[LAM] Notizie dal Nuovo Anno

Avanzamento di Jattur a "Sergente Rosso".

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    "Il valore non serve a nulla quando non si accompagna alla giustizia,
    e se tutti gli uomini fossero giusti, non ci sarebbe bisogno di essere valorosi".
    Agesilao


    Era una placida giornata invernale, più precisamente il terzo giorno del primo mese, Sirio, identificato dai Saggi di Endlos come quello della Luna Blu. Tre notti prima, sui cieli di tutta Endlos, era avvenuto quel curioso fenomeno celeste che tanto ricordava le aurore boreali del suo mondo, ma che in quella dimensione era considerata da tutti gli abitanti di quel mosaico di universi il simbolo del passaggio al nuovo anno.
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    Quel giorno, invece, illuminato dai pochi raggi che riuscivano a filtrare da nubi fitte e bigie, il cielo di Laputa pareva tingersi di una neutrale tonalità perlacea, che quasi si sposava col bianco nevischio sulle mura e sulle strade della città volante, come per ricordare che il gelo sarebbe rimasto ancora per alcuni giorni prima di accogliere i profumi e le vivaci tinte della primavera. Osservare quel paesaggio da una delle finestre più alte dell'Albero Casa, per il Gran Maestro dei Liberis, era uno spettacolo magnifico per gli occhi, a prescindere da tutto, reso ancor più bello dalla soddisfazione di una festa di Natale all'insegna del buonumore, tra i suoi associati e le persone a lei più strette, avvenuta qualche giorno prima. Certo, dopo aveva dovuto sopportare per un pò le battutine del suo Alfiere, ma era un prezzo più che ragionevole a tutta l'agitazione che aveva provocato.

    Però era stato divertente,
    una gradita distrazione dopo tanto penare.

    Sospirò, memore di quei pensieri, per poi adagiarsi sullo schienale della sua poltroncina in attesa dell'arrivo del soldato Shattur. Le gambe accavallate, gli occhi socchiusi, quella dama aveva mandato dei messi a chiamarlo, perchè, finalmente, era giunto anche per l'uomo il momento di qualche gratificazione. Infondo era stato sempre onesto con lei, ed impeccabile nelle missioni svolte; era per quei motivi che aveva a lungo parlato con Hevril, per poi giungere alla conclusione più ovvia quanto meritata. Quell'uomo andava premiato, ed era ora di attuare qualche avanzamento di carriera per i suoi adorati Aviatori. Lo avrebbe atteso lì, con calma quasi serafica.

    E poi quella poltroncina era l'ideale per riposare un pò gli occhi senza appisolarsi un pò...
    ...però era troppo difficile, e le braccia di Morfeo così invitanti.

     
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    « Non voglio mentirle. » disse Tanek Asjurbag, lo sguardo perso in lontananza oltre la vetrata del suo ufficio. « Questa sarà la missione più difficile della sua vita, sempre che accetti. »
    « Devo presumere che l'obiettivo si trovi in territorio straniero? » chiese Jattur, immobile.

    L'imperatore ridacchiò e si girò a guardarlo dritto negli occhi. C'era una luce divertita nel suo sguardo mentre pronunciava quelle parole.

    « Tenente... ha mai sentito parlare della teoria degli universi paralleli? »


    Oggi_


    Questa volta non aveva portato con sé l'armatura... e cominciava a chiedersi se avesse sbagliato.
    Non fraintendiamo, era in grado di cavarsela anche senza... era addestrato a sopravvivere senza alcun aiuto. In effetti però, dai solamente traumatici giorni da SSA in patria, la sua incrollabile sicurezza aveva subito qualche scossone. La magia, soprattutto, l'aveva scosso. In un universo dove la tecnologia permetteva la distruzione di pianeti interi con un unico colpo, la scoperta di un secondo potere dalle capacità ancora più versatili era dura da mandare giù.
    Specialmente con un primo approccio come il suo.

    Scacciò questi pensieri mentre entrava nella stanza indicatogli. Il messaggio non sembrava urgente... in apparenza... ma questo non era un buon motivo per distrarsi. Drusilia era seduta in una poltrona, con lo sguardo perso fuori dalla finestra - una posizione che nessuna guardia del corpo avrebbe mai permesso, data l'esigua altezza dell'Albero-Casa in confronto con la gittata degli archi tipici di Endlos. Quello tuttavia era un mondo dove simili leggerezze erano quasi costanti, quindi non vi badò più di tanto.

    « Mi ha mandato a chiamare, Gran Maestra? » disse solamente.




    Edited by Jattur Shattur - 26/1/2011, 20:11
     
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    Percorreva un lungo labirinto dove terra e cielo parevano la medesima cosa, e lì la Dama fuggiva da una donna dalla chioma del colore del fuoco. Lei era Aisiling, il suo Incubo, la concretizzazione dei suoi sbagli giovanili, colei che lasciò tutto svanire tra sangue e piume bianche. Ricordava quella notte, la notte della caduta del casato Galanodel, e sebbene non fosse stata presente direttamente, il Demone dallo sguardo cremisi aveva fatto in modo di fargliela vivere in sogno, quella scena. Quante notti in Accademia trascorse piangendo con il volto nascosto dal cuscino per non farsi ascoltare dai vicini di stanza Yang e Jensen, quante albe osservate con occhi lucidi e cuore palpitante, ed una valigia sul letto che la invitava a fuggire da ogni tipo di legame. E poi fughe, lotte, altre lacrime; perfino al suo risveglio di Arcano dell'Amore, quando i suoi sogni ormai erano protetti dalla Curtis, quando avrebbe dovuto riottenere la pace tanto bramata, quell'Incubo riaffiorava nei suoi pensieri nel dormiveglia, sicchè il ricordo non era cancellabile. E infondo perchè rinnegare il suo passato, le sue origini, ed anche il suo dolore? Infondo anche quello apparteneva alle sue origini...

    «Mi ha mandato a chiamare, Gran Maestra?»

    La bella dama sussultò, rendendosi conto solo in quel momento di essersi per qualche attimo addormentata. Rimase alcuni istanti a testa bassa, ancora sulla poltroncina, il volto nascosto da una mano delicata. Giusto il tempo di calmarsi, e poi sollevare lo sguardo su un uomo chiamato Jattur, su cui, volente o nolente, aveva alla fine riposto molte delle se aspettative. Infondo era uno dei membri più anziani della sua gilda, nonchè uno dei più valorosi e meritevoli, tuttavia nella sua mente tornavano a riaffacciarsi le parole dette durante il suo arruolamento.

    -Jattur, ti prego, accomodati.

    La mano eburnea si spostò dal bel volto ad una poltroncina di fianco alla sua, posizionata in precedenza per l'arrivo dell'Aviatore. La voce, diversamente dal solito, aveva un tono più basso, meno frizzante, con una nota di consapevolezza che fino a quel momento aveva preferito nascondere. Però quel giorno era diverso, perchè diversa era la persona con cui avrebbe dovuto parlare. Lui era serio, posato, maturo e difficilmente si sarebbe messo a dare giudizi inutili e poco consoni alla situazione, tantomeno avrebbe fatto commenti che avrebbero urtato la sua sensibilità.

    E questo perchè era umano.

    La mano andò a posarsi sul ventre, scivolando fra il drappo superiore ed inferiore che ne costituivano la gonna del lungo abito, e da lì estrasse un ciondolo in argento finemente decorato da strane rune, costituito da una gemma pallida emanante una luce magica nivea ed avvolgente, prodotto dell'alchimia del suo creatore. Era un dono che aveva ricevuto da suo padre, non quello naturale, ma quello basso e verde in occasione della sua prima missione suicida a Klemvor. Qualora si fosse seduto, le labbra rosse si sarebbero mosse, lasciando fluire una domanda semplice ma profonda.

    -Sai cosa è questo?

     
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    « È molto semplice, in realtà. » spiegò Tanek Asjurbag, le dita intrecciate poco sotto al mento. « In ogni istante di esistenza cose e persone si ritrovano di fronte a dei bivi. Una persona può girare a destra o a sinistra, una pietra sull'orlo di un marciapiede può cadere o restare sul ciglio. La possibilità che non si avvera viene scartata nel nostro universo, diviene nulla. Alcuni postulano che in altri universi quella possibilità si realizzi, e venga scartata quella avvenuta nel nostro. Se ciò accade ad ogni scelta, se ad ogni possibilità l'universo si scinde in due, ottieni il concetto di "multiuniverso": la somma degli universi possibili, uno per ciascuna possibilità, o più semplicemente la totalità delle cose pensabili e non. Un concetto affascinante, per i teorici. »
    Per un istante a Jattur parve che il suo sorriso si facesse amaro.
    « Un po' meno a provarlo di persona. »

    Esitò.
    Aveva capito perfettamente dove voleva andare a parare l'imperatore Tanek. « Scusi, signore? » disse, invece di commentare. La scelta diplomatica - molto meglio che dire ad alta voce quel che gli passava per la sua testa in quel momento.
    Purtroppo per lui, Tanek Asjurbag parve intuirlo.

