Il Volo del Nibbio

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    Il Nibbio

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    Miséricorde

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    Miséricorde - 3 anni prima

    Gli occhi cerulei scivolarono sulla facciata esterna del palazzo che aveva imparato negli anni a conoscere come casa propria, indugiando sui fregi di pietra, sui vetri cristallini e puliti, sulle ringhiere dei balconi, e sui visetti tristi o imbronciati dei bambini che salutavano la sua partenza; un moto di impazienza lo colse al ricordo di quelle stanze, le cui mura -sempre così calde e rassicuranti- erano cominciate a diventare per lui fin troppo strette -fin troppo presto- per spiegare le sue ali.

    « Questo è un regalo per te, per augurarti un buon viaggio. »
    mormorò con un dolce e mesto sorriso la Dama Azzurra
    « Anche se spero tu non debba mai doverla usare... »

    Per l’ultima volta distolse lo sguardo dal posto dove era cresciuto, e lo appuntò sul volto della donna che gli aveva fatto da madre; non era invecchiata di un giorno, ma in quel momento il giovane percepì in lei la sofferenza causata dalla crudeltà del tempo: come altri avevano già fatto in passato, anche lui stava per andarsene nel vasto mondo, alla ricerca di avventure ed esperienze, per diventare un uomo... e chissà cosa gli sarebbe capitato da quel momento in avanti, e quando e se sarebbe ritornato.

    Distolse lo sguardo anche da lei, abbassandolo sull’elaborata guaina della spada orientale che le sue mani bianche e tenere -che gli avevano mille e mille volte accarezzato i capelli biondi- gli porgevano come dono di commiato. Non che non lo capisse, certamente, ma era convinto che tutto quell’affetto lo impigrisse... e la cosa lo imbarazzava ed opprimeva al contempo, spingendo il Nibbio a spiccare il volo da quel nido calmo e comodo per sfidare i venti. Da solo. Con le sue sole forze. Alla conquista del Cielo.

    « È per imparare ad usarla sul serio che sto partendo. »
    puntualizzò imbronciato, brontolando, prendendo dalle sue mani la bellissima katana
    « Comunque... Gra-grazie... »

    Così volse le spalle ai cancelli di Miséricorde, lasciandosi alle spalle l’infanzia.
    La sua luminosa vita iniziava quel giorno...




    Miséricorde - oggi

    ...era stato uno schifo.
    Il suo pellegrinaggio dietro i sogni di gioventù era stato relativamente breve, ma decisamente fin troppo intenso, deprimente, e frustrante: dapprima aveva cercato di entrare a far parte di una compagnia di mercenari, e aveva passato un buon numero di mesi ad allenarsi in solitaria con la sola ambizione di poter affrontare le loro prove e divenire uno di loro: fare della guerra il proprio lavoro, il mezzo per guadagnarsi il pane...! Che cosa poteva chiedere di più? Era esattamente quello che aveva sempre sognato fin quando -da bambino- si addestrava alle armi con il Capitano Leon!

    Peccato però che, non appena raggiunto un livello di preparazione che considerasse accettabile per se stesso, quando si era ripresentato alle porte della fortezza, l’aveva trovata in rovina: il generale era sparito con i forzieri del tesoro, e i suoi designati futuri compagni dell’ex-armata dispersi in giro per il mondo.
    Insomma, un buco nell’acqua.

    Mestamente, aveva passato un po’ di tempo in una taverna, cercando un modo per realizzare quell’aspirazione rimasta incompiuta -e per rimpinguare i denari nella sua scarsella: la sommetta con cui Kalia lo aveva finanziato non sarebbe bastata per sempre-, e la soluzione (ad entrambi i problemi) parve arrivare nelle forme sinuose della figlia del locandiere: di ritorno dalla capitale, quella aveva portato con sé il bando di una grandiosa giostra guerresca, e così lui si era rimesso in movimento, animato dal miraggio della vittoria e incantato dalla luce aurea della gloria imperitura.

    Peccato che il
    Destino avesse designato qualcun altro al suo posto, e lui aveva provato a dissuaderlo, quel qualcuno, e a convincerlo a cedergli il posto nella squadra... ma era stato tutto inutile -forse perché lui di spagnolo non ci capiva una parola-, e nel diverbio che ne era seguito si era ritrovato davvero in una situazione vergognosa: picchiato da una ragazza, con la faccia da scimmia, e con i modi di un orangutan... pure forzuta come un gorilla. Un brutto colpo per l’autostima di qualsiasi aspirante e sedicente guerriero.

    Ma il peggio -oh, il peggior peggio che gli fosse capitato- lo accompagnò per i due anni successivi.
    E fu un vero trauma.

    Aveva trovato un lavoretto come stalliere per guadagnarsi il vitto e l’alloggio in una bettola di periferia: lui si occupava dei cavalli e delle altre bestie -taluni avevane ben più strane cavalcature-, e in cambio gli veniva garantito un tetto sopra la testa, qualche avanzo e -alle volte- persino della birra... una vita piatta e avvilente per lui che ancora sperava in una svolta nella sua giovane vita. Aveva solo 17 anni, dopotutto, e si era lasciato la Cittadella della Luce alle spalle solo la scorsa primavera...

    ...quand’ecco che una notte di tardo autunno, mentre fuori piove acqua a secchiate, un tizio rozzo e nerboruto, coi capelli fulvi e bicipiti talmente gonfi da sembrare un toro ipertrofico, fece irruzione nella sala comune in cerca di sfidanti: certo, era uno stronzo e un bastardo, ma... cavolo se sapeva combattere!
    Col senno di poi era facile capire quanto ciò costituisse poco sul piatto della bilancia rispetto a tutti i contro del caso, ma la strana
    risonanza che percepì fu bastante a convincere il ragazzo a mollare tutto per seguirlo: in qualche modo sapeva che lo spadaccino non lo avrebbe ucciso...
    Ma la cosa si rivelò una consolazione fin troppo magra.

    Lo aveva seguito perché gli venisse insegnata l’arte del combattimento, e determinato a perseguire questo obiettivo il biondo si era prestato a fargli da scudiero, sguattero, bersaglio mobile, mulo da soma, messaggero, e tuttofare... e non ricordava di aver fatto con lui una lezione che fosse una, ma di cose ne aveva ugualmente imparate moltissime: i due anni in compagnia di quello psicopatico maniaco stragista di Gain erano stati un ininterrotto corso di sopravvivenza.
    Ricordava ancora con un brivido di inquietudine la volta in cui si erano accampati in un deserto, in mezzo al nulla, e quello aveva minacciato di mangiarlo se non avesse trovato immantinente un pasto sostitutivo... e non aveva dubitato un solo istante del fatto che dicesse sul serio.

    Non srebbe stata la cosa peggiore che gli aveva visto divorare.

    Oltre a fortificargli lo spirito e il corpo, questo gli aveva anche fatto maturare la saggezza.
    Era con questa che adesso camminava di nuovo per le vie cittadine di Istvàn, verso la Dama Azzurra e verso Miséricorde, con una nuova, preziosa, e lungimirante consapevolezza:
    mai
    , mai, mai, mai disprezzare o rifiutare un lavoro d’ufficio.
     
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