Canto d'Estate

La canzone che aleggiava per i corridoi di Miséricorde era pura e melodiosa, e stendeva ovunque l’inebriante incantesimo della sua bellezza: si intrecciava all’invisibile trama dorata dei raggi di sole, risuonava con il vento della valle riducendolo ad gentile sottofondo, e si scioglieva nell’atmosfera come luce... o come l’estatico profumo dei fiori più voluttuosi.

Perché – si sa – la Rosa è simbolo di ogni passione... eppure, quella da cui quel miracolo scaturiva, era ancora più vivida e splendida; ancora più bella, perché innocente, e la voce che intonava quella poesia a tempo di musica era così dolce e struggente che avrebbe ridotto alle lacrime anche gli angeli.

Un paragone non certo esagerato, né così distante dal vero, dal momento che tutti i piccoli ospiti che le si erano assiepatisi intorno – chi seduto, chi in piedi, e qualcuno appeso ai rami bassi di qualche albero – la rimiravano con negli occhi la rugiada della commozione o le stelle di sogni lucenti.

Al suo arrivo, le si erano immediatamente radunati intorno, e dopo averla catturata nella rete senza fine di abbracci, baci e una processione atta ad elargirle piccoli doni – un giocattolo, un disegno, o qualche sasso colorato e lucente –, l’avevano incastrato con i loro musetti adorabili e supplichevoli, e le avevano strappato la promessa di intonare una ballata.

Il fatto che la Dama Rossa fosse una persona molto importante del Presidio – con dei doveri e degli impegni – non li aveva scoraggiati dal chiedere, e così il cuore tenero della fanciulla aveva scelto con gioia di accontentarli: dopotutto – si era detta –, non ci sarebbe voluto molto, avrebbe fatto la gioia di tutti quei bambini, e non c’era praticamente il rischio di far tardi all’appuntamento...
Il virtuoso del flauto che doveva incontrare sarebbe dovuto essere già nei paraggi.

Con tutta la gentilezza del caso, alfine la fanciulla era riuscita a convincere i suoi piccoli sequestratori a renderle la libertà, e così -per quanto continuasse a darle dispiacere il ricordo di quei musetti dolcissimi, imbronciati per il commiato- Amelie si affrettò a raggiungere il vicino punto di ritrovo stabilito per l’incontro con il musico.

Le parve di scorgerlo seduto in mezzo ad un altro piccolo capannello di angeli; o, meglio, ipotizzò che fosse quella l’identità dello sconosciuto, che stava stregandoli con l’incantesimo di favolosi racconti densi di meraviglie, e -col passo leggero ed inudibile delle Fate- si incamminò nella loro direzione, avvicinandosi con curiosità e ascoltando quanto egli andava narrando alla sua platea.

Gli occhi verdi della Dama scrutarono il giovane viso dai lineamenti nobili del menestrello, e udì storie tanto suggestive da lasciarla a bocca aperta per qualche istante; d’altronde, era ancora piuttosto nuova al concetto di “multiverso”, eppure, da dove veniva lei i cavalieri erano una realtà concreta... per questo, quel che catturò principalmente la sua immaginazione fu il provare ad immaginarseli completamente bardati -da capo a piedi!- in scintillanti armature d’oro... un vezzo che, probabilmente, solo qualche Re della sua gente avrebbe potuto eguagliare.

Mentre la sua fantasia dipingeva immagini degne di una fiaba, qualcuno dei bimbi intorno a lei sbottò protestando qualcosa di buffo... ma la Figlia del Bosco era piuttosto sovrappensiero, e quando ne ebbe razionalizzato le parole -un momento più tardi-, le sue fantasticherie cessarono e -senza che potesse trattenersi- una leggera risata provenne dalle labbra rosse come petali di fiore -dolce, pura e cristallina come il suono di campanelli d’argento-, rivelando la sua presenza.

Rendendosi d’un tratto conto di avere ora puntati addosso diversi paia di occhi, le gote esangui della Principessa Rossa si tinsero di un tenero e delizioso rossore, e mentre le dita affusolate pizzicavano due lembi della gonna ed ella si esibiva in un’aggraziatissima riverenza, la giovane abbassò pudicamente lo sguardo di smeraldo.

« Scusate, Sire.. non volevo interrompervi. »
esordì, rivolgendo allo straniero un sorriso dolce e timidissimo
« Ad ogni modo, siete voi il musico che ho fatto attendere? »

» Sono io. Vogliate perdonarmi se vi ho fatta attendere. «

La risposta gentile del giovane, unita al suo sorriso dolce e ai suoi bei lineamenti, velarono appena di una nuance più colorata le pallide gote della Fata, ma il suo imbarazzo divenne più evidente sulla pelle chiarissima solo quando il musico le si avvicinò per prodigarsi in un signorile baciamano.

» Mozart Von Baltasar è il mio nome, Generale di Siren per il celeste zodiaco.
Sono al vostro servizio, mia Dama. Ditemi dove, e io suonerò. «

Non appena il ragazzo si fu ritratto per presentarsi, ella non perse l’occasione per contraccambiare l’omaggio con altrettanta educazione ed eleganza, prodigandosi in un’aggraziata riverenza. Dopotutto, era pur sempre una Principessa.

« Amelie Menethil del casato dei Tuatha de Danann,
Corona di Obeah presso i Saggi di Palanthas. »
si presentò col sorriso prima di rispondere alla richiesta del giovane
« Vi prego di non farvi problemi sul dove: l’arte e la musica sono in ogni cosa...!
...e, se devo essere sincera, sarei lieta di sentirvi suonare anche qui e adesso. »

» Concordo con lei, ma ritengo maleducato farla stare qui, in piedi,
solo per ascoltare due note sparse dal sottoscritto. «
fu la replica garbata di quel giovane ammaliante, accompagnata da un sorriso
» Vogliate scegliere un luogo a voi caro, qui nel Nido degli Angeli: solo così avrete davvero delizia nell'ascoltare le mie melodie. «

Il musico si ravviò i capelli d’oro con un gesto distratto, porgendo intanto alla Dama Rossa l’altra mano in un gesto che sottolineò il suo invito; arrossendo un poco, e lasciando spuntare un sorriso timido sulle labbra purpuree come petali di fiore, Amelie adagiò le dita bianche e affusolate sul palmo dell’uomo... prima di mettersi al suo fianco intrecciando il proprio braccio al suo.

« Allora, col suo permesso, potremmo utilizzare l’aula di musica...!
»
cinguettò la dolce voce da usignolo della fanciulla carminia

Con garbo, la Principessa attese un cenno di assenso da parte del suo interlocutore prima di muoversi per fare strada, e -mentre percorrevano i pochi metri che separavano l’aula dal giardino- una domanda curiosa le affiorò alle labbra.

« Non vi ho mai visto prima, qui in città, Sir Mozart... »
intavolò timidamente una conversazione
« ...siete qui di passaggio o per fermarvi nella Valle? »

Attraversato il giardino del cortile, il portico colonnato che introduceva all’atrio, e percorso un intero corridoio, si fermarono davanti ad una porta: erano già arrivati.