    « La mia famiglia è piena di misteri, Jattur. » disse l'imperatore, mettendosi più comodo sulla sua poltrona. « L'improvviso "esilio" di mio padre, il suo altrettanto improvviso "ritorno"... la battaglia dell'abisso, mio padre da solo contro due milioni di uomini spariti senza lasciare alcuna traccia. Le congetture si sprecano a riguardo, ne si può trovare ad ogni byte di informazione sul network intergalattico. Nessuno sano di mente può sapere di queste cose e non dubitarne neppure un istante... diamine, Jattur, due milioni di uomini! Come avrebbe fatto mio padre ad uccidere due milioni di uomini da solo? È impossibile... esattamente come è impossibile che io evochi dal nulla, qui e sotto i tuoi occhi una palla di fuoco. »

    Gli strizzò l'occhio, complice.
    Poi alzò il braccio e, con un guizzo della mano, scagliò un globo di fiamme contro il vaso di fiori all'angolo della scrivania.
    Sotto i suoi occhi esterrefatti, il vaso di fiori esplose ricoprendolo d'acqua e di petali.


    Oggi_


    Si vociferava in giro che i Delta 1., le guardie del corpo dell'imperatore, fossero state scelte da Rodak Asjurbag per la loro abilità superiore. Nulla di più falso: erano scelte una ad una per la loro irrequietezza e tendenza a uscire fuori dagli schemi. Il punto era che Rodak Asjurbag non amava essere limitato e tendeva ad esporsi a molti più rischi degli altri regnanti... cosa che aveva provocato non pochi problemi con i primi Delta. Da allora i criteri di selezione dei Delta 1. erano cambiati e la guardia del corpo dell'imperatore era stata soprannominata con un pizzico di malizia "gli Scavezzacolli".
    E Jattur era stato scelto dall'imperatore Rodak Asjurbag in persona.

    Nessuno che dovesse rimanere in contatto perdurato con la famiglia Asjurbag e le numerosissime problematiche della semplice convivenza civile con essa avrebbe potuto fraintendere quel che stava accadendo in quella stanza. C'era un problema, uno abbastanza grosso da preoccupare Drusilia più del normale. L'ultima volta che era accaduto a Rodak era stato poco prima della Battaglia per Asghabard.
    Sperava vivamente che non fosse qualcosa del genere.

    -Jattur, ti prego, accomodati. disse lei.

    Brutti ricordi: ad Asghabard cose del genere non accadevano mai.
    Tranne in caso di invasioni, attacchi o prospettive di missioni suicide, ovviamente.

    Si sedette, ignorando il tono di voce di Drusilia - cambiato rispetto al solito, privo di quell'allegria che solitamente sembrava ribollire poco sottopelle... più calmo e controllato, più cauto, più... diplomatico.

    -Sai cosa è questo? chiese la donna, mostrandogli un oggetto.
    « Un oggetto magico di qualche tipo, presumo. » rispose, esaminandolo con attenzione. « Di una certa importanza se è stato usato un metallo raro come l'argento, il cui involucro è stato costruito » non conosceva un altro termine « da un ingegnere in possesso di -mi sembra- un certo talento, per gli standard di Endlos. Non riesco a leggere la scritta, tuttavia... sembra un alfabeto differente. »

    Tacque, e rimase in attesa. Seppur era vero che l'EndlosDex in suo possesso era la scelta più ovvia per un'eventualità di questo genere, aveva la netta sensazione che non era di quel monile che Drusilia voleva parlare... bensì di lui.

     
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    Sorrise intenerita.

    Visto dai suoi occhi pareva tanto un uomo appartenente al suo mondo d'origine, quello da cui tutto era iniziato. Davvero non ricordava quanto tempo era trascorso da quando si era ritrovata innanzi ad un uomo di cultura che non conoscesse la magia e che, con la sua sola razionalità, tentava di far luce sulle questioni a lui più oscure. Infondo era un tratto comune degli umani quello di andare avanti nonostante tutto, con le proprie, limitate forze, facendo perno su ciò che li distingueva dalle bestie: il logos, pensiero e ragione tanto dibattuti dai vari filosofi nel corso della storia. Sembrava proprio uno di quegli uomini di cui la sua gente diceva di prendersi cura, combattendo quello che loro chiamavano "male", distruggendo all'origine ogni possibile problema quasi fossero genitori troppo apprensivi. Ed allora Drusilia pensò che, infondo, quell'idea di cui tanto si vantavano non era poi tanto male, piuttosto furono i mezzi sbagliati a rovinare tutto. Scosse la testa ancora, allontanando nuovamente la collana dal soldato, ed avvicinandola a sè con cura, quasi fosse sul punto di rompersi per la delicatezza di cui pareva esserne avatar.

    -E' un gioiello che mi fu regalato dall'Alfiere in persona alla mia prima missione per conto di Laputa.
    Probabilmente nessuno potrebbe parlartene, perchè è stato generato da lui stesso sotto i miei occhi, ed è unico nel suo genere.


    Si protrasse in avanti, indicando le incisioni con il dito affusolato.

    -Questi simboli si chiamano "rune", ed è su queste che lui ha fondato la sua magia.
    Non vogliono dire nulla, in realtà, e nello stesso tempo molte cose; non fanno parte di un alfabeto vero e proprio, piuttosto sono dei "comandi" in grado di attivare meccanismi nascosti che permettono il funzionamento delle cose, le più disparate. Ovviamente sono in pochi a conoscerne il funzionamento, e vengono chiamati "alchimisti".


    Lo guardò dolcemente, ed anche se quella piccola divagazione poco centrava con il motivo per cui lo aveva chiamato, si sentiva in dovere di parlargliene. Ed allora si conto di quanto fosse effettivamente difficile fargli da maestra, soprattutto usando termini a lui più congeniali per la comprensione.

    -Questo regalo, tuttavia, più che far funzionare qualcosa, serve per "spegnerla".

    In pochi attimi, con movimenti fluidi e delicati, la Dama del Vento si portò il monile sulla testa, per poi lasciarlo scivolare lento verso il basso fino a che, piccolo ma splendente come una stella, si sarebbe soffermato sul morbido seno. In quel preciso istante chi avrebbe sentito musica in sua presenza sarebbe divenuto sordo, e chi ne avrebbe percepito la luce avrebbe notato l'immagine sinuosa spegnersi. Ed il profumo di rosa di cui pareva circondata si sarebbe dileguato, non lasciando traccia della propria esistenza; qualcosa in lei sarebbe cambiato, e da Arcano dell'Amore sarebbe tornata semplicemente Drusilia, senza fronzoli o magie ad alterare ciò che realmente era, una ragazza semplice con tutti i pregi e difetti, così lontana dalla visione paradisiaca ed ammaliante che perennemente si portava dietro come una maschera.

    Una maschera non voluta, ma pur sempre una maschera.

    -Quella che vedi ora è la vera Drusilia Galanodel, ed è mia volontà che tu veda come realmente sono.

    Solo allora gli prese la mano, guardandolo seria e tuttavia speranzosa che non abbandonasse quel contatto.
    Infondo ora non era più la venere dell'isola volante di cui tanto si parlava.

    Devi sapere che esiste un altro mondo, lontano da Endlos e da tutti quelli che potresti conoscere, un mondo onirico che può esser raggiunto solo attraverso il sogno o in altri, particolari, modi. In questo piano d'esistenza esistono molti viaggiatori e pochi abitanti che non vivono sempre là, ma vengono spediti negli altri mondi dal loro signore, per ragioni spesso sconosciute ma che, comunque, devono essere rispettate perchè "è necessario che avvenga così". Io appartengo a quel mondo, ed in quel regno sono l'incarnazione, insieme al mio fratello gemello Quarion, di quello che voi umani chiamate "Amore". E devo confessarti che se abbiamo così tante reclute è anche grazie a tale, mio ascendente.

    Sospirò, abbassando lo sguardo colpevole.

