[EM] Riconquista

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    Al di là del parapetto dell’ultimo piano della catapecchia abbandonata dove vi siete fermati a riposare, i dedali sporchi e polverosi della città sotterranea di Merovish si stendono a vostri piedi come vene pulsanti di una creatura viva e corrotta, animati dall’andirivieni continuo di mendicanti, storpi, straccioni, mercanti e delinquenti ... tutta quell’insulsa e meschina umanità che la rende lercia e infetta fino al midollo.

    E’ passato poco più di un mese dalla fuga di Veret dal sontuoso palazzo delle Taiulia, e per quanti segni il non-morto abbia lasciato al suo passaggio -e per tracce intendiamo i resti umani del suo pasteggiare per sostentarsi-, gli accoliti non devono essere riusciti a mettere insieme i pezzi del puzzle per ricostruire i suoi spostamenti e la sua attuale posizione.

    Nulla di cui stupirsi, dal momento che per questo lasso di tempo non avete fatto altro che fare su e giù per un po’ tutto il Presidio Meridionale, e che -già al suo risveglio- l’acrobata ha fatto fuori tutti i pezzi grossi della congrega... ciò significa che quelli rimasti devono essere i confratelli giovani e inesperti, e che rimasti senza una guida non devono valere un granché.

    Che abbiano rinunciato a riacciuffare il loro esperimento? Sarebbe una delusione...
    E dire che, a giudicare dalle capacità di cui il tipetto tenace aveva fatto sfoggio nei sotterranei
    -quello che sembrava guidarli quella volta-, ci si sarebbe aspettato di più.
    Infondo sembrava sapere il fatto suo...

    I vostri sguardi sorvolano pigramente lo scarno paesaggio che la vista offre, come uccelli da preda appollaiati sulla rupe di cui hanno fatto trespolo, quando un rumore -appena un fruscio- e un senso di minaccia destano i sensi dell’oplita; il resto sono semplici riflessi in azione, i riflessi pronti di un uomo d’armi che è avvezzo alla guerra e alla battaglia: si volta di scatto, e la mano forte di Aristotelis ghermisce il polso esile che fuoriesce dal saio scuro dall’ampio cappuccio.

    Non riuscite a scorgere il volto dell’aggressore incappucciato, ma vedete chiaramente che questi ghermisce un pugnale, e la sua lama affilata -intrisa di uno strano fluido azzurro- luccica a pochi centimetri di distanza dal cuore immoto di Veret.



    Straight to the PointPerdonate la lunga -lunga lunga lunga [...]- attesa :sisi: Turni liberi. ;*
     
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    Ω Capitolo Riconquista




    Era giunto infine il tempo della rivalsa, in quello scenario desolato ed attraversato da spettri della decenza umana.
    Così come il non-morto Raem gli aveva riferito la prima volta che si incontrarono, avrebbero attaccato l'organizzazione che aveva dato vita all'acrobata stesso.
    Anche lì, in quella casa malconcia, Aristotelis conservava alcuni dubbi, tenendoli ben lontani dall'influenzarlo negativamente e compromettere lo svolgimento della loro riconquista.
    Per la prima volta in vita sua, stava brandendo le armi per denaro, provando un certo sconforto nel farlo.
    Ma non importava. Doveva farlo, per assicurarsi una possibilità di continuare a vivere in quelle terre senza troppi problemi; e anche per ripagare l'evocatore di quanto aveva fatto per lui.

    E una parte del debito fu compensata quando, con quel rumore silenzioso abbastanza da mettere in allarme l'oplite, i suoi sensi furono messi in allerta da una presenza indesiderata ed afferrò in una stretta di ferro il gracile polso dell'ingenuo attentatore.
    Senza un suono, senza una parola, senza un pensiero Aristotelis neutralizzò velocemente quel sicario dal volto coperto e vestito di saio nero.
    Il pugnale che brandiva luccicava di una minacciosa luce azzurrognola, evidentemente imbevuto in chissà quale sostanza.

    Gelido come il soldato d'esperienza che è, l'oplite storse il polso all'aggressore, cercando di fargli mollare la presa su quell'arma così inopportunamente utilizzata, per poi tentare di farlo svenire con un colpo ben preciso e calibrato alla tempia.

    Raem, questo cercava te.

