Un furto (non) comune

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    Cado spesso un poco dalle nuvole.

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    Io sono.


    A dispetto di quanto gli umani pensino, io esisto. Lo scorrere dei secoli non ha mai cessato di allargare i confini entro i quali i miei occhi scrutano tra le pieghe del destino: vedo e prevedo, non per dono divino, ma per la saggezza che nasce dall’esperienza – o, per meglio dire, dall’aver potuto assistere all’esperienza altrui. Non abito nessun luogo e non possiedo sembianze che mi distinguano da qualcos’altro; esisto perché ho volontà di esistere: non possiedo nulla che la morte possa intaccare, né ho compiti da adempiere o popoli a cui badare come fossero figli, ed è l’assenza di responsabilità a negarmi l’appartenenza al grado divino. Tra le definizioni entro le quali gli uomini hanno tentato di incastonarmi, forse la più plausibile è “spirito”.
    Definizioni, dunque. Ecco il punto cruciale: ho nominato il destino, ma devo ammettere che il concetto corrente lo esalta inverosimilmente, caricandolo di un peso poco plausibile. La predisposizione verso qualcosa è comune a pressoché tutti gli esseri viventi: più ampio è il ventaglio di possibilità della razza di appartenenza, più ristretta è la possibilità che l’individuo scopra quel che davvero può – e perciò dovrebbe – fare; nel talento, o nella sua assenza, sta il “destino”.
    Ad un battito di ciglia dal tempo presente incontrai un ragazzo*: stava scoprendo in sé capacità magiche latenti e, grazie ad uno dei tanti libri che riporta informazioni frammentarie, e perlopiù inesatte, sul mio conto, riuscì ad evocare una parte di me. Ciò che mi colpì fu che tale potere era intimamente collegato alla fervida immaginazione che possedeva, senza la quale non avrebbe potuto richiamarmi, a causa dell’assenza di coordinate precise, geografiche e non solo, sul testo in questione. Mi evocò per quello che mi immaginava: la risibile parte di me si trovò ad impersonare uno spirito di chi sa quale foresta. La lineare arte della taumaturgia era scossa da un capriccio infantile di un essere umano, assecondando il quale la realtà si presentava, per pochi istanti, non per quel che era, ma per ciò che lui voleva che fosse. Mi incuriosì e decisi di aiutarlo, fornendogli un potere che potesse essergli utile e controllando, di tanto in tanto, se stesse riuscendo a muovere passi lungo la strada che per lui era stata tracciata.

    Fuori dalle porte di Kisnoth, la grande dama, un sobborgo colmo di gente faceva da teatro ad un evento che, di per sé, sembrava non avere niente di strano. Landruncoli se ne erano sempre visti, perché diversi orfani passano qualche tempo a raccogliere cibarie, in attesa di tempi migliori o di andare incontro ad un finale fin troppo atteso, ma questo caso m’interessò perché tra i protagonisti compariva il giovane Agares. Una locanda, che vantava poco più di due stanze ed un bancone mal fornito, vedeva radunati attorno ad un tavolo una dozzina di persone: uno di loro era molto arrabbiato, e puntava il dito contro un ragazzo vestito di stracci, dai capelli neri ed occhi verdi.
    “Ladro, ladro!”, urlava l’uomo, proprietario di una piccola bottega poco distante. Era un po’ gobbo ma grosso e, soprattutto, piuttosto temuto per la sua irascibilità: agitava uno dei due pugni, aspettando di poterlo piantare contro qualcosa.
    “Non ha senso!”, si difese il ragazzo, “ha detto che ‘un piccolo sgorbio verdastro’ gli ha rubato un pezzo di pane, ma io non sono affatto verde!”
    La piccola folla sembrò concordare con Agares, ma Robert, imbestialito com’era, sembrò non avere più alcuna intenzione di avere dalla propria parte la gente per procedere con la sentenza. Grugnì qualcosa: qualcuno tra i presenti che lo conosceva meglio di altri (clienti della bottega lo erano tutti, amici però se ne contavano molto pochi) si fece largo in fretta e furia, capendo che di lì a poco avrebbero dovuto provare a trattenerlo con la forza. Il sudore sulla fronte del commerciante cominciò a cadere per terra ad un ritmo più sostenuto; per terra, il legno era più scuro sotto i suoi piedi. Tutti sussultarono, i più vicini alla scena gridarono, chi per sorpresa, non sapendo come reagire, chi per disappunto, cercando di impedire che la situazione degenerasse; La massa di grasso e di sudore di Robert si mise in moto, col braccio destro che se andò indietro mentre l’altro cercava goffamente di afferrare in qualche modo il ragazzetto: fu talmente violento da colpire anche una signora anziana con una gomitata in pieno volto.
    Non appena il pugno partì, tutti si fermarono. Al commerciante, prima di ogni altro, si mozzò il fiato, mentre osservava Agares compiere un balzo fino quasi al soffitto, passargli sopra la testa e ricadere dall’altro lato. Senza la carica di adrenalina, forse avrebbe notato che il ragazzo neppure si era mosso di sua spontanea volontà, ed infatti era a sua volta teso in viso. Con i poteri di cui io dispongo, avrei potuto suggerirgli che a spostarlo fu uno spiritello dell’aria troppo impaziente.
    Mentre osservava la gente basita, il ragazzo non riusciva a pensare ad una maniera credