[CoB] Recall as a strange deja-vù

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  1. Narval
     
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    Mezzanotte.
    I dodici rintocchi suonarono come ogni notte, spandendosi con difficoltà oltre la cortina d'ombra che avvolgeva i corridoi e le stanze, acquattandosi negli angoli e scivolando sul marmo.
    E poi accadde qualcosa. Un tredicesimo rintocco, del tutto inaspettato, si aprì la strada tra le tenebre. Tutte le candele e le fiaccole che illuminavano il corridoio si spensero nello stesso istante, come se il medesimo alitoo di vento avesse aleggiato su ogni fiamma.

    Il Custode del Ventitreesimo Arcano si accostò alla pesante porta di legno dorato del suo studio; sospirò a fondo, scrutando la grottesca immagine del suo servitore nano che caracollava verso di lui in maniera affatto elegante.
    Richiuse la porta dietro di sé, quindi si fece incontro al piccolo abominio involtolato in una palandrana nera.
    Dal canto suo, Narval indossava il tipico caffetano ebraico.
    « E per stanotte » asserì, dando per scontato che l'altro capisse a cosa si riferiva.
    « Portate la ragazza nel sotterraneo. »

    Pochi minuti dopo, il Gran Maestro scivolava tra le pieghe squadrate degli oscuri recessi che una volta erano stati cunicoli -forse catacombe-, e che ora reggevano le fondamenta della sua abitazione.
    Trasse una torcia dall'anello di ferro che la teneva ancorata al muro; dopo averla accesa nel piccolo braciere antistante la grata, attraverso la breve navata che lo separava dalla sala principale.

    Questa era caratterizzata da una forma ellittica estremamente pronunciata, rischiarata da un'unico braciere di cristallo sospeso nel vuoto ad alcuni metri d'altezza. Sul fondo della sala era presente un piccolo altare su cui erano stati disposti un coltello (simbolo del dolore), un calice (simbolo dell'accettazione), ed un aspersorio (simbolo della sottomissione).

    Al centro della sala, proprio sotto il braciere, un mezzo pilastro di marmo levigato, alto appena un metro e mezzo, era coperto da un abbondante velo di raso rosso. Su di esso era disposto il corpo apparentemente inanimato di una giovane donna.
    Era stata drogata, e il suo respiro somigliava vagamente ad un rantolo sommesso, ma non era in pericolo di vita. Non a causa delle droghe, per lo meno.

    Narval ignorò deliberatamente il corpo, recandosi direttamente all'altare: era giunto il momento di dare inizio al rito.
    Preso il coltello, ne poggiò la lama sul bordo del calice, quindi iniziò a ripetere la formula rituale con un fastidioso tono cantilenante.
    « Ara vos prec - Nyx, Nyx, Nyx - Ara vos prec. »

    La lama del coltello balenò rapida nella penombra, tagliando il palmo della mano del Custode, che fu lesto a far cadere il sangue nel calice.
    « Deteurux Animadversus - Nyx, Nyx, Nyx - Deteurux Animadversus. »

    Prese del vino, mischiandolo sapientemente con il sangue, quindi andò dalla donna, e con un taglio sul palmo della mano raccolse anche il suo sangue -ed anche questo finì nel calice.
    « Finge Animo - Nyx, Nyx, Nyx - Filiamque Tuam. »

    Da una delle tante tasche del caffetano, trasse un piccolo obolo, un'ostia pugnalata a metà: la sfarinò tra le mani, lasciandola cadere nel calice. Sollevò il calice, quindi vi immerse l'aspersorio.
    Una fumata purpurea si sovrappose al gorgheggio della voce incrinata dall'emozione.

    Il rituale era completo.
    « Nyx. »

     
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  2. No.
     
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    Il tessuto della Notte si sfilacciò, colloso, color della pece, senza alcun rumore.
    Poi il silenzio venne spaccato in due da un rullo di tamburi, una pulsazione rapida e cadenzata. Le Stelle danzarono ad un ritmo frenetico, antico come il mondo, piangendo lacrime d'argento, filando complessi ricami nella trama di velluto.
    La Notte stessa si destò, capelli d'argento, anima nera. Lo sguardo crudele benedisse la figlia, Creatura eterna, appena nata. Incubo dell' umanità.

    I Vincoli delle parole di quell'uomo la raggiunsero perfino lì, nel ventre della Madre. Erano lacci roventi, catene che la trascinavano verso il basso. Verso un destino non voluto; si divincolò, Essenza debole.
    Discese nel buio, mescolata fra le ombre, niente più che una serpe di fumo scuro, fra le colonne alte. Non c'era calore, nè gioia che potesse resistere al suo passaggio, la disperazione, il terrore e la morte erano i suoi compagni, insieme a lei incedevano fra i mortali.
    Sai chi sono io?
    Quale ragione ti ha spinto a convocarmi?