    Se tutto fosse andato per il verso giusto, avrebbero avuto già un'ottima fonte di informazioni tra le mani: chi era, chi lo mandava, da dove veniva erano alcune delle domande alle quali poteva rispondere senza problemi.
    Con le buone se avesse collaborato, con le cattive se avesse opposto troppa resistenza.

     
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  3. Dracace
     
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    Da qualche parte Raem aveva letto che, secondo i maggiori studiosi della psicologia umana, durante le fasi del sonno la coscienza tende a sprofondare in un livello più profondo di consapevolezza, venendo a contatto con il lato più nascosto e segreto di ognuno. Per lui, in effetti, è da diverse settimane che dormire ha un significato ben diverso da ciò che comunemente si intende. Impossibilitato nell’abbandonarsi dolcemente all’oblio della mente, ogni notte l’unico sollievo che può ancora provare è quello di cercare una più profonda comunione con l’ambiente circostante, affinando i sensi fino a diventare parte della natura selvaggia. Immobile, come la roccia che, scavata, lascia le tracce di progetti secolari; silenzioso come il vento che, flebile, non riesce a cingere quelle gole di pietra. Vigile, sempre pronto a reagire, eppure apparentemente inanimato, un semplice cadavere agli occhi di chi lo scruta.

    In questo stato quella mattina lo trova l’imprudente sicario, quando si inoltra nella catapecchia che lui e il greco hanno scelto per passare la notte. Il fruscio delle vesti tradisce le sue mosse, ma prima che il non morto possa intervenire, una mano più veloce afferra saldamente il polso dell’attendente assassino, trattenendolo e impedendogli così un’eventuale fuga. Un sorriso crudele percorre il teschio martoriato, felice di come un passo falso del nemico gli abbia procurato un così gran vantaggio. Non ha dubbi sul mandante di tale omicidio, anche se non riesce a comprendere in pieno ciò che i finanziatori hanno in mente. Perché, pur conoscendo le sue caratteristiche, mandare qualcuno a uccidere un immortale? Poi lo sguardo scende lungo la lama posandosi sull’ungueno dall’anomalo colore, e tutto diventa un po’ più chiaro. Non per ucciderlo, ma per neutralizzarlo nel sonno la missione era stata ideata. Non lo stupirebbe veder spuntare dalle finestre storte un più nutrito gruppo d’accoliti, con tanto di funi e catene.

    Ormai utilizzato al meglio l’intelletto, il dotto abbandona il controllo, restando a fissare la scena da semplice spettatore. Ora che il più è fatto, può benissimo rilassarsi e lasciare le parti più noiose al moccioso. Oltretutto, non era mai stato bravissimo nel torturare le persone.

    L’acrobata, dal canto suo, non sembra minimamente contrariato dal compito affidatogli e anzi dimostra un vivace interesse. Con un colpo di reni cerca di rimettersi in piedi, molleggiando sulle gambe per controbilanciare l’equilibrio, le mani già scattate a impugnare i fidati coltelli. Con voce quasi divertita, con la speranza di essere “costretto” a torturare l’intruso ad illuminargli il volto, Veret cerca stancamente di convincerlo a parlare, gli occhi costantemente fissi su ogni più piccolo movimento.

    Amico, puzzi di Taiulia così tanto da sovrastare perfino il mio odore! Ora, la prassi consueta vedrebbe me intento a minacciarti per farti dire tante belle cosette sui tuoi mandanti, ma personalmente vorrei saltare questa parte e passare subito al punto in cui ti uso come puntaspilli. Adoro la vista del sangue di prima mattina.
     
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    L’oplita afferra il polso del sicario con pronta fermezza, e imprimendogli una torsione dolorosa lo costringe a mollare la presa sull’arma così curiosamente luccicante per un fluido azzurrino e viscoso; l’arma cade a terra con un tintinnio metallico, e un piccolo strillo si leva dal vostro aggressore, curiosamente acuto...

    Raem, questo cercava te.

    ...una voce curiosamente acuta che si rivela -con buona ragione- tipicamente femminile quando il colpo alla tempia del soldato getta l’attentatore a terra, rivelando -sotto il cappuccio che si ritira a scoprirgli il capo- lunghi capelli castani e un grazioso volto di donna.

    Amico, puzzi di Taiulia così tanto da sovrastare perfino il mio odore!
    Ora, la prassi consueta vedrebbe me intento a minacciarti per farti dire tante belle cosette sui tuoi mandanti, ma personalmente vorrei saltare questa parte e passare subito al punto in cui ti uso come puntaspilli. Adoro la vista del sangue di prima mattina.


