[EM] Arabesque

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    Dicono che nessuno conosca il deserto, con i suoi segreti e misteri, meglio delle tribù nomadi che lo abitano.
    Storie di spettri delle sabbie e leggende di creature esoteriche vengono raccontate attorno ai fuochi durante le soste notturne in mezzo alle dune, mentre i bambini ridono e le donne cucinano; ogni alito di vento viene nominato prontamente dai vecchi saggi, che fumano pipe contenenti erbe allucinogene con lo scopo di ottenere rivelazioni ben al di là delle normali comprensioni.
    In mezzo a questa atmosfera da mille e una notte, una nota stona risaltando fuori dal coro arabesco: un oplite greco in armatura, avvolto nei panni da beduino, si trova in quella carovana.

    Aristotelis Skotos, un Eversore di Merovish, si è aggregato a quella tribù dello Yuzrab con lo scopo di andare a fondo e svelare cosa nascondesse la scoperta fatta giorni e giorni prima a Daleli, quando ritrovò una lastra incisa con uno strano linguaggio.
    Beveva lentamente da una ciotola di legno dell'acqua tiepida, mentre scrutava nell'oscurità la pietra che portava con sé.
    Non aveva trovato nulla che lo potesse aiutare nelle Cave del Sapere, pertanto a tempo debito decise di fare l'unica cosa che fosse in grado di dare una svolta alle sue ricerche, ossia affidarsi alla sapienza delle genti del deserto.
    Quando si unì alla carovana, sorse quasi subito il problema della comunicazione, ma fortunatamente qualcuno che capisse almeno un minimo l'oplite c'era.
    La tribù era diretta vicino ad un'oasi oltre Daleli; tuttavia, il greco venne a conoscenza del fatto che, in un piccolo insediamento che costituiva una tappa prima di raggiungere la meta, viveva una cerchia di pochissimi uomini che si diceva avessero più di trecento anni.
    Realtà o fandonia, era con quegli anziani che Aristotelis doveva parlare.
    Così, sempre intento ad accarezzare la lastra di pietra, l'oplite non aspettava altro che la notte passasse, per riprendere il cammino.

    CITAZIONE
    Allenamento Militare
    Sin da piccolo, Aristotelis Skotos è stato cresciuto seguendo un ben mirato addestramento per lo sviluppo delle capacità fisiche e l'affinamento dei sensi.
    Grazie a ciò, l'oplite possiede forza e resistenza fuori dal comune, così come agilità e velocità superiori alla norma.
    Oltre ciò, anche i suoi riflessi e la sua mira hanno ottenuto un netto miglioramento, rendendolo capace di poter difendersi con rapidità disarmante e poter colpire con una precisione quasi ineluttabile.
    Tuttavia, l'allenamento non ha riguardato solo il corpo, ma anche lo spirito: infatti, dovendo aver a che fare con eventi psicologicamente minanti come guerre e battaglie, l'oplite ha sviluppato un pieno controllo delle sue emozioni, riuscendo a mantenere il sangue freddo e l'imperturbabilità nella quasi totalità delle situazioni.
    [Abilità Passive: +50% Forza, +50% Resistenza, +25% Agilità, +25% Velocità; +25% Riflessi, +25% Mira; Resistenza ad Influenze Psicologiche fino a livello Medio]

    Panoplia
    Ciò che rende unico ed inconfondibile Aristotelis è la sua armatura, la famosa "panoplia nera".
    Questa particolare veste di guerra, interamente creata in ferro assai pesante e resistente, è composta da un krànos che copre tutta la testa, la maggior parte del volto ed alcune porzioni del collo dell'oplite, con un pittoresco ed alto pennacchio dalla criniera nero-bluastra come la notte e abbellimenti geometrici dai colori caldi; da thórax e epibraxiōníos, ossia le parti della corazza, modellate sui muscoli del greco, con dei disegni sulle spalline e decorazioni dorate ad abbellire la già pregiatissima opera completamente nera; da epipēkhýon e knemis, bracciali e schinieri, anch'essi di forgiatura muscolare, posti protezione degli avambracci da polso a gomito e delle gambe da caviglia a ginocchio.
    Abbinate all'armatura non mancano lo xiphos, il dòry e l'hoplon, ovvero la spada, il giavellotto e lo scudo. Sono queste armi di inestimabile valore, sia monetario che affettivo che artistico, e ricalcano le caratteristiche delle altre parti della panoplia: la spada, che più della forma di uno xiphos ricorda quella di un makhaira, presenta una lama lunga 85 cm a doppio taglio, a costola ricurva, molto adatta a sferzate rapide e letali, anche se risulta ottima pure per affondi e colpi mirati a tranciare di netto nonché per parate contro altre armi bianche; il giavellotto, lungo 190 cm in totale con la sola punta di lancia lunga 20 cm, è molto ben bilanciato per permettere dei lanci molto lunghi ed ha un'alta capacità perforante che lo rende utile sia sulle lunghe che sulle medie distanze; lo scudo, di diametro di 90 cm, ha un disegno di una falce di luna argentata su uno sfondo nero come il resto dell'armatura, ha dei bordi di bronzo ed ha una forma particolare, in quanto all'altezza del diametro orizzontale vi sono due aperture che servono a permettere di difendere ed attaccare contemporaneamente.
    Fanno parte della panoplia anche le falde di cuoio che coprono le cosce e i deltoidi, anch'esse di colore nero, ed i calzari; quasi sempre Aristotelis indossa anche un mantello nero, con tasche interne per portare oggetti non troppo ingombranti.
    [Equipaggiamento: Armatura Completa; Spada; Giavellotto; Scudo]
    [x
    immagine di riferimento]


    Note: post d'introduzione dove spiego come e perché l'oplite si trova in una tribù di nomadi.
     
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    I fuochi accesi con lo sterco di dromedario danzavano e sprigionavano scintille nell’aria secca, le bestie facevano cerchio attorno alle tende, ed i membri della tribù si preparavano al sonno, accomodandosi un giaciglio con le selle per cuscini ed i mantelli per coperte. I pochi vecchi intrattenevano le donne ed i bambini con canti di principesse chiuse in castelli per troppa bellezza, e le loro voci, sebbene pronunciassero parole diverse, si mescolavano in una stupefacente armonia che saliva in alto, assieme al fumo delle pipe.
    Le notti, nel deserto, sono fredde e silenziose. Quale rumore potrebbe mai disturbarle, dal momento che gli unici suoi abitanti sono scorpioni, serpenti e demoni, creature che sembrano aver siglato fra loro un patto di eterno mutismo? In realtà, quando ogni tua energia è concentrata nello sforzo di sopravvivere al calore torrido, alle tempeste di sabbia, e alla totale mancanza d’acqua, inizi ben presto a considerare la comunicazione nient’altro che uno spreco di liquidi e forze.
    Tuttavia, quando le stelle sorgono nel cielo nero, gli uomini non possono trattenersi dal raccontare storie, com’è nella loro natura da che sono stati creati dal Padre.
    Afzal stava in disparte, assaporando, inebriato, quelle note roche e profonde. Che essere profondamente contraddittorio era l’uomo: così potenti la sua voce, la sua arte, le sue gesta... e così debole il suo intelletto. Quei vecchi dalle labbra rinsecchite, che non avevano visto nella loro vita altro che cammelli e dune, erano di certo, nel conversare, più seccanti ed opprimenti di un boccone di sabbia. Ma, al tempo stesso, erano capaci di evocare immagini e percezioni così profonde, così intense, che il giovane ne era quasi commosso.
    Si disse che avrebbe continuato ad ascoltarli, e mai a porre loro delle domande. Loro, di certo, non ne avrebbero poste a lui, di ciò ormai era confortevolmente sicuro.
    Erano passate due settimane da quando la carovana aveva lasciato i relativamente fertili confini dello Yuzrab, per gettarsi dritta nel suo cuore più torrido, e da allora nessun nomade aveva importunato Afzal con dei tentativi di conversazione, quel genere di seccatura che il giovane era costretto a sopportare in mezzo alla gente civile. Si erano limitati, alla partenza, a spiegargli come razionare il cibo, come piantare la sua tenda, e come condurre la sua cavalcatura, ma dopo di allora parevano essersi dimenticati della sua presenza. Anche se, di certo, con il suo immacolato mantello di dromedario non poteva passare inosservato, in mezzo a quella gente vestita di blu.
    Mentre si raggomitolava e cercava di prendere sonno, ripensò al giorno precedente alla partenza...

