Routine Lavorativa

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    Dicono che la Morte sia il fruscio delle ali di un angelo.

    Tralasciando i panegirici dei più romantici, in un certo senso -uno molto lato- è così che comincia:
    nelle tenebre di un cuore o nell’ombra di un pensiero viene emessa la condanna, e quando in uno incontro clandestino o in un salotto dabbene qualcuno vuole davvero morto qualcun altro, prende per prima cosa contatti per cercare chi esegua la sentenza.

    Ecco, sistematicamente, uno di quei contatti prende tutte le informazioni utili del caso (cifra del compenso e nome del bersaglio in primis - tassativamente in quest’ordine), e le trascrive su un foglietto di carta, che lega alla zampa di un piccione viaggiatore.
    Il resto vien da sé: il volatile conosce la strada, ed eccoci a quel fruscio fatale; poi...
    Beh, poi ci sei tu.

    E, puntuale come ogni volta, il piccolo pennuto atterra in un frullio sul tuo davanzale,
    e il suo vispo occhietto rosso ti osserva mentre ti avvicini al vetro della finestra.

     
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  2. Yoshikage Kira
     
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    Yoshihiro non era del tutto inatteso.
    Da qualche giorno le sue unghie avevano ripreso a crescere, rapidamente e più del consueto. E il pennuto assente era stato per lui nient'altro che un campanello d'avviso: presto avrebbe ucciso. La cosa non poté che rallegrarlo.
    Togliergli questa possibilità era come privarlo dell'aria, giacché l'impulso era per lui altrettanto feroce e invasivo come l'istinto di un'animale; e preservare se stesso a discapito dell'altro sarebbe diventato, prima o poi, una necessità e non una distorta abitudine.

    V'era anche un'altro fattore.
    La sua amata iniziava a stargli stretta: troppe pretese, troppe confidenze.
    L'adagiava sul divano e la ritrovava a terra. E se non a terra, chissà dove! Quante macchie poi che lasciava in giro, senza riguardo per il fetore di decomposizione che riempiva tutta la stanza, e che il Portatore di Stand era poi costretto a cancellare con intese fragranze profumate.

    Fu per questo che ringraziò il piccione dal profondo del cuore.
    E gli si avvicinò lentamente, per afferrare il messaggio legato alla sua zampa...
    e sapere chi era destinato a morire per mano sua.

     
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    Il volatile ti osserva coi suoi occhietti quasi interrogativi, ma l’addestramento che gli è stato inculcato fa sì che non scappi spaventato in un frullio d’ali al tuo avvicinarsi o alla tua sola vista; il suo cuoricino batte vivo e pulsante quando ghermisci delicatamente quella pallina di piume per liberargli la zampa dal foglietto arrotolato, e subito dopo è di nuovo a zampettare ozioso e ignaro sul davanzale mentre tu adoperi le dita agili per aprire la comunicazione piegata e arrotolata.

    < Delacroix
    | | | Villa Edera (Argenstella)
    ¥ ≡ + tratt.


    La calligrafia è pessima, ma non si può pretendere troppo da certi ambienti; tuttavia -per quanto cifrato con simboli che i più non capirebbero- il messaggio è chiaro, e questo è quel che conta: il quadratino scuro occupa il posto dove solitamente è riportato il nome della vittima, questo significa che l’offerta è a “scatola chiusa”... in genere, in questi casi, vuol dire che i committenti preferiscono incontrarti faccia a faccia per capire se sei l’uomo che fa al caso loro.

    Loro -a giudicare dal secondo simbolo- devono essere questi Delacroix; la seconda fila di simboli riporta il tempo e il luogo del vostro randez-vous: le stanghette orizzontali rappresentano i giorni, e potrai rintracciarli in una delle molte ville ad Argenstella -il distretto più lussuoso e altolocato del Pentauron-, dove sai che per molti nobili o ricconi possedere una proprietà rappresenta una specie di status-symbol...

    L’ultima riga di simboli codifica informazioni sul compenso: il simbolo della valuta affiancato da ben tre lineette orizzontali indica che la cifra promessa per la paga è di fascia alta (una linea significa “basso”, e due vogliono dire “medio”), mentre il simbolo di addizione parla di “extra” trattabili.

    Certamente, la cosa si fa interessante: sembrerebbe un’occasione professionale redditizia.
    E quell’alone di mistero aggiunge un pizzico di fascino in più che non guasta mai, giusto?
    A quanto pare, è meglio che cominci a tirarti a lustro e a farti bello: devi far visita ai quartieri alti!

