[CC] L'Antico Codice

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    Il sole splendeva alto su Istvàn, quel giorno esattamente com'era accaduto quello precedente e quello prima ancora; da che ricordasse, da quando era arrivato in quella città non aveva mai visto una sola nuvola coprire il bellissimo cielo azzurro della Valle. Nicolas aveva deciso ancora una volta di trascurare i voluminosi tomi da lui scelti e comprati a Epartis in favore di un'altra visita in città - sì, perché essa lo attirava come un'ape al miele, non era mai sazio del brulichio di gente, della folla attorno a lui, delle voci e dei colori della Capitale. Proprio arrivato in quella zona da lui visitata tante volte, però, la nuova struttura rimessa a nuovo aveva attirato completamente la sua attenzione.

    La Caserma di Taldor lo aveva fatto sentire piccolo, minuscolo al suo confronto. Si era sentito come un uomo che si trova improvvisamente in balia di una violentissima tempesta, impossibilitato a muovere un muscolo persino per salvarsi la vita perché troppo sopraffatto dalle proprie emozioni. Non aveva capito subito perché tali emozioni - che gli erano parse addirittura
    esagerate in un primo momento - si fossero insinuate sotto la sua pelle in quel modo alla vista della struttura, ma una volta che fu entrato la pelle d'oca gli fece capire che anche solamente la facciata era così impregnata di quei valori che trovò incisi nella pietra e rappresentati dalle statue che era stato impossibile non sentire il proprio animo tremare.

    Si era avventurato nella Caserma, deciso a scoprire il segreto di quegli altri eroi che prima di lui avevano deciso di proteggere quei luoghi. Ad un certo punto della sua visita trovò delle spade di legno e altri arnesi utili all'addestramento nei giardini confinanti con quelli che gli sembrava appartenessero a Miséricorde - e si rese conto per la prima volta di non essere mai stato in quei luoghi. Passò il tempo a cercare di imitare con una vecchia spada di semplice acciaio gli affondi dei grandi spadaccini di cui leggeva nei suoi libri, ma la cosa non sembrava procedere bene... così, per curiosità, dopo essersi guardato attorno circospetto, Nicolas si tolse uno dei guanti di pelle traslucida.
    L'elettricità sulle sue mani sfrigolò, forse
    felice di essere finalmente libera di esprimersi; quando Nicolas prese in mano di nuovo la spada, con la destra, le scariche elettriche corsero sul metallo e lo avvolsero; il giovane dagli occhi d'ambra si trovò a sorridere di fronte a quel potere che l'aveva fatto sentire un mostro. Visto che non c'era nessuno decise di togliersi persino la benda sull'occhio destro, e improvvisamente si sentì libero. Alzò gli occhi al cielo e, per la prima volta, lo osservò con entrambi i suoi occhi - quello di un giallo vivo deteriorato dagli odiati esperimenti e quello color dell'ambra, caldo e brillante.

     
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    Con un sospiro paziente, il Paladino raccolse le ultime spade di legno che i bambini avevano sparpagliato in giro per gli spogliatoi ora deserti come null’altro che giocattoli, e si immise a passo calmo nel corridoio antistante l’ingresso, per riporle al loro posto, sulle rastrelliere del cortile.

    I piccoli Angeli di Miséricorde erano stati lì in visita quell’oggi per sottoporsi all’allenamento di base come il loro piano di studi prevedeva, ma -come è inevitabile alla loro età- -alla fine della lezione erano caduti facilmente preda di altri entusiasmi, e non appena era risuonato nell’aria l’adunanza per il rancio di mezzogiorno... beh, avevano afferrato le loro cose e si erano dispersi verso il loro “Nido” lasciando all’ex-Capitano delle Guardie l’onere di rimettere a posto.

    Ricollocate al loro posto tutte le attrezzature, Leon si riavviò i capelli dorati, e fu allora che lo sguardo ceruleo cadde sulla figura di un giovanotto, in piedi da solo al centro dell’arena: a giudicare dai movimenti disinvolti con cui si destreggiava con la lama di metallo, doveva possedere buona forza nelle braccia, ma la rapidità e la precisione di cui stava dando prova avrebbero avuto bisogno -giudicò- di qualche attenzione mirata ad affinarne le abilità.

    Colto da interesse e curiosità per quel ragazzo che non aveva mai visto prima, il Cacciatore abbandonò il riparo del portico del chiostro, e si diresse con falcate ampie e misurate nella su direzione... tuttavia, li separavano quasi una decina di metri quando il cavaliere si arrestò di colpo, sorpreso da quel che i suoi occhi stavano vedendo... perché la vista di scariche elettriche danzanti in fil di spada
    era davvero qualcosa di spettacolare.