    ۰ ~ ۰ ~ ۰


    I nomadi si erano accampati nell’arida steppa oltre i margini del villaggio, nello spazio a loro tradizionalmente riservato, piantando le bianche tende alla base di vecchie torri di guardia erette da chissà quale generazione di loro antenati. In cima a queste, al riparo dal sole, uno o due uomini completamente intabarrati e che imbracciavano un fucile controllavano che nessuno si introducesse nell’accampamento di nascosto. Afzal fu fatto fermare, e gli fu chiesto cosa cercasse.
    “Voglio parlare con il capotribù. Ho bisogno di attraversare il deserto.”
    Non doveva essere una richiesta per nulla nuova, alle orecchie dei nomadi, dal momento che una delle sentinelle scese dalla torretta senza batter ciglio, e guidò il giovane fino ad una tenda più grande delle altre, posta al centro del campo.
    “Entra”, gli disse, e si piantò fuori dall’ingresso, il fucile appoggiato alla spalla, lasciando chiaramente intendere che se ci fossero stati problemi sarebbe stato pronto ad intervenire.
    Dentro era buio, ma faceva più fresco che fuori, e l’aria era pregna di un forte profumo di tè. L’arredamento era piuttosto spartano: l’unico occupante, quello che doveva essere il capotribù, un uomo imponente, per quel che si poteva immaginare nonostante fosse coperto da voluminosi indumenti color indaco, sedeva su di un semplice cuscino, e reggeva in mano una tazza di terracotta.
    “Siedi”, lo invitò con una voce profonda e misurata. Di lui si vedevano soltanto gli occhi nero pece.
    Afzal prese posto e si mise a suo agio incrociando le gambe, comodo nei suoi ampi pantaloni di cotone.
    L’altro gli riempì una ciotola simile alla sua e gliela offrì in silenzio. Afzal la accettò, ringraziando con un cenno del capo, e se la portò subito alle labbra, ignorando qualsiasi possibile gerarchia rituale. Quindi, con altrettanta mancanza di attenzione per il cerimoniale, parlò, venendo immediatamente al punto.
    “Voglio andare a Daleli. So che voi fate la stessa strada.”
    A quanto pareva, il capotribù condivideva i suoi modi sbrigativi, dal momento che non reagì alla mancanza di preamboli, e rispose secco: “Sono 20 pezzi d’oro. Da pagare in anticipo.”
    Era molto denaro, ma Afzal non era un tipo a cui piacesse contrattare: finiva quasi sempre per essere sconfitto dall’ottusa irragionevolezza dell’altro. Oppure per ucciderlo. Assentì con un cenno.
    “Partiamo domani prima dell’alba, per approfittare delle ore fresche.”
    Un altro cenno. Vuotò la tazza e si alzò, stava per andarsene, ma il capotribù lo trattenne con un gesto e con la voce: “Aspetta. – bevve un sorso di tè - Se tu muori, a chi porto la tua roba?”
    Colpito da una simile domanda, che non si aspettava da un allevatore di dromedari, Afzal lo fissò per un attimo in silenzio... Già, a chi? L’unico parente che avesse era suo padre, dalla cui casa era scappato anni addietro e che, a quanto pareva, non aveva mai provato a ritrovarlo. Doveva essere stato un sollievo, considerò con un impercettibile sorriso di amaro disprezzo, liberarsi di quel figlio strano, soggetto a sbalzi d’umore. Troppo intelligente per lui. E amici, per la stessa ragione, non ne aveva.
    “A nessuno. Tienitela.” Rispose senza guardarlo negli occhi. Temeva di leggervi un giudizio, o peggio pietà. E non voleva darsi una ragione di rancore anche nei confronti del capotribù. Proseguì il passo arrestato a metà. E questa volta uscì davvero, ma, chino sotto l’ingresso sollevato della tenda, si arrestò un istante per dire, senza voltarsi: “Ma non credo che morirò.”

    ۰ ~ ۰ ~ ۰


    Non che gli sarebbe particolarmente dispiaciuto. Non attribuiva nessun significato particolare alla sua vita: finché c’era lei, c’era anche lui, e per questo gli andava a genio, ma non avrebbe avuto occasione di piangerne la scomparsa, in ogni caso.
    Queste, ovviamente, erano considerazioni razionali, fatte a mente fredda, non certo quando il suo brutale desiderio di vivere prendeva il sopravvento. Coerenza? Come può aspirare ad essere coerente un essere dominato dalle secrezioni di un pugno di ghiandole?
    Chiuse gli occhi, e si rigirò sull’altro fianco.
    Mentre si addormentava, la sua immaginazione fu invasa dalle visioni di ciò che lo attendeva alla fine della traversata, fra le rovine di Daleli, la sua meta: tesori dimenticati di conoscenza, biblioteche il cui unico custode era oramai lo Yuzrab stesso. La sapienza di un’intera civiltà da tempo scomparsa e dimenticata, scienza, magia, astronomia, e chissà quali altri misteri... Le misere raccolte di libri dei villaggi fra quali aveva fino ad allora fatto la spola impallidivano, di fronte al patrimonio che Afzal si avviava a riscoprire.
    Quella, la ragione che lo aveva spinto ad unirsi alla carovana. Già da qualche tempo, tuttavia, quasi da subito in effetti, si era accordo di non essere il solo estraneo che viaggiasse assieme ai nomadi. Ce n’era un altro che, come lui, palesemente non faceva parte di quella grande famiglia allargata, e non ne condivideva la misteriosa intesa: un uomo la cui carnagione ed i cui tratti tradivano una diversa provenienza, e che aveva un bel nascondere la sua strana armatura nera sotto ad un mantello.
    Di certo, anche lui doveva aver notato Afzal, che spiccava all’interno della carovana come una mosca bianca.
    La mente del giovane stava per scivolare nell’oblio del sonno...
    Lo avrebbe tenuto d’occhio, come elemento di interesse, ma di certo non lo avrebbe avvicinato per intavolare una piacevole conversazione. Nessuna conversazione, per lui, era piacevole.
    Per questo stava apprezzando tanto la compagnia dei nomadi.


    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~ Ottimale.
    Stato psicologico ۰ ~ Sonno.
    Energia ۰ ~ 100%

    Perdona la lunghezza, ma è il primo post del personaggio, non potevo liquidarlo in quattro e quattr'otto. Ed ora, a te!

     
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    Una dopo l'altra, le anime nomadi della tribù si abbandonarono all'abbraccio del meritato sonno, sotto alla volta celeste illuminata da una pioggia di stelle luminose.
    Lontano dalle luci delle città moderne e fuori dalle caverne della capitale del Sud, il deserto era illuminato da quegli astri incandescenti che creavano disegni astratti che ognuno interpretava a proprio piacimento.
    Tutti si addormentarono, tranne l'oplite.
    Per lui era ancora troppo presto per lasciarsi andare nel regno di Morpheus, e la sua deformazione, per così dire, professionale gli impediva di essere ben rilassato, quando si trovava in missione.
    Ogni tanto soffermava il suo sguardo su un altro individuo particolare, non sapendo dire se facesse parte della tribù o meno.
    Aveva sì dei tratti assai simili a quelli degli altri nomadi, ma pressappoco tutto in lui suggeriva l'idea che si trattasse di un altro aggregato alla carovana.

    Beh, d'altronde sono molti i viaggiatori, da queste parti.

    Decise di lasciar stare le sue supposizioni e mettersi a dormire anch'egli: il giorno seguente sarebbero arrivati alla sua meta in serata, e bisognava riposare bene per affrontare al meglio la traversata.

    ~ Nella notte.

    Ombre invisibili scivolavano sulla sabbia senza emettere un suono, assassini perfetti nel silenzio del deserto.
    Interamente vestiti di panni e stracci, s'avvicinavano furtivi alla carovana, camminando come ragni a quattro zampe. Erano una decina, e solo loro sapevano chi diavolo fossero, cosa volessero e chi li avesse mandati lì.
    I nomadi erano poco più di una ventina, ma non si trattava di una tribù guerriera; le cose potevano mettersi male.
    Erano tutti in posizione, accerchiando gli ignari viandanti che riposavano. Le sentinelle della carovana erano già state uccise, e l'allarme non era stato lanciato.
    Due di questi sicari fecero brillare le loro lame sotto la luce della luna; le loro prede erano il greco ed il padrone dei Djin.
    Il primo fendente a scendere fu quello rivolto all'uomo del deserto, mirato alla gola.

    CITAZIONE
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    [Abilità Passive: +50% Forza, +50% Resistenza, +25% Agilità, +25% Velocità; +25% Riflessi, +25% Mira; Resistenza ad Influenze Psicologiche fino a livello Medio]

    Panoplia
    [Equipaggiamento: Armatura Completa; Spada; Giavellotto; Scudo]
    [x
    immagine di riferimento]


    Note: Iniziamo a pepare la giocata.
    Ci sono dieci assassini, pronti a tutto per sterminare la tribù.
    Non si sa perché, non si sa come, l'importante è che si sa che dobbiamo salvare la pelle.
    Tieni conto che hanno tutti i movimenti silenziosi, nonché +25% ad agilità e velocità. L'attacco è normale, nessuna tecnica.
    Agisci come meglio credi, senza essere autoconclusivo.
    Si va in scena. :guru:


    Edited by :^| - 18/1/2012, 00:39
     
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    Afzal sognava.
    La sua fronte contratta si imperlava di goccioline di sudore, che la temperatura notturna rendeva gelide come quella rugiada mattutina del nord che il giovane non aveva mai conosciuto. La sua mano si serrava spasmodicamente sull’elsa della scimitarra sguainata con cui condivideva il giaciglio, e sotto le palpebre i suoi occhi fremevano. Il suo inconscio stava rievocando un ricordo vecchio di anni: si vedeva arrampicarsi fino ad una finestra, entrarci a fatica... c’erano una donna, e un uomo, dentro, a letto assieme. Lui si alzava, con una lentezza terribile, lo spazio sembrava dilatarsi, eppure pochi istanti dopo se lo vedeva piantato davanti, nudo. Odio, disprezzo, rabbia! Con uno sforzo supremo, affondava il braccio, che sembrava non volergli obbedire, e la sua scimitarra, la stessa scimitarra, squarciava le pallide carni, facendone schizzare una cascata di sangue. Afzal, inorridito, cercava di estrarre l’arma, ma non vi riusciva, e il sangue traboccava sempre più impetuoso, fino ad inzupparlo completamente. L’impotenza lo soffocava. E, intanto, la ragazza urlava. Urlava come non aveva mai davvero urlato, quando tutto ciò era successo davvero. Urlava con una voce non sua, una voce terribile, sepolcrale, che metteva i brividi. Più che una voce sola, pareva un coro di mille voci.
    Afzal aprì gli occhi. L’incubo fuggì via. Ed il grido non tacque.
    Il panico lo dominò soltanto per una brevissima manciata di istanti, ma poi la sua ragione ebbe il sopravvento: conosceva benissimo quelle voci. Erano le voci dei morti e, incredibile a dirsi, questa consapevolezza lo rassicurò. Relativamente, certo, dal momento che se loro lo avevano svegliato, doveva esserci una ragione.
    Cauto, aprì gli occhi, e restando disteso, senza muoversi, controllò rapidamente fuori dalla tenda, alla cui entrata rivolgeva i piedi: tutto pareva immobile. Eppure, alla debole luce delle ultime braci dei falò, fu certo di intravedere un’ombra furtiva.
    I suoi muscoli si irrigidirono, aveva abbastanza buon senso da non dubitare di una simile coincidenza: i Morti gridavano, e qualcuno fuori si muoveva. Si assicurò, cercando di agitarsi il meno possibile, che il mantello che gli faceva da coperta non fosse impigliato, e che all’occorrenza non gli avrebbe impedito i movimenti. Aveva appena finito, quando le voci, che non avevano interrotto un attimo il loro lamentoso brusio, raggiunsero un livello allarmante. E, nello stesso istante, un’ombra si stagliò contro la fetta di stelle dell’ingresso della tenda.
    Attraverso le palpebre socchiuse, Afzal poté scrutare una figura completamente avvolta in logore vesti di panno, con un cencioso turbante che gli nascondeva il viso, ed una lama ricurva nel pugno.
    Se si trattasse di un sicario o di un semplice bandito, il giovane non poteva dirlo. Quel che era certo, era che fosse morto.
    Quando la punta baluginante dell’arma nemica calò verso di lui, il corpo allenato di Afzal scattò come una molla: saettò in piedi, gettando il mantello addosso al nemico e portando la scimitarra in posizione di guardia, tutto in un solo, fluido, movimento. Un affondo violento, poi un calcio, e senza preoccuparsi di essere stato o meno letale, il giovane squarciò la parete della tenda e si lanciò fuori. C’era qualcos’altro di più importante di cui sincerarsi, ovvero se il suo misterioso avversario fosse giunto solo.
    E così, in effetti, non era. Una decina di sagome nere stavano penetrando nell’accampamento, giungendo da ogni parte, silenziose ed agili, con un singolare ordine, e la loro vista, Afzal non poté negarselo, gli provocò una fitta di paura. Le sentinelle dovevano essere morte, e se nessuno avesse svegliato gli altri guerrieri, il numero ancora sconosciuto di nemici avrebbe potuto farsi ingestibile, per lui.
    “Allarme! Ci attaccano!” Gridò nella lingua delle genti dello Yuzrab, attirando così inevitabilmente su di se l’attenzione di tutte quelle ombre vestite di stracci.
    Sentendo la mancanza della sua armatura, che si era levato per la notte e che non aveva di certo il tempo di infilare ora, il giovane fece un gesto con la mano sinistra, plasmando dalla sabbia sospesa nell’aria una selva di pugnali di vetro e scagliandoli contro il più vicino degli avversari. Quindi, sollevò la scimitarra, si portò con le spalle ad una tenda, e si preparò a difendersi.