     
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  4. Yoshikage Kira
     
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    Il fatto che Yoshihiro fosse addestrato non gli impedì di porgere, nell'atto di approcciarsi a lui, una cautela quasi riverenziale per il fidato compagno di lavoro. Quando la mano l'ebbe ormai agguantato, Kira si sorprese dell'apparente calma che lo dominava, a dispetto del tum tum ritmato e rapido di un muscolo cardiaco piccolo quanto una noce.
    Le dita accorsero a sfilare la missiva dalla zampa del pennuto, che fu dopo adagiato sul davanzale ove un finto ramo attendeva il suo peso irrilevante.

    ■ < Delacroix
    | | | Villa Edera (Argenstella)
    ¥ ≡ + tratt.

    Quei messaggi in codice non erano una novità, a differenza della calligrafia a dir poco oscena. Ma quello fu un particolare di seconda importanza, dal momento che era più importante cosa gli nascondesse il messaggio cifrato. Tornò indietro verso la scrivania, dove agguantò un paio di occhiali da lettura e, sedendosi sulla poltrona, si finse investigatore per qualche momento.
    Dunque, il nome della vittima non era specificato, il che gli suggerì una strattativa in loco; ritrovò riprovevole, invece, che fosse specificato il nome del mandante dell'omicidio, ma auspicò che Delacroix fosse uno pseudonimo o avrebbe mandato all'aria le trattative. Quindi seguirono quindi una chiara indicazione del tempo e del luogo, ovvero avrebbe dovuto raggiungere una delle ville ad Argenstella nel Pentauron ricco e opulento fra circa tre giorni.
    Questo non poté che essere un bene, per lui, dal momento che - come la simbologia si apprestò a sottolineare - il compenso per l'omicidio era abbastanza generoso; mentre quegli extra trattabili ravvirarono un certo appetito che spense, almeno per il momento, ogni intenzione di stracciare il messaggio, dal momento che i suoi clienti avevano già commesso l'errore più grave.
    Regola Due: non fare nomi.

    ~ ~ ~ ~

    Il periodo di tempo necessario all'avvio della missione era, per sua fortuna, sufficiente a permettergli un cambio d'aspetto, di quelli degni di un maestro del travestimento. Così si tagliò i capelli, li buttò all'indietro - taglio a spazzola - tingendoli di un nero corvino.
    Avrebbe poi indossato una giacca elegante, di un blu colbalto, e una cravatta nera su cui troneggiavano strani simboli: teschi di volpe, per la precisione. Avrebbe viaggiato verso il quartiere ricco del Pentauron, cercando d'essere puntuale come un orologio svizzero. All'ingresso del viale di Argenstella avrebbe indagato sistematicamente nella speranza di trovare subito questa Villa Edera, menzionata nella missiva.
    E si auguro che il compenso fosse sufficiente coprire l'infrazione di una delle sue regole, infrazione che già altre volte l'aveva spinto a rifiutare un incarico.

     
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    Per il tuo appuntamento di lavoro ti sei messo bene in ordine, non c’è che dire: nuovo taglio di capelli, nuovo colore, e completo di foggia elegante... sebbene la fantasia dei decori (teschi di volpe) conferisca -nel complesso- un retrogusto macabro ed anticonformista al tuo abbigliamento, di dubbio stile ma di sicuro effetto.

    Così, ti avvii per tempo verso il distretto nord-est del Pentauron, ma passi più di un’ora a girovagare a vuoto per i quartieri di Argenstella prima che -svoltato un angolo- il tuo sguardo cada su un bel palazzo in stile coloniale, a due piani, e con un ampio e luminoso giardino racchiuso lungo il perimetro da un’alta recinzione in ferro battuto... ciò che maggiormente colpisce la tua attenzione è il fatto che la facciata della casa sia interamente rivestita da piante di edera rampicanti di un intenso verde brillante.

    Ad ogni modo, la villa è tutt’altro che in stato di abbandono: a giudicare da come i vegetali incastonano i vetri delle finestre, da come circondano la sagoma delle porte senza valicarne i confini, e da come seguono sinuosamente le linee degli archi e delle colonne, capisci subito che quel gioiellino di botanica è senz’altro frutto della fantasia, degli sforzi e degli artifici di qualche giardiniere che deve riservar loro molte cure.

    Il sesto senso ti dice che le indicazioni cifrate potrebbero volerti condurre lì, ma quando -una volta raggiunto il cancello principale- leggi la targa recante il nome dell’indirizzo, con tua sorpresa noti che la dicitura non riporta proprio ciò che ti aspetteresti...

    Casa delle Sacre Spoglie di Nostra Signora della Croce
    - Ordine della Sorellanza della pia Dama Katherine Delacroix -


    ...ma se non altro hai trovato il tuo secondo indizio.