    -Non giudicarmi, ti prego, ma questa specie di sortilegio con cui sembro irretire molta gente non si manifesta volutamente e spesso mi dà molti problemi, e questo monile che indosso è l'unico modo per annullarlo totalmente. Prima di parlarti del motivo per cui sei stato chiamato, vorrei che tu confermassi la tua volontà alla nostra causa, guardandomi nel volto ora, ora che mi mostro senza nessuna maschera al volto.

    Ed allora si sarebbe alzata in piedi, per poi ricadere in ginocchio al suo fianco, con ancora la mano fra le sue.

    -Desidero che la tua volontà di appartenere al nostro Ordine sia data solo ed esclusivamente da ciò che difendiamo, e non da chi siamo.

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    L'oggetto in questione è questo, che appare anche in scheda:
    image

    Sigillo d'Amore.


    Un regalo speciale, da parte di un "uomo" speciale.
    E' piuttosto raro che l'Alfiere Errante si dia ai doni, soprattutto considerando il suo carattere piuttosto burbero. Questo regalo in particolare, Drusilia lo ha ricevuto alla sua prima missione ad Ovest per ordine del goblin. Si trattava in pratica di scendere nel dominio delle macchine con un gruppetto di "ragazzini" del posto, cosa che, in poco, sarebbe poi degenerata in ben altro... Tuttavia, tralasciando il passato, il ciondolo non sarebbe dovuto servire ad altro se non fare andare d'accordo i due compagni di squadra, e cioè una Drusilia orgogliosa ed un Valiant colpito dalla sua malia in modo davvero poco opportuno. In un certo senso aveva pensato anche al bene della ragazza, oltre a quello della missione (anche se la Dama preferisce di gran lunga considerare solo la prima ragione). In ogni caso, esso è in grado, qualora indossato dalla bella, di annullare totalmente ogni tipo di malia dovuta alla sua essenza di arcano.

     
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    Se non si accorse di essere schizzato in piedi sotto agli occhi dell'Imperatore, probabilmente era perchè il cervello lo aveva abbandonato nel momento peggiore prendendosi una bella vacanza in qualche luogo soleggiato e tranquillo, dove i vasi di fiori non esplodevano tutt'ad un tratto. Era bagnato fradicio, i capelli si erano appiccicati alla fronte e gli scocciolava l'acqua dei fiori sull'uniforme, assieme a qualche occasionale petalo. Margherite notò con un fragilissimo distacco surreale, i fiori preferiti dell'Imperatrice Desis. Quando lo verrà a sapere le verrà un colpo.
    Fosse l'unica...

    « Non sai quanto ti capisco. » disse Tanek Asjurbag, osservandolo serafico dall'altro lato della scrivania. « Secoli di razionalità, pensiero logico e addestramento... buttati via con uno schiocco di dita. » Le schioccò, tanto per aggiungere enfasi all'enfasi. « Un inizio traumatico in un mondo di leggi completamente nuove, incoerenti e persino pazze alle volte. Se vorrai tirarti indietro, non hai che da dirlo. Io più di chiunque altro posso capirti. »

    Jattur deglutì fissandosi i vestiti, poi i cocci del vaso, infine l'Imperatore stesso. Lui gli sorrise, una scintilla negli occhi che sembrava scavare dentro di lui e scoperchiare ogni suo pensiero. Erano quasi coetanei, Jattur e Tanek, ma in quel momento la differenza fra loro era palpabile e immediata allo sguardo: consapevolezza, l'impressione che l'uomo che stava dall'altra parte di quella dannata scrivania sapesse cose che lui non poteva neppure provare a capire. Conosceva quello sguardo, l'aveva visto mille volte negli occhi chiari di Rodak Asjurbag, il padre di Tanek, mai finora in quelli del figlio... e mai, neppure in Rodak, quella sfumatura di comprensione e malinconia che gli diede quasi la sensazione di essere
    invidiato.

    « Quali... quali sono i dettagli della missione? »

    Tanek Asjurbag sorrise, poi cominciò a parlare.


    Oggi_


    Drusilia Galanodel sorrise, poi incominciò a parlare.

    -E' un gioiello che mi fu regalato dall'Alfiere in persona alla mia prima missione per conto di Laputa.
    Probabilmente nessuno potrebbe parlartene, perchè è stato generato da lui stesso sotto i miei occhi, ed è unico nel suo genere.
    -Questi simboli si chiamano "rune", ed è su queste che lui ha fondato la sua magia.
    Non vogliono dire nulla, in realtà, e nello stesso tempo molte cose; non fanno parte di un alfabeto vero e proprio, piuttosto sono dei "comandi" in grado di attivare meccanismi nascosti che permettono il funzionamento delle cose, le più disparate. Ovviamente sono in pochi a conoscerne il funzionamento, e vengono chiamati "alchimisti".


    La donna alzò lo sguardo su di lui, e negli occhi verdi di lei vide qualcosa...

    -Questo regalo, tuttavia, più che far funzionare qualcosa, serve per "spegnerla".

    Veloce, con un movimento pratico ed elegante che Jattur riconobbe come figlio di esperienza e consuetudine, Drusilia indossò il ciondolo ed iniziò a cambiare. Cosa di preciso stesse accadendo era al di là della sua -limitata- comprensione, ma l'effetto finale fu visibilissimo e tale che se non fosse stato per l'ovvia, prepotente consapevolezza che l'Autocrate non era persona da permettere simili azioni né Drusilia da compierne senza una necessità priva di alternative, non sarebbe riuscito a trattenersi dall'alzarsi in piedi e strappargli quell'oggetto dal collo per interromperne l'azione.
    Se non fosse stato per quella consapevolezza, non sarebbe mai rimasto a guardare mentre Drusilia si spegneva.

    -Quella che vedi ora è la vera Drusilia Galanodel, ed è mia volontà che tu veda come realmente sono. disse la donna, prendendogli la mano. Jattur rimase immobile, impietrito, notando solo in parte la speranzosa esitazione di lei. Devi sapere che esiste un altro mondo, lontano da Endlos e da tutti quelli che potresti conoscere, un mondo onirico che può esser raggiunto solo attraverso il sogno o in altri, particolari, modi. In questo piano d'esistenza esistono molti viaggiatori e pochi abitanti che non vivono sempre là, ma vengono spediti negli altri mondi dal loro signore, per ragioni spesso sconosciute ma che, comunque, devono essere rispettate perchè "è necessario che avvenga così". Io appartengo a quel mondo, ed in quel regno sono l'incarnazione, insieme al mio fratello gemello Quarion, di quello che voi umani chiamate "Amore". E devo confessarti che se abbiamo così tante reclute è anche grazie a tale, mio ascendente.

    Non disse nulla, limitandosi a guardarla senza alcuna espressione in volto.
    I suoi occhi non si staccarono un attimo da quelli di Drusilia.

    -Non giudicarmi, ti prego, ma questa specie di sortilegio con cui sembro irretire molta gente non si manifesta volutamente e spesso mi dà molti problemi, e questo monile che indosso è l'unico modo per annullarlo totalmente. Prima di parlarti del motivo per cui sei stato chiamato, vorrei che tu confermassi la tua volontà alla nostra causa, guardandomi nel volto ora, ora che mi mostro senza nessuna maschera al volto.

    Drusilia si alzò, si avvicinò, gli si mise a fianco, s'inginocchiò.
    Jattur non reagì.

    -Desidero che la tua volontà di appartenere al nostro Ordine sia data solo ed esclusivamente da ciò che difendiamo, e non da chi siamo.

    Infine, sospirò e si passò stancamente una mano sul viso.

    « Drusilia... »
    Con una mano le afferrò i polsi, aiutandola a raddrizzarsi mentre anch'egli si alzava.
    « ...chi siamo è importante. »

    La fissò dritto negli occhi, infondendo nel suo sguardo un'intensità e un'ardore cui lui stesso non avrebbe creduto, vedendolo.