    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~ Ottimale.
    Stato psicologico ۰ ~ Padrone di se.
    Energia ۰ ~ 80% (100% - 20%)
    Abilità attivate ۰ ~
    Pugnali si sabbia (Costo: Alto)

    ۰ Pugnali di sabbia ~

    Sebbene Afzal disponga di un ampio ventaglio di tecniche che gli assicurano che, in battaglia, riuscirà a confrontarsi con l’avversario in corpo a corpo, è sempre saggio conservare nella manica qualche risorsa utile nel caso in cui ciò non sia possibile. Sfruttando la sua affinità con il deserto ed il suo potere magico, con un consumo alto di energia, il giovane può evocare dal nulla un innocuo refolo di sabbia, e scagliarlo, silenzioso e velocissimo, contro l’avversario. Durante il tragitto, surriscaldando e manipolando la sabbia attraverso la magia, Afzal addenserà in un tempo brevissimo un’intera salva di pugnali di vetro terribilmente affilato, che proseguiranno con la direzione e la rapidità delle loro impalpabile materia prima, e con tutta probabilità si conficcheranno nel corpo della vittima del mago.
    [Classe Evocatore. Durata: istantanea. Costo: alto – 1 pt.]

    Abilità passive sfruttate ۰ ~
    La Danza della Spada (+50% Agilità)

    ۰ La Danza della Spada ~

    Una qualità che nulla ha a che fare con la magia è, invece, la straordinaria destrezza che Afzal ha sviluppato nel corso del suo addestramento marziale. Le ore passate ad esercitarsi con la sua agile scimitarra, oppure saltando da un tetto all’altro, o schivando colpi, hanno portato la sua agilità a superare di circa la metà quella di qualunque altro guerriero medio. Si tratta di un notevole ed indispensabile vantaggio per un combattente che, come il giovane, predilige uno stile rapido e sfuggente, da “hasshashin”, ed un equipaggiamento si leggero, ma che gli offre una scarsa protezione. Le sue parate sono fulminee, i suoi affondi imprevedibili, e i suoi piedi mai lo tradiscono.
    [Classe Assassino. Passiva: +50% all’Agilità – 5 pt.]

    Anello dei Morti #1 (Sussurro che mette in allarme)

    ۰ Anello dei Morti ~

    L’ultimo anello non fa davvero parte della serie degli altri quattro, e non è in grado di evocare alcun Genio. Il suo nome, “Anello dei Morti”, tradisce quella che è la sua vera natura: si tratta di un manufatto malefico, creato non grazie alle arti di un lampadaio, ma di un Necromante. Al suo interno, sono intrappolate le anime dei trapassati le cui ossa sono seppellite dallo Yuzrab, e che vagavano sopra le sue dune, sospinte dallo Scirocco, finché un potere magico e terribile non le ha richiamate a se. Questo gioiello forgiato non con un metallo prezioso, ma lavorato nel più puro avorio, ha incastonato un piccolo lapislazzuli, la pietra egizia dell’Oltretomba, ed è la fonte dei poteri più oscuri e depravati di Afzal. Il primo di questi, è quello che lui chiama il Sussurro, una sorta di brusio che cova costantemente nei recessi della sua mente, impercettibile per la maggior parte del tempo, ma che si trasforma in un lamento acuto quando il padrone dell’anello è minacciato da un qualche pericolo imminente. Si tratta di un dono assai utile, per Afzal, una sorta di sesto senso che non solo lo mette in guardia da possibili imboscate e tranelli, ma che rende praticamente impossibile colpirlo di sorpresa durante un combattimento.
    [Classe Necromante. Passiva – 5 pt.]


    Non credo di essere stato autoconclusivo con il primo assassino: non dico di averlo ferito, solo di averlo attaccato e di averlo subito lasciato perdere.
    In ogni caso: a te!

     
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    Spesso il miglior maestro d'esperienza è la nuda e cruda vita.
    Il che, in quel caso, si rivelò assai efficace.
    Aristotelis aveva imparato alcuni trucchetti, durante i suoi viaggi per lo Yuzrab, ed uno di questi consisteva in un sistema tanto semplice quanto efficace di fili.
    Già, i fili avrebbero salvato la pelle al greco.
    All'ingresso della sua tenda, subito dopo l'uscio, erano piazzati due piccoli paletti, ben difficili da individuare in tanta oscurità; a tenerli uniti vi era un sottile ed invisibile filo di nylon che, qualora fosse stato pestato o attraversato, avrebbe tirato il mignolo dell'oplite al quale era collegato.
    La prudenza non era mai troppa, nel deserto, e questa verità si rivelò in tutto il suo splendore quando l'assassino entrò nella tenda di Aristotelis, facendo scattare l'astuto sistema di guardia posto a difesa della sua incolumità.
    Fu un'istante: il sicario esitò per una frazione di secondo quando percepì la leggerissima pressione del nylon sulla sua gamba, ed in quello stesso frangente si ritrovò perforato da parte a parte dal giavellotto di quella che doveva essere la sua vittima e che, invece, rivelò essere il suo carnefice.

    Ho il sonno leggero.

    L'individuo misterioso spirò senza emettere un suono, accasciandosi addosso al greco, che lo gettò di lato ed estrasse la propria arma.
    Non sapeva che pensare, l'oplite: che volessero ucciderlo, nella tribù? Era da escludere, visto che quel tizio non aveva affatto i vestiti degli altri, né tantomeno sembrava esser stato con loro, prima.
    La realtà dei fatti venne resa manifesta quando qualcuno lanciò l'allarme dell'attacco nemico.

    Perché diamine non l'hanno detto prima?

    Aristotelis si precipitò fuori dalla tenda, dotato solo di scudo, spada e mantello, non avendo avuto il tempo di indossare la panoplia.
    Ciò che vide non fu troppo rassicurante.
    L'assassino non era venuto da solo. Toccava difendersi a dovere.

    Mmh...

    ~Afzal

    Non sempre gli spettri sono qualcosa di cattivo.
    Nel caso del padrone degli Djin, essi si rivelarono molto buoni, evitandogli di incontrare prima dei suoi giorni gli stessi morti che gli sussurravano durante le fasi di pericolo.
    Così, prontamente eluse l'attacco dello sconosciuto, riuscendo a ferirlo gravemente all'addome con il suo diversivo del mantello.
    Nessun urlo venne prodotto dal suo nemico, che si accasciò al suolo morente.
    L'allarme lanciato da Afzal attirò però l'attenzione di tre nemici su di lui, i quali si avvicinarono minacciosamente.
    Senza farselo dire due volte, l'arabo ne fece fuori un altro con una delle sue magie, ed il poveretto non poté fare nulla per evitarlo. Venne trafitto da quelle lame vitree, incontrando la morte.
    Non si trattava di un avversario facile, e questo gli assassini lo impararono a loro spese.
    Così, decisero di fare sul serio anche loro: attaccarono insieme, con due fendenti che confluivano sullo stesso obbiettivo, ossia Afzal.
    Stavolta non sarebbe stato semplice per l'arabo difendersi, poiché l'attacco era assai rapido.
    Tuttavia, qualcosa suggeriva al padrone dei Djin che quei sicari non si trovassero lì per lui, o per chiunque altro nella tribù: troppo sbrigativi, quasi volessero togliersi di mezzo quell'ostacolo, e molto approssimativi con i membri della carovana che facevano parte della spedizione.
    A cosa stavano mirando, veramente?

