[LAM] Whispering Wind

Se ne stava ritto.
Spada degli Spiriti alla mano, come se dovesse puntarla contro un nemico invisibile. Un leggero vento gli carezzava il crine elegante, mentre tutt'intorno sfrecciava un cielo azzurro e nubi bianche come la neve. Ma il suo sguardo non poté esser più cupo di così: reduce non di meno dal fallimento avvenuto nel Pentauron, che aveva ombrato ancor più il suo spirito, il Falco d'Argento restò quasi imbambolato. Come a voler fronteggiare le sue paure, ignorando tutto il resto; aveva scelto il campo d'addestramento dei LAM come luogo in cui sfogare se stesso. E ciò nonostante, avvertì sempre più opprimente un senso di enorme fastidio, quasi non riuscisse più a sopportare la propria miserevole condizione.

Possibile che fosse tornato dall'inferno solo per patire umiliazione e sconfitta?
No, no di certo. Avrebbe rialzato il capo, ferocemente, stringendo gli artigli del falco che rappresentava attorno alla carcassa della sua sconfitta; nessuno gli avrebbe strappato dalle grinfie la carogna che, giungendo in picchiata, avrebbe strappato per sé in un gesto sia d'orgoglio che di infinito egoismo. Non aveva piccoli da sfamare, né un nido a cui portar cibo: tutto ciò che doveva nutrire era il proprio ego, il proprio personalissimo sogno.

Sogno per il quale quell'elfo dall'aspetto angelico e i capelli biondo cenere sembrava volesse sacrificare ogni cosa, se stesso e perfino tutta la sua brigata di aviatori. Pensieri che forse sarebbero morti nell'intenzionalità di una persona ferita e mortificata, che non si preoccupò di allontanare dalla sua mente perché fermamente convinto che, col tempo, sarebbero appassiti come fiori nel deserto. Avrebbe poi scoperto, in un futuro prossimo venturo, che illazioni prive di fondamento potevano, in determinate situazioni, passare dallo stato ipotetico allo stato pratico con una facilità irrisoria.

Ma frattanto, l'unica praticità espressa dal giovane Sergente era il movimento repentino e fulmineo della sua nodachi, larga abbastanza da fischiare nel vento e smuovere la pelliccia bianca di cui era coperta la guardia. Il suo metro e mezzo sfrecciò a mezz'aria, sconfiggendo quel nemico invisibile con un'altrettanto immaginario fendente privo di pietà.

Lo fermò improvvisamente un suono, prima, e qualcosa poi. Restò quasi esterrefatto, chiedendosi se il fulcro dei suoi pensieri, del suo allenarsi, non fosse improvvisamente incarnatosi. Avrebbe voluto colpirlo, dando frutto al suo sudare, quand'ecco che volgendosi si ritrovò davanti qualcosa di completamente diverso da quanto auspicatosi fino a poc'anzi.

Quella creatura era alta un metro e sessanta circa, dal pelo rado e vellutato. Lunghe orecchie, di cui una fasciata d'oro. Vide nei suoi occhi grigi il proprio riflesso, soffermandosi poi sull'inconsueto naso grigio. Solo per l'ultimo ne mirò la coda, ricoperta di una pelliccia particolare. Non avendo mai visto prima una simile creatura, lo sguardo di Grifis ne fu quasi rapito, talmente meravigliato che non seppe rispondere subito alle richieste altrui.
Necessitò di più tempo, prima che la sua curiosità facesse posto alla sua natura d'Aviatore, servitore delle genti:

Perdona la mia maleducazione, mi chiamo Grifis.
L'Albero-Casa è un posto più che adeguato per risposare, o per trascorrevi del tempo. Non è difficile raggiungerlo: ti basterà seguire i grifoni o udirne i versi.

Disse, indicando poi all'altro la direzione corretta da intraprendere.

Lo scontro fu purtroppo interrotto sul più bello. L'altro, proprio quando stavano ormai entrando nel vivo della lotta, aveva udito bene il richiamo dei Grifoni; richiamò che esortò Grifis a rientrare nelle sue stanze, laddove probabilmente avrebbe poi dovuto preparare un'incontro con la Dama, discutendo con essa di chissà quali fatti di notevole importanza.

Così, salutando il pur breve sfidante, si allontanò.
Guardando già verso l'Albero-Casa.