    « Wow...! »
    esordì con voce amichevole, cercando al contempo di non essere invadente
    « Come riesci a farlo...? »

     
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    Si sentiva per la prima volta veramente rilassato. Chiuse gli occhi: udiva in sottofondo lo sfrigolio prodotto dalle scariche che danzavano sul filo della spada, giocando a rincorrersi e sfiorarsi, producendo suoni acuti e così veloci che nel momento in cui l'orecchio li avvertiva, loro in realtà erano già scomparsi, volatilizzati nell'aria; udiva il vento fra i fili d'erba e la tranquillità di quel luogo che prendeva il posto dell'euforia sotto la sua pelle.
    Riaprì gli occhi con un leggero sorriso sulle labbra livide. Si rimise in posizione; era pronto a riprovare un affondo per l'ennesima volta quando una voce lo interruppe.
    Sconvolto, temendo di essere stato
    colto in flagrante mentre faceva qualcosa che non avrebbe potuto fare, il giovane Araldo s'immobilizzò e impallidì. Cambiò la posizione della spada, ora rigidamente attaccata al fianco, e le scariche elettriche corsero a lambirgli le gambe, come se ci stessero giocando.

    « Io... I-io... » - Nicolas si guardò la mano destra e inorridì: il guanto giaceva a terra, un passo dietro di lui, e la mano nuda era perfettamente esposta agli occhi dello sconosciuto. « Chiedo scusa, credevo non ci fosse nessuno e... mi stavo esercitando... »

    Si guardò di nuovo la mano, indeciso.

    « Questo... lo so fare. Semplicemente. Sono le mie mani. » - spiegò confusamente, come se fosse la cosa più normale del mondo. E lo era per lui. Non aveva idea di come spiegare quello strano fenomeno a qualcun altro. Si sentiva molto in imbarazzo.

    "Ecco," si disse, "ora penserà o dirà che sono un mostro."

     
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    All’udire la sua voce, un suono che certamente non doveva aspettarsi, il giovane sconosciuto parve immobilizzarsi e sobbalzare dove stava, prima di riabbassare rigidamente la lama lungo il fianco e lasciarsi percorrere da scariche distratte e incontrollate; a dirla tutta, nonostante la distanza non lo rendesse troppo certo, il Paladino ebbe perfino l’impressione che l’atro fosse sbiancato in volto.

    « Io... I-io... Chiedo scusa, credevo non ci fosse nessuno e... mi stavo esercitando... »

    « Oh, va tutto bene...! »
    istintivamente, per tranquillizzarlo, Leon gli rivolse i palmi delle mani e un sorriso rassicurante
    « Non stai mica facendo nulla di male, quindi... non c’è problema! »

    Con fare tentennante, e l’aria di un bambino colto con le mani nella marmellata, il ragazzo dagli occhi bicromi -due singolari tonalità di oro- continuava a gettare occhiate alla propria mano e al guanto abbandonato al suolo poco più indietro, e ci volle qualche istante ancora, prima che schiudesse le labbra e proseguisse.

    « Questo... lo so fare. Semplicemente. Sono le mie mani. »

    « Mh... Capisco... »
    con voce calma e pensierosa, il Cavaliere biondo annuì lentamente
    « A quanto pare il tuo potere è un dono del Cielo...! »

    E di nuovo gratificò quel nuovo e spaurito giovane di un sorriso rassicurante.
    Fiducioso, incoraggiante, e sincero.

     
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    Nicolas sobbalzò comunque all'udire le parole dell'uomo: esse erano sincere, e il ragazzo riusciva ad avvertirvi - era forse un'impressione errata? - una nota dolce simile a quella nelle parole di Lady Kalia quand'ella lo aveva accolto a palazzo. Nonostante ciò non riuscì a sciogliersi come in presenza di lei: la mancanza del guanto e, se ne accorse solo quando l'uomo lo guardò negli occhi, persino della benda sull'occhio destro, che gli ricadeva sul collo come fosse un gioiello, lo rendevano profondamente insicuro.

    Sicuramente l'uomo riuscì a farlo sentire meno in colpa. Quando fece per recuperare il suo guanto, però, egli disse qualcosa che veramente lo sconvolse.


    « Un dono...? Del Cielo, addirittura? » - esclamò in risposta, sorpreso e decisamente sconvolto.

