gradinate che conducevano alla grande porta d'ingresso, adornata con bellissime decorazioni d'oro. La costruzione era alta tre piani ed ogni piano aveva delle grandi finestre decorate anch'esse in biondo metallo. Stranamente non c'erano guardie all'ingresso.

    Una volta dentro si tolse il cappuccio che teneva calato sul volto, scoprendo i tratti giovanili dell'adolescenza. Lo spettacolo che gli si parò davanti gli tolse il fiato: al centro di tutto si trovava un'enorme scalinata e intorno librerie e banchi per la consultazione. Fece due passi verso il centro della sala, ammirando la costruzione. Rimase diversi minuti a domandarsi come doveva essere di giorno, quando la luce del soli filtrava dalle finestre illuminandola. Si riscosse da quei pensieri banali e si diresse verso gli scaffali. Era lì per consultare dei tomi, anche se la scelta dell'orario era abbastanza inusuale. Fermatosi davanti alla prima libreria cercò di capire che argomenti trattassero i volumi disposti sui suoi scaffali. Ne prese uno per vederlo meglio, ma essendo pigiati uno contro l'altro ne vennero fuori tre: il primo in mano sua, il secondo sul suo piede e, proprio mentre imprecava, il terzo gli cadde sulla testa. Una seconda imprecazione al Fato riempì la stanza. Si sedette a terra e osservò i tre libri che aveva per le mani.



    Edited by Daligar - 21/7/2010, 14:30
     
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    Sebbene si pensi che l'operato del Destino si svolga quando il sole irradia il Mondo, è pur vero che nelle ore notturne quello tesse le proprie trame, cucendo in segreto fili e vite, mostrandole poi alla luce del giorno. Giammai si oda che la Sorte è ferma, immota nel suo Essere eterna, perché essa sempre unisce e divide, e conduce eserciti e li disperde, che sia sotto la luna o sotto il sole.
    Allo stesso modo, pur dovendo riposare, il Guardiano numero Zero sempre è all'opera, e ogni desiderio, ogni esigenza diventano polvere quando un Dovuto compito è presentato.

    Ora, sebbene ancora qualcuno si stesse dilettando nel Conoscere, benché l'ora fosse tarda fra le mura di Palanthas, l'eterno non vi aveva prestato attenzione, chiudendosi nelle proprie aule per meditare, preferendo un controllo più distaccato di ciò che avveniva presso la biblioteca, ad una più solerte guardia.
    Avvenne, però, qualcosa che disturbò, e non poco, il suo dovere: alcuni libri caddero violenti, ed il loro rumore venne accompagnato da ingiurie ben udibili, la cui ultima indirizzata proprio al Fato stesso. Come poteva accadere un tale abominio? Chi osava pronunciare aborrite parole verso il Destino? Forse non sapeva che quello aveva dimora presso quei luoghi? Quanto era stata folle la lingua che aveva proferito quelle maledette parole?
    Rapido come è il mare ad incresparsi, lo Zero uscì dalle proprie stanze e scese le grandi scale, giungendo nei pressi dello scempio appena avvenuto.

    -Chi ha osato verbi così macabri entro queste mura? Chi ne ha prognato la sacralità? Sia qui al mio cospetto, cosicché io possa vedere il volto dell'aborrita creatura.-

    Tuonò il Guardiano, e parve che l'aria stessa si stesse impregnando di una qualche magia o che, meglio, stesse fluendo un certo potere, qualcosa di indistinto ma avvertibile, mentre l'ombrato ingresso venne rischiarato da una lieve luminescenza iridescente, prodotta da Amarth stesso come è noto.
    Egli tuttavia, non si trovava esattamente vicino al punto in cui i libri erano caduti, piuttosto era avanzato verso la direzione che credeva giusta e s'era fermato all'inizio degli scaffali: lì attendeva che il colpevole s'avvicinasse e compiesse il proprio Destino.
    Era lì, Eru Elen Amarth, ritto e composto nella gloria del suo potere, e brillava tenue d'ogni colore, ondeggiando questi armonicamente sulla veste sua d'argento ed i capelli e gli occhi, dello stesso colore. Dove in lui vi era lo splendore di quel metallo, lì era ogni colore, che dolcemente ondeggiava per tutta la colorazione, e mai rimaneva troppo nello stesso punto.
    Così, con 'espressione Vuota e Nulla, osservando cose fori dalla normale vista, e riflettendo su cose troppo alte affinché i mortali riuscissero a figurarle, se ne stava il Guardiano, attendendo che la Storia proseguisse il proprio immutabile corso.

     
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  3. Daligar
     
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    CITAZIONE
    -Chi ha osato verbi così macabri entro queste mura? Chi ne ha prognato la sacralità? Sia qui al mio cospetto, cosicché io possa vedere il volto dell'aborrita creatura.-


    Il suono minaccioso della voce di un uomo riempì il silenzio che si era venuto a creare nella Biblioteca dopo il frastuono di libri caduti e ingiurie. Il ragazzo si fermò all'istante, interrompendo lo studio dei tomi e rimanendo il più possibile immobile. Forse, se non si fosse fatto vedere, l'uomo se ne sarebbe andato. Capì che non era così dopo aver lasciato trascorrere ben un minuto. Si tirò su e si appoggiò alla libreria.

    La mano destra corse all'elsa del pugnale che sempre portava con sé, stringendola convulsamente. Per qualche istante il panico prese il controllo del suo corpo. Le gambe cominciarono a tremare e gli sembrò che lo facessero così forte da far vibrare gli scaffali. Non riusciva a muoversi. Ci volle tutta la sua forza di volontà per farsi coraggio e guardare nella direzione da cui proveniva la voce. Un uomo stava in piedi vicino ad uno scaffale, a qualche libreria di distanza. La sua figura brillava, cosa che mise il ragazzo in agitazione.

    I battiti del cuore dell'Assassino sembravano rimbombare tra le pareti. I pensieri cominciarono a vagare tra chissà quali follie. Fu il suono di un libro che toccava il terreno che lo riportò alla normalità. Aveva tenuto un volume di quelli che stava consultando tra le mani per tutto quel tempo e pian piano aveva allentato la presa fino a lasciarlo cadere. Il suono lo risvegliò, nonché rivelò la sua posizione. Si fece coraggio, dicendosi che in fondo lui era un assassino di primordine e che non avrebbe avuto difficoltà a battere il bibliotecario.

    Uscendo dalla protezione della struttura in legno, si rivelò al suo interlocutore.

    "..."

    Quando cercò di dire qualcosa, le parole gli morirono in gola. La destra rimase stretta sul pugnale, mentre la sinistra andava a cercare uno dei suoi coltelli da lancio, nel caso quel tipo avesse tentato una qualsiasi mossa verso di lui.

     
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    Avvenne, allora, che la voce venne avanti e non parlò, mostrandosi come un giovane dai neri capelli, la cui smania di morte sembrava sovrastare il giusto rispetto, e la Dovuta devozione nei confronti dello Zero, il quale ancora osservava il filo del mondo dipanarsi, e prima di parlare impiegò qualche istante, certamente stupito dall'impulsivo carattere del ragazzo:

    -Tanto sfrontato è il tuo cuore? tanto tetra la tua folle superbia? Non solo hai lordato l'aria di Palanthas con il tuo venefico parlare, ma persino ora non ti scusi e anzi! Impugni armi contro di me, che della Biblioteca di Istvàn sono sommo Custode. Chi ti ha concesso questi infausti diritti?-

    Pure che, come noto, il Guardiano non Potesse provare emozioni, la voce sua era apparsa fortemente severa e, nella sua innata Vuotezza, persino velata da un sottile sconcerto e disappunto; tanto grande era stato l'abominio compiuto dal ragazzo, che le parole del Celebliant avevano esatto, da lui stesso, un cospicuo potere, e questo parve manifestarsi entro le mura, dipingendo l'aria d'una fragranza iridescente, come se l'armonia sul copro di Amarth stesse pian piano impregnando tutto l'ambiente.
    Pure, un nuovo bagliore era nato, giunto da lontano, e ancora non s'era avvicinato all'eterno, restando piuttosto in disparte e nascosto: a differenza del Guardiano, quest'ultima luce era metallica, superando in limpidezza persino l'argento del Celebliant. Ad ogni modo, ancora non era giunto il momento di rivelare cosa e dove fosse il secondo bagliore.

     
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  5. Daligar
     
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    Le parole del suo interlocutore risuonarono severe nel limpido silenzio della sala. I grossi paroloni dell'uomo(?), tuttavia, non trovarono molta considerazione da parte del giovane che si era intrufolato lì dentro per altri scopi che nulla avevano in comune con una lavata di capo. La mano sinistra scivolò lungo il fianco, aperta e vuota, a dimostrazione che non aveva intenzione di impugnare le armi contro il suo interlocutore, il Custode come si era apostrofato lui. Ma a dimostrazione della sua diffidenza la destra rimase stretta sull'elsa del pugnale.

    Un piccolo sorriso comparve sul suo volto, a beffarsi delle parole del Custode. Lasciò calare il silenzio, mentre ripensava a ciò che quel tipo aveva detto. Assaporò la debole violenza che aveva percepito in quelle frasi. Probabilmente quel tipo non lo avrebbe mai attaccato, come la maggior parte dei topi da biblioteca. Di conseguenza lasciò sfilare il braccio destro, piegato, lungo il corpo. Unì poi le mani dietro al sedere e con l'aria da bambino innocente, palesemente falsa, sfoggiò un gran sorriso.

    "Posso sapere con chi ho il piacere di parlare?"

    Chiese poi, continuando l'imitazione dell'adolescente ebete e rompendo il silenzio che si era creato tra i due.

     
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    Come poteva, quel giovane straniero, osare beffarsi dello Zero? Né il suo abbandonare le armi, né la sua parola ingenua in alcun modo avevano reso l'eterno spirito meno severo, o meno convinto del proprio operare.
    Pure che non fossero bastati i grandi poteri della Biblioteca a smascherare l'inganno, Eru Elen Amarth possedeva proprie risorse, le più utili in situazioni a questa simili.

    -Come puoi parlarmi in questo modo? Prima di entrare in casa altrui, forse non chiedi che aspetto abbia il padrone? Al mondo io esisto unico, e giammai verrà qualcuno che mi somigli.-

    Non che la rabbia l'avesse pervaso, ché mai potrebbe, eppure qualcosa di differente dalla solita vacuità strisciava nel suo cuore, qualcosa simile alla stizza, ma più profonda e Dovuta.
    Ancora qualcosa egli aveva da dire, perché non vi era più al mondo chi portava rispetto e d eleganza come prima cosa, essendo tutti troppo pieni di sé per riconoscere un potere superiore:

    -Pure che tu non mi conosca,e che sia stato tanto stolto da non sapere chi domina questo palazzo, certo esigo rispetto, perché il potere che emano è percepibile, e giammai mi si confonde con un mortale vuoto ed ottuso.-

    Man mano che lo Zero parlava, ecco l'aria impregnarsi d'un lieve bagliore d'iride, e l'ombra del suo potere strisciare fra i muri ed i libri di Palanthas. Certo era risuonato tagliente e quasi maleducato, ma pure qualcosa doveva esser fatta, ché ognuno non riconosceva un eterno ala vista o alla percezione, e anche questi cercavano di essere ricordati, mai nessuno aveva occasione di farlo.
    Il primo ammonimento, tuttavia, non portò altro che un assaggio di cosa Amarth effettivamente potesse essere, ma tacque bene sul rivelare se stesso ed il suo compito, giacché quelle non erano cose da rivelare al primo che osava infastidirlo.

     
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  7. Daligar
     
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    La sua commedia non era servita a niente, ma non poteva dire di non aspettarselo. Era stato uno sciocco a pensare di poter ingannare quell'essere che di umano aveva solo l'aspetto con un trucco così semplice e mal eseguito, per giunta. No. Aveva sbagliato tutto sin dal principio. D'altronde non si aspettava certo di trovare qualcuno nella Biblioteca a quell'ora di notte. La sorpresa lo aveva fatto agire in quel modo tanto stolto e, certamente, la superbia gli aveva dato una mano.

    Lasciò sfumare il sorriso dal suo volto, prendendo coscienza che la situazione era più incasinata del previsto. Chiuse gli occhi per un istante e fece un respiro profondo, rassegnato. Guardò l'altro e assaporò il silenzio dopo le parole del suo interlocutore. Nei suoi occhi si poteva leggere un misto di compiacimento e rispetto, con un pizzico di curiosità per quello strano essere.

    "Avete ragione: sono stato uno stolto."

    Disse quasi senza accorgersene. Forse, con quella frase, aveva sorpreso l'uomo che gli stava davanti; di certo aveva sorpreso se stesso. Aveva messo da parte l'orgoglio ed aveva ammesso i suoi errori, era la prima volta e forse anche l'unica. Di certo non sarebbe andato in giro a raccontarlo. Si prese qualche secondo prima di continuare, come aveva visto fare a Rain tante volte.

    "Ho agito senza riflettere, mancandole di rispetto. Immagino che lei sia il Custode della Biblioteca e del Sapere che qui é custodito."

    Disse e sottolineò quella frase con un movimento in avanti del busto e del capo, come fosse un mezzo-inchino. Tuttavia non si era presentato e non per caso. Aspettava che l'altro lo facesse per primo, o che glielo chiedesse.

     
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    Ora, il Guardiano s'avvide che nel suo parlare qualcosa aveva smosso dentro lo spirito dello straniero, e ciò che questi rispose, ed il modo in cui parlò, germogliarono piccoli fiori di Giusto piacere nell'eterno cuore.
    Invero mai nessuno aveva ceduto così prontamente, né furono mai così contrite le scuse, o sincere; poiché il sordido fruscio del falso non aveva suonato la triste melodia, allora del cuore straniero Amarth non dubitò, e fattosi più disteso (sebbene non l'avesse dato a vedere, conservando l'innata vuotezza), interloquì con il giovane:

    -Esatto, io detengo il potere di Palanthas, certo assieme ad altri miei simili, ma pure posseggo compiti speciali, essendo io carica maggiore fra tutte quelle che potrai incontrare fra queste mura.
    La tua contrizione è per me un grande evento, ché rare sono le creature tanto prudenti da arretrare dinnanzi ad un eterno; ecco perciò il mio nome, come mio dono al tuo gesto: Io sono Eru Elen Amarth, Guardiano numero Zero, e presiedo presso questa Biblioteca alla Via del Dharma, Conoscenza ultima, e la più profonda. Celebliant sono detto, Arcobaleno d'Argento in questa lingua.
    -

    Inclinando un poco il capo, come a voler osservare in una muta profondità l'animo del giovane, lo Zero arrestò il proprio discorrere a favore, appunto, d'una breve, ma intensa, contemplazione; quand'ebbe terminato di indagare, o leggere nell'animo, o semplicemente di assecondare il proprio Giusto desiderio, ecco che riprese:

    -Ed ora, dimmi: qual'è il nome tuo, il nome di colui che prima mi ha recato offesa? Ancora il tuo sgarbo non l'ho dimenticato, né passerà impunito.-

    Pure che il Celebliant avesse ricompensato l'azione del ragazzo, questo non l'avrebbe sollevato dalla pena precedentemente meritata, poiché il Destino concede e toglie in relazione a come s'agisce,e nel bene o nel male tutto porta un peso; potranno passare mille anni, ma sempre verrà il giorno in cui la Sorte esigerà un compenso.

     
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  9. Daligar
     
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    "Guardiano Numero Zero?"

    Chiese abbastanza confuso da quelle parole. Già il suo nome era strano, ma quell'appellativo gli confondeva le idee. Capì, però, che non si trovava di fronte ad un semplice topo da biblioteca, bensì a qualcosa di più. Non doveva nemmeno essere umano, aspetto fisico a parte.

    "Mi chiamo Daligar."

    Avrebbe voluto allungare quella semplice espressione come aveva fatto il Custode quando si era presentato, ma non gli venne in mente niente da dire. Lui non era un "guardiano", qualsiasi cosa fossero, ne risiedeva in qualche posto particolare; non aveva nobili origini o un appellativo da eroe, gli unici soprannomi che aveva non era il caso di sbandierarli in giro. Aggiunse, invece, un ulteriore cenno del capo, più profondo questa volta e con la mano destra posata sul petto, nelle vicinanze del cuore.

    "Se, dunque, é inevitabile la mia punizione, faccia presto perché io non soffra troppo a lungo."

    Si rialzò e posò il suo sguardo sul Custode. Non seppe dire da dove provenisse quella frase, probabilmente troppo drammatica per quella situazione, ma poco gliene importava. Preferiva fare colpo su quella figura, perché lo aiutasse nel cercare ciò che più gli importava: il potere.

     
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    Ora, certo qualcosa venne mosso nel cuore dello straniero, il cui nome era ora Daligar; effettivamente molto più di quanto il Guardiano reputasse necessario: invero egli percepiva questo stanco mondo essere impregnato di sciocchezze pallidi riflessi d'una grazia perduta nel tempo, e trovare qualcuno che non eccellesse né in saggezza né in potenza rapportarsi all'Essenza in tale maniera, era per questa una assai grande sorpresa, ma pure qualcosa gli sfuggiva ancora, serpeggiando fugace e silente sotto la pelle ed il cuore.

    -Non elargisco vendette e morte, Daligar. Non è quello il mio compito. La punizione verrà col tempo, e sarà il Destino stesso a portarla. Questa, però, sarà la volontà dei Saggi, finché la loro sapienza durerà nell'Est: Palanthas ti ha conosciuto, e quando ne varcherai la soglia per uscirne, giammai ne rientrerai, a meno che il tuo spirito cerchi conoscenza e si muova contrito verso i testi. Non sfidare la saggezza, ché questa possiede occhi più acuti e orecchie più fini, e pure l'ingannassi, la Biblioteca lo saprebbe. Vedi, non è mio desiderio estrometterti dal sapere; ciò che comando è la presenza, entro queste mura, di sola gente che davvero cerchi risposte, e che abbandoni armi e nequizia alla soglia.-

    Parlò poi Amarth, e la voce s'era fatta più perentoria, quasi ad ammonire il ragazzo, eppure non si leggeva in questa alcuna traccia di sentimenti, e dove pareva gioia v'era tristezza, e dove consolo, veleno. Si badi a non intendere questa spiegazione come un'ambivalenza, piuttosto la si intenda come una lotta di opposti che, a differenza di ciò che accade nella Seconda, trovavano compimento nell'annullamento reciproco, invece che nella compresenza.
    Ogni emozione veniva e andava, interrotta e mescolata alle altre, per un risultato di nullità in volto e nello sguardo, così come nella veste (che rimaneva iridescente) e nel cuore.
    Si fece, allora, più rilassato,e pur mantenendo la sua voce l'eterna vacuità e vuotezza, sembrava essersi fatta meno dura:

    -Cos'è, Daligar, che sei venuto a cercare fra queste mura, e che il Mondo non ha saputo offrirti?-



    Edited by Eru Elen Amarth - 4/8/2010, 20:54
     
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  11. Daligar
     
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    Ascoltò con attenzione la punizione che il Destino gli avrebbe riservato in futuro. In sintesi: non sarebbe più stato ammesso nella Biblioteca. In realtà non era proprio così semplice, ma al momento non capiva a pieno le parole del Custode. Si prese un po' di tempo per rifletterci sopra e arrivò alla conclusione che quella sarebbe potuta essere la sua sola ed unica notte in quel posto. Perciò l'avrebbe sfruttata al meglio.

    Inaspettata arrivò la domanda del Custode, che nonostante tutto sembrava interessato a ciò che il ragazzo cercava. Ma a cosa avrebbe dovuto dare la priorità? Ora che sapeva di avere solo una notte, troppe domande gli affollavano la mente. Da dove doveva partire?

    "Risposte."

    Era l'unica cosa che gli era venuta in mente. L'unico problema era: a quali domande? Portò le braccia al petto, incrociandole, e chinò la testa verso il costato, assumendo una posa pensante. Fece scendere il silenzio sulla sala, cercando dentro di sé. Solo il suo flebile respiro produceva rumore. Sentiva le tempie pulsare come impazzite, la mente gli si affollò di domande. Poi, il lampo di genio: sarebbe partito dal principio, dalla sua nascita.

    "Dove posso trovare delle informazioni sui cloni?"

    chiese.

    Cloni... Una parola che gli dava fastidio. Gli ricordava di non essere un vero umano, di non avere ricordi, di essere solo carne da macello. Era una cosa che lo faceva stare male, per quanto si sforzasse di nasconderlo. Lo sguardo gli si abbassò istintivamente. Durò un solo attimo, poi la luce che aveva abbandonato i suoi occhi tornò e si diresse nuovamente verso il Guardiano, in attesa di una risposta.

     
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    Una bizzarra ricerca, senza dubbio. Eppure il compito di un Bibliotecario era guidare verso la Conoscenza, non giudicarne gli aspetti. Pure, quell'argomento poco interessava il Celebliant e, ancor meno, era di competenza del Guardiano, giacché, a meno di particolari rituali, esulava dalla Via da quello presieduta.
    Ad ogni modo, non poteva lasciare il ragazzo privo di risposte, sebbene questi assai poco le meritava per ciò che aveva compiuto:

    -Non qui giace quello che brami; più in là, dove gli scaffali avranno decori azzurri; avvicinati alla porta che reca tali decori, ma non guardarla: è notte, non la vedrai. Però ne sentirai la presenza; lì fermati, e cerca fra quei libri. Sarà soddisfatta la tua sete di Conoscenza, perché lì giace la saggezza dell'alchimia e della chimica, sempre questa strada tu avessi intenzione di percorrere.-

    Effettivamente, lo Zero non sapeva orientarsi in quelle discipline, né tantomeno in argomenti così specifici. Pure se fosse colto e saggio più d'ogni altro, sembrava che vivere per la sua Via l'avesse portato ad isolarsi dalle altre, dimentico quasi del resto. Ad ogni modo, ancora sapeva qualche cosa, ma la richiesta di Daligar era pur vaga, perché molte sono le discipline che trattano di quell'argomento; in modi diversi, ovviamente, e con problematiche differenti.

     
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  13. Daligar
     
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    Alchimia...
    Sì, era proprio quello che stava cercando. Forse tra quei libri avrebbe trovato le risposte che cercava. Erano tante le domande nella sua testa.
    Guardò il Guardiano riconoscente. Fece un cenno col capo e disse "Grazie".
    Si girò verso la libreria che aveva alle spalle e ripose i libri che ancora non aveva messo a posto per poi dirigersi dove gli era stato detto.

    Arrivato agli scaffali notò i decori azzurri e ne rimase affascinato. Erano belli, come tutto lì dentro. Eppure la prima cosa che fece non fu leggere i titoli dei volumi. La sua curiosità lo spinse a cercare la porta, anche se il Custode gli aveva detto che non poteva vederla. Era stupido da parte sua cercare qualcosa che non poteva trovare, ma non poteva farne a meno. Forse perché era condannato ad essere un adolescente per sempre?

    Allungò le mani verso la parete, senza toccarla, nel punto in cui pensava ci fosse la porta. Gli sembrava di percepire qualcosa, ma era strano. Decise che non avrebbe indagato oltre e passò ai libri. Cominciò la sua ricerca in silenzio, leggendo i titoli dei tomi e soffermandosi su quelli che gli sembravano più azzeccati per rispondere alle sue domande. Era tutta roba sulla chimica e sull'alchimia, come aveva detto il Custode. Prese il primo libro, un tomo grosso con una copertina rossa con ricami in oro, e lo sfogliò delicatamente. Lesse attentamente tutto quello che poteva interessarlo. Poi lo posò e passò al successivo.

    Non seppe dire quanto tempo era passato quando smise di leggere. Posò il decimo -o forse era il quindicesimo?- libro consultato al suo posto e si stiracchiò. Sbadigliò piano, per non infastidire ancora il Custode, e prese a camminare tra gli scaffali. Più per muovere le gambe intorpidite che per cercare qualcosa in particolare. Tuttavia si lasciò catturare da alcune copertine, fermandosi per leggere i titoli. Si accorse di essere arrivato dall'altra parte della Biblioteca solo quando notò di essere vicino alla porta d'uscita.

    Era stanco e la prospettiva di un letto soffice non gli dispiacque per niente. Lontane erano le parole del Guardiano Numero Zero che gli dicevano che una volta uscito sarebbe rientrato solo se il suo spirito fosse veramente alla ricerca della Conoscenza. Mise una mano sulla porta, poi si girò e diresse un sorriso verso la Biblioteca, a quel Custode che nonostante tutto lo aveva indirizzato al Sapere e non lo aveva sbattuto fuori. Spinse il legno ed uscì in strada.

     
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    Nel silenzio il Bibliotecario lasciò passare il giovane, che invero parve assai colpito dal peso della pena ricevuta, e tanto fu la sua bramosia di conoscenza, che nulla gli impedì di percorrere con grande cura gli scaffali e dirigersi lì dove lo Zero aveva suggerito.

    Egli, dal canto suo, tornò nella propria stanza, leggero nel passo e dotato d'una certa noncuranza, o meglio di quella sensazione propria di chi ha terminato un compito e non ha più cosa fare presso un luogo. Avrebbe desiderato capire maggiormente Daligar, magari testarne la fede nel Destino, ma pure capì di non dover disturbare chi già è catturato da mille pensieri, e l'ombra della sua voglia allora passò oltre.
    Quando il giovane uscì, il Guardiano volse i propri pensieri in altre materie, fino a che, poi, il sonno lo colse.

     
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