    Guardingo, sbirci oltre le doppie porte chiude dell’inferriata, e -seduta su una bella panchina di pietra- noti una figura vestita di una lunga toga scura, spezzata solo da una corta di collare bianco, che si intravede sotto un lungo velo nero.
    La monaca ti mostra il profilo, e qualcosa nei suoi lineamenti ti è familiare...
    Forse dovresti provare a richiamarne l’attenzione per svelare l’arcano.

     
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  6. Yoshikage Kira
     
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    IV_080


    Aveva sempre detto a sé stesso, come motto più che come motivazione, che un'abbigliamento poteva essere il più gran gioco di prestigio: una volta concentrati su un tipo di vestiario risulta difficile immaginare la suddetta persona con indosso qualcosa che sia differente. Per di più, la sua cravatta piena di teschi era uno specchietto per le allodole più che perfetto: chi avesse provato a rintracciarlo, nella sua vita quotidiana, avrebbe avuto come spunto quei simboli che, inutile a dirlo, usava solo durante una commissione.
    Per Kira l'anonimato era più importante del suo impulso omicida, o del lavoro o dei soldi o delle adorate mani.

    Sicuro quindi d'essere irriconoscibile dal sé di tutti i giorni, Kira avanzò per il quartiere del ricco volgo; il suo gironzolare, appositamente simile a una normale passeggiata, non mancò di una buon'ora passata quasi inutilmente alla ricerca di quell'indirizzo. Sbuffò, svoltò l'angolo e continuò: avrebbe setacciato quell'ultima parte e, in caso, avrebbe voltato i tacchi per tornarsene a Laputa.
    Fu allora che poté cogliere, non senza un briciolo d'ammirazione, una casa coloniale a due piani con giardino. Si avvicinò alla recinzione in ferro, notando con particolare attenzione quell'edera che s'incespicava su per le mura dell'abitazione; e gli parve fosse uscita direttamente da una di quelle fiabe dove l'uomo vive in armonia con la natura.

    Non gli ci volle molto a capire quanto lavoro ci fosse dietro quell'abitazione.
    Era un tripudio alla natura, bello e buono!; la perfezione dei dettagli, degli infissi incorniciati dal verde, mentre l'intero costrutto appariva curato e ben lontano dall'apparire vittima dell'incuria.
    Dal momeno che era così attratto da quella villa, pensò valesse la pena ispezionarla per prima - come se un fiuto sovrannaturale gli avesse appena suggerito quanto, di lì a poco, avrebbe scoperto. Non negò uno stupore genuino nel notare, quando la vista si insinuò sulle lettere della targa, che era più vicino alla meta di quanto avesse sperato.

    Casa delle Sacre Spoglie di Nostra Signora della Croce
    - Ordine della Sorellanza della pia Dama Katherine Delacroix -


    In un certo senso, lo rincuorò sapere che il nome della missiva e quello della Villa non concordassero pienamente; fatta eccezione per Delacroix, almeno adesso era sicuro di non dover temere spiacevoli problemi futuri.
    Decise di lanciare un'occhiata furtiva oltre l'inferriata, avanzando verso l'ingresso difeso dalle doppie porte. Gli parve di notare una figura, che comodamente poggiava su di una panca di pietra: a un più preciso sguardo, notò ch'ella avesse una lunga toga scura e un collare bianco.
    Una suora? Probabile. La cosa non gli piacque ma fece buon viso a cattivo gioco.
    Era di profilo, tuttavia non sospettò che fosse così ingenua da non aver piena consapevolezza di cosa le accadesse intorno; se era lei ad averlo chiamato per un lavoro, non dubitò che fosse più che capace di trattare con un assassino.
    Non si soffermò su quei pensieri, vinti per altro dalla sensazione di deja-vù che gli morse il collo: dove l'aveva già vista?
    Tentò la fortuna e, fermatosi davanti all'entrata, cercò un campanello in ferro o uno di quei battenti dalle forme stravaganti per bussare.
    Come un perfetto gentiluomo.

     
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    Ti soffermi davanti ai cancelli della bella casa, ammirandone le architetture e l’ingegno botanico che hanno permesso -sicuramente con un accurato lavoro di anni interi- la crescita di un manto di edera rampicante così rigoglioso; certamente, la villa è un piccolo capolavoro di design, e attirerebbe l’attenzione di qualsiasi turista... ma tu non sei lì in vacanza, eppure ugualmente qualcosa nell’intestazione della targa che titola l’ingresso attrae il tuo interesse.

    Casa delle Sacre Spoglie di Nostra Signora della Croce
    - Ordine della Sorellanza della pia Dama Katherine Delacroix -


    Per quanto evidentemente date in ordine sparso, le coordinate principali che erano state vergate nel messaggio cifrato ti hanno comunque ben indirizzato: sei quasi del tutto convinto che la tua meta sia quella, così ti avvicini alle inferriate e spii furtivamente all’interno: seduta su una panca di pietra c’è una figura in tonaca scura che subito riconosci essere una suora, e il sospetto che non sia una sprovveduta qualsiasi ti porta alla cautela... sebbene ciò che più ti preme al momento è la sensazione di deja-vù che te la rende familiare.

    Ad ogni modo, decidi di fare le cose per bene -come un perfetto galantuomo- e ti fermi davanti al cancello, cercando il campanello; non ne trovi alcuno.
    In compenso -però-, la figura si accorge di te, e si alza per venirti incontro: ora che ne vedi il volto, noti anche lo sfregio che ha lungo lo zigomo destro, i capelli biondi che sfuggono alla presa del copricapo, e l’aria truce su un volto tutt’altro che femmineo.

    jpg
    « Finalmente ce l’hai fatta...!
    Dai, muoviti ed entra, culo pesante, che i clienti aspettano...! »


    ...e il linguaggio triviale completa l’identikit che ti fa subito accendere una lampadina in mente:
    quella non è una suora, bensì J, il tuo contatto di fiducia che ti procura i lavori.
    Un tipo sempre simpatico e raffinato come un calcio nelle gonadi.

     
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  8. Yoshikage Kira
     
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    kiraprofilo3

    La ricerca di un qualche sistema atto ad avvisare i padroni di casa del suo arrivo si rivelò, ahimé, del tutto inutile; non ne trovò, come se quel cancello non fosse adibito ad ingresso. Un po' sorpreso, stanziò ancora dietro l'inferriata con le mani che saggiavano il ferro della stessa, come fanno i carcerati che si sporgono dalle celle per vedere il cielo.
    Fu a quel punto che l'altra figura, quella specie di suora, s'avvicinò a lui per venirgli incontro. Un passo dopo l'altro, lentamente, i suoi connotati iniziavano a prendere una chiara forma; da sotto il sacro copricapo poté notare un volto deturpato da una cicatrice, o uno sfregio, incorniciato da una chioma bionda. Ma fu l'aria truce del suo sguardo a dare ai suoi ricordi una sonora scossa, che divenne dirompente come un fulmine quando ne udì la voce, riconoscendola.

    « Finalmente ce l’hai fatta...!
    Dai, muoviti ed entra, culo pesante, che i clienti aspettano...! »


    Seppe ch'era J ancor prima che finisse la seconda parte della frase, quella contenente il culo - per intenderci. Non poté certo nascondere un mezzo sorriso che, ad onore del vero, era per lo più frutto del fastidio che di una vera e genuina forma di ironia. Lui era l'unica persona al mondo che sapesse più di chiunque altro, e anche se non aveva mai commesso l'errore di rivelargli il proprio nome, Kira nutriva per J la stessa diffidenza che un mercante nutre per un imbroglione che vende cianfrusaglie e le spaccia per reliquie.
    Si badi, era il suo contatto di fiducia perché, a differenza di Magul la Carogna, defunto informatore di Merovish, non aveva ancora tradito neanche una delle regole dell'assassino laputense e né aveva tentato, fino ad ora, d'ammazzarlo.

    » Simpatico come un gatto attaccato allo scroto. «
    - disse, da notare il disprezzo con cui bagnò la sua lingua -
    » Fammi il piacere: la prossima volta niente cacce al tesoro. Intesi? «

    Inutile tergiversare oltre, era stato lapidario.
    Si apprestò ad entrare nella casa di Peter Pan, ma quando varcò la soglia ebbe come un profondo senso di disagio. Si sarebbe fermato poco dopo aver varcato l'ingresso, deglutendo rumorosamente: gli apparve di colpo davanti la figura della Dama del Vento che, tendendogli la mano, sembrava chiamarlo a sé. Quella mano... quella maledettissima mano. Non molto tempo addietro aveva avuto un incubo tremendo, dove lei gli aveva infine gridato:
    -Ti prenderò, ed i venti volti sorrideranno.
    Passò una mano fra i capelli, cercando di rilassarsi. Avrebbe nascosto la tensione dietro un volto impassibile, cercando dentro di sé la flemma necessaria. La cosa, però, gli sarebbe costata molta fatica, dal momento che l'interno di quella casa gli rammentava l'Albero dei Liber Aeirs Milites; nella dimora degli Aviatori era stato interrogato ma, per sua fortuna, all'epoca nessuno poté accusarlo dell'omicidio al Palazzo del Leone.
    Eppure.... no, non doveva pensarci. Scosse il capo e proseguì.
    Nessuno l'avrebbe mai catturato.
    N E S S U N O.



    CITAZIONE
    Ho inserito nel post vari rimandi ad alcune ruolate fatte, inserendo il link alle stesse qualora tu volessi approfondire al riguardo, o comunque descrivendo sommariamente i fatti giusto per far capire^^ Ho voluto ruolare così dal momento che, presumo, sarai tu a descrivermi l'interno della casa-pianta :sisi:
    In ogni caso, l'ordine cronologico-temporale delle ruolate linkate lo trovi nella cronologia della scheda, qualora fosse nel tuo interesse di QM usarle come spunto per la qui presente quest =)

     
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    Sulle prime resti un tantino interdetto dalla visione di quello spettacolo surreale, che sembra direttamente uscito da un sogno delirante da perfetto dopo sbornia... però non hai alzato il gomito neanche per un goccetto, quindi deve essere proprio vero quello che vedi: quello stramboide di J si è veramente travestito da monaca! E, cosa che ti fa quasi provare imbarazzo per lui, non sembra vergognarsene minimamente.

    Ad ogni modo -sorvolando sui suoi modi rozzi e il suo linguaggio scurrile- di certo gli va riconosciuto il merito di essere efficiente e professionale nel suo lavoro, oltre che non abbastanza ambizioso o avido dal rischiare troppo e perdere la cautela: a lui basta il necessario a sbarcare il lunario, si attiene alle poche sante regole della discrezione e non ha ancora mai cercato di fregarti.
    Insomma: non vuole problemi, e non ti da problemi.

    » Simpatico come un gatto attaccato allo scroto. «
    per questo, per quanto ti possa infastidire, sogghigni e ci scherzi pacatamente
    » Fammi il piacere: la prossima volta niente cacce al tesoro. Intesi? «

    « Ehi, non fare la ritrosa con me. »
    ribatte, scoccandoti un’occhiata scettica prima dell’imbeccata
    « Sei tu che fa il pignolo su nomi e indirizzi, qui. »

    Raccogli l’invito e varchi il confine della proprietà che ti è stata gentilmente aperta dal tuo complice, eppure nel momento stesso in cui calpesti il suolo consacrato uno strano malessere ti assale; i più superstiziosi -o bigotti- avrebbero già cominciato ad insospettirsi... e chissà se non ne avrebbero avuto più che buona ragione! Dopotutto, non è forse la Dama del Vento -che ti appare come una visione in quel momento- uno splendido e dolce angelo?

    Ti costringi a rilassarti, così da allontanare questi pensieri dalla mente e l’affanno dal petto, e quando finalmente ci riesci e sollevi lo sguardo, i tuoi occhi vanno a sbattere conto l’espressione perplessa di J; ad ogni modo, quello fa spallucce, non fa domande, e si dirige -con tua sorpresa- non all’ingresso principale, bensì dietro l’angolo della facciata principale, fiancheggiandola fino al retro.

    Qui, l’inferriata è sostituita dalla solidità di un muro di mattoni bianchi, che -con un elevato margine di certezza- scherma in modo più che esaustivo dalle attenzioni indesiderate di occhi indiscreti, e -senza preoccuparsi di guardarsi intorno- il tuo contatto si dirige alle doppie porte di uno di quei classici ingressi per lo scantinato; spalanca le ante, che ruotano silenziosamente sui loro cardini, e si inabissa giù per le scale di legno che scendono fino al piano interrato per farti strada.

    Una volta arrivato nel sottosuolo, stando dietro alla tua guida sfili in mezzo a mobili e altre cianfrusaglie coperte da tendaggi bianchi e polverosi; dopo una lunga passeggiata per il labirinto di carabattole a deposito in quell’enorme stanzone, vi fermate davanti ad una parete dove la sagoma celata dalla stoffa suggerisce la presenza di uno specchio... uno specchio molto strano, noti non appena J scosta il telo: la superficie sembra... liquida, tipo... e si presenta traslucido ed iridescente come una bolla di sapone.

    « Ti aspettano dall’altra parte. »
    ti spiega J, facendosi da parte e incrociando le braccia

    Con un po’ di prudenza e titubanza attraversi lo specchio, ed è come immergersi in una polla d’acqua... ma i tuoi abiti e i tuoi capelli restano perfettamente asciutti mentre -un battito di cuore più tardi- emergi dall’altra parte: dietro di te c’è uno specchio uguale a quello in cui sei entrato -se non addirittura lo stesso-, mentre davanti ti si stende un corridoio lungo una dozzina di metri, terminante nei doppi battenti di una pregiata porta in mogano; ai lati, nessuna stanza da cui aspettarti agguati o brutte sorprese, e nessuna finestra da cui poter capire dove sei finito.

     
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  10. Yoshikage Kira
     
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    Si sentì vagamente a disagio.
    J era fin troppo famoso per le sue tecniche di copertura, ma questa volta... Kira scosse il capo, sebbene un leggero sorriso balenò sul viso: ne aveva viste di monache oggettivamente orrende, ma lui era qualcosa di aberrante. Io non indosserei mai roba così, si disse ringraziando il padreterno che fossero destinati agli interni di una casa, giacché l'idea di portarselo dietro sotto gli occhi di tutti lo fece quasi profondare nella vergogna. Quel genere di pudore che J aveva perso con una mano di briscola.
    L'unico motivo per cui non lo aveva ancora fatto salare per aria, per la sua estrema freddezza e precisione sul lavoro. E in fondo, proprio come Kira, anche J preferiva guadagnarsi la pagnotta senza destare problemi a nessuno.

    « Ehi, non fare la ritrosa con me.
    Sei tu che fa il pignolo su nomi e indirizzi, qui. »


    Si sentì dire ma non fece in tempo a rispondergli.
    La visione della Dama l'aveva costretto a mordersi la lingua, e solo quando riuscì a riprendersi la sua fetta di calma e self control. Per un puro caso incrociò lo sguardo di J, che ovviamente, non capendo, fece spallucce e lo indirizzò verso i clienti in attesa.
    Si sarebbe aspettato d'entrare nella casa, ma scoprì con sorpresa che invece ne avrebbero fiancheggiato il lato verso il retro.

    Da lì in poi si inabissarono all'interno di una specie di cantina, il cui ingresso era dato da doppie porte e il cui fondo giaceva alla fine delle scale in legno; lo attese un labirinto di oggetti, mobili e ciarpame - quel genere di cose che, pur non volendo gettarle, finisce impolverato nell'angolo più buio e basso dello scantinato. Se non fosse già particolare quel percorso fatto di ragnatele e robaccia, lo sorprese ancora di più il vedere J sfilare un telo da uno specchio.
    Specchio? No, anzi: sembrava un lago incastonato in una cornice.

    « Ti aspettano dall’altra parte. »

    Eh?
    Kira sgranò gli occhi. Capì di dover attraversare l'oggetto soltanto quando vide J incrociare le braccia. Si girò e prese un lungo respiro, neanche dovesse immergersi nel mare aperto; lentamente, con precauzione, sentì il freddo del liquido toccare tutto il suo corpo ma, come si accorse poco dopo, era completamente asciutto. Il viaggio inoltre duro molto poco.
    A dargli il benvenuto fu un corridoio privo di porte che dessero a stanze laterale, così come di finestre su eventuali panorami. Sbuffò e prese a farsi avanti, verso quel mogano che celava dietro i suoi battenti chissà chi... o chissà cosa.

     
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    Per un buon momento te ne resti perplesso nell’osservare lo stranissimo specchio che ti è stato appena indicato da J, dapprima per la sua misteriosa superficie traslucida, eterea ed iridescente, e quando capisci che devi entrarci, subito dopo: sbarri gli occhi, ti guardi intorno dubbioso, e ti volti per prendere un gran respiro... tutte cose che portano il tuo complice a sbuffare sonoramente.

    « Dai, Miss Alice: è solo un cavolo di specchio! »
    borbotta

    Lo ignori e ti immergi lentamente in quella polla verticale, percependo una sensazione di freddo ma non di umido, e un istante più tardi ti ritrovi in un corridoio che potresti dire “blindato”: niente finestre, e niente porte ad eccezione di una... così, con poca scelta, avanzi fino ai doppi battenti in legno fulvo e lo apri... dall’altra parte, trovi quello che sembra un elegante studio.

    Stanza luminosa -vasta e ariosa- grande finestra chiusa con pesanti tende di velluto verde scuro, quadri alle pareri, librerie imbarcate di volumi ben ordinati... c’è persino un bell’armadio ricoperto di stucchi per mobile-bar, e qualche pianta d’interno!
    Sulla parete opposta a quella da cui esci vedi un’altra porta uguale alla tua -chiusa-, e -addossata ad uno dei muri adiacenti- una scrivania (anch’essa di mogano) con sopra una lampada accesa e diverse pile di scartoffie, abbastanza contenute in altezza.

    Naturalmente, ancor più delle due poltroncine rivestite di velluto verde per gli ospiti, il tuo occhio cade sull’imponente sedia dietro di essa e sul suo occupante: una giovane ragazza dai capelli biondi e liscissimi, tutto sommato graziosa -per quel che puoi vedere finché resta seduta-, sebbene i suoi occhiali squadrati le conferiscano un’aria piuttosto squadrata e severa.