    « Ciò che facciamo, ciò in cui crediamo... questo è quello che ci definisce. Questo... 'sortilegio, come l'hai chiamato... questo non sei tu. Questo » disse, alzando una mano ad indicare l'Albero Casa « sei tu. »


     
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    La Dama del Vento rimase qualche attimo in silenzio, come per riflettere sulle parole dell'uomo. Sul suo volto uno sguardo sperduto, forse impaurito, qualcosa che la Drusilia da tutti conosciuta non poteva, non doveva mostrare e che forse non sarebbe mai apparso se solo quel gioiello dallo strano chiarore niveo non si fosse adagiato sul suo seno. Era una Drusilia umana quella, con tutti i suoi timori e le paure; sì coraggio, sì forza, ma anche debolezza. Sospirò, e gli smeraldi scesero verso terra, quasi non riuscissero a sostenere quello sguardo per un improbabile quanto immotivato rimorso di coscienza, non comprensibile a coloro che non avevano idea del suo passato, del suo trascorso, di quella croce che gravava sulla sua anima e che mai, nemmeno con una vita di gloria ed atti eroici, avrebbe sollevato. Lei fu assassina del suo stesso sangue per uno stupido capriccio da ragazzina, un giovane umano per l'appunto, che peraltro la tradì scegliendo a lei la succube dai capelli ramati, la stessa donna che per sola invidia si macchiò del peccato più alto. Ancora per quel capriccio portava gli strascichi di una vita trascorsa a scappare, rifugiarsi, e sebbene al suo risveglio di Arcano fosse tutto passato, lei sapeva che Aisiling era lì fuori, attendendo paziente il momento giusto fra gli specchi ed i sogni di qualcuno. Sapeva che quel paradiso non sarebbe durato per sempre, sapeva che la succube avrebbe colpito, prima o poi, sapeva che alla fine si sarebbe risolto tutto con la propria morte, o un ennesimo omicidio.

    -Un giorno potrei non esserci più.

    Gli occhi si risollevarono lucidi; quasi ammirava la forza con cui lui si mostrava in quel momento perchè lei, ancora una ragazzina, si sentiva tremendamente debole. Così debole che non le avrebbe fatto meraviglia una morte del tutto simile a quella dei suoi cari; infondo non era un angelo, tantomeno un dio, e sarebbe sempre esistito qualcuno in grado di spezzare la sua esistenza come fa l'agricoltore al grano con la falce. Avrebbe sempre avuto punti deboli, per quanto fosse potente, e come avrebbe potuto mai nascondersi da una Lady Rossa rigorosa e pedante, fin troppo legata alla questione Galanodel e che, ahimè, possedeva la chiave di accesso al mondo dei sogni? Suoi e di chiunque altro desiderasse, compreso quell'uomo che la teneva per i polsi e la guardava con sguardo ardente.

    -Qualora un giorno perdessi la vita o non fossi più in grado di guidare il mio Ordine, non voglio che esso scompaia insieme al mio esistere.
    Quest'Ordine deve andare avanti comunque, perchè non è per me che fu creato, ma per coloro che non hanno la possibilità di difendersi.
    Solo che, ho bisogno di qualcuno a cui affidarlo, degli eredi che sappiano.

    Si ritrasse un pò, guardando verso il vetro della finestra perchè il tempo lì fuori stava mutando, divenendo ancora più grigio e scuro, mentre una nebbia si era levata dai campi coltivati, ma anche perchè, in parte, si sentiva inopportuna sapendo le intenzioni dell'uomo e conoscendo ciò che avrebbe dovuto dirgli. Le labbra rosse si aprirono e chiusero un paio di volte, titubanti, come nel disperato tentativo di trovare le parole adatte. Infine sospirò, lasciando che fosse la propria coscienza a parlare e nient'altro.

    -So che qualora ti richiamassero tu ci lascerai e tornerai nel luogo da dove sei venuto.
    E come al tuo arruolamento ripeto che lo accetterò.
    So anche che potresti andartene anche per altre ragioni, tuttavia...


    Lo sguardo tornò su di lui, e in questo pareva esser apparsa una nota di dolcezza, forse affetto.

    -E' mio desiderio che tu sia tra gli eredi che sappiano, tutto qui.
    Hai dimostrato valore ed intelligenza al Day Two, e la tua preparazione come le tue capacità sono essenziali ora e soprattutto in un futuro forse senza di me.


    La mano sarebbe scivolata di nuovo fra le pieghe dell'abito, e poi sarebbe giunta innanzi a lui, con un qualcosa simile ad un grado militare sul palmo. L'unica differenza era che la stella, ad uno sguardo più attento, si sarebbe rivelata una piccola rosa dei venti.

    -Mi serve un sergente, ed una guida per le reclute.
    E tu sei il migliore.


    SPOILER (click to view)
    →Nature Reverence» E' innegabile che, dal suo arrivo su Endlos, il potere della Dama del Vento sia sensibilmente cresciuto: questo può essere in parte dovuto al fatto che ella abbia abbracciato il suo destino di guerriero Galanodel -imparando a non lasciarsi più frenare dal suo cuore tenero-, e in parte al fatto che la permanenza presso l'Isola nel Cielo l'abbia portata ad un più alto livello di comunione col suo elemento... Fatto sta che l’ambiente attorno a lei sembra aver sviluppato un legame quasi empatico con Drusilia, reagendo alla sua presenza e riflettendo come uno specchio i suoi stati d’animo. Il potere non genera mai effetti disastrosi o disagevoli, nemmeno per gli avversari, ma è una spia più che utile per capire che aria tira; se -all’improvviso- il cielo si annuvola... e se avete appena fatto o detto qualcosa di fuori luogo, fareste meglio a preoccuparvi di quei neri cumoli temporaleschi, perché potrebbero essere un terribile presagio di tempesta.
    In termini gdr, Drusilia è in grado di influire con lo scenario che la circonda, modificandone il clima, senza però raggiungere livelli in cui possa danneggiare realmente qualcuno (ha infatti solo effetto scenico o, al limite, può far intimorire qualche spettatore, nulla di più).
     
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    « Tutto chiaro? »
    « No. » replicò Jattur.

    L'Imperatore di Asghabard tacque, aspettando che l'altro riordinasse i pensieri.

    « C'è un'ultima domanda senza la quale non posso decidere. » disse Jattur, sussurrante ma determinato. « Perché io? »

    Tanek Asjurbag sorrise, amaro e divertito allo stesso tempo.

    « Destino, Jattur. »

    Jattur sbatté le palpebre, perplesso.

    « Certe cose devono accadere. » disse con forza.


    Oggi_



    Conosceva quello sguardo.
    L'aveva visto migliaia di volte, su migliaia di visi, dopo la Battaglia per Asghabard. L'aveva visto sul bel viso di Jennison Keylard, la pilota alla postazione affianco alla sua, quando si era voltato a guardarla quando la maledetta Stella Nera era esplosa. L'aveva visto negli occhi sfocati di Manny 'hey' Fergusson, l'ufficiale tattico dell'ammiraglia, il cui volto era talmente pallido che inizialmente credette fosse ferito. L'aveva visto negli occhi di Rodak Asjurbag, dopo che gli avevano presentato il conto delle vittime. L'aveva visto, per un sol istante l'aveva visto, negli occhi di Desis Makaria coniugata Asjurbag quando era arrivata la notizia che Tanek era ancora a bordo della nave nemica quando era saltata in aria. E l'aveva visto in ogni volto, in ogni espressione, di milioni di persone a cui aveva prestato assistenza o recapitato brutte notizie all'indomani della battaglia.
    Fino a quel momento aveva creduto di sapere cosa volesse dire 'guerra'.
    Fino a quel momento.

    -Un giorno potrei non esserci più.

    Non negò, non interruppe, non confortò.
    Era vero, crudo ma vero.

    -Qualora un giorno perdessi la vita o non fossi più in grado di guidare il mio Ordine, non voglio che esso scompaia insieme al mio esistere.
    Quest'Ordine deve andare avanti comunque, perchè non è per me che fu creato, ma per coloro che non hanno la possibilità di difendersi.
    Solo che, ho bisogno di qualcuno a cui affidarlo, degli eredi che sappiano.


    Si sollevò, cercando una distanza dietro cui trincerare il dolore e la debolezza. Lo consentì, rispettando il suo silenzio.

    -Qualora un giorno perdessi la vita o non fossi più in grado di guidare il mio Ordine, non voglio che esso scompaia insieme al mio esistere.
    Quest'Ordine deve andare avanti comunque, perchè non è per me che fu creato, ma per coloro che non hanno la possibilità di difendersi.
    Solo che, ho bisogno di qualcuno a cui affidarlo, degli eredi che sappiano.
    ...So che qualora ti richiamassero tu ci lascerai e tornerai nel luogo da dove sei venuto.
    E come al tuo arruolamento ripeto che lo accetterò.
    So anche che potresti andartene anche per altre ragioni, tuttavia...


    Drusilia si voltò, avvicinandosigli.
    Jattur ricambiò lo sguardo.
    Aveva capito.

    -E' mio desiderio che tu sia tra gli eredi che sappiano, tutto qui.
    Hai dimostrato valore ed intelligenza al Day Two, e la tua preparazione come le tue capacità sono essenziali ora e soprattutto in un futuro forse senza di me.


    Prese l'oggetto che gli veniva offerto dalle mani di Drusilia e lo guardò, sorridendo nel notare la rosa dei venti al posto del pianeta in uso nei gradi asghabardiani.

    -Mi serve un sergente, ed una guida per le reclute.
    E tu sei il migliore.


    « Accetto, ma... ad una condizione. » disse, alzando lo sguardo su di lei.

    Portando una mano alla cintura sotto gli abiti, ne estrasse un piccolo congegno rettangolare che stava bene nel palmo della mano. Con rapidi ed esperti tocchi sul touch screen Jattur accese il computer, impostò qualche comando e glielo porse.

    « Questo è il palmare che usavo prima dell'EndlosDex. » spiegò. « L'ho impostato in modo che ti possa riconoscere. In caso dovessi morire, o non fossi più in grado di portare a termine la mia missione, vorrei che tu lo usassi per trovare la mia ricerca e completare il mio lavoro. »

     
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    Lasciò che lui prendesse il grado per cui era stato convocato, lasciando che gli occhi verdi si bagnassero di quel sorriso delineato da belle labbra sottili che così raramente si erano lasciate sfuggire simili dense gocce di umanità; forse era l'indole dell'uomo a non permetterglielo, forse non glielo avevano insegnato, o magari anche lui portava la sua croce; questo Drusilia non poteva saperlo e sebbene fosse sua volontà conoscere per essere d'aiuto, si rendeva anche conto di quanto certe situazioni fossero delicate, e che a volte il comportamento giusto era solo aspettare e sperare che fosse l'altro a fare il primo passo. Comunque fu contenta di quel sorriso: fu come se, dal peso che gravava sulle sue spalle, fosse stato levato un chilo o due, ed altri tre si aggiunsero alla somma quando l'udito confermò ciò che la vista aveva già compreso.

    « Accetto, ma... ad una condizione. »

    Drusilia reclinò la testolina incuriosita, forse sorpresa di quel "ma". Infine sospirò, socchiudendo gli smeraldi in un simpatico segno di resa, riflettendo tra sè che, infondo, doveva aspettarselo. Sorrise anche lei, quando riaprì gli occhi, e sebbene il vero Gran Maestro fosse ancora sconfinato dietro quell'oggetto di raffinata fattura all'altezza del cuore, il suo sorriso parve bello come sempre, quasi come a voler far notare che l'Alchimia del goblin, infondo, non sarebbe mai riuscita a cancellare ciò che realmente era; non v'era riuscita la Morte, figuriamoci semplice magia ordinaria. Ed anche se i suoi poteri di Arcano si erano annullati, rimaneva ciò che era sempre stata: una Galanodel. Per quanto ormai non v'era più nessuno nel mondo dei vivi a lei anche lontanamente simile, ed anche se ormai erano trascorsi anni dalla sua fuga, avrebbe sempre dovuto ricordarlo, nel bene e nel male; il sangue era sangue, e ciò che scorreva nelle sue vene sarebbe rimasto lì fino alla sua dipartita, nonostante tutto, sempre e comunque. Mentre era avvolta da tali pensieri, il soldato Shattur estrasse qualcosa, porgendoglielo.

    « Questo è il palmare che usavo prima dell'EndlosDex.
    L'ho impostato in modo che ti possa riconoscere. In caso dovessi morire, o non fossi più in grado di portare a termine la mia missione, vorrei che tu lo usassi per trovare la mia ricerca e completare il mio lavoro. »

    Lei lo prese fra le mani, leggermente titubante su cosa fosse -e cosa ben più grave- come si utilizzasse; non era mai stata in genio con certe cose, e quello non sarebbe stato il caso di imparare dato che, ahimè, aveva già provato in vano infinite volte nei laboratori di Arthur. Il risultato fu uno sguardo un pò sperduto, molto simile a quello di una bambina che si ritrova fra le mani un oggetto "da adulto". Era stata in parte colta di sorpresa: non immaginava un dono da parte sua, non così importante per giunta; si sentì immensamente onorata, sebbene fosse troppo orgogliosa per farglielo presente.

    -Jattur... io...

    Non sapeva che dire, e le labbra rimasero semiaperte fino a che non riuscì a mimare una smorfia di risolutezza.

    -Io lo farò.

    E poi la voce tornò titubante.

    -Solo che... non so di che si tratta.
    Mi... mi aiuti a capirlo?


    Divenne rossa in volto.
    E non capì nemmeno il perchè.

     
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    Forte.
    Era la necessità di essere forte a fiaccarlo... ironia delle ironie, proprio ciò che doveva essere gli impediva di esserlo. Ridacchiò, divertito da quel pensiero, mentre la sua scorta si separava nell'intrico di corridoi a distanza di sicurezza. Era una delle prime cose che aveva fatto con il potere derivante dall'essere Tanek Asjurbag, legittimo Imperatore di Asghabard: privacy. C'erano stati dei mugugni fra i Delta 1., ma lui non era suo padre e non voleva nessuno a distanza d'udito dai suoi alloggi.
    Aveva una moglie, lui.

    « Sono tornato. » disse, entrando. Le sue spalle si curvarono quasi all'istante, la sua intera figura assunse una posa meno rigida, più rilassata, meno... imperiosa. In quei cinquanta metri quadri, forse, lui era un uomo - solo un uomo. Non colui dalle cui decisioni dipendevano miliardi, decine di miliardi di persone. Un uomo. Si ripeté quella parola sussurrandola dolcemente, cullandola fra le labbra mentre la giacca dell'uniforme volava via.

    Un uomo, solo un uomo.
    Suonava bene.

    Un paio di mani si posarono delicatamente sui suoi occhi, facendo calare le tenebre su di lui. Sorrise, già riconoscendo il delicato profumo sulla pelle di lei. Desis Makaria... no, non Makaria, Asjurbag: sua moglie. Qualcosa di talmente straordinario da sorprenderlo ancora ogni giorno della sua vita.

    « C'è troppa tensione sulle tue spalle. » gli sussurrò ad un orecchio. « Rilassati. »

    Rilassarsi...
    ...certe cose devono accadere...
    ...se solo fosse facile.


    Oggi, altrove_


    Una delle prove che deve affrontare un SSA era la cosiddetta 'missione impossibile': una simulazione di uno scenario di combattimento reale in cui l'esaminando è in pesantissima inferiorità numerica e di mezzi, nonché ignaro che si tratta solo di un test. Lo scopo era preparare il futuro SSA al peggio del peggio: così qualunque cosa possa succedere in futuro non sarà più difficile di quello già affrontato in passato. Dieci volte su dieci lo scenario terminava con la morte, simulata s'intende, dell'esaminando... tranne per una persona.
    Rodak Asjurbag.

    Lo guardò in quel momento, Terad Fergusson. Rodak Asjurbag, una leggenda vivente. Un vecchio più sugli ottanta che sui settanta, a guardarlo di spalle, sorprendente per l'agilità che mostrava per la sua età nello starsene pancia a terra sull'orlo del crinale, al freddo e all'umido né più né meno che loro.
    Un vecchio molto pericoloso.

    « Sono tanto interessante di schiena, Terad? » disse in quel preciso istante Rodak Asjurbag.

    Sussultò, colto di sorpresa. Attorno a lui gli otto membri della squadra di scorta si agitarono in silenzio, a disagio. Rodak ridacchiò, senza neppure distogliere gli occhi dal visore. Alle volte aveva la netta sensazione che sapesse precisamente cosa stesse pensando, prima ancora di pensarlo. Poteva anche essere.. in fondo Rodak non era solo l'Imperatore di Asghabard, ma anche il più potente mago della loro dimensione. Persino il Nero aveva sferrato solo attacchi indiretti, sia pure mortali e devastanti, contro di lui. Ma questo lo sapevano solo i Theta e il Nero: l'esistenza della magia era un segreto estremamente custodito nel loro universo. Chiunque la scoprisse, per caso o intenzione, diveniva un Theta. Senza se e senza ma.

    Rodak Asjurbag arretrò carponi, poi si voltò e proseguì accucciato per raggiungerli quando poté farlo senza farsi scoprire da un eventuale osservatore. Ognuno di loro, incluso lo stesso Imperatore, erano equipaggiati con armature schermanti che li occultavano da ogni sensore tecnologico e parecchi tipi di magie di individuazione - tuttavia nulla impediva loro di essere semplicemente visti. E la loro presenza in quel mondo doveva essere un segreto, ancora per un po'.

    « La città è la stessa rilevata nelle paludi. » disse Rodak. Nessuno discusse; per loro era impossibile capirlo semplicemente guardandola attraverso un visore, ma nessuno di loro era un mago. « Copie gemelle, trasportate dall'Immaterium nello stesso piano dimensionale per un puro caso. Questa tuttavia è abitata. In più esiste una stazione suborbitale, a sua volta abitata. »
    « Fortificazioni? » chiese immediatamente. Faticò a non aggiungere 'signore', ma l'ultima ramanzina gli era bastata.
    « Non di tipologia avanzata. » lo informò, scagliandogli un'occhiata divertita con quegli occhi di ghiaccio. Di nuovo la sensazione che sapesse quel che pensava. Dimenticatene! si impose. « Tuttavia non ci infiltriamo. »

    Quella era una novità. L'equipaggiamento che avevano con loro era designato appositamente per una squadra di sabotatori, forse di spionaggio. Erano più che in grado di sgominare frontalmente un piccolo distaccamento di nemici, ma fino a quel momento la parola d'ordine era stata 'discrezione'. Probabilmente per la prima direttiva in caso di contatto con popolazioni sub-impulso: non effettuare mai un primo contatto.

    « Oh, qualcuno annoti: la città è chiamata 'Klemvor' dai nativi. » buttò lì come per caso, prima di ritornare sul crinale.

    Un paio dei soldati nella squadra si guardarono, circospetti. Terad non li rimproverò. Doveva ancora abituarsi a questo genere di situazioni.
    Nessuno di loro aveva avuto contatti con i nativi - neppure Rodak Asjurbag.


    Oggi, Alberocasa_



    -Io lo farò....certe cose devono accadere...


    Le parole dell'Imperatore Tanek Asjurbag, lontane nel tempo quanto lui nello spazio, gli vennero alla mente senza un preciso perché nell'istante stesso in cui Drusilia pronunciava la sua promessa. Una strana sensazione aveva strusciato nella sua mente, qualcosa che non era ben sicuro di saper definire. Per un secondo, solo un secondo, ebbe come l'impressione che gli era già successo qualcosa del genere...

    -Solo che... non so di che si tratta.
    Mi... mi aiuti a capirlo?


    Sorrise dentro di sé, avendo strettissima cura di non far trapelare nulla -nulla!- di quel sorriso all'esterno. Non aveva la più pallida idea di come funzionasse quell'aggeggio con le 'rune', ma certo non serviva solo a disattivare il sortilegio d'amore di Drusilia: la donna che aveva di fronte non era solo meno attraente, se così si poteva dire, ma diversa anche e soprattutto sul piano psicologico.

    « Devo trovare un uomo, il... cugino, immagino si possa chiamare così, dell'Imperatore della mia patria. » rispose, esitante sull'ultima parte.

    Esitava per più di una ragione: quel che gli aveva detto l'Imperatore Tanek era nel migliore dei casi sensa senso. Come poteva un uomo avere il medesimo DNA ma un aspetto diverso? Tanek Asjurbag si era premurato di fargli capire che realmente questo 'Nessuno' aveva occhi e capelli color dell'oro, non si trattava di travestimento in questo caso, eppure i fratelli omozigoti erano completamente identici.
    Finché tuttavia aveva del DNA da dare in pasto ai sensori dell'Argonath....

    « Si chiama Naxe: biondo, un metro e ottantasette, ottanta chili. » spiegò, e poi al palmare: « Visualizza profilo: Naxe Asjurbag. »

    Lo schermo si accese nelle mani di Drusilia, mostrando la schermata nera con l'intestazione in blu che conteneva il profilo del suo obiettivo con tutti i dati raccolti prima dell'inizio della sua missione. Nella foto l'uomo sorrideva, un brillio malizioso percepibile a viva forza negli occhi color dell'oro...

     
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    Il suo cuore ebbe un sussulto nel momento stesso in cui l'uomo disse la parola "cugino". Non seppe darne delle ragioni sensate, però la sua mente vagò altrove, alla sua terra natia dove aveva lasciato il passato alle spalle. Lì c'era una reggia distrutta, un regno che non sarebbe mai rinato. Lì riposavano le ossa dei suoi cugini, e di tutta la stirpe dei Guerrieri del Cielo. Probabilmente, qualora fosse morta, avrebbe chiesto a Yang di portare le sue immobili spoglie proprio in quel posto, cullate da ciò che fu il suo paradiso in terra, la sua prigione d'oro. Allora sarebbe davvero tornata tra loro, e ci sarebbe rimasta per sempre, lontano dalle fatiche di una vita trascorsa a lottare con denti stretti contro tutto e tutti, lontano dai mille problemi di ogni giorno, lontano dai ricordi e le speranze infrante, lontano da una donna che sognava un futuro felice e sereno come i suoi avi ritrovatasi poi raminga in terra straniera, ragazza madre senza mai aver assaggiato l'amore di un uomo. In effetti sarebbe stato bello riposare, una volta per tutte. L'unico attaccamento alla vita, tuttavia, era rivolto solo e soprattutto ad una creaturina piccola e dolce, che ora riposava in una culla non lontano dall'Albero Casa. Si chiamava Lowarn, suo figlio, ciò che restava di colui che un tempo era chiamato Hamelin e che come un martire perì per difendere la sua umanità, perchè nonostante tutto anche lui aveva il diritto di sognare. Ciò che Drusilia gli diede, fu una seconda possibilità di redimersi, e lui le avrebbe donato in cambio un motivo in più per non smettere mai di andare avanti, orgogliosa di quella parte umana che era anche in lei e che ora, nascosto il resto dal monile magico, pareva molto più evidente.

    -Perchè lo cerchi?

    Reclinò la testolina, ascoltando le parole del soldato, e sebbene si sentiva sollevata del suo essersi "aperto" a lei, ora la donna si rendeva conto di quanto ancora doveva scavare prima di fare chiarezza nella sua testa. Più che altro le domande che desiderava porre e che, al momento, affollavano i suoi pensieri, aumentavano proporzionalmente con l'aumentare delle informazioni fornite da Jattur. Un bel problema, considerando che avrebbero continuato ancora per un pò quella conversazione. Tutto il suo viaggiare, il suo cercare, portavano dunque ad un uomo: il cugino del suo imperatore, un tale Naxe Asjurbag. Probabilmente, come molti degli abitanti su Endlos, era stato strappato via dal Maelstrom e finito da loro per caso, tuttavia era piuttosto esterrefatta su come il suo associato fosse riuscito a sapere che era esattamente nel loro mondo, per non parlare del "trasporto". Quante probabilità c'erano di finire nello stesso mondo, viaggiando fra le dimensioni? Possibile che l'uomo, senza magia, potesse riuscirvi?

    -Beh, se sei arrivato qui credo tu abbia superato la prova più dura a mio parere...

    Sorrise, fissando la schermata del palmare, illuminatasi dopo le "parole magiche" dell'uomo mentre negli occhi verdi brillava qualcosa.

    -Se lo desideri potrei darti già una mano adesso, senza la necessità che ti debba accadere qualcosa di brutto.
    In ogni caso, vedrò quello che posso fare, vedrai che sarà nei paraggi.
    Vero è che Endlos è... strana, ma se è un tipo ragionevole può non essersi ancora messo nei guai.
    Lo troveremo sano e salvo, non temere.


    Sorrise candida, mentre posava una mano sulla sua spalla in segno di conforto.
    Povero imperatore, doveva stare davvero in pena per il suo cugino scomparso.

    -Potrei cercare nei censimenti di Laputa, però se non è passato di qui la ricerca sarà ardua.
    Hai altri dettagli, come... non so... i suoi gusti, ciò che gli piace?

     
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    Sentì l'irrigirsi delle sue spalle quasi immediatamente, lo intuì con quella semplicità di comunicazione che da un po' di tempo permetteva quasi all'uno di leggere nella mente dell'altra, e viceversa. Con una grazia che non aveva creduto umana, prima di conoscer lei, la donna aggirò il suo corpo immobile e lo fronteggiò, fissandolo con grandi occhi in cui s'annidava una vena di preoccupazione. Le sorrise, un po' triste, e si chinò per lasciarle un delicato bacio sulle labbra prima di andare oltre

    « Cosa succede? » l'inseguì la sua voce. « Perché sei amareggiato? »

    Si - quasi lanciandosi e quasi gettandosi - sedette sul primo divano che trovò, affondando nella microfibra come chi non ha più forze. C'erano volte che avrebbe volentieri convocato il primo cittadino visto al mercato e avrebbe abdicato in suo favore, chiunque fosse, se questo non avesse delle ripercussioni.
    Quella era una di quelle volte.

