[CSV][LAM][PC²] Favori e richieste strane

Le cavie di Arthur, parte2: "il tizio elettrico".

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    Camera dell'Albero Casa, Latifondo.
    Presidio Errante, Endlos.

    Vi fu un giorno in cui il tranquillissimo Arthur ebbe modo di aggiornare la dolce Dama del Vento dei suoi studi, approfittando così di ottenere un appuntamento sull'isola volante che lei abitava. E' vero, non era in tipo da girovagare per mezzo mondo senza una ragione di vitale importanza; troppo statico come uomo, tuttavia non negava che per la "piccola" lady aveva sempre avuto occasione di uscire fuori dai suoi schemi.
    Infondo, mai era accaduto prima che si legasse ad una creatura a cui, per antiche imposizioni di famiglia, sarebbe stata preclusa buona parte di tutto lo studio riservata agli aspiranti condottieri, e mai si era verificato che lui stesso trasgredisse le regole stesse affinchè quella creatura potesse ottenere un pò di giustizia. Fu così che, senza rendersene conto, Drusilia Galanodel divenne un pò come una figlia; oltre il dovere morale di proteggerla, generato da avvenimenti passati con un suo antenato, il vampiro provava ormai affetto semplice e puro nei suoi confronti.
    Esattamente come un padre, era orgoglioso di lei per tutto ciò che stava creando, e sempre come se fossero legati dallo stesso sangue, era in pensiero per lei, per ogni azione pericolosa o avventata che faceva, cosa che accadeva in media almeno una volta a settimana. E come un padre, era giunto il momento di farle visita, e constatare che tutto fosse a posto.
    Era quella la ragione per cui era lì, quella ed un tipetto a cui lei diceva di essersi legata e che lui, personalmente, non aveva mai nè visto nè sentito. L'avrebbe ignorato, se Drusilia non gli avesse rivelato un dettaglio assai ghiotto,
    e cioè che fosse fatto interamente di elettricità. Come ovvia conseguenza, lui le aveva domandato di poterlo incontrare, ed eccolo ad attendere in una camera dell'Albero Casa per non destare troppi sospetti; non aveva idea di come Drusilia lo avesse convinto, tuttavia avrebbe cercato di reggere il gioco comunque.
    Doveva studiarlo.

     
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    «Parlato di Richard»



    Laputa, Albero Casa.

    Tetro, l'uomo che si avvicinò all'Albero Casa.
    Cupo fin nell'animo, avanzava avvolto da un'eterea coltre di silenzio. I suoi occhi - rubini di un rosso incandescente - si muovevano lenti e calcolati. Nessuna vitalità, nessun ardore di fiamma, solo un flemmatico studio dei dintorni, analisi di cosa lo circondava.
    Immobili, si fecero, nell'osservare la costruzione di pietra vivente farsi sempre più vicina, sempre più grande.
    Non si preoccupò di alcuno. Nel mondo parallelo che sembrava ergersi attorno a lui, egli era il solo abitante, ed avanzava senza curarsi di nulla, come se l'ambiente circostante non fosse che mero sfondo.
    E con quell'avanzata semplice e grave allo stesso tempo varcò la soglia.

    «Comunicate alla Dama del Vento il mio arrivo.»