    Veret parla da solo: la vostra ospite è ancora tramortita...
    Trovate un modo di darle il buongiorno.

     
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    Ecco che già il lavoro si faceva sgradevole.

    Il sicario si rivelò essere una donna, la quale prima urlò un po' troppo acutamente per essere un uomo e poi mostrò controvoglia le sue fattezze, dopo esser stata colpita e tramortita dall'oplite.
    Intanto, Raem sembrava essere diverso. Probabilmente era l'anima di Veret ad avere il controllo del corpo, ora, e sembrava chiaramente malintenzionato.
    Un paio di sensi di colpa assalirono Aristotelis, che mantenne comunque il suo sangue freddo.
    In ogni caso, avrebbe cercato di evitare ogni altro danno non necessario all'interrogatorio, sperando nella collaborazione della ragazza.

    Vediamo di farla parlare in fretta.

    Non era sicuro che l'acrobata lo avesse capito, ma l'oplite si diresse verso un tavolo dove vi era una caraffa d'acqua, e ne gettò un po' sul volto della giovane dalla chioma castana, sollevandola per le braccia e tenendogliele ferme, dietro la schiena: la prigioniera poteva avere armi nascoste, ed era meglio se non le avesse utilizzate, anche se l'intontimento avrebbe fatto la sua parte.

    Una volta immobilizzata a dovere nella sua morsa, Aristotelis fece un segno col capo a Veret, incitandolo ad iniziare la sequela di domande, ora che l'avventatrice mostrava segni di coscienza.
    Tuttavia, negli occhi del greco si poteva leggere un velato monito ad evitare la violenza inutile.
    Chissà se l'acrobata l'avrebbe colto.
     
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  6. Dracace
     
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    Ma come, neanche il tempo di tirare fuori gli attrezzi del mestiere e quello lì sveniva, quattro e nessuno, come se niente fosse? Anzi, quella, visto che l’assalitore si è dimostrato essere una donna. Mandare una simile galoppina in una missione di omicidio, poi. Giù alla gilda dovevano essere proprio parecchio disperati, o parecchio stupidi. O tutti e due insieme, in effetti.

    Mentre Veret ha simili pensieri per la testa, il greco, amico del professor-so-tutto-io, afferra la prigioniera, la immobilizza e le versa un’intera caraffa d’acqua sul viso, cercando di farla rinvenire. Poi, a operazione conclusa, gli lancia inequivocabili cenni del capo, invitandolo a proseguire con l’interrogatorio. L’acrobata, evidentemente valutata meglio la situazione, si ritiene soddisfatto della sua buona stella e inizia a cambiare i progetti di torture, passando dalla categoria delle pressioni fisiche a quella degli stimoli psicologici. Prima che l’ospite riprenda conoscenza, senza mollare ancora la presa sulle lame, si assicura di avere il volto ben scoperto, con tutti i dettagli della decomposizione in vista. Per quanto avessero potuto dirle su di lui, vederlo in carne (poca) e ossa (decisamente la maggioranza della sua persona) è una cosa totalmente diversa. Per ultimo, si piega in avanti, posizionandosi a pochi centimetri dal volto della malcapitata, sperando con tutto il cuore che l’odore di putrefatto raggiunga le sue narici prima che il senno le torni al posto consono.
     
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    Vediamo di farla parlare in fretta.

    Il significato delle parole dell’oplita va perso nel mistero del suo esotico idioma, ma il loro senso si palesa nitido ed evidente quando -arretrato di qualche passo- si avvicina al tavolo sghembo, con i quattro piedi di altezze diseguali, per afferrare la brocca d’acqua e gettarne subito dopo una generosa bordata addosso alla vostra prigioniera.

    Quella, quasi salta da dove l’avete adagiata, e -mentre annaspa e sputacchia alla ricerca d’aria- tenta istintivamente di portarsi le mani al volto per tergere via i rivoli copiosi della raffica improvvisa... scoprendo tuttavia ben presto le braccia immobilizzate dalla presa salda del soldato.

    Naturalmente comincia a divincolarsi, e sussulta inorridita alla vista del volto dell’Acrobata così vicino al suo, così nauseante e così devastato dalla necrosi da emanare un tanfo sordido di decomposizione... ma ben presto sembra comprendere la situazione, e -pur senza risparmiare il disgusto per il non-morto- riprende l’autocontrollo e si acquieta, passando lo sguardo dall’uno all’altro e rivolgendovi occhiate dure e contrite.