    « Buongiorno. »
    esordisce con voce cordiale ma fredda
    « Lei deve essere il contatto del Signor J, immagino. Prego, si accomodi. »

     
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  12. Yoshikage Kira
     
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    « Dai, Miss Alice: è solo un cavolo di specchio! »
    Fu l'ultima cosa che udì, dopo aver messo piede nello specchio.
    E fu anche l'unica suono che lo accompagnò mentre si avvicinava alla porta dirimpetto; ignorò il borbottio del compagno, che in quel corridoio chiuso sembrò infrangersi di parete in parete.
    » Ma dove accidenti sono? «
    Si chiese mentre le sue mani già facevano porta sulla porta, facendo smuovere i battenti in legno con un suono che avrebbe avvertito chiunque, da qui alla Luna, che stava entrando. Quando ebbe finalmente il piacere di procedere oltre, si accorse d'essere finito in uno studio. Nonostante vi fosse una grande finestra coperta da un verde e scuro tendaggio, la stanza era grande e spaziosa, nonché ottimamente illuminata. Le pareti reggevano numerosi quadri, di persone o cose che non conosceva - che non volle nemmeno conoscere; sugli stessi muri si adagiavano librerie ricolme di libri di ogni genere, tutti disposti in un'ordine che osò definire quasi maniacale. Anche se, a dire il vero, non era nulla a che vedere con la sua raccolta di unghie tagliate, conservate fedelmente in barattoli su cui applicava l'etichetta dell'anno corrente, non prima d'averne annotato su un taccuino la lunghezza e la larghezza.
    Notò solo dopo un mobilio particolare, di quelli che contengono un piano-bar, oltre a qualche pianticella.
    « Buongiorno. »
    - una voce lo interruppe, attirandolo verso una scrivania.
    « Lei deve essere il contatto del Signor J, immagino. Prego, si accomodi. »
    Il suo sguardo cadde in un primo momento sulla lampada, quindi risalì dalle scartoffie fino al seno di lei. Vi si soffermò leggermente - era un maschio, non un pezzo di legno -, salvo ripiegare subito sulle mani di lei. Viso e quant'altro meritarono una rapida e fugace occhiata. La giovane donna sedeva dando le spalle a una porta identica a quella da cui Kira era appena entrato, ricevuto e annunziato da una fanfara di rumori prodotti dal legno.
    Si sedette, accomodandosi come richiesto.
    » Sì, sì sono io. Per ragioni che penso comprenderà bene, non le rivelerò la mia identità.
    Tuttavia può chiamarmi usando il nome in codice Dio Brando. «
    Disse, continuando a fissare le mani di lei. Era un peccato: se avesse saputo prima dell'esistenza di lei, magari le avrebbe fatto visita prima... molto prima.

     
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    J scompare dietro di te non appena attraversi lo specchio, del tutto tagliato fuori dal mondo delle tue percezioni: davanti ti si apre lo stretto corridoio di una qualche casa, anonima e in buono stato, e -con i tuoi dubbi e i tuoi pensieri- ti approssimi all’unica porta che si apre in quel breve andito; “dove accidenti sei?”, ti chiedi, e anche se la risposta (“uno studio”) giunge in fretta alla tua mente non appena penetri nella stanza, ciò non aggiunge niente di nuovo a quello che già sai o che potresti -o vorresti- sapere. Niente da dire: misure di sicurezza oculate e sufficientemente buone.

    « Buongiorno. Lei deve essere il contatto del Signor J, immagino.
    Prego, si accomodi. »


    La signorina seduta alla scrivania richiama in fretta la tua attenzione, così ti attardi a squadrarla senza indugi... e -a giudicare da dove puntano gli occhi- anche senza vergogna: dopotutto, se una donna perde tempo al mattino a far la fatica di lavarsi la faccia, pettinarsi e vestirsi bene, lo fa solo perché vuol farsi guardare.
    O -per lo meno- così aveva sentenziato con la massima serietà (quasi una saggezza ascetica) J, nel bar in cui avete preso contatto per la prima volta... dopo che una cameriera molto curata e molto carina aveva ripagato le attenzioni del suo sguardo e gli elogi della sua parlata raffinata (“A’ bella!”, seguito da un fischio) rovesciandogli la birra sulla testa e stampandogli l’impronta rosso fuoco di un ceffone sulla faccia.

    » Sì, sì sono io. Per ragioni che penso comprenderà bene, non le rivelerò la mia identità.
    Tuttavia può chiamarmi usando il nome in codice Dio Brando. «

    Mentre ti accomodi sull’elegante poltroncina per gli ospiti, ti soffermi a fissare le mani con cui sfoglia un’ordinata pila di documenti, posti su un’ala laterale della scrivania: sono bianche, dalle dita affusolate e dal polso sottile, con le unghie ben curate e coperte da un sobrio pallido smalto trasparente, dall’aria molto aggraziata e molto soffice... è olio essenziale alla lavanda quello che senti alzarsi da quella pelle morbida?
    Ma la tua mente farebbe meglio a non divagare per prati felici, e a restare concentrata sul motivo della tua presenza lì, sulle tue regole e sulla tua professionalità: la donna ti sta parlando.