    « Oggi ho consegnato il briefing a Shattur. » rispose solamente lui, ricambiandone infine lo sguardo.
    « E allora? » chiese lei, sedendosi accanto a lui. « Tuo padre non ha detto che avrà successo? »

    Il profilo delle sue labbra fu squassato da una smorfia, il sapore della pura amarezza in bocca.
    Rodak...

    « Oh, sicuro, l'ha detto... »
    ...certe cose devono accadere...
    « ...ma non a quale prezzo. »

    Percepì più che sentire i peli del corpo rizzarsi uno dopo l'altro, reagendo alla vampa d'elettricità statica che sembrava essersi espansa quasi inconsciamente da Desis quando i suoi dolci occhi si strinsero in un'espressione sospettosa, quello stesso tipo di sguardo che aveva il potere di -letteralmente- fermare una navetta in corsa.

    « Cosa intendi dire di preciso? » sussurrò lei.


    Oggi, Alberocasa_


    « So che è importante per il mio popolo, ma non conosco i dettagli della missione. » disse, mascherando la leggera sorpresa nel sentirsi chiedere 'perché'. Certe cose si facevano perché era proprio dovere farle, tutto qui, questo era ciò che aveva sempre saputo. « So che negli ultimi due anni è venuto diverse centinaia di volte a Laputa, unicamente con mezzi magici di trasporto, che ha soggiornato quasi altrettanto spesso ad Istvàn e che effettua viaggi saltuari per, credo, altri mondi. È di carattere introverso e riflessivo, predilige il pensiero logico, inoltre è un cinesico... sa interpretare i movimenti del corpo per decifrarli in pensieri ed emozioni. » spiegò.

     
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    Rimase piuttosto perplessa per la risposta di Jattur.
    Aveva obbedito alla missione senza fiatare, senza dettagli; o stava mentendo, oppure...

    -Jattur...

    Lo guardò negli occhi, prendendolo per mano affettuosamente.
    Sembrava un gesto benigno, ed infatti lo era, ma quelli che l'avevano "sopportato", lo trovavano, come dire, "fastidioso".
    In poche parole, stava per partire la predica.

    -So che non dovrei dirtelo, però non ti sembra un pochino... sconsiderato, si... accettare le missioni senza sapere i dettagli?
    So che sei un bravo soldato, fedele al tuo popolo, ed hai tutto il mio rispetto.
    Hai anche una bella mente, aperta e vivace.
    In pratica sei impeccabile.
    Però...


    Sospirò.

    -Io non ti capisco.

    Abbandonò la stretta con l'uomo, dandogli le spalle e dirigendosi alla poltroncina dove prima era seduta. Ci furono lunghi attimi di silenzio, intervallati solo da un lungo sospiro. Una come lei, che da bambina più volte era scappata di casa perchè non voleva sottostare alle regole della famiglia, che anni dopo ancora più volte era contravvenuta ai divieti dell'Accademia, che si era perfino azzardata di aggredire verbalmente -e non solo- l'Alfiere in seguito alla missione a Klemvor pochi mesi prima, e che nel Day Two si era, come se non bastasse, macchiata di insubordinazione verso lo stesso, preparando un gruppo di aviatori in fretta e furia e partendo senza chiedere il permesso del Lord alla volta di una enorme, pericolosa nave volante nemica pronta per uno sterminio di massa, non poteva credere a ciò che aveva sentito. A parte l'imprudenza che spesso caratterizzava le sue azioni -perchè si, lo era stata più volte- sicuramente non era il tipo da accettare qualcosa, qualunque essa fosse e da chiunque le fosse ordinata, qualora non avesse rispettato la sua ideologia ed il suo modo di fare. Era per quello che non riusciva ad accettare, o meglio "concepire" il comportamento del neo-Sergente Shattur. Non lo capiva. Punto. Si passò una mano sul viso.

    -Jattur, tu sei uno degli uomini più intelligenti che abbia mai conosciuto, davvero.
    E proprio in virtù della tua intelligenza ti domando... come fai ad essere in accordo con qualcuno su qualcosa, senza sapere cosa di preciso?
    Metti che è qualcosa che tu non vuoi fare, che va contro ciò che credi... perchè accettare a priori?
    O almeno... perchè non hai chiesto almeno dei chiarimenti?


    Attese lì, con sguardo severo.
    Vero è che non le interessava, ma voleva bene ai suoi associati e si sentiva in dovere di parlarne.

    -Riguardo al "ricercato"... c'è alto?



    Edited by Drusilia Galanodel - 23/2/2011, 17:43
     
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    Sospirò, passandosi una mano sugli occhi, massaggiandoseli con indice e pollice. Quella donna aveva il potere di mettere a nudo la sua anima, in qualunque circostanza... anche quando lui non avrebbe voluto. Ma non poteva, non era capace di escluderla completamente da quella parte di sé, poiché la durezza che aveva dovuto assumere come Imperatore l'aveva cambiato, cambiato nel profondo.
    Aveva cambiato tutti loro, a dire il vero.

    « Intendo dire che qualcosa non mi torna. » rispose Tanek. « Mio padre è convinto che Jattur possa trovare Naxe; io non lo credo possibile, ma va bene, mi fido. In fondo possiede le qualità necessarie: ha uno spirito pragmatico ma è abbastanza giovane da poter rimettere in discussione tutte le sue presunte 'certezze', mentre le sue esperienze di combattimento hanno distrutto ogni traccia di ingenuità o inconsapevolezza. È un SSA, e questo parla da solo, in più le spade laser sono state pensate precisamente allo scopo di consentire ai non-maghi di affrontare la magia ad armi pari. Sembra tutto perfetto. »
    « E cosa c'è che non va in questo? » fece Desis, guardandolo con un'intensità che gli faceva male al cuore.
    « Proprio questo: che sembra tutto perfetto. » replicò lui, sfuggendone lo sguardo. Si alzò, tentando in tutti i modi di non parlare mentre i suoi meravigliosi occhi lo indagavano giù fin nell'anima, cercando una scusa qualunque in giro per la stanza; senza quasi accorgersene si ritrovò a selezionare dal replicatore una bevanda che non aveva la minima voglia di bere. « Non c'è un piano di riserva, non c'è una strategia alternativa o parallela, non c'è niente del genere... è come se mio padre puntasse tutte le sue carte su Jattur, il che è impossibile. Neppure un sergente di squadra commetterebbe un errore simile. Certo non mio padre. »

    Giunse il silenzio alle sue spalle, per quello che chiunque non l'avesse incontrata di persona non avrebbe mai creduto meno del singolo attimo che le ci volle a capire e continuare da sola. Molti -troppi- vedevano in lei la bellezza, non il cervello.
    « È un'esca. » gli arrivò in un sussurro.
    Due secondi in sua compagnia facevano cambiare velocemente idea.

    « Già. » confermò lui, portandosi la bevanda alla bocca. « E le esche hanno la brutta abitudine di morire. »
    ...certe cose devono accadere...
    Sorseggiò, fece una smorfia.
    Fiele puro.


    Oggi, Alberocasa_



    Le parole di Drusilia lo sorpresero così tanto che il suo solito aplomb decise bene di andare in vacanza e ritornare in tempi più propizi. Una parte di sé fu costretta a ricredersi; non erano l'esistenza della magia o l'assenza di una cultura di massa la vera differenza fra il suo mondo e questo, ma il sottinteso nelle parole di lei. Era strano accogersi di tale differenza proprio quando esse sembravano completamente spianate - strano si, ma non sgradevole.... bizzarro, in un certo senso. Dava una strana sensazione
    all'anima
    alla mente, un... attrito, che non era veramente tale.

    « Il mio mondo è più... crudele di questo. » disse, incerspicando sulla parola di cui non era assolutamente certo. « Non so bene come spiegare... » borbottò, cercando le parole. Dopo qualche minuto riprese a parlare.