    « Non credevamo avresti trovato qualcuno disposto a servirti, mostro.
    Con che sortilegio hai asservito questo scimmione? »

     
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  8. Dracace
     
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    Mostro lui? In un angolino, da spettatore, Raem osserva divertito come la cattiva nomea del coinquilino finiscano inevitabilmente col macchiare anche la sua reputazione. Ma non c’è da stupirsi, purtroppo, visto che sono pochissimo coloro in grado di non fermarsi alle apparenze e capaci invece di andare oltre alla mortale carne, giù fino alla materia eterna delle anime.

    Veret intanto, si è allontanato un poco dal viso della prigioniera, ma continua a restarle con lo sguardo incollato addosso, come fanno i predatori famelici della savana con il pranzo, prima di addentarlo. Per qualche interminabile istante non fa altro che strusciare le due lame strette nelle mani tra loro. Poi si avvicina di un passo e inizia a solleticare il collo della donna con la punta di uno dei due pugnali, con abbastanza pressione da esser certo del risultato ottenuto ma non così tanta da lasciare segni evidenti sulla candida pelle. Mentre si destreggia in questo modo, parla con una calda voce scherzosa, in cui un’evidente punta d’impertinenza sembra voler sottolineare l’offesa ricevuta dalle parole ascoltate.

    Ti sembra forse carino insultare così uno che non capisce la tua lingua? No, no, no, qui qualcuno dovrebbe proprio insegnarti le buone maniere.

    Qui si ferma, con un terribile ghigno in volto, come se l’idea di insegnare a qualcuno le basi del buon comportamento fosse una panzana troppo grossa per restare abbastanza serio da continuare l’interrogatorio.

    Comunque - riprende con fare decisamente meno delicato, ma più secco e sbrigativo- per tua norma e regola, essendo tu immobilizzata e io libero, solo io posso tra i due fare domande. E ne ho giusto una per te : hai intenzione di collaborare, o dobbiamo darti un piccolo incentivo? Perché, sai, di idee me ne stai facendo venire in mente parecchie.
     
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    Il non-morto indietreggia un poco, ritraendo il volto putrefatto dal viso dell’accolita e acquistando una migliore visuale d’insieme per abbracciarne l’intera figura con la sua miglior occhiata intimidatoria; la guarda per un lungo intenso istante come se avesse davanti il suo prossimo pasto, e anche il modo con cui sfreghi tra loro le lame di due coltelli è un rimando fin troppo chiaro alla gestualità ricorrente di chi sta per mettersi a tavola.

    La giovane trasale, e le sue membra si irrigidiscono -inquiete-, ma si evince dai suoi occhi spavaldi e decisi tutta la volontà di non cedere al panico, di non lasciar trapelare alcuna emozione... di non darti nessuna soddisfazione.
    Una determinazione che, anziché indebolirsi o vacillare, si rafforza nonostante la sensazione di pericolo che si promana dalla lama appuntita che preme sulla pelle eburna del suo collo.

    Ti sembra forse carino insultare così uno che non capisce la tua lingua?
    No, no, no, qui qualcuno dovrebbe proprio insegnarti le buone maniere.


    « Ce le ho anche io un paio di dritte di bon-ton per te, mostro. »
    ti rimbecca, con voce e occhi colmi di disprezzo
    « Come lavarsi, ad esempio: puzzi in maniera disgustosa. »

    Comunque, per tua norma e regola, essendo tu immobilizzata e io libero, solo io posso tra i due fare domande. E ne ho giusto una per te : hai intenzione di collaborare, o dobbiamo darti un piccolo incentivo? Perché, sai, di idee me ne stai facendo venire in mente parecchie.

    « Sono ben disposta a collaborare... »
    comincia, con sulle labbra un sorrisetto sprezzante
    « ...a porre fine ai tormenti di un’esistenza menomata come la tua. »


     
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  10. Dracace
     
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    Per lo meno l’amico di Raem non avrebbe potuto rimproverarlo in qualche modo : ha perfino tentato di ottenere le informazioni senza ricorrere alla violenza. E poi quella ragazza ostinata se l’è proprio cercata, questa tortura. Potendo benissimo evitare tanti fastidi dandogli poche informazioni, ha deciso per amor di una gilda destinata a soccombere di stare lì a farsi bucherellare. Ma, dopo tutto, chi è lui per giudicare? Se è quello ciò che ha deciso, sarà un piacere accontentarla.

    Ignorando il sarcasmo dell’accolita, arretra ancora di un passo, squadrando la figura femminile, mentre la fervida immaginazione già gli propone più e più approcci. Un amputazione è fuori discussione, troppo sangue sparso e il pericolo di morte per l’ostaggio. Qualche ferita ben data, magari, ma in questo caso la solida determinazione della prigioniera avrebbe potuto impiegare ore per sgretolarsi. Serve qualcosa di doloroso ma non letale, qualcosa di pratico, facile da infliggere, qualcosa come …

    Un illuminazione lo coglie e nuovamente un ghigno increspa le labbra tumefatte. Senza spostarsi minimamente, compie un cenno dei palmi e subito due lastre di pesante marmo nero appaiono a pochi centimetri dalle gambe dell’incauta, sospesi a mezz’aria, in minaccioso avvicinamento.

    Ora la decisione spetta a lei. Se vuole salvarsi, sa cosa deve fare, se decide di non parlare, è l’unica artefice di una vita sprecata. Afferrando una sedia, Veret si posiziona di fronte alla vittima, con sguardo impassibile, i freddi occhi bianchi persi nelle sue sfuggenti pupille.


    Attiva utilizzata: ascesa (basso, quattro lastre unite a due a due per parte).

    Energia: 100 – 5 = 95%
    Nota: la tecnica viene rinnovata ad ogni turno con la spesa di un basso, per evitare che le piattaforme scompaiano.

     
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    Ignori le repliche sfacciate e sarcastiche della tua prigioniera, e arretri di un passo ancora, come ad ampliare la tua visione d’insieme: colpirla e farle abbassare un po’ la cresta non è il tuo scopo, ma solamente il mezzo; il quadro generale ti impone di raggranellare informazioni sulla Taiulia -l’ubicazione della sua sede, le sue misure di sicurezza, chi comanda lì ora...-, non certo di perdere tempo ed energie per impressionare una servetta petulante.

    Riflettendoci su ti viene un’idea, e un ghigno increspa il tuo viso reso già sgraziato e repellente dalla corruzione della carne; poi, ad un tuo cenno, delle lastre di marmo nero si materializzano a poca distanza dalle gambe immobilizzate della tua reticente informatrice.
    Prendi una sedia sgangherata dalla bettola che tu e l’Oplita condividete, e ti metti comodo.
    Potrebbe diventare una cosa lunga

    « Che c’è, saltimbanco? »
    sputa con disprezzo, guardandoti negli occhi e beffeggiandoti con un sorrisetto
    « Vuoi una moneta per il tuo piccolo numero di magia? Prova con conigli e cappelli...! »



    Scusa il ritardo =* La prossima volta, però, ti chiedo di essere più accurato e preciso nel descrivere le azioni che compi, dal momento che non è molto chiaro in che modo le lastre sono state posizionate òwò/

     
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  12. Dracace
     
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    Quel tipo di sfacciataggine non è mai riuscito a sopportarla. Non la coraggiosa spavalderia che un fiducioso duellante potrebbe dimostrare di fronte al nemico. Non l’eroica noncuranza della propria morte, in cui un guerriero, conscio della fine ormai prossima, decide di lasciare l’esistenza con un ultimo, memorabile, gesto. Quella è la stupida e inutile faccia tosta degli sconfitti, presente in tutti coloro che, seppur certi di non poter far più nulla di significativo per cambiare il volere del fato, continuano ostinatamente a provocare o a sforzarsi di parere imperturbabili. Come può una mente, seppur appannata da anni di futili insegnamenti, concepire una decisione tanto insensata e infima? Come può un prigioniero, guardando negli occhi il boia e ridere di lui, nella vana credenza di morire per una causa giusta e meritevole? La risposta è lontana dalle pur eccelse capacità cognitive del dotto, che si ritrova nuovamente inerme di fronte all’abissale idiozia umana.

    Durante i pochi istanti di queste elucubrazioni, gli occhi vuoti del non morto si posano più e più volte sulle fattezze della ragazzetta, dubbiosi. La figura è ancora stretta nella presa del greco, che le immobilizza entrambe le braccia, impedendogli la fuga. Le gambe sono invece racchiuse tra le due lastre di pietra, prigioniere come lo è un libro su uno scaffale, posto tra altri due.