    « Molto bene, come preferisce, Signor Brando. »
    ti dedica un’occhiata mentre estrae dalla catasta un fascicolo dalla copertina verde pastello
    « Perdoni l’elaborata procedura cautelativa, ma solitamente è mio padre a trattare questo settore degli affari di famiglia... »
    quindi sei stato fortunato
    « ...e di solito se ne occupava un suo uomo di fiducia -un collaboratore di vecchia data-, ma... diciamo che arriva un momento in cui si è troppo vecchi per certe cose. »
    tono allusivo e sguardo eloquente; non c’è bisogno di aggiungere altro
    « Così stiamo cercando un rimpiazzo, più giovane ed efficiente. »

    ...quindi, che succede?, se lavori bene e fai colpo sulla tua datrice di lavoro ti danno il posto fisso? Hai il tempo di soppesare la possibilità per un attimo mentre quella mano candida, fresca e giovane ti porge la cartelletta.

     
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  14. Yoshikage Kira
     
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    Per un'attimo si chiese se fossero le dita a parlargli, come se un incanto arcano, ma dannatamente bello, si fosse impadronito di loro. Erano eleganti, ben curate, non troppo esagerate, quindi sobrie. Magnifiche. E per quell'attimo, che io vi giuro, fu più lungo quanto l'eternità, un sommovimento nei suoi calzoni riesumò tutta l'istintiva mascolinità di un uomo eccitato. Con un certo savoir faire, si piegò in avanti poggiando un braccio sul tavolo. Gli occhi scattarono verso di lei, fissi e immobili: incrociò le pupille abbastanza a lungo da considerare anche il resto del corpo degno di una qualche attenzione. Estinse così la turgida sensazione di quella inappropriata virilità.
    Gli tornarono in mente alcune delle parole di J, e non tanto per la loro importanza ma per quanto accadde dopo; il sorriso che apparve sul viso di Kira, pur avendo una breve durata, testimoniò una frangia d'anima del tutto umana, decisamente comune, così elementare dall'essere priva di ogni sapore e colore.
    « Molto bene, come preferisce, Signor Brando. » i loro sguardi si incontrarono a metà strada, e solo dopo notò il fascicolo che bussava sul gomito.
    « Perdoni l’elaborata procedura cautelativa, ma solitamente è mio padre a trattare questo settore degli affari di famiglia... »
    Che culo, pensò.
    « ...e di solito se ne occupava un suo uomo di fiducia -un collaboratore di vecchia data-, ma... diciamo che arriva un momento in cui si è troppo vecchi per certe cose. »
    Annuì, cogliendo al volo la freccia.
    « Così stiamo cercando un rimpiazzo, più giovane ed efficiente. »

    Incuriosito, analizzò le frasi della donna per quanto tempo gli fu necessario affinché prendesse in considerazione la mansione, di cui immediatamente chiese informazioni maggiori.

    » Non sono solito prendere una decisione se prima non ho tutte le informazioni necessarie.
    Quindi mi dica, sono tutto orecchie. «

    Si spostò nuovamente indietro. Lentamente la sua mano fece per afferrare il fascicolo, seppur a tradimento avrebbe sfiorato quella di lei; non certo una novità per lui, dal momento che il suo bell'aspetto e il fisico asciutto lo rendevano, spesso, il sogno erotico o romantico delle donne in generale...

    per non parlare delle loro mani.

     
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    Come è ovvio, la tua possibile futura datrice di lavoro non si cura (o semplicemente non si avvede) delle tue reazioni più intime, e l’ombra di un sorriso ti attraversa la faccia quando ostenti disinvoltura e porti una mano sul ripiano della scrivania perché il braccio ti faccia da appoggio -per scaricare il peso corporeo- mentre ti chini in avanti.

    » Non sono solito prendere una decisione se prima non ho tutte le informazioni necessarie.
    Quindi mi dica, sono tutto orecchie. «

    Ti tiri indietro di un passo, portando con te il fascicolo che hai prelevato dalla mano della signorina, e sfruttando l’occasione per sfiorarla con fare distratto e del tutto casuale: lei non sembra preoccuparsene, e tu ti accerti del fatto che la sua pelle è morbida proprio come l’avevi immaginata...

    « Mi sembra una richiesta legittima. »
    acconsente la ragazza, aggiustandosi gli occhiali sul naso
    « L’obiettivo -di cui troverete informazioni più dettagliate nella cartelletta- è nientemeno che un membro dell’Enclave, un funzionario che intralcia e osteggia i nostri affari nel presidio settentrionale... quindi sarò franca: il lavoro è piuttosto complicato e pericoloso -non adatto a tutti-... si tratta pur sempre dell’oligarchia che, di fatto, governa il Nord. »

     
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