    Gli sibilò in un orecchio, lascivamente. Voce di fanciulla aspetto di serpe. Lo avvolse fra le proprie spire oscure.
    Cosa brami che io faccia, Padrone? Quali sono i tuoi desideri?
    Sussurri pungenti. Sfuggì lontana, in un gioco di luci e ombre. Ora una figura leonina danza, maestosa, nell' aria ghiacciata del tempio, gli occhi rossi puntati avidamente su Narval.
    Posso ogni cosa, basta domandarmi. Ed io obbedirò.
    Puntava ad irretire il proprio Evocatore, a renderlo debole, per potersi liberare e divorarne l' Anima, se non fosse stato abbastanza potente da poterla dominare. Sorrise, una doppia fila di denti appuntiti, mentre in una piroetta diveniva una giovane fanciulla attraente.
     
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  3. Narval
     
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    Lasciò che fosse la figlia della notte ad aleggiare per la sala, attendendo che prendesse forma prima di cederle una risposta ai suoi quesiti. Domande più che logiche: non doveva capitare spesso che qualcuno la evocasse, in pochissimi conoscevano il rituale, e ancora meno erano quelli che credevano di poterla tenere a freno. Il potere di quel mostro poteva dare tutto -inclusa la morte.
    La donna dalle voluttuose forme gli si fece di fronte ancheggiando, ma Narval si limitò a socchiudere gli occhi, ben sapendo che non rientrava fra le sue possibilità distrarsi.
    « So bene chi sei, Kymera. »

    Avanzò verso di lei, sfilandosi il caffetano e posandolo sulle spalle nude della giovane. Non voleva avere di fronte a sé quel corpo provocante.
    « Il mio nome è Ebenezer Shylock Mestral. I miei fedeli mi chiamano Enoch, ma per tutti sono semplicemente Narval. »
    Sotto il caffetano, ceduto alla Kymera, indossava solo una camicia bianca. Si perse un attimo a considerarne le maniche, quindi stirò le labbra in un sorriso che non celava alcuna muta richiesta.

    « Per cominciare, puoi tranquillizzarti: non c'è speranza che tu riesca a divorare la mia anima o i miei sogni » spiegò con eccessivo sussiego,
    « Essi sono vivi forse anche più di me, la mia anima attraversa gli universi, e se anche tu riuscissi a distruggere questo mio corpo, riuscirei a tornare in vita un numero osceno di volte, finché non avrò cancellato la tua esistenza e perfino il tuo ricordo. »

    Portò le braccia dietro la schiena, sorridendole con tutta la sicurezza di chi non ha assolutamente nulla da temere da chi si trova di fronte.
    « Quanto al perché tu sia stata convocata » continuò, dopo una breve pausa
    « E' presto detto: i miei sogni sono vivi, ma lo sono anche i miei incubi. »

    Chiuse gli occhi, voltandosi bruscamente e dandole le spalle.
    « Voglio che tu mi protegga da loro. »



    CITAZIONE
    Ars Oratoria :: abilità passiva
    Dovendosi reinventare per trasformare sé stesso in un'Opera degna, Ebenezer decise di apportare alla propria persona delle migliorie di un qualche conto, ben sapendo che il mondo in cui si sarebbe dovuto avventurare non era facile da abitare, e la sopravvivenza passava anzitutto dalla propria capacità di evitare di finire massacrato.
    Unitamente a ciò, scelse di trarre un adeguato vantaggio economico dalla sua scelta, donandosi così insieme alla trasfigurazione, nuove capacità oratorie che gli avrebbero permesso di mercanteggiare e parlamentare con maggiore successo -capacità invidiabili per chi si muove nel viscido mondo del commercio. Dotò dunque sé stesso di un elevato grado di carisma, unito alla capacità di interloquire con chiunque, modulando il registro lessicale in base alle conoscenze e inclinazioni dell'interlocutore; si rese insomma un affabulatore straordinario, capace di catturare l'attenzione di chiunque, di fare proposte e tessere inganni infarcendo le proprie storie di menzogne che all'uditorio (s)fortunato appariranno come puro vangelo.
    In un eccesso di esuberanza volle strafare, adornandosi di un'aura di timore riverenziale che l'avrebbe circondato contagiando tutte le persone che gli fossero state sufficientemente vicine (-ovvero nel raggio di 5m). Effetto principe di quell'aura era il timore non tanto della persona in quanto tale ma di ciò che rappresenta, inducendo chi ne era soggiogato ad evitare, se possibile, di fare qualcosa che potesse offendere l'ebreo.
    Negli anni tuttavia queste abilità vennero affinate grazie ad un continuo esercizio, arrivando a surclassare quelle che erano state le (im)modeste intenzioni del loro stesso ideatore, tanto che alla fine arrivarono a soffrirne perfino coloro che si dichiaravano refrattari a tali evanescenti influenze.

     
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2 replies since 1/8/2011, 22:29   44 views
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