    CITAZIONE
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    [Abilità Passive: +50% Forza, +50% Resistenza, +25% Agilità, +25% Velocità; +25% Riflessi, +25% Mira; Resistenza ad Influenze Psicologiche fino a livello Medio]

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    [Equipaggiamento: Armatura Completa; Spada; Giavellotto; Scudo]
    [x
    immagine di riferimento]


    Note: Assassini: 7/10
    Come prima, ma considera che ora i fendenti contano come una tecnica fisica di livello Medio (quindi Basso + Basso).
    Non riporto il mio status fisico perché qua la star sei tu. :geez:
     
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    I pugnali di vetro centrarono in pieno l’assassino con un suono sordo, penetrando nella carne, tranciando varie arterie, e proiettando il malcapitato all’indietro fra schizzi vermigli. Il corpo cadde sulla sabbia assetata da secoli di calore torrido, che bevve avidamente ogni stilla di sangue.
    La sua vittima non aveva ancora finito di contorcersi negli ultimi spasmi dell’agonia, che Afzal aveva già distolto lo sguardo, non per orrore, ma per concentrarsi su altre due di quelle cenciose figure che, richiamate dal suo grido, gli si stavano avventando contro a lame sguainate. Alla quasi completa oscurità di quella notte di quarto di Luna non era facile distinguere i dettagli della scena silenziosa, ma se anche fosse stato pieno giorno, il sole non sarebbe servito a svelare il mistero dell’identità dei suoi avversari: come del resto era frequente fra i guerrieri del deserto, di loro non si scorgevano altro che gli occhi, fra i lembi della lunga striscia di tessuto che faceva ad un tempo da turbante e da sciarpa.
    Rapido e concentrato, Afzal lanciò un’occhiata al terreno su cui uno dei due suo avversari, quello proveniente da destra, stava per poggiare il prossimo passo, e vi indirizzò un gesto della mano sinistra: il lapislazzuli dell’anello che portava al dito indice mandò un fugace lampo violaceo, e dalla sabbia sotto ai piedi dell’assassino emersero fulminee una decina di mani ischeletrite, sollevando un denso polverone.
    Gli studi del giovane si erano spinti ben al di là dei confini posti dalla morale e dalla paura degli sciocchi, ed ora i frutti delle ore trascorse su antichi tomi di magia nera erano illuminati dalla lattiginosa luce della luna, e componevano una visione degna di un incubo febbricitante. Le dita prive di muscoli si strinsero con una forza maggiore a quella di qualunque mano vivente attorno alle caviglie del misterioso avversario, arrestando la sua agile corsa e facendolo cadere scompostamente in avanti.
    Contro la carica dell’altra di quelle ombre assassine, Afzal si limitò a levare trasversalmente la sua scimitarra, per parare il fendente e lanciarsi poi in un rapido contrattacco. Ma la forza del colpo inferto dal corto pugnale ricurvo superò le sue previsioni: impattando con un clangore metallico, riuscì a piegare indietro la sua guardia e scivolò stridendo lungo la lama fino a raggiungere il suo braccio sinistro, aprendogli una ferita poco sotto alla spalla. Il dolore fu abbastanza intenso da farlo indietreggiare d’un passo, facendolo quasi cadere addosso alla tenda che gli copriva le spalle, ma non tale da impedirgli di riprendere in mano la situazione. Stringendo i denti e sbuffando dal naso per il bestiale impeto di furia vendicativa che per un istante lo colse, eseguì una delle agili mosse di cui era maestro, spostando con una cavazione verso l’esterno l’arma del nemico, e quindi sollevando la scimitarra per poi abbatterla verso il collo dell’altro. Un fendente potenzialmente letale, poiché in grado di tranciare la giugulare. E quando a qualcuno tranci la giugulare, di solito quello cade a terra in una pozza di sangue, e non si rialza più.
    Nel frattempo, la tribù non si era ancora risvegliata, e tantomeno stava organizzando una difesa contro quei misteriosi assalitori: gli scudi rotondi di pelle conciata giacevano fuori dagli ingressi delle tende, assieme alle lance e alle tozze e corte spade di ferro. Forse stavano morendo uno dopo l’altro, senza nemmeno accorgersi di stare abbandonando quell’ardente mondo di sole e sabbia che era la loro casa, pugnalati spietatamente nel sonno.
    Ma per quale ragione lo scopo di quella sortita avrebbe dovuto essere lo sterminio dei nomadi? Una vendetta di sangue? Di certo quelle ombre silenziose non avevano l’aria di esse comuni briganti desiderosi di razziare ricchezze o di rapire qualche giovane bellezza del deserto. Poteva darsi piuttosto che fossero lì per qualcuno in particolare, magari lui, magari il capotribù, o magari lo straniero dall’armatura nera... Ad Afzal era parso di vederlo, per un istante, emergere da una delle tende, impugnando la sua strana spada ed il grande scudo rotondo, ma poi il combattimento aveva assorbito la sua attenzione, facendoglielo perdere di vista. In ogni caso, se avesse impugnato le armi contro o al fianco degli assassini, il giovane non poteva dirlo.
    Certo, era strano che lui solo, di tutti gli altri, si fosse svegliato al loro arrivo...



    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~Dolore ignorabile al braccio sinistro.
    Ferite ۰ ~ Taglio di gravità bassa al braccio sinistro.
    Stato psicologico ۰ ~ Brevemente furioso.
    Energia ۰ ~ 70% (80% - 10%)
    Abilità attivate ۰ ~
    Anello dei Morti #3 (Costo: Medio)

    ۰ Anello dei Morti ~

    L’ultimo potere dell’anello è, infine, assai più tangibile. Spaventosamente tangibile. Al volere del giovane mago, rafforzato da un consumo medio delle sue energie, dalla porzione di terreno su cui i suoi occhi saranno puntati eromperanno istantaneamente numerosi bracci scheletrici, dalle unghie appuntite e dalla stretta mortalmente potente, che afferreranno tutto ciò che capiterà alla loro portata: piedi, zampe, lembi di vestito, anche armi, e non lasceranno la presa a meno di essere neutralizzate da una contro tecnica oppure, ovviamente, allo scadere del loro tempo.
    [Classe Necromante. Durata: 1 turno. Costo: Medio – 1 pt.]

    Abilità passive sfruttate ۰ ~
    La Danza della Spada (+50% Agilità)

    ۰ La Danza della Spada ~

    Una qualità che nulla ha a che fare con la magia è, invece, la straordinaria destrezza che Afzal ha sviluppato nel corso del suo addestramento marziale. Le ore passate ad esercitarsi con la sua agile scimitarra, oppure saltando da un tetto all’altro, o schivando colpi, hanno portato la sua agilità a superare di circa la metà quella di qualunque altro guerriero medio. Si tratta di un notevole ed indispensabile vantaggio per un combattente che, come il giovane, predilige uno stile rapido e sfuggente, da “hasshashin”, ed un equipaggiamento si leggero, ma che gli offre una scarsa protezione. Le sue parate sono fulminee, i suoi affondi imprevedibili, e i suoi piedi mai lo tradiscono.
    [Classe Assassino. Passiva: +50% all’Agilità – 5 pt.]



    Edited by ƒolktaleman - 21/1/2012, 20:34
     
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    Un vero e proprio attacco a sorpresa contro la tribù, ecco cosa stava accadendo.
    Svegliati dalle urla e dai rumori dello scontro, i pochi guerrieri della carovana si affrettarono ad unirsi alla battaglia contro gli aggressori, anche se non sembravano troppo adatti a quella schermaglia.
    Riuscirono ad ucciderne due un po' fortunosamente, ma le perdite furono ben più grandi tra i protettori che gli offensori, ed alla fine cinque beduini trovarono la morte per colpa di quei sicari.

    Dal canto suo, Aristotelis doveva vedersela con due di loro, che si precipitarono su di lui non appena lo videro.

    Mmmh...

    Non erano un vero problema, in realtà: non sembravano essere più agili del greco, né più fisicamente prestanti. Gli bastava semplicemente stare attento e finirli senza troppe pretese.
    Infatti, quando questi attaccarono insieme, all'oplite non servì altro che parare entrambi i colpi con il suo grande scudo, spingerli indietro facendogli perdere l'equilibrio e finirne uno con un affondo della spada nell'addome; all'altro, mentre questo tentava di rialzarsi un po' goffamente, si limitò a ferirgli una gamba, in maniera da rendergli impossibile qualsiasi altro attacco corpo a corpo; in ogni caso, questo venne finito poco dopo da altri membri della tribù.

    Vediamo di finirla.

    ~Afzal

    La situazione generale sembrava migliorare, ma Afzal continuava a vedersela per conto suo.
    Le difese utilizzate furono molto valide, seppur l'arabo riportò un taglio al braccio mancino, in ogni caso non troppo grave; tuttavia, la ferita sanguinava abbastanza, ed era meglio medicarla il prima possibile.
    Mentre le mani richiamate dalla magia nera del padrone dei Djin bloccarono uno degli assalitori, l'altro, respinto in seguito al suo attacco andato a segno, vide pericolosamente la sua vita sfumare, quando Afzal contrattaccò con decisione.
    Proprio quando la scimitarra sembrava ormai correre sicura verso il collo del nemico, questi portò il suo avambraccio nella traiettoria, creando un suono metallico nel momento in cui l'arma cozzò col suo arto: evidentemente, indossavano delle protezioni adeguate, o almeno, alcuni di loro lo facevano; dopo aver parato l'attacco, questo volle ricambiare il favore, menando un affondo con l'altra lama ad altezza dell'ombelico dell'arabo.

    Intanto, l'altro assassino si era liberato a suon di fendenti delle mani scheletriche che gli impedivano i movimenti, e tornò al contrattacco... se non fosse che, ad un certo punto, un giavellotto lo colpì in pieno petto, facendolo spirare una volta per tutte.