    « Quarant'anni fa nella mia nazione Rodak Asjurbag, l'Imperatore, scomparve nel nulla assieme alla moglie. Il trono fu conquistato da un giovane generale di nome Ghark o'Male -in seguito lo abbiamo chiamato 'il Nero'- che prima usò il pugno di ferro con noi per assicurarsi il potere e poi ci usò per conquistare altri Imperi. In capo a due anni l'Impero Asghabardiano si estendeva fino ai margini della nostra galassia ed era di gran lunga la nazione più potente... e odiata. »

    Sospirò, passandosi una mano fra i capelli.

    « Devi capire: quello di cui ti sto parlando l'ho studiato sui libri di storia, non c'è praticamente nessuno che parla volentieri di quel periodo. Il Nero ci ha soggiogato, ma non è niente a confronto con quel che abbiamo fatto agli altri popoli sotto il suo comando: chi si ribellava era stroncato alla radice, la popolazione di milioni di sistemi solari costretta a tenere la testa china per sopravvivere. Era il terrore. Poi Rodak Asjurbag tornò, riconquistò Asghabard e ridiede formale libertà alle nazioni conquistate, ma ormai era tardi: nella memoria di migliaia di pianeti noi eravamo gli oppressori, gli aguzzini, il nemico. Fuori dall'Impero Asghabardiano ci sono luoghi dove le madri crescono i figli usando noi come spauracchio. I quarant'anni dopo la Liberazione li abbiamo passati a lottare - soli contro tutto il resto dell'universo conosciuto - contro attacchi micidiali, e il numero dei nostri morti è incalcolabile. Un uomo ogni dieci uomini, donne, vecchi e bambini è un soldato. Non saremmo vivi se non fosse per Rodak Asjurbag.
    E poi: i soldati del mio...'tipo', diciamo... hanno la possibilità di rifiutare un incarico, se non ci riteniamo in grado, e questo viene proposto ad un altro, ma... è difficile rifiutare una missione sapendo che il costo si paga in vite.
    » disse, indirizzandole un sorriso amaro.

     
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    A volte non riusciva a capire il motivo di tutto quello che subiva. Infondo lei voleva solo giocare, studiare ed aiutare gli altri, volontà che in una famiglia di umani sarebbe parsa quasi un dono dal cielo. Drusilia era la figlia ideale: nonostante avesse solo cinque anni, già dimostrava doti evidenti che caratterizzavano la sua razza, era dolce e buona con tutti e di carattere era particolarmente mite rispetto agli altri bambini. E, per di più, il suo cuore era totalmente puro, così tanto da poter afferrare le armi di suo nonno senza rimanere scottata dall'energia sacra che vi scorreva dentro, nonostante lui ci fosse riuscito solo dopo anni di purificazione in deserti e terre inospitali. Forse era quello per cui era osservata con occhio critico dagli altri; non era normale che una bambina fosse in grado di tutte quelle cose, non era possibile afferrare quelle armi senza pregare. Lei era diversa, pericolosa, e per di più anche una donna. Il suo destino era pregare, come scritto dai loro Santi Avi, nascondersi il volto e coprirsi il capo per non generar pericolosi istinti all'interno di quelle sacre mura, non fare tutto ciò di cui era famosa come guarire, studiare, agire. Quello era un lavoro da uomini, e nessuno avrebbe mai accettato di avere per promessa sposa una creatura del genere. Era per quello che i genitori non erano riusciti a trovarle uno sposo nei primi anni di vita, disonorando la loro piuttosto autorevole linea di discendenza. Era per quello che il padre era stato costretto a non farsi più vedere in pubblico con lei, lasciando l'onere del dialogo con la figlia alla sua sposa. Perchè infondo che senso aveva parlare ad un essere così diverso; sembrava quasi non capire tutte le cose che le ordinavano, e si permetteva pure di rifiutarsi! Lei era un mostro, e nulla mai sarebbe cambiato.
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    -Perchè papà non mi parla più se invece vuole?

    Piagnucolò una bambina sulla riva di un ruscello. Aveva i capelli lunghi e castani, mentre gli occhi splendevano d'un verde pari solo a quelli della donna al suo fianco. Costei, molto alta e particolarmente bella, indossava un abito raffinato e coperto, e si era appena tolta il velo dalla testa, approfittando della loro solitudine in quel bosco.

    -Perchè se gli Anziani dicono di fare qualcosa, vuol dire che c'è una ragione, Drusilia.

    La piccola si alzò con occhi furenti, in lacrime.
    Iniziò ad urlare, mentre le lacrime scendevano dal suo visino.

    -Quelli lì sono cattivi!
    Tanto lo so che mi odiano e lo fanno apposta!


    Un ceffone volò su di lei, facendola barcollare.

    -Non è giusto allontanarmi papà!

    Un altro ceffone sull'altra guancia, anche più forte di prima, e la bambina cadde per terra.

    -Ricordati che tu sei nata per svolgere un ruolo, e così deve essere.
    Noi non siamo umani. A noi non è concesso scegliere.


    Uno sguardo malinconico si dipinse su quel bel volto che aveva più d'un secolo alle spalle.

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    -Non è vero!
    Se loro non vorranno, io sceglierò lo stesso quello che farò!
    Io non sono nata per pregare in prigione!


    La donna la guardò, e sebbene la piccola chiuse gli occhi, pronta al terzo ceffone, inaspettatamente la sentì chinarsi su di lei, abbracciandola forte.
    E la bambina si accorse che la madre stava piangendo.

    -Sarebbe bello, piccola mia.






    Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.
    Oriana Fallaci.



    Se c'era una cosa che aveva sempre invidiato agli esseri umani, era sicuramente quella possibilità di scegliere che da sempre le era stata sottratta perchè discendente dei Guerrieri del Cielo. Per lei che come tutti i suoi fratelli aveva subito, lei che più degli altri si era opposta, e che per quella lotta finì per distruggere tutto ciò che aveva, vedere un essere umano agire in quel modo la faceva andare in bestia. Letteralmente. Fu per quello che mentre Jattur si spiegava, lei iniziò a massaggiarsi le tempie, in un disperato tentativo di calmarsi e non fare la figura della pazza. Respirò profondamente, ed il petto si mosse con ritmo forzatamente lento, fino a che lei non gli si avvicinò, prendendogli la mano. Ed in quel momento, ignorando apparentemente il discorso del soldato, sarebbe andata a frapporre il palmo della sua mano destra con quello della sinistra dell'uomo, sorridendo del notare quanto combaciassero. E pensare che lui veniva da un mondo lontanissimo, e lei da uno altrettanto distante.

    -Sai, Jattur. Io non sono esperta di queste cose di cui tu parli.
    Prima della guerra con Klemvor non mi sono mai trovata di fronte al benchè minimo conflitto.
    Però...


    Sorrise candida, e sebbene gli occhi avessero un velo di malinconia, in un certo senso pareva anche rincuorata.

    -Però posso dirti una cosa, una soluzione, più o meno, alla quale sono arrivata vivendo fra i miei cari.

    Avrebbe poi abbandonato ogni contatto, e solo gli sguardi si sarebbero sfiorati.
    Ed allora quello di Drusilia sarebbe parso un pozzo senza fondo.

    -Non dare la colpa a questo Nero, o meglio, "non solo".
    Magari non conosco la storia del tuo mondo, ma posso dirti con certezza che se costui ha fatto ciò che ha fatto,
    se ha disseminato terrore e morte, se vi ha resi fulcro dell'odio da parte di miliardi di popoli,
    è stato perchè ha avuto qualcuno che lo ha aiutato.


    Lo guardò seria, impassibile.
    Credeva in ciò che stava dicendo.

    -Coloro che hanno obbedito ai suoi ordini sono colpevoli quanto lui.
    Sono colpevoli di aver ucciso, distrutto ma soprattutto di non averlo fermato.


    Ed infine si sarebbe riaddolcita, e con una carezza materna avrebbe sfiorato il volto dell'uomo.

    -Tu sei un essere umano. Tu puoi scegliere che fare della tua vita.
    Volevo solo dirti che se obbedisci ad ordini, anche i più assurdi, sei libero di farlo.
    Basta che tu sia cosciente di ciò che fai. Tutto qui.
    Se lo fai perchè temi il costo delle vite ad un tuo rifiuto,
    domandati allora se quello per cui stai lavorando non ne paghi altre.


    Ed infine si sarebbe riallontanata, dandogli le spalle e tornando ad osservare fuori dalla finestra.
    A molti sarebbe parso un atteggiamento autoritario, ma era solo per nascondere i suoi occhi, fin troppo sinceri.

    -E perdonami se a volte parlo troppo, ma lo faccio perchè ti voglio bene.

     
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