    Voce fredda, rivolta a nessuno. Non vi era nessuno cui voleva parlare, nessuno che il suo sguardo non trapassasse, diretto verso un ignoto nulla oltre l'orizzonte.
    Parole al vento, che però sapeva che qualcuno - da qualche parte - avrebbe udito, e riferito al Gran Maestro.
    Liberi Aeris Milites... Un corpo che nella sua natura di estraneo alle leggi aveva sempre guardato con insofferenza. Ma che non aveva mai sottovalutato.
    Non gli piaceva trovarsi lì. Non gli piaceva affatto.
    Era come una prigione, quel luogo. Solo negli uffici del Gran Maestro egli trovava la libertà, e ritrovava sé stesso. Altrimenti, altro non era che il covo di esseri che nulla bramavano più che di avventarsi su di lui, pronti a divorarlo al primo passo falso.
    Eppure, il suo passo non conobbe pausa, né sul suo volto si dipinse l'indecisione. Era lì per un motivo preciso.
    Drusilia Aman Galanodel, Dama del Vento, Gran Maestro dei L.A.M. ed Evocatrice. Era stata lei a chiedergli di dirigersi lì, di addentrarsi nel covo di quegli assassini che con ipocrisia si facevano scudo delle buone intenzioni per perpetuare osannare il proprio ego, e non sempre in accordo con gli ideali dei quali si facevano garanti.
    C'era un patto, tra di loro. Un vincolo, che lo legava ai comandi della donna. E lei questo potere lo aveva pagato ad un caro prezzo. Il suo ego, e le sue ricchezze terrene, erano piegate a lui. Ai suoi desideri. E di quel potere non aveva mai avuto timore di avvalersi.
    Eppure, solo una volta quella donna fece ricorso al suo diritto su di lui. Solo una. E non vi fu imposizione destinatagli.
    Persino questa volta, persino questa volta lo aveva convocato non con la forza, ma con una cordiale missiva. E non vi era alcun ordine, diretto a lui. Solo una richiesta.
    Un favore.
    Grave era ciò che gli chiedeva. Insulto a lui, al suo essere, ed a tutto ciò che egli rappresentava. Far di lui nulla più che una bestia, una cavia da laboratorio, una creatura aliena, il cui valore era tutto lì. In un pugno di dati da scrivere su una pergamena. Al diavolo il suo valore come persona, e l'accettazione del suo essere in quanto tale. Chiaramente, gli aveva detto che non lo considerava un umano.
    E questo gli bruciò. Gli bruciò molto. E bruciò soprattutto perché fu lei, a chiederlo. Lei, che in qualche maniera, godeva della sua fiducia.
    Eppure, una richiesta tanto vile e tanto bieca non fu un ordine.
    Appunto, fu solo una richiesta.
    Gli aveva lasciato la facoltà di scegliere.
    Accettare.
    O non accettare.
    Come voleva.



    «Sei tu quello che vuole ridurmi ad una cavia da laboratorio?» domandò, chiudendosi la porta alle spalle.

    Voce fredda. Piatta. Distaccata.
    Non conosceva nemmeno il nome di quell'uomo, ma di un nome non aveva bisogno. Era pur sempre nulla più che un essere abbietto, e come tale lo osservava, immobile.
    Non aveva rifiutato quella richiesta. Come avrebbe potuto? Con quale coraggio? Gli aveva fatto un grave torto, la Dama del Vento, ponendogli quella domanda. E tuttavia lei aveva fatto fin troppo per lui, fin troppo affinché potesse sputare sulle sue richieste la propria indignazione.
    Si presentò all'appuntamento. Chinò il capo, piegandosi al suo volere, e si presentò all'appuntamento.
    Sarebbe stato collaborativo? Onestamente, non lo sapeva.
    Tutto ciò che sapeva era che ora si trovava lì. Con le sembianze di un uomo adulto, ben lontano dal solito giovane che impersonava. Nessun tratto puerile in volto, nessuna scintilla d'allegria, ed il solito colore che caratterizzava capelli e vestiti era stato sostituito. Capelli dai riflessi di fiamma, occhi dal bagliore di rubino, ed una divisa militare appartenente ad un mondo che Laputa non conosceva.
    Lui era Richard, ora. Uno dei rappresentanti di Cruxis, un individuo senza alleati. Circondato da nemici.
    E tutto ciò che sapeva era che si trovava lì perché quell'individuo che scrutava dall'alto in basso voleva "studiarlo".
     
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    Non era stato descritto in quel modo.
    L'uomo che varcò la soglia di quella camera poco aveva in comune con il famoso Richard, protagonista di mille racconti e barzellette -almeno sperava fosse così- di Drusilia Galanodel. Più avanzata, infatti, era l'età del figuro, più seri la voce ed il volto, ed il colore degli occhi e dei capelli estremamente distante dal blu topazio di cui il Djin si faceva portatore. Sarebbe potuto passare tranquillamente per un altro aviatore, non fosse stato per il fatto che lui, vampiro incapace di dimenticare completamente anche un solo dettaglio da quando era entrato a nuova non-vita, era perfettamente in grado di riconoscere a colpo d'occhio tutti gli aviatori presenti nell'Albero Casa e non, a meno che non avessero fatto nuove assunzioni di cui non sapeva niente, ovviamente.
    In ogni caso, il suo non apparteneva a quei volti sopraccitati e, aspettando che arrivasse un tale signorino mutaforma, non era difficile fare due più due.

    -Eccellente...

    Si lasciò sfuggire con tono calmo eppure immensamente entusiasta. Infondo aveva fatto ciò che desiderava da prima che iniziassero il loro colloquio. Gli occhi grigi ed arguti lo scrutatrono quasi a volerlo denudare, mentre con la mano sinistra prendeva un piccolo bloc-notes con una penna dal taschino della giacca ed iniziava a scriverci anche senza la necessità di fissare la carta.

    occhiarthur

    -Si, sono io.

    Disse l'uomo, mettendosi più comodo.

    -Arthur Friederick Giles, Saggio di Palanthas ed ingegnere, oltre al maestro della tua amica Drusilia.
    O meglio, lo fui molti anni addietro, ora la mia bambina è cresciuta.


    Sorrise teneramente rimembrando la piccola Drusilia come un papà a cui tanto mancavano i bei tempi in cui la propria bambina era ancora in tenera età, bisognosa delle sue cure come ogni cucciolo. Dunque tracciò una riga sul blocchetto, e tornò a dedicare tutte le sue attenzioni al Djin.

    -In ogni caso, lei è qui perchè ha accettato di fare qualche piccolo esame con il sottoscritto.
    La tranquillizzo riguardo al fatto che io procederò gradualmente e mi fermerò fino a dove lei mi darà il permesso.


    Sorrise gentile, facendo segno con la mano pallida di accomodarsi su un divanetto vicino a lui.

    -Comunque spero che la sua collaborazione sia totale, perchè da questa visita potremmo arrivare a risultati prodigiosi per quanto riguarda la tecnologia dell'Est tutto ed anche di Laputa stessa. Dunque la prego, si sieda ed inizieremo con un paio di domande...

     
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    «Parlato di Richard»



    Laputa, Albero Casa.

    Oltraggioso. Ed ingiuriante.
    In tal modo giudicò quello sguardo che non ebbe la decenza di scostarsi da lui.
    Nessuna vergogna, nessun pudore nel tradire l'eccitazione. Nessun ripensamento nello sfoderare carta e penna, mentre lo guardava come un cliente osserva il pezzo di carne che sta per comprare dal macellaio.
    E probabilmente, tale doveva apparirgli. Nulla più che un esotico taglio che viene offerto ad un prezzo risibile. Un oggetto da soppesare, con cui si sarebbe sfamato a breve.

    Mosse qualche passo verso il centro della stanza, mentre soppesava le parole che gli venivan rivolte. "Arthur Friederick Giles". Non gli aveva chiesto il nome, non gli interessava. E forse, quell'Arthur doveva averlo capito, visto che nonostante tutto s'era presentato, spendendo qualche superflua parola su di sé.
    Non sarebbe stato giudicato per le chiacchiere, quell'individuo, ma per il suo valore. Ed al momento, era lì in veste di uomo di scienza. Per studiarlo, sembrava. O forse per torturarlo, come lui supponeva.
    Socchiuse gli occhi, quando sentì parlare di Drusilia come una bambina ormai cresciuta. Quell'uomo voleva porsi a suo padre? Risibile che ne parlasse così. Almeno per la sua percezione delle cose, certo.
    Non osservò il volto commosso di padre, ma aprì gli occhi quando sentì la penna scorrere sul block notes. E con distacco, solo ora cercò gli occhi argentati di quell'individuo, mentre impassibile subiva quei formalismi. Il "lei", la formalità... si chiese a scudo di cosa la volesse porre. Ma non gli sarebbe valsa il suo rispetto. Né quella collaborazione che sembrava cercare.

    Quanta boria, quanta fretta. Stomachevole.
    Da qualche parte, nel profondo, provò il desiderio di sfoderare la spada e di puntarla al volto di quell'individuo. Di fargli presente quanto poco gli importasse dell'Est, di Laputa, e soprattutto di lui, dei suoi pensieri, delle sue brame, delle sue premure. Di sottolineare quanto poco controllo avesse su di lui, e che a farlo fermare non sarebbe stata certo la cortesia, ma lui stesso, nel momento in cui avesse oltrepassato il limite. Di ricordargli che l'unico dannato motivo per cui era lì era la richiesta della Dama del Vento.
    Eppure ben sapeva che non era il caso di lasciarsi andare a simili teatralità. La gente di quella risma reagiva a simili esternazioni con la superbia, ed a quel punto forse nemmeno Eve avrebbe potuto fermare la sua spada.
    Del resto, come si dice, "rispetta il cane per il padrone". Quello che contrasse con Drusilia, si rese improvvisamente conto, era un debito oneroso. Molto più del previsto.

    «Potrei presentarmi, ma a quanto mi sembra di capire la fama mi precede. Cercherò di collaborare.»

    Quella la prima risposta, finalmente giunta solo dopo un profondo respiro.
    Gli era stato indicato un divanetto, e vi si accomodò senza palesare il dissenso che invece lo pervadeva.
    Avrebbe preferito qualcosa di veloce, che non richiedesse formalismi vari o appunto il doversi sedere, ma il Fato aveva in mente altri piani.
    Ancora una volta socchiuse gli occhi, attendendo che Arthur iniziasse a fare le preannunciate domande.
    Silenzio.
    Lasciò scorrere ancora qualche attimo, incrociando le braccia. Ed in fine gli venne un dubbio. Aprì gli occhi, lasciando che le iridi fiammanti scrutassero in quelli che molti definivano romanticamente "lo specchio dell'anima", per poi parlare con calma.

    «Prego...» lo incitò.

    Sia mai che si stesse strozzando coi suoi stessi formalismi, al punto che aspettasse il permesso di fare qualche domanda...
     
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    Il Vampiro, intanto, continuava a scrivere appunti sul suo preziosissimo taccuino.
    In un certo senso, per quanto la solita espressione atona potesse mettere fuori strada, Arthur si sentiva in un certo qual modo "emozionato" nell'aver l'occasione di studiare dal vivo un Djin. No, in più di duemila anni di vita non ne aveva mai visto nessuno, forse perchè nel mondo da dove proveniva non v'erano luoghi adatti per la loro nascita o il loro stanziamento. Mai più saggio fu, col senno di poi, trasferirsi nel semipiano di Endlos, chiave delle dimensioni, poichè così gli sarebbe stato possibile incontrare -e studiare- anche le creature più assurde, considerando l'imprevedibilità del Maelstrom.
    Terminate le notazioni, costui si mise a riflettere sull'impatto che avrebbe avuto quel giovane sui suoi studi; mai nulla di più utile gli sarebbe parso un essere di elettricità come lui per un uomo che era solito creare macchinari fantascientifici che, di elettricità, ne usavano davvero tanta...

    «Prego...»

    Lo studioso sobbalzò un istante nel ritrovarsi cadere in malomodo dalle sue nuvole.
    Scosse il capo annuendo, dunque si preparò alla domanda schiarendosi la voce.

    -Beh, tanto per cominciare, signore...

    Fece una breve pausa come a ripetere uno schema mentale che, quasi sicuramente, si era preparato da giorni.

    -Mi parli della sua giornata.

    Concluse con tono calmo ed accomodante.

     
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    No, non attendeva il permesso. Semplicemente stava fantasticando.
    Pfh. Eccola lì la cortesia, le formalità, il garbo ed il galateo.
    Ipocrita.” l'accusò mentalmente.
    Lo odiava. Lo odiava! Quanto lo odiava? TANTO, lo odiava!
    Eppure nessuna smorfia macchiò l'impeccabilità di quel volto, i cui occhi vitrei occhi tornarono a celarsi dietro le palpebre.
    Inspirò silenziosamente.
    "Mi parli della sua giornata" aveva detto.
    Ecco, quella era una assolutamente sgradita violazione della privacy, qualcosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
    L'interesse di un ipocrita - almeno per lui - non valeva nulla.
    O forse voleva sapere le abitudini di un Elementale della Folgore? Ecco, quella era una possibilità sensata...

