Il Tramonto sulla Via dell'Orizzonte

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    Viaggiatore dei Mondi

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    Per l’Orizzonte
    Arabeschi di Nubi

    Rosse al Tramonto


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    Il mondo intorno a lei era una grande cosa ignota.
    La benda nera attorno al capo le oscurava la vista, e tutte le informazioni che poteva ottenere dello spazio circostante in cui la stavano conducendo tramite una fune legata strettamente attorno ai suoi polsi -come una bestia al pascolo- poteva unicamente ricavarlo per deduzione interrogando gli altri suoi sensi.

    Per quanto ne sapeva -e poteva basarsi solo sulla fame che le era venuta-, potevano essere passate poche ore, così un paio di giorni; era difficile dirlo, visto che sotto quel cappuccio, niente mutava mai: anche considerando il fatto di essere stata svenuta la maggior parte del tempo, prima a causa il narcotico e poi per la botta -ancora pulsante sulle costole- con cui avevano zittito le sue proteste non appena aveva ripreso conoscenza -mandandola di nuovo al tappeto-, non trovava plausibile che fosse passato abbastanza tempo perché i suoi rapitori potessero averla portata fuori dal Presidio.

    Faceva maledettamente caldo là, ma non come sotto il sole dei suoi Picchi -aridi, amati e polverosi-; era un calore rovente, asfissiante,
    umido, a giudicare da come le appesantiva i vestiti, le inzuppava i morbidi riccioli castani, e aveva iniziato ad imperlarle copiosamente di sudore la tenera e giovane pelle... era come camminare nel vapore. Questo, unitamente alle ripide salite e al terreno scosceso su cui era stata costretta in marcia contro la sua volontà, le diedero un chiaro e atroce indizio su quale potesse essere il suo campo di prigionia. Berjaska.

    La cosa che più la spaventava -sebbene la dignità le impedisse di mostrarlo- era il fatto che la temperatura continuava a salire in modo proporzionale alla quota che lei e il suo misterioso aguzzino seguitavano a guadagnare con fatica in una scomoda scalata lungo una ripida parete di roccia; e il suo timore crebbe dopo l’ennesima aspra inerpicata, divenendo una massa scura e fredda che le liquefece le viscere quando -d’un tratto- la forza che tirava la corda cessò di incalzarla.

    « Do-dove siamo...? E che cosa vorresti fare di me? »
    domandò, mantenendo una voce calma ed imperiosa nonostante una prima incertezza
    « Ti avverto che i miei soldati non saranno magnanimi con te quando ti avranno preso;
    lasciami andare -qui ed ora- e ti do la mia parola che pronuncerò un giudizio indulgente. »


    Nessuna risposta... e forse fu anche un bene: l’ultima volta che ne aveva ricevuta una da quelle entità senza volto era stata percossa senza misericordia, e quando -cieca di rabbia e indignazione- li aveva apostrofati con insulti per la loro vigliaccheria, che li rendeva tanto audaci nel fare i prepotenti con una donna, così giovane da essere ancora una ragazzina, e per di più legata ed incapace di difendersi... beh: si erano accaniti con ancor più violenza e foga.

    Un fruscio alla sua destra l’indusse a voltare il capo in quella direzione, ma il suo carceriere doveva già essere passato oltre, perché dopo un istante, Mio ricevette uno spintone alle spalle che la costrinse ad avanzare; nonostante tutto l’autocontrollo e il decoro che le era stato inculcato fin da piccola, non poté trattenersi dall’urlare terrorizzata quando uno dei piedini tastò il vuoto.

    Con uno scatto e una contorsione della schiena, la giovane riuscì a non perdere il suo equilibrio, ma quando fece per voltarsi -più che mai intenzionata ad allontanarsi dal baratro-, ristette immobile quando percepì qualcosa sibilarle contro... per ghermirle la benda strettamente annodata dietro la testa e strappandola via: l’improvviso ritorno della vista la disorientò, ma il bagliore rossastro proveniente dal cratere del vulcano -reso soffuso del velo di vapore acre che da lì si innalzava- non era una luce abbastanza forte da accecarla.
    Così lo vide.

    Vide il volto dell’uomo che le stava facendo tutto quello - un uomo fatto, alto e allampanato.
    Vide il suo volto quasi smunto, dai capelli castani, lisci e impiastricciati dalla fatica della scalata.
    Vide i suoi occhi piccoli, scuri... che la fissavano con odio.


    E non lo riconobbe. Perché Usama Kuroi, secondogenito di una famiglia cadetta,
    era sempre stato per lei un anonimo, insignificante signor nessuno.

    Vide il rapido movimento descritto dal suo braccio - e una sensazione di calore le scese per la gola.
    Vide la lama del pugnale, sporca e gocciolante - e si portò una mano al collo, ritraendola rossa.
    E quando il Re Nero la gettò nel cratere, il cielo rossastro di Berjaska fu sopra di lei.

    Sempre più lontano.

    Prima che la morte lambisse il suo giovane corpo nell’abbraccio rovente della lava, tra i vapori che si addensavano sopra di lei, i suoi occhi bigi scorsero la sagoma di un secondo uomo, assai diverso dall’altro: alto, elegante, avvenente... con le labbra incurvate in un sorriso affilato di una bellezza spietata... aveva dai lunghi capelli scarlatti, guardava in basso verso di lei, con i suoi begli occhi cremisi... Rossi. Come il sangue.

    E quella fu l’ultima cosa che vide, prima che la sua coscienza si spegnesse.

     
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