    Un lampo di spietatezza illumina il volto martoriato quando, a un cenno della sua mano, il lento avvicinarsi delle lastre accelera bruscamente, nel tentativo di stritolare irreparabilmente gli arti dell’assassina mancata. La pietà non sfiora minimamente la sorda coscienza dell’accademico. Più volte quella sventurata ha rinunciato alla possibilità meno dolorosa, ora ne pagherà le conseguenze.


    95 - 5 = 90%

    Note: Le due piastre, di un metro per un metro, spesse 10 cm, sono poste rispettivamente davanti e dietro le gambe della prigioniera, sospese a mezz'aria. L'idea è quella di creare una specie di morsa, per maciullare le gambe alla ragazza e costringerla a parlare.

     
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    La guardi e non capisci dove finisca il coraggio e inizi la stupidità, ma non hai tempo e voglia da sprecare con lei per cercare di capirlo; non che tu abbia di meglio da fare in quel preciso momento, ma un’attività inutile è pur sempre un’attività inutile. E non puoi nemmeno indugiare nel renderla dilettevole, perché lo sguardo dell’oplita ti segue con attenzione; può non comprendere la lingua, ma sai bene che non è certo uno stupido.

    La sentenza è stata decretata, la prigioniera continua a tacere e fare la smargiassa, quindi sarà il caso di chiudere le trattative e iniziare i preliminari; le lastre di marmo iniziano a stringersi sulle sue gambe, ma ci vuole qualche istante ancora, prima che la pressione cominci a diventare eccessiva e presto dolorosa, abbastanza da cambiare il suo sorrisetto saccente in una smorfia di dolore.

    La vedi stringere i denti e serrare le labbra per non urlare, ma uno scricchiolio sinistro proveniente dai suoi arti inferiori accompagna un lungo e tetro gemito che le striscia fuori dalle labbra; chiude anche gli occhi, per contenere il fremito di dolore, e quando li riapre il suo sguardo ti trafigge con un’espressione di puro odio; il sussurro che ne segue è flebile, ma non meno carico di alterigia e risentimento, contrita e furente per quella che potrebbe sembrare una resa.

    « Che diavolo vuoi sapere?! »

     
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  14. Dracace
     
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    Prima che la prigioniera si penta e torni all’insensato mutismo, Raem rilascia le due lastre di pietra, fidandosi della presa salda del compagno, e Veret snocciola in fretta le domande più urgenti, con un innegabile succulento ghigno di soddisfazione.

    Quello che mi preme conoscere è il numero esatto delle persone lì racchiuse, armi e incanti di cui dispongono ed eventuali trappole poste a guardia dell’edificio. Rispondimi e verrai liberata.

    I vacui occhi bianchi, ora tremendamente avidi di dettagli pre bellici, si perdono in quelli della ragazza, come a trapassargli l’anima pronti a notare la prima menzogna detta. Perché, seppure favorevolmente colpito dall’improvvisa loquacità dell’ospite, il non morto non pensa certo di poterle estrarre troppo facilmente tutte quelle notizie, ed è pronto a tornare alla tortura alla minima ombra di una bugia. Ciò traspare inequivocabilmente dai tratti del suo volto, e l’inaffidabile assassina non può non rendersene conto. Se mente, e il suo carnefice se ne accorge, il dolore riprenderà più intenso che mai.
     
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    Congedi le lastre di marmo e non ti soffermi ad assaporare il tuo piccolo passo avanti compiuto verso il successo, perché -come è prerogativa di ogni donna- non sai quanto potrebbe volerci alla tua prigioniera prima che cambi di nuovo idea e si rimangi la promessa di collaborare; così, elenchi rapido e conciso quello che vuoi sapere.

    Quello che mi preme conoscere è il numero esatto delle persone lì racchiuse, armi e incanti di cui dispongono ed eventuali trappole poste a guardia dell’edificio. Rispondimi e verrai liberata.

    Quella sostiene con vivo astio il tuo sguardo lattiginoso, ripugnante e grottesco,
    ma nelle sue iridi non c’è la minima ombra di paura.

    « Non so quanti di noi sono rimasti alla base... »
    borbotta quasi offesa per poi chiudersi di nuovo nel mutismo

    E non ti ha detto ancora nulla. Forse le serve qualche altro incentivo.

     
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