    «Ritengo, Signor Giles, che la domanda non sia pertinente, né fruttifica per il suo lavoro. Sembrate uomo d'affari, di quelli che gradiscono andare dritti al sodo...»

    Balle, in realtà non ne aveva idea. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era quella situazione - ed a quanto fosse sgradevole. Non aveva il tempo né il desiderio di provare a comprendere il Signor Giles.
    Ad ogni modo, cercò di sembrare cordiale.

    «...non fatevi remore, chiedete pure ciò che più vi interessa. O, se preferite, raccontatemi della vostra giornata...»
     
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    Sospirò avvilito, l'elegante Arthur; a quanto pareva la cavia non voleva collaborare.
    Fosse stato per lui non si sarebbe fatto remore a paralizzarlo in qualche modo, o magari fargli ingurgitare un pò di veritaserum per rendere tutto più semplice, eppure ricordava ancora le parole di Drusilia e del fatto che lo aveva definito "suo amico". E questo voleva dire niente giochetti strani o fregature di sorta. Se doveva lavorare, Arthur era costretto a fare un lavoro pulito.

    -Bene...

    Esordì poco contento.
    A quanto pare il Djin non aveva capito molto, ma non importava affatto.
    Ora doveva solo renderlo più propenso alla collaborazione.

    -Mi sono svegliato molto presto, ed ho sbrigato faccende per il mio lavoro.
    Poi son giunto qui ad attenderti in modo da iniziare la seduta.


    Mentre parlava, continuava a trascrivere cose sulle sue note.
    La questione era abbastanza chiara; magari con un colloquio la creatura si sarebbe sentita maggiormente a suo agio, ed avrebbe parlato con più semplicità.

    -Lei invece?

    Domandò.

    -Anche a lei piace svegliarsi presto?

     
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    Un attimo. Solo un attimo. Un impercettibile attimo. Eppure, il Djin sollevò gli occhi al cielo, colmo d'esasperazione.
    Eppure, pensava che l'ironia fosse palese... Insomma, onestamente, cosa passava per la mente di Arthur?! Secondo quale arcana logica a qualcuno poteva interessare la sua giornata?!
    Eppure, il Djin si limitò a non distogliere lo sguardo una seconda volta. Osservandolo dritto negli occhi, celando nella meditazione interiore emozioni e pensieri, limitandosi ad ascoltare.

    «Non so darle una risposta.» asserì freddo.

    Alla fine sì. Aveva deciso di cedere a quelle domande inutili, visto che il risultato della resistenza era l'aumentare delle chiacchiere.

    «La mia razza non è composta di materiale organico, noi non siamo "vivi" nell'accezione comune del termine.»

    Gli scoccò uno sguardo interrogativo, aspettandosi di sentire l'ovvia conclusione che si poteva trarre da quella frase. Se Mister Giles era uomo di scienze, doveva sapere da sé cosa comportava tutto ciò.

    «Non siamo soggetti al ciclo cellulare, dunque non abbiamo bisogno di dormire.» concluse per lui. «Personalmente mi regalo alcune ore di riposo, ma se ho compiti cui attendere posso fare a meno del sonno, quindi oggettivamente parlando non so dirle se mi sveglio presto o tardi perché mi piace o solo perché non ho di meglio da fare.»

    Si chiese se ora quell'omuncolo potesse ritenersi soddisfatto. La domanda inutile aveva ricevuto risposta, aveva ottemperato al suo dovere, ora non restava che aspettare la prossima domanda senza senso, magari altre due o tre, e poi assistere al modo in cui quel figuro gli avrebbe messo le mani addosso.
    Chi sa come si sarebbe posto, come avrebbe giustificato quegli atti immondi...
     
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    -Interessante, davvero interessante...

    Commentava il vampiro, tutto preso a scrivere chissà cosa.
    Sul suo volto pallido, sebbene fosse particolarmente inespressivo, era dipinta una sorta di felicità mista a follia, più o meno come uno scienziato pazzo che vede per la prima volta il suo Frankenstein muoversi e camminare.
    Scriveva come un pazzo... e lo fissava come un pazzo.
    In effetti non ci sarebbe stato male qualche tuono in lontananza e la classica esclamazione "SI PUO' FAREEEE".

    -E mi dica, signor Richard...