    CITAZIONE
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    [Equipaggiamento: Armatura Completa; Spada; Giavellotto; Scudo]
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    Note: Assassini: 2/10, uno ferito.
    Mancano gli ultimi, poca roba. Forse scopriremo perché ci hanno assaliti. :geez:


    Edited by :^| - 23/1/2012, 17:38
     
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    Con una sorprendente rapidità, l’assassino frappose fra il suo collo e la scimitarra di Afzal il braccio sinistro, il quale, invece di essere tranciato di netto dall’affilatissima lama, la respinse con un clangore metallico. A quanto pareva, l’assalitore doveva indossare delle protezioni, sotto agli abiti color sabbia.
    Quindi, con altrettanta rapidità, approfittò della guardia aperta del giovane per affondare l’arma verso il suo addome. Gli occhi del mago del Sud volarono verso quella minaccia dalla lama irregolare.
    Chiunque, in una simile situazione, sarebbe stato spacciato: quella stessa tenda che, dietro di lui, gli copriva le spalle, impediva per contro ad Afzal anche di balzare indietro per portarsi fuori dalla portata delle lama nemica, mentre la sua spada era bloccata in alto dal braccio sinistro dell’assassino, ed il movimento che ci sarebbe voluto per disimpegnarla era troppo ampio per consentire poi una tempestiva parata.
    Ma lui non era chiunque. Lui era un figlio dello Yuzrab, e non un figlio fra i tanti, ma un prediletto, un figlio più meritevole degli altri suoi fratelli, che aveva studiato a lungo per meritarsi i doni di quel deserto che lo aveva generato.
    Si concentrò sulla zona addominale ed aggrottò le sopracciglia. Il pugnale, incontrastato, andò a segno, attraversando il tessuto leggero della tunica del giovane, ed affondando fino alla base della lama. Una ferita gravissima, se non mortale.
    Tuttavia, non una goccia di sangue bagnò la lama, e nessuna chiazza rossa si allargò sulle vesti squarciate.
    Afzal sorrise diabolicamente in faccia all’avversario che, di certo, doveva per un istante aver intimamente gioito, e afferrato con la pur debole mano sinistra l’avambraccio armato dell’assassino, lo spinse via. Appena in tempo, prima che la sabbia ridiventasse carne...
    Quindi, senza concedere all’altro il tempo di tentare un nuovo attacco, agitò il medio sinistro, al quale indossava un largo anello d’oro con un’onice grigia, e subito, come d’incanto, scomparve!
    Prima l’affondo andato misteriosamente a vuoto, ed ora il giovane gli scompariva misteriosamente davanti... Nel pugno di istanti successivi, Afzal dovette rapidamente decidere quale fosse il modo migliore di approfittare del disorientamento del suo avversario. Con un agile balzo si portò al suo fianco, quindi lanciò una rapida occhiata al campo dei nomadi: a quanto pareva, i guerrieri avevano finalmente preso le armi, ma, colti alla sprovvista e del tutto disorganizzati, avevano già riportato tutt’altro che poche perdite. Numerosi cadaveri giacevano un po’ ovunque sulla sabbia nelle scomposte pose della morte, e più che per gli abiti, piuttosto simili in verità, si distingueva la loro appartenenza grazie alle armi: mani ormai prive di vita erano abbandonate sulle impugnature dei pugnali degli assassini come sui manici di legno delle lance dei nomadi. La battaglia, in ogni caso, era ancora accesa. Poco distante un giavellotto fracassò il torace di uno degli assassini, strappandogli un sussulto e facendolo crollare a terra fra gorgoglii scarlatti, e tutto attorno, infranta ormai la segretezza, i combattenti da ambo le parti gridavano per farsi coraggio.
    Avrebbe potuto facilmente piantare la scimitarra nella schiena del suo avversario, e porre fine rapidamente alla sua vita, ma sebbene la debole luce rendesse l’esito della battaglia ancora imperscrutabile, Afzal aveva la sensazione che la minaccia stesse fortunatamente ormai venendo soffocata. I nomadi avrebbero potuto badare di certo da soli agli assalitori ancora in vita, anche se senza il suo supporto correvano il rischio di essere ulteriormente decimati... Non era affar suo. Dunque decise che, per lui, era giunta l’ora di ritirarsi dalla battaglia.
    Invisibile e silenzioso, solo se l’avversario avesse avuto la presenza di spirito di seguire le sue orme sulla sabbia avrebbe potuto prevedere la sua mossa. Gli si portò alle spalle, sollevò la scimitarra, infrangendo così la magica protezione offertagli dal suo servo, e agile e fulmineo premette di controtaglio la lama sulla gola del misterioso assassino.
    “Lascia le armi, o questa volta sei morto.”



    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~Dolore ignorabile al braccio sinistro. Sanguinamento.
    Ferite ۰ ~ Taglio di gravità bassa al braccio sinistro.
    Stato psicologico ۰ ~ Padrone di se.
    Energia ۰ ~ 55% (70% - 5% - 10%)
    Abilità attivate ۰ ~
    Figlio del Deserto (Costo: Basso)

    ۰ Figlio del Deserto ~

    I suoi primi studi arcani si sono concentrati nello sforzo di sviluppare i poteri già presenti in lui in quanto appartenente ad una stirpe, risvegliandoli dall’atrofia ed acutizzandoli, in modo da potersene servire, a differenza dei suoi conterranei i quali, non essendone a conoscenza, li lasciano languire dentro di se. Ciò che ne è emerso, è una singolare affinità con il deserto, ed in particolare con la sua sabbia.
    Il giovane ha infatti scoperto che, concentrandosi per un istante e liberando una quantità bassa di energia, è in grado di trasformare per qualche istante una parte del suo corpo in sabbia, una risorsa, questa, assai utile per evitare colpi e ferite: una duna, si sa, non si può tagliare. La sorpresa dell’avversario è grande, quando vede la sua spada, che credeva sul punto di mordere la carne di Afzal facendone zampillare il sangue, attraversare una chiazza giallo-dorata senza incontrare resistenza, e senza dunque lasciare segni dietro di se, sulle membra che sono nel frattempo ricomparse, illese. La durata della trasformazione, tuttavia, è poco più che istantanea, e se il nemico dovesse avere l’astuzia di non ritirare subito l’arma, il giovane potrebbe ritrovarsi dolorosamente attraversato da parte a parte.
    [Classe Assassino. Durata: istantanea. Costo: basso – 1 pt.]

    Anello dell’Ombra (Costo: Medio)

    ۰ Anello dell'Ombra ~

    Questo anello è largo, piuttosto semplice, d’oro, con una grossa onice levigata. Il suo Djin, a differenza degli altri tre, non è dotato di un vero e proprio involucro fisico, e si manifesta sotto forma di una sfuggente sagoma di fumo grigio. Sebbene la maggior parte delle volte non si manifesti affatto. Non appena il suo padrone esprime il desiderio di invocarlo, esso si materializza tutto attorno a lui, inglobandolo, e rendendolo, di fatto, completamente invisibile. E non solo, poiché il corpo, se così si può definire, del Genio assorbirà anche qualunque suono emesso dalla persona nascosta al suo interno, che potrà camminare su un tappeto di foglie secche o su un pavimento di assi scricchiolanti senza per questo dover temere di essere scoperto. La protezione, tuttavia, dura fintanto che il beneficiario non tenta di interagire attivamente con il mondo esterno, ad esempio menando un colpo di spada: in quel caso, lo Djin si dissolverebbe e ritornerebbe nel suo anello. Inoltre, molte tecniche attive che potenzino la vista dell’avversario renderanno inutile questo mascheramento.
    La personalità di questo Genio, così come le sue fattezze, è sfumata ed indefinita, e non è particolarmente stimolante intavolare una conversazione con lui.
    [Classe Evocatore. Durata: 1/2 turni. Costo: medio – 1 pt.]


    Abilità passive sfruttate ۰ ~
    La Danza della Spada (+50% Agilità)

    ۰ La Danza della Spada ~

    Una qualità che nulla ha a che fare con la magia è, invece, la straordinaria destrezza che Afzal ha sviluppato nel corso del suo addestramento marziale. Le ore passate ad esercitarsi con la sua agile scimitarra, oppure saltando da un tetto all’altro, o schivando colpi, hanno portato la sua agilità a superare di circa la metà quella di qualunque altro guerriero medio. Si tratta di un notevole ed indispensabile vantaggio per un combattente che, come il giovane, predilige uno stile rapido e sfuggente, da “hasshashin”, ed un equipaggiamento si leggero, ma che gli offre una scarsa protezione. Le sue parate sono fulminee, i suoi affondi imprevedibili, e i suoi piedi mai lo tradiscono.
    [Classe Assassino. Passiva: +50% all’Agilità – 5 pt.]

     
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    ~Afzal

    I prodigi del figlio dello Yuzrab non erano pochi, e quando la lama affondò nel suo addome senza che questa causasse alcuna ferita, anche l'assassino poté comprenderlo a fondo.
    Meravigliato per quella stregoneria inaspettata, il sicario non approfittò di colpire Afzal mentre questi cacciava via la sua mano e la sua arma dalle viscere diventate sabbia.
    Subito dopo, un altro incantesimo portò ulteriore sgomento all'assalitore: l'arabo era sparito, come dissoltosi nel nulla.
    Nel buio e nella confusione, nessuno fece caso alle orme che si creavano sulla superficie del deserto come se uno spettro dotato di peso stesse camminando tranquillamente.
    Quando poi Afzal era ben posizionato alle spalle dello sconosciuto, che ancora era fermo dove si trovava prima, guardingo e teso, era troppo tardi per lui: la scimitarra apparì dal nulla accanto al suo collo, e la voce dell'arabo tolse ogni dubbio.
    In quel momento, la scelta per l'assassino era facile.
    La vergogna o la morte.
    Rimase in silenzio per una manciata di secondi, come se stesse pensando con grande concentrazione; poi, abbassò le braccia, distendendole lungo i fianchi.

    Meglio la notte eterna che il disonore, stregone!

    E, rapido come una saetta, tentò un'ultima disperata mossa, cercando di colpire al fianco il figlio del deserto.