    Si guardò la mano che reggeva la spada, nuda e livida come il resto della sua pelle, dallo strano colorito un po' cadaverico. Tutto si poteva dire di essa tranne che fosse un dono del Cielo, probabilmente, ma l'uomo aveva scelto esattamente quelle parole. Gli spuntò un sorrisetto ironico e nervoso; strinse meglio nel palmo l'elsa della spada e pensò che quello sconosciuto avesse
    in parte ragione.
    Dopotutto, le sue non erano forse le mani di un Dio?

    « No... non è un dono del Cielo. » - fissò negli occhi quell'uomo gentile e, serio e malinconico, affermò per la prima volta da quando aveva ricordato: « Queste mani... le ho rubate al Cielo. Le hanno rubate, me le hanno imposte... e mi hanno reso un mostro. »

    Eccola, la triste realtà. E anche se non si sentiva più un mostro orribile come prima da un po' di tempo a quella parte, il suo peccato non cambiava.

     
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    Col fare insicuro ed impacciato di un bambino ancora in stato di allerta davanti ad uno sconosciuto, il giovanotto si prodigò per recuperare il guanto che doveva aver lasciato cadere in precedenza, e parve trovare qualcosa di sconvolgente nelle parole del Paladino... tanto che sobbalzò sul posto, e diede sfogo a tutto il suo sbigottimento quando le labbra gli si schiusero in una replica.

    « Un dono...? Del Cielo, addirittura? »

    Lo scetticismo del suo interlocutore, così come il sorrisetto nervoso e sardonico che gli incurvava ora le labbra, vibrava alle orecchie del Paladino anche di un antico dolore... e, pur non conoscendolo, Leon ebbe la netta sensazione che qualche disgrazia si fosse abbattuta su quella giovane vita, travolgendola e convincendolo che chissà quale colpa biasimevole gravava sulle sue spalle. Un sentimento complesso, quello, ma che pure il Cavaliere conosceva bene.
    Dopotutto, anche lui si era sentito allo stesso modo in un ormai lontano passato.

    « No... non è un dono del Cielo. Queste mani... le ho rubate al Cielo. »
    spiegò il giovane senza nome con una evidente malinconia
    « Le hanno rubate, me le hanno imposte... e mi hanno reso un mostro. »

    Il biondo dette un cenno di assenso in segno di comprensione, ma la ferma sicurezza nei suoi occhi blu -così come l’incrollabile fiducia che trasmettevano- non vacillò per un solo istante: era sicuro di quel che vedeva, e in quel ragazzo vedeva del buono.

    « Il Cielo non lascia mai che ci venga inflitto più quanto siamo in grado di sopportare... »
    cominciò con voce neutra e gentile il Cacciatore
    « Non possiamo sempre scegliere cosa ci aspetti o come sentirci...
    ma possiamo sempre scegliere cosa farci. »


    Alzando le spalle con aria noncurante, il Paladino gli sorrise e ricominciò ad avvicinarsi con passi misurati; quando riprese a parlare, nemmeno si accorse di aver inconsciamente modulato la voce sul timbro che usava per dispensare i suoi insegnamenti ai piccoli che sognavano di diventare eroi e alle reclute in cerca di una guida.

    « Potrai non aver scelto di avere quel potere... ma fatto sta che lo possiedi.
    E sei tu a decidere se lasciare che sia la tua maledizione. O che diventi il tuo riscatto. »

     
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    Parole forti. Ecco quello che era mancato a Nicolas fino ad allora. Qualcuno che gli dicesse come comportarsi, cosa poteva essere invece di quello che sentiva di essere. La Folgore era stata folgorata: che ironia era mai questa?
    Nicolas rimase per parecchi istanti immobile senza pensare a nulla: sentiva quelle parole rimbombargli in testa.
    Bum-bum-bum-bum. Sembravano non aver intenzione né di smettere né di lasciarlo pensare. Abbassò lo sguardo, finalmente, e ancora una volta si guardò la mano destra, poi la sinistra.

    Pensandoci bene, Nicolas aveva già pensato di mettere quella forza al servizio di Lady Kalia. Lei era stata la prima - no, anzi, la seconda a ben vedere, ma sicuramente la più importante per lui - ad averlo accolto per quello che era, dandogli una casa e uno scopo per continuare a vivere. Forse ora poteva ripagare il suo debito? Poteva
    riscattarsi?
    Guardò l'uomo in viso: lo sguardo d'ambra di Nicolas era ora illuminato da una luce nuova, una scintilla di vita che prima non c'era e non ci sarebbe mai potuta essere senza quelle parole. Chi era quello straniero? Doveva saperlo, doveva sapere a chi doveva quelle parole così buone, così sincere, così
    perfette.