    Continuò, mentre andava aprendosi un sorrisetto colmo di sadismo.
    Povero, povero Richard davvero, ritrovarsi solo con uno studioso di quel tipo!
    In un certo senso era più allettante essere in camera con un vampiro, il che era anche vero.
    Ma non divaghiamo...

    -Lei di cosa si nutre?


     
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    «Spero lei capisca che sia una domanda sconveniente.» rispose con franchezza il Topazio.

    Vice versa, ben sapeva che provare a non rispondere significava che prima avrebbe sentito qual'era la dieta di quel tizio - e non gli interessava - e poi sarebbe tornato punto e a capo.
    Costretto in un modo o nell'altro a parlare, o a ucciderlo.
    Solo che ucciderlo non poteva. Drusilia se la sarebbe presa un attimino a male.
    Non tanto, poco poco. Quel tanto che bastava, però, a farlo sentire in colpa, suppose...
    Osservò attentamente Arthur.
    La domanda, ora, era se ne valeva la pena.
    ...forse sì.

    «...tuttavia, voglio risponderle.» fece condiscendente. «Come spero abbia intuito, non essere vivi significa che non ho una vita da preservare. Il mio organismo non è organico, e non necessita di energie e sostanze da approvvigionare. Nel mio corpo sono in sospensione pochi atomi, ed un numero risibile di molecole. Per lo più, come ogni altro energoforme del fulmine, sono composto da particelle elementari.»

    Si fermò per un breve istante, scrutando con sufficienza il presunto scenziatucolo.

    «Se ha nozioni di chimica e fisica, personalmente preferisco suddividere l'energia in pacchetti più grandi, quali elettroni, positroni e neutrini. Il margine di controllo è più che sufficiente alle mie necessità, e lavorare con agglomerati di energia così grandi è meno faticoso. Mi permette di mantenere uno stato di quiete senza troppe difficoltà, e dunque non corro il rischio di fulminarla per sbaglio

    Si sarebbe concesso un sorrisino ipocrita, a quella precisazione. Se lo sarebbe concesso con molto gusto, se solo ci fosse stata Drusilia a parlare con lui.
    Invece, con quel tizio non riusciva a vedere nulla di divertente in quella situazione.

    «...se a questo punto intende domandarmi dove prendo elettroni, positroni e neutrini, continuo a pensare che non sia necessariamente dal nutrimento. La nostra specie è formata da energia. In noi c'è una componente magica ed una elementale, e le due si accrescono a vicenda. Se all'improvviso dovessi perdere parte rilevante della mia carica, parte del "potere magico" si trasformerebbe immediatamente in differenza di potenziale, strappando materia all'ambiente circostante per dissociazione elettrica. Questo può avvenire dal cibo come da qualsiasi materiale od elemento chimico. Vice versa, con un crollo del mio potere "magico", il mio corpo fisico disperderebbe nell'ambiente parte della materia assorbita, riducendo la mia forza "vitale" ma favorendo un rapido ripristino delle scorte di "mana". All'aumentare del quale riprenderei tono.»

    Osservò Arthur, chiedendosi se aveva parlato troppo.

    «...quindi non si può parlare di vera e propria necessità di nutrirmi. Il concetto più vicino sarebbe il trovarmi nei pressi di una fonte di mana o di corrente: potrei sfruttare entrambe per ripristinare facilmente il mio corpo materiale e la mia energia nel giro di qualche secondo. In alternativa il mio bioritmo naturale sarebbe più lento rispetto a quello umano, fatto per generare e consumare energia. Noi siamo fatti per mantenere uno stato di quiete, surplus energetici ci porterebbero a perdere il controllo del nostro corpo. Ci vogliono secoli per imparare a non disperdere la propria essenza nell'ambiente, molti giovani Djin muoiono pochi minuti dopo la nascita proprio per questo.»

    Non a caso, su Endlos lui era l'unico Djin Topazio... Anche se al momento i suoi pensieri erano più focalizzati sul "spero gli stia fumando il cervello" che non su altro.
    Anche perché di questo passo gli avrebbe chiesto...
    Eh no! Se quell'infame leggeva nella mente, non gli avrebbe mica suggerito un'altra domanda!
     
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