    CITAZIONE
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    [Abilità Passive: +50% Forza, +50% Resistenza, +25% Agilità, +25% Velocità; +25% Riflessi, +25% Mira; Resistenza ad Influenze Psicologiche fino a livello Medio]

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    Note: Assassini: 2/10, uno ferito.
    L'assassino non molla, e ti attacca con un colpo di velocità equiparabile ad un Basso al fianco destro. A te la mossa: finiscilo o cerca di tramortirlo una volta per tutte. :geez:
     
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    Quasi immediatamente, le voci dentro la sua testa ripresero ad urlare con rinnovata intensità. I muscoli del suo avversario parevano starsi rilassando, le sue braccia scendevano arrendevoli lungo i fianchi. Sembrava davvero che l’assassino avesse preso la decisione che per lui era decisamente la più saggia: arrendersi.
    Ma i Morti non mentono mai. Semplicemente, non possono farlo. A differenza degli uomini. E dei muscoli.
    “Povero stolto...” pensò il giovane tra sé fra il dispetto e la commiserazione, ripetendo il mantra che ormai riecheggiava nella sua mente in maniera quasi costante.
    Qualche istante prima che il misterioso nemico scattasse di nuovo, Afzal aveva fatto altrettanto: con un ennesimo dispendio di energie, che ormai cominciavano a scarseggiare (complice il sangue che continuava a fluire dal taglio al braccio), aveva desiderato che il suo fianco destro si trasformasse in sabbia, prevedendo quella che sarebbe stata la zona più logica da colpire, per il nemico, data la sua posizione.
    “Meglio la notte eterna che il disonore, stregone!” esclamò quello, facendo per la prima volta sentire la sua voce. Una voce roca, asciutta, vecchia, secca, come il deserto.
    E, come previsto, il suo pugnale affondò di nuovo nel corpo di Afzal. E, di nuovo, non ne stillò una sola goccia di sangue.
    Il corpo dell’assassino aveva mentito, e i Morti no.
    Afzal indugiò per un istante, dubbioso. Gli aveva offerto la sua possibilità, e quello l’aveva gettata nella sabbia, dimostrando di possedere l’ottusa ed irrazionale ostinazione tipica della gente d’armi. Al giovane sfuggì una smorfia di rabbiosa ripugnanza. Il mondo meritava di esserne ripulito anche solo per questo, senza contare che aveva tentato di ucciderlo.
    Ma se l’assassino era irrazionale, altrettanto non si poteva dire di Afzal. Avrebbe avuto altre occasioni per abbandonarsi all’elementare sentimento del desiderio di punire il prossimo. Un altro di minor buon senso di lui, in quella situazione, avrebbe sgozzato il prigioniero con un teatrale: “Te la sei cercata”, salvo ritrovarsi, in tal modo, a interrogare un cadavere.
    E Afzal voleva vederci chiaro, in quella faccenda.
    Giocò la carta dell’intimidazione mistica, sperando che risultasse vincente sulla mente del guerriero. Ormai cominciava a sentirsi debole, provava un fastidioso senso di nausea e svenimento, e sapeva che la ferita che l’assassino gli aveva inferto andava medicata. Con un supremo e, sperava, definitivo ricorrere alle sue forze interiori, impartì ai Morti intrappolati nell’anello che portava all’indice sinistro di uscirne. Questi, invisibili e succubi della sua volontà, si riversarono fuori gemendo, ammantando la sua figura, ed ingrossando la sua voce con le loro, come cento affluenti che trasformino un ruscello in un fiume ruggente: “Non puoi uccidermi, mortale! Hai visto: due volte mi hai pugnalato, e due volte la tua lama non ha potuto mordere le mie carni! Io sono Afzal, ibn Rashad, al Aqil, la spada dello Yuzrab, un diavolo maligno, morto settecento e una volte. Posso dissolvermi nelle tenebre della notte e riapparire alle tue spalle per dannare la tua anima. Lascia le armi, e forse non divorerò il tuo cuore mentre ancora respiri!”
    Queste tremende parole da sole avrebbero piegato le volontà di molti uomini, ed il fatto che fossero pronunciate nell’orecchio dell’assassino da un coro di fantasmi maledetti non poteva che renderle più credibili.
    Questa volta, sotto i colpi della manipolazione psicologica e della magia, almeno così il giovane si augurava, l’avversario avrebbe finalmente ceduto.



    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~Dolore ignorabile al braccio sinistro. Sanguinamento. Nausea e capogiro.
    Ferite ۰ ~ Taglio di gravità bassa al braccio sinistro.
    Stato psicologico ۰ ~ Padrone di se.
    Energia ۰ ~ 40% (55% - 5% - 10%)
    Abilità attivate ۰ ~
    Figlio del Deserto (Costo: Basso)

    ۰ Figlio del Deserto ~

    I suoi primi studi arcani si sono concentrati nello sforzo di sviluppare i poteri già presenti in lui in quanto appartenente ad una stirpe, risvegliandoli dall’atrofia ed acutizzandoli, in modo da potersene servire, a differenza dei suoi conterranei i quali, non essendone a conoscenza, li lasciano languire dentro di se. Ciò che ne è emerso, è una singolare affinità con il deserto, ed in particolare con la sua sabbia.
    Il giovane ha infatti scoperto che, concentrandosi per un istante e liberando una quantità bassa di energia, è in grado di trasformare per qualche istante una parte del suo corpo in sabbia, una risorsa, questa, assai utile per evitare colpi e ferite: una duna, si sa, non si può tagliare. La sorpresa dell’avversario è grande, quando vede la sua spada, che credeva sul punto di mordere la carne di Afzal facendone zampillare il sangue, attraversare una chiazza giallo-dorata senza incontrare resistenza, e senza dunque lasciare segni dietro di se, sulle membra che sono nel frattempo ricomparse, illese. La durata della trasformazione, tuttavia, è poco più che istantanea, e se il nemico dovesse avere l’astuzia di non ritirare subito l’arma, il giovane potrebbe ritrovarsi dolorosamente attraversato da parte a parte.
    [Classe Assassino. Durata: istantanea. Costo: basso – 1 pt.]

    Anello dei Morti #2 (Costo: Medio)

    ۰ Anello dei Morti ~

    Il secondo potere, il cosiddetto Timore, agisce non nella mente del portatore, ma in quella di chi gli sta intorno. Al suo solo volere, e concentrando nel monile una quantità variabile di energia, le ombre dei morti intrappolati nell’anello emaneranno dal corpo di Afzal, e leveranno nell’aria un sinistro coro di minacce e nefaste profezie. La vittima, l’unica ad avvedersi del cambiamento operato dall’anello sulla figura del giovane, non sarà in grado di distinguere chiaramente gli spettri che si agitano attorno a lui, ma proverà all’istante quella che gli sembrerà un’immotivata, ma assolutamente reale, paura nei suoi confronti, unità ad un senso di scoramento e vaga disperazione, che lo renderanno terribilmente nervoso e facile da manipolare psicologicamente. Alla fine del turno, i fantasmi ritorneranno nell’anello, e la spiacevole sensazione svanirà completamente.
    [Classe Necromante. Durata: 1/2 turni. Costo: Variabile – 2 pt.]


    Abilità passive sfruttate ۰ ~
    Anello dei Morti #1 (Sussurro che mette in allarme)

    ۰ Anello dei Morti ~

    L’ultimo anello non fa davvero parte della serie degli altri quattro, e non è in grado di evocare alcun Genio. Il suo nome, “Anello dei Morti”, tradisce quella che è la sua vera natura: si tratta di un manufatto malefico, creato non grazie alle arti di un lampadaio, ma di un Necromante. Al suo interno, sono intrappolate le anime dei trapassati le cui ossa sono seppellite dallo Yuzrab, e che vagavano sopra le sue dune, sospinte dallo Scirocco, finché un potere magico e terribile non le ha richiamate a se. Questo gioiello forgiato non con un metallo prezioso, ma lavorato nel più puro avorio, ha incastonato un piccolo lapislazzuli, la pietra egizia dell’Oltretomba, ed è la fonte dei poteri più oscuri e depravati di Afzal. Il primo di questi, è quello che lui chiama il Sussurro, una sorta di brusio che cova costantemente nei recessi della sua mente, impercettibile per la maggior parte del tempo, ma che si trasforma in un lamento acuto quando il padrone dell’anello è minacciato da un qualche pericolo imminente. Si tratta di un dono assai utile, per Afzal, una sorta di sesto senso che non solo lo mette in guardia da possibili imboscate e tranelli, ma che rende praticamente impossibile colpirlo di sorpresa durante un combattimento.
    [Classe Necromante. Passiva – 5 pt.]

     
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    ~Afzal

    Niente da dire, Afzal al Aqil ci sapeva fare, eccome.
    Con l'esperienza di chi ha vissuto più d'una avventura nel Presidio del Sud, il figlio del deserto non si fece certo ingannare dall'assassino, e riuscì a neutralizzare anche quell'ennesimo tentativo d'omicidio: nuovamente la lama lo penetrò, nuovamente non un rivolo di sangue venne versato.
    Così, approfittando del fatto che ora le certezze del sicario erano pressoché abbattute, e volendo sbrigarsi prima che la stanchezza aumentasse, tentò la strada più facile della persuasione: il terrore.
    Dal suo Anello dei Morti, infatti, un turbinio di anime venne rilasciato, e gli spiriti dei defunti andarono a comporre un coro di tormento ed angoscia dritto dritto dentro le orecchie dell'aggressore ormai innocuo.
    La magia fece il suo sporco lavoro, e l'uomo lasciò andare istintivamente le armi, rimanendo pietrificato di fronte a quella recita spettrale.

    Io... Io...

    Da pochi metri, Afzal si sarebbe sentito dettare, ad alta voce, una sorta di ordine.

    Tramortiscilo, così possiamo portarlo nella tenda del capotribù.

    A parlare fu proprio l'uomo misterioso che l'arabo aveva potuto notare durante il viaggio nel deserto, ossia l'oplite greco.
    Questi si stava avvicinando al padrone dei Djin pulendo la sua spada insanguinata, mentre tutt'attorno le torce s'accendevano ed i membri della tribù contavano, e piangevano, i loro morti, mentre razziavano o studiavano i cadaveri di quelli nemici.

    Hai fatto bene a lasciarlo vivo. Qual è il tuo nome, guerriero?

    Aristotelis Skotos lo scrutò, con lo sguardo di chi ne ha viste tante ma prova ancora interesse per le novità.
    Si trattava di un uomo enigmatico, forse misterioso quanto l'arabo stesso.

    Gli uomini della tribù mi hanno detto che hanno degli intrugli speciali in grado di cavare la verità anche ad un muto. Magari ne sapremo di più.

    Osservò la ferita di Afzal, inarcando un sopracciglio.

    In quanto a te, ti consiglio di farti visitare dai medici. Il taglio sta prendendo un brutto colore.

    Chissà, forse era avvelenata, quella lama.