    « Chi siete Voi...? Cosa posso fare per ringraziarvi...? » - chiese in un mormorio, deglutendo. « Chiedetemi qualsiasi cosa e io la farò: Voi mi avete illuminato la strada. » - e poiché erano parole ardite per lui, deglutì di nuovo e arrossì, per poi tacere.

    Ma non abbassò ancora lo sguardo. Non lo avrebbe più fatto.

     
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    Per un lungo momento, il ragazzo rimase in silenzio, quasi combattuto tra le emozioni discordanti e i pensieri più profondi che il Paladino poteva solo cercare di intuire: abbassò nuovamente lo sguardo sulle proprie mani -le mani del dio-, e in esso brillò una nuova luce, come se stesse vedendo per la prima volta; poi, le iridi d’ambra tornarono ad incatenarsi ai frammenti di limpido cielo che brillavano negli occhi del Cavaliere.

    « Chi siete Voi...? Cosa posso fare per ringraziarvi...?
    Chiedetemi qualsiasi cosa e io la farò: Voi mi avete illuminato la strada.
    »

    Il biondo gli sorrise con calma e benevolenza, poi si strinse nelle spalle.

    « Il mio nome è Leon, Leon Belmont. »
    gli rispose, presentandosi
    « E non mi devi alcun ringraziamento: ho fatto solo il mio dovere. »

    Con passo misurato, Leon prese a camminare lentamente in circolo intorno al giovane sconosciuto, sollevando fieramente il mento e recitando con voce solenne eppure spontanea -mai pomposa, ma sempre piena di rispetto- le parole dell’Antico Codice a cui aveva votato le sua azioni in ogni giorno della sua vita.

    « Un cavaliere giura di essere valoroso, il suo cuore conosce solo la virtù:
    la sua spada difende gli inermi, la sua forza sostiene i deboli,
    la sue parole dicono solo la verità...
    »

    finì di declamare e contemporaneamente si fermò, volgendosi a guardarlo
    « Questo è il giuramento di chi difende l’Est e le sue genti. »

     
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    A Nicolas sembrava di essere immobile da una vita. Seppur ora non si vergognasse quasi più del proprio aspetto, pur di muoversi il giovane Araldo prese a sistemarsi velocemente, mentre con la coda dell'occhio seguiva i movimenti dell'uomo, che aveva detto di chiamarsi Leon Belmont. Un nome affascinante quanto la persona stessa, senza dubbio; chissà quante donne spasimavano per lui. Magari anche Lady Kalia...?
    Quante sciocchezze. Spazzò via quei futili pensieri sistemandosi la benda sull'occhio destro e rimettendosi il guanto precedentemente tolto. Ora si sentiva più sicuro.

    Ascoltò attentamente ogni parola di Leon, affascinato, rapito da una tale ideologia. O forse era semplicemente lui che con quella voce riusciva a stregarlo, chissà.
    Alla fine riuscì a trovare un po' di coraggio e a parlare nuovamente, per fortuna.


    « Tempo fa ho giurato fedeltà a Lady Kalia, offrendole tutto l'aiuto che io, Nicolas, potessi darle nelle mie condizioni. Se quello che dite è vero, allora vorrei fare anche io questo giuramento... » disse innocentemente, mano chiusa a pugno sul cuore e sguardo deciso. Non un'ombra di debolezza sul viso: il ragazzo parlava sul serio. « Parlatemene Voi, vi prego: Lady Kalia non ne ha fatto menzione con me. Forse, in realtà, non mi riteneva all'altezza di un tale compito? E' per questo che non mi ha fatto giurare? »

    Un'ombra di dolore passò sul viso della Folgore come un lampo a ciel sereno. E se fosse veramente così che stavano le cose?, si chiese.

     
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    Una volta infilata la mano nel guanto e sistemata la benda sull’occhio, il giovanotto con cui stava intrattenendo conversazione parve percepire un istantaneo sollievo; difatti, anche le parole con cui rilanciò il suo discorrere con il Paladino avevano adesso un altro vigore e un’altra sicurezza.

    « Tempo fa ho giurato fedeltà a Lady Kalia, offrendole tutto l'aiuto che io, Nicolas, potessi darle nelle mie condizioni. Se quello che dite è vero, allora vorrei fare anche io questo giuramento...
    Parlatemene Voi, vi prego: Lady Kalia non ne ha fatto menzione con me. Forse, in realtà, non mi riteneva all'altezza di un tale compito? E' per questo che non mi ha fatto giurare?
    »

    ...e certo che ne aveva di entusiasmo! Da vendere!
    Ciò nonostante, il Cavaliere rimase serafico; incrociò le braccia sul petto facendosi assorto e quando parlò lo fece con fare meditabondo: nella sua carriera ne aveva visti molti avvampare dello stesso sacro fuoco che ora incendiava il cuore dell’astante, ma mai una singola volta aveva compiuto l’errore di non degnare quegli slanci del giusto rispetto.
    I sogni e le aspirazioni -lui lo sapeva- vanno maneggiati con cura.