    CITAZIONE
    Allenamento Militare
    [Abilità Passive: +50% Forza, +50% Resistenza, +25% Agilità, +25% Velocità; +25% Riflessi, +25% Mira; Resistenza ad Influenze Psicologiche fino a livello Medio]

    Panoplia
    [Equipaggiamento: Armatura Completa; Spada; Giavellotto; Scudo]
    [x
    immagine di riferimento]


    Note: Assassini: 1/10
    Chissà, forse era avvelenata, quella lama. :guru:
    Ad ogni modo, sarà cosa buona e giusta portare l'assassino, opportunamente tramortito, nella tenda del capotribù.
    Qualora lo facessi, considera che verrai convocato, dopo esser stato medicato, nella stessa tenda, assieme ad Ariste.
     
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    Questa volta, fortunatamente, le voci dei Morti non misero in guardia il giovane, mentre il suo prigioniero rilassava nuovamente i muscoli. Le dita avvolte nelle sudice bende che gli coprivano il resto del corpo si dischiusero, e la sabbia accolse con un suono soffocato l’arma che ne scivolò via.
    Gli spettri che avevano piegato le resistenze dello sconosciuto rifluirono nell’anello d’avorio, ed Afzal si liberò con un sospiro della tensione accumulata durante il combattimento.
    Tutt’attorno, questo si era ormai concluso: le armi non cozzavano più le une contro le altre, e nessuno più gemeva per il dolore, se non i feriti o i moribondi. Il campo era tornato tranquillo.
    D'un tratto, qualcuno ruppe il silenzio dei muti singhiozzi dei nomadi: “Tramortiscilo, così possiamo portarlo nella tenda del capotribù.”
    Il giovane voltò senza fretta la testa in direzione di quella voce, che si esprimeva piuttosto scorrevolmente nella lingua comune della regione, ma con un accento ancora marcatamente straniero. L’uomo dall’armatura nera.
    Lo aveva già studiato nel corso della traversata: con la sua barba castana, i suoi tratti duri, i suoi capelli ricciuti. L’unico elemento nuovo, quella sera, era il sangue che macchiava il suo grande scudo rotondo e la sua spada. Tuttavia, non pareva ferito. Sangue nemico.
    Senza ritenere necessario rispondergli, il giovane si voltò di nuovo. Con il palmo della mano sinistra dette all’assassino una spinta fra le scapole, quindi lo colpì violentemente alla nuca con il pomo della scimitarra. In effetti, vittima com’era del terrore ispirato dai morti, non sarebbe stato arduo per tutti quegli uomini legarlo e trascinarlo a forza anche in fondo all’inferno, ma Afzal non era tipo a cui piacesse negarsi troppi piaceri in una notte sola.
    “Hai fatto bene a lasciarlo vivo. – continuò lo sconosciuto – Qual è il tuo nome, guerriero?”
    Una domanda, e diretta, per giunta. Avrebbe dovuto rispondere. Prese fiato...
    “Il mio nome è Al-Afzal, ibn Rashad, al Aqil, straniero, che significa: Il Superiore, figlio del Buon Senso, l’Intelligente. Ma ammetto che nella lingua comune non suoni bene quanto in quella dello Yuzrab”, cantilenò con la sua voce musicale, affondando la punta della scimitarra nella sabbia e lasciando che sostenesse in parte il suo peso.
    Denotando uno scarso interesse nei confronti del significato del suo nome, o un’indole inflessibilmente pragmatica, oppure entrambe le cose, l’uomo proseguì a parlare, mentre ripuliva la lama della sua arma.
    “Gli uomini della tribù mi hanno detto che hanno degli intrugli speciali in grado di cavare la verità anche ad un muto. Magari ne sapremo di più. – gli osservò la ferita, sfoderando un esemplare sguardo da combattente navigato – In quanto a te, ti consiglio di farti visitare dai medici. Il taglio sta prendendo un brutto colore.”
    Rendendogli pan per focaccia, il giovane non si curò di rispondergli, ma continuò a sviluppare il suo fronte di conversazione, fissando i suoi occhi verdi in quelli nocciola dello sconosciuto.
    “Puoi dire anche tu, straniero, di essere un figlio del buon senso? In quel caso potremo passeggiare assieme sulla via della saggezza, ed essere amici. Altrimenti... ti auguro di non renderti mai conto della tua meschina condizione.”
    Pronunciando l’ultima frase il giovane abbassò lo sguardo, lasciando intendere che, se l’altro non si fosse dimostrato meno sciocco degli altri esseri umani, non gli avrebbe più concesso alcuna attenzione. Non gli piaceva rovinarsi lo spirito a causa della pochezza del prossimo.
    “Ed ora perdonami, ma sono certo che, grande e grosso come sei, potrai occuparti da solo di portare costui dovunque desideri. Io non mi sento troppo bene, e credo che andrò a farmi medicare, come mi hai saggiamente consigliato.”
    E detto ciò, voltò le spalle, e si diresse verso quello che, all’inizio del viaggio, gli era stato indicato come il medico della tribù.
    In effetti, la ferita stava prendendo davvero un brutto colore.



    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~Dolore ignorabile al braccio sinistro. Sanguinamento. Nausea e capogiro.
    Ferite ۰ ~ Taglio di gravità bassa al braccio sinistro.
    Stato psicologico ۰ ~ Padrone di se.
    Energia ۰ ~ 40% (55% - 5% - 10%)

    Come già puntualizzato in precedenza, non rispondo del carattere del mio pg :geez:

     
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    Al-Afzal, ibn Rashad, al Aqil.
    Il Superiore, figlio del Buon Senso, l’Intelligente.

    Nome certamente assai lungo e nobile, che sembrava, già solo quello, portare con sé una grande responsabilità.
    Sicuramente, però, "superiore" già lo si era dimostrato, Afzal.

    Io sono figlio di qualcosa che è molto vicino alla Saggezza, Al-Afzal. Io sono figlio dell'Esperienza.

    L'arabo tenne fede alle sue origini, probabilmente: era sensibilmente orgoglioso ed altezzoso, ma non in maniera fastidiosa.
    Aristotelis lo avrebbe definito un uomo che seguiva l'onore, il proprio onore.

    Come desideri. Porterò il prigioniero con me.

    Quando hai finito con le medicazioni, vieni nella tenda del capotribù. Vuole che siamo presenti, quando avverrà l'interrogazione.


    Disse il greco, afferrando l'assassino svenuto per la collottola.
    Prima di recarsi nella tenda del capotribù, si girò un'ultima volta verso Afzal, il quale si stava dirigendo verso la tenda del medico.

    Il mio nome, Al-Afzal, è Aristotelis. Significa "lo scopo migliore".

    E si avviò per l'accampamento.

    ~

    Nella tenda del capotribù erano presenti altri quattro individui, oltre a lui: l'oplite, il padrone degli Djin, il sicario svenuto ed il medico che poco prima aveva trattato Afzal.
    Le perdite erano state ingenti, e sicuramente l'aggressore alla fine sarebbe pure stato ucciso.
    Per il momento, tuttavia, importava sapere chi e perché avesse ordinato un tale attacco contro una carovana mercantile, considerato il fatto che nessuno cercò di rubare le merci né il denaro.
    La riunione poteva così iniziare.

    Innanzitutto, vi ringrazio per quanto avete fatto. Senza di voi non ci saremmo salvati.

    Il leader della carovana si espresse lentamente, sorseggiando un tè da una tazzina di legno, mentre si ergeva con la schiena dritta e sedeva a gambe incrociate.
    In realtà, non sa ancora che, senza di loro, non sarebbero mai stati attaccati. O meglio, senza uno di loro.

    In segno di riconoscenza, vi chiediamo di esporre una richiesta. Vedremo se, ed in quale misura, sarà possibile soddisfarla.

    Bevve un altro sorso di bevanda calda, per appoggiarla poi accanto a sé, in attesa di risposta.
    Aristotelis fu rapido a parlare.

    Io non voglio altro che ciò per il quale mi trovo qui: raggiungere la mia meta.

    Una proposta all'apparenza molto semplice, ma che avrebbe comportato l'assumersi dei rischi, per la tribù. Solo, ancora non lo sapevano.
    Il capo annuì, impassibile.

    Questo è possibile. In quanto a te, figlio del deserto?

    Si rivolse ad Afzal, fissandolo intensamente.
    Intanto, il medico stava finendo di preparare i suoi intrugli segreti per estorcere la verità al prigioniero, attraverso metodi subdoli e di antica tradizione nomade. Conoscere le erbe velenose ed allucinogene elargiva grandi giovamenti, ed in quel frangente avrebbero potuto constatarlo tutti.

    Post di transizione, qualsiasi cosa tu abbia in mente spara pure, mi sembra giusto sviluppare possibili trame future. :geez:

     
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    “Io sono figlio di qualcosa che è molto vicino alla Saggezza, Al-Afzal. Io sono figlio dell'Esperienza.”
    Quelle parole fecero inarcare uno dei sottili sopraccigli del giovane. Tuttavia, la misurata sicurezza con cui il guerriero le aveva pronunciate fece esitare il suo giudizio: non erano molti gli uomini di spirito abbastanza saldo da non indignarsi stupidamente di fronte alla superbia di Afzal. Un comportamento diffuso, che raccoglieva solo il suo disprezzo. Costui, invece, sembrava non aver bisogno di farne una questione...
    “Come desideri. Porterò il prigioniero con me. Quando hai finito con le medicazioni, vieni nella tenda del capotribù. Vuole che siamo presenti, quando avverrà l'interrogazione.”, continuò, mentre sollevava di peso l’assassino privo di sensi ed iniziava a trascinarlo via con se, i piedi che disegnavano due strisce parallele sopra le impronte confuse dei combattenti.
    Afzal stava già chinandosi per entrare nella tenda dello speziale, quando udì l’ultima battuta di quella prima conversazione fra lui e lo sconosciuto: “Il mio nome, Al-Afzal, è Aristotelis. Significa – lo scopo migliore –”
    E così, si erano presentati.
    Dentro, il medico della tribù accolse con un sussulto l’ingresso del viaggiatore. Si trattava di un ometto magro e sottile, con un volto dalle rughe profonde, una barbetta grigia arricciata, ed un turbante arancione. Afzal capì immediatamente che l’uomo non aveva seguito gli sviluppi del combattimento, probabilmente paralizzato dal terrore nel suo giaciglio. Rapidamente, lo rassicurò riguardo alle sue intenzioni e all’esito dell’assalto all’accampamento, ma senza concedergli il tempo di abbattersi per le perdite subite dalla sua gente, gli sottopose la sua ferita.
    Ci volle un po’, per ripulirla dalla sabbia e dai grumi di sangue, riconoscere effettivamente della tracce di veleno, scegliere il giusto antidoto, spalmarla di unguento, e bendarla. Fuori dallo Yuzrab, pensò sdegnosamente Afzal, qualche infermiere macellaio gli avrebbe sbrigativamente amputato il braccio, ma per fortuna i popoli del deserto avevano il merito di un’avanzata conoscenza medica. Il giovane non dubitava, mentre consegnava all’uomo ormai sull’orlo delle lacrime per la perdita dei suoi fratelli un paio di monete d’oro, che grazie a quel trattamento la sua salute ed il suo fisico non avrebbero subito ripercussioni.
    In fretta si diresse verso la sua tenda, dove recuperò il fodero della scimitarra e se lo legò alla cintura e si avvolse i capelli in un turbante candido, infine uscì di nuovo.
    Le stelle che avevano fatto da testimoni di quell’ennesimo spargimento di sangue stavano ormai lentamente scomparendo nel chiarore azzurro-rosato che si levava da est, e lo spicchio di luna, sempre più pallido, calava verso l’orizzonte bluastro. Mentre si soffermava per un istante a contemplare quel panorama antico e immenso, la sensazione di solitudine che Afzal provava sempre si fece d’improvviso gelida ed intollerabile: con un soffio rabbioso si chinò sotto l’ingresso al padiglione del capotribù.
    Al cospetto di quest’ultimo, che indossava sempre le stesse vesti indaco, unico simbolo materiale del suo status, e che era intento a bere sempre lo stesso tè, erano convenuti nel frattempo lo straniero con l’assalitore superstite, ancora svenuto, ed il medico. Il capo doveva aver preso parte allo scontro, la sua lancia giaceva insanguinata ai margini della tenda.
    “Innanzitutto, vi ringrazio per quanto avete fatto. Senza di voi non ci saremmo salvati.”
    E, probabilmente, non sarebbero neppure stati attaccati.
    L’altro fece una pausa e sorseggiò dalla sua tazza. Afzal si sistemò su un cuscino, assumendo una posa solida ed un contegno silenzioso. Era curioso di ascoltare l’interrogatorio, in parte per via del, pur lieve, sospetto che l’assalto potesse avere a che fare con lui, e in parte perché quel genere di faccende incontravano sempre il suo piacere.
    “In segno di riconoscenza, vi chiediamo di esporre una richiesta. Vedremo se, ed in quale misura, sarà possibile soddisfarla.”
    Questo, poi, era oltremodo interessante! Afzal adorava le ricompense, uno dei pochi piacevoli frutti della semplicità umana. Una pratica così deliziosamente irregolare ed arbitraria! Immediatamente, si mise a riflettere su ciò che avrebbe potuto domandare alla tribù in cambio della protezione che per combinazione gli era capitato di offrirle. Nel frattempo, prese la parola l’altro viaggiatore, che a quanto pareva sapeva esattamente cosa desiderava: “Io non voglio altro che ciò per il quale mi trovo qui: raggiungere la mia meta.”
    Aveva sparato basso, apparentemente. Certo, se era davvero lui, Aristotelis, la ragione per la quale la carovana era stata attaccata, esaudire quella richiesta avrebbe potuto richiedere un prezzo assai salato ai nomadi, ma all’apparenza suonava terribilmente modesta. Tuttavia, Afzal non si fece impressionare, né scoraggiare.
    Che cosa desiderava, lui? Il potere, si rispose immediatamente. Il potere di imporre la sua volontà sugli altri uomini. Ma questo di certo non gliel’avrebbe donato il capo di una tribù di nomadi dello Yuzrab...
    E allora, cosa poteva chiedergli? Merci? Ricchezze? Tutte le ricchezze di quegli uomini non sarebbero bastate a pagare una settimana della vita che il giovane amava condurre.
    “Questo è possibile. In quanto a te, figlio del deserto?”
    La voce del nomade interruppe le sue considerazioni, e lo costrinse a prendere una decisione. Ricambiando il suo sguardo, il giovane appoggiò le mani sulle ginocchia e schiuse le labbra per rispondere...
    “Ciò che voglio, è di poter contare su di te e sulla tua gente, se mai ne avrò bisogno. Io non riscuoto oggi il mio credito, ma lo conservo per il futuro.”
    Era la cosa più saggia, come sempre. Il giovane sapeva dell’esistenza di un Consiglio delle Tribù, ma non conosceva il peso che quell’uomo dalle vesti color indaco aveva in esso. Se fosse stato fortunato, sarebbe stato molto. Ancora non immaginava in quale modo quell’appoggio avrebbe potuto essergli utile, ma il Tempo glielo avrebbe rivelato, prima o poi.



    CITAZIONE
    Stato fisico ۰ ~Dolore anestetizzato al braccio sinistro.
    Ferite ۰ ~ Taglio di gravità bassa al braccio sinistro, medicato.
    Stato psicologico ۰ ~ Padrone di se.
    Energia ۰ ~ 40%

    Perdona il ritardo! Se riuscissi a scrivere a comando e ininterrottamente, adesso probabilmente sarei ricco e famoso. :guru:

     
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    Afzal dimostrò di essere effettivamente, se non proprio il figlio, un discepolo del buon senso.
    La sua richiesta poteva avere mille risvolti, anche assai convenienti, e certamente la tribù non avrebbe rifiutato la richiesta dopo quanto era successo.
    Il capo rimase pensieroso per pochi secondi, poi acconsentì.

    E sia. Ricorderemo il nostro debito, quando ci cercherai.

    Tutti i preparativi erano ormai ultimati, e potevano iniziare con l'interrogatorio.
    Il medico si preoccupò di far bere all'assassino uno strano intruglio scuro che emanava un odore pungente; poi, poco dopo, fece rinsavire il prigioniero, facendogli annusare dei sali speciali che lo fecero riprendere con una rapidità sconvolgente.
    Gli occhi dello sconosciuto non presentavano più il desiderio omicida di prima. A dire il vero, non tradivano più emozione alcuna, ed anzi apparivano spenti e distanti, e questo era il primo effetto manifesto della pozione misteriosa.

    Qual è il tuo nome, assassino? Chi è il tuo padrone?

    Alla prima domanda del capotribù, la risposta tardò ad arrivare, come se la droga stesse man mano entrando in circolo per arrivare ad intaccare la mente.

    Il... mio nome... è... Abdel Jabbar, servo di Colui che Obbliga. È lui... il mio signore.

    Sembrava essere una cosa piuttosto generica, a dire il vero. Evidentemente, eppure, per il suo interrogatore significava qualcosa, a giudicare da come si accigliò.
    Comunque, ripresa la sua compostezza, continuò.

    Abdel Jabbar, perché ci avete assaliti? Volevate forse la nostra mercanzia?

    No... nulla di tutto ciò...

    Cosa cercavate, dunque?

    Il nostro obbiettivo... è... la Prima Pietra.

    Quell'ultima affermazione spiazzò tutti i presenti nella tenda.

    Di che diamine sta parlando?

    Il più interessato a quella frase fu, inutile a dirlo, Aristotelis, il quale ebbe come un'illuminazione folgorante.

    Cos'è la Prima Pietra? Perché volete impadronirvene?

    Il tono del capotribù si fece più cupo, come se anche lui avesse intuito qualcosa.

    Noi non sappiamo... cosa sia... Colui che Obbliga sa il vero, solo lui...

    Perché, che storia vi è dietro?!

    La voce del leader tradì dell'impazienza, mostrando come l'ansia stesse iniziando a serpeggiare in lui.

    La Città Capovolta...

    A quelle parole, forse un nome, il capotribù sgranò gli occhi, vittima di una sconvolgente sorpresa.

    La Città Capovolta?

    Domandò, curioso e desideroso di conoscenza, l'oplite. Venne ignorato dall'incalzare dell'interrogatorio.

    La Città... Chi ha questa... Prima Pietra? Perché avete attaccato noi?! Non sappiamo niente di tutto questo!

    Infine, la verità venne svelata.
    Il motivo dell'attacco venne rivelato dall'ultima risposta dell'assassino, con i suoi occhi velati che puntavano chissà quale stella immaginaria nella tela della tenda.

    La Prima Pietra... È nelle mani dell'Eversore...

    E, con i finali spasmi di vita, il sicario alzò il braccio, puntando il dito verso l'oplite.
    Mai, prima di allora, il tatuaggio della E coricata che portava sulla spalla destra risultò così evidente agli occhi degli astanti.
    L'assassino era morto, vittima delle sostanze somministrategli, e nessun altro segreto poteva ora essere svelato.
    Il capotribù fissava rabbrividendo l'ormai cadavere, senza veramente concentrarsi su esso, quanto più sui pensieri che ora lo attanagliavano.
    Dal canto suo, Aristotelis non perse affatto la sua calma, ponendo nuovamente la domanda espressa prima.

    Capotribù, cos'è la Città Capovolta?

    Senza degnarlo di uno sguardo, questi si alzò, serrando i pugni e fermandosi sull'entrata della tenda.

    Puoi viaggiare con noi finché non raggiungerai la tua meta, greco. Non possiamo aiutarti in altro modo.

    Ed uscì.
    L'oplite era sempre più intrigato, sentiva il suo spirito dimenarsi per la fame di sapere che era stata risvegliata in lui.
    Era sulla buona strada, ormai non c'era alcun dubbio.
    Elettrico nell'anima ma impassibile nei lineamenti, Aristotelis si alzò, porgendo la mano ad Afzal per aiutarlo a fare lo stesso.

    Al-Afzal, hai mai sentito parlare di questa... Città Capovolta? O della Prima Pietra?

    Tentar non nuoce, dicono.

    Tutto ha acquisito un senso, ma quale questo sia ancora non lo sa nessuno.
    Chiaramente il tuo pg difficilmente saprà di cosa sta parlando Ariste, ma a te il compito di mostrarti interessato o lasciar perdere, per il momento. :guru:
     
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