    « Beh… il giuramento non va fatto alla leggera, giovane Nicolas...
    Perché è un voto che ti impegna per la vita. »

    esordì con voce calma e ragionevole
    « E’ comprensibile che Kalia non abbia voluto vincolarti in questo senso.
    Lei ha sempre timore di condizionare gli altri, “approfittarsene” e farli sentire in obbligo... »

    aggiunse, scoccandogli un’occhiata paziente
    « Prima di pronunciare il Giuramento bisogna studiare l’Antico Codice.
    Allenarsi ad affinare, controllare e valorizzare il proprio potere...
    Sì, insomma: preparare lo spirito per essere in grado di consacrarsi agli altri. »

     
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    Nicolas annuì ad ogni singola parola di Sir Leon - sentiva che fosse quello il giusto appellativo da usare, anche se non sapeva da cosa derivasse quella consapevolezza. Forse l'averlo appena eletto, nella propria mente, a possibile suo Maestro? Fatto sta che lo fissò in volto con espressione seria e compita, assorbendo come una spugna ogni singola frase prima di aprire bocca un'altra volta.

    Si trovò a pensare che, sì, Lady Kalia era esattamente come lui l'aveva descritta. Un sorrisetto ironico ma dolce passò sulle sue labbra, facendolo appena arrossire al ricordo della dolce Dama, ma si sbrigò a cancellarlo per far posto ad un'espressione più compita e assorta. Quando parlò lo fece con voce chiara e decisa, come se fosse qualcosa che aveva pensato e ripensato mille volte tant'erano, le parole, sincere e dirette.


    « Sir Belmont, Vi prego, permettetemi di conoscere l'Antico Codice, allora! Non ho altra casa se non questa, e desidero proteggerla con ogni mezzo a mia disposizione, per sempre. Mi consacrerò agli altri,- », s'interruppe un attimo, deglutendo. « - Mi consacrerò alla protezione di Lady Kalia. Vi prego, permettetemi di fare tutto questo. »
    Prese un attimo di respiro, poi aggiunse più calmo:
    « E se non mi riterrete all'altezza, allora mi farò da parte. Non voglio essere un ostacolo o un peso morto. Vi prego... »

     
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    « Sir Belmont, Vi prego, permettetemi di conoscere l'Antico Codice, allora!
    Non ho altra casa se non questa, e desidero proteggerla con ogni mezzo a mia disposizione, per sempre. Mi consacrerò agli altri. Mi consacrerò alla protezione di Lady Kalia.
    Vi prego, permettetemi di fare tutto questo.
    »

    Gli occhi cerulei del Cavaliere sostennero lo sguardo dell’occhio dorato, e la luce pura e determinata che vi lesse non lasciò spazio a tentennamenti e dubbi: quella era la sua volontà più pura e sincera, quelli erano il suo sogno e la sua aspirazione. E lui non glieli avrebbe negati...

    « E se non mi riterrete all'altezza, allora mi farò da parte.
    Non voglio essere un ostacolo o un peso morto. Vi prego...
    »

    « Avrai un’occasione, come viene data ad ogni creatura che abiti l’Est. »
    replicò con fare pacato e rassicurante il biondo
    « Torna qui domani, a questa stessa ora, e sii pronto. »

    ...al contrario, l’avrebbe condotto per mano lungo i primi passi di quel sentiero.
    Fino a che non avrebbe imparato a corrervi da solo.

     
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  13. Frøzen
     
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    L'occhio scoperto di Nicolas sembrò brillare di luce propria alle parole del biondo Leon. L'Araldo s'inchinò con le lacrime agli occhi, ma non aveva intenzione di far vedere all'uomo che stava piangendo per l'emozione. Si affrettò ad asciugarle e tornò in piedi, sorridente. Felice.


    « Sìssignore, ci sarò. »
    E gli avrebbe dimostrato di potercela fare. Costi quel che costi.

    Dopodiché corse via, inchinandosi a Sir Belmont un'ultima volta prima di sparire all'interno di Taldor. Doveva prepararsi psicologicamente e fisicamente: sapeva che non sarebbe stato facile, qualunque sarebbe stata la prova. E lui voleva dare il massimo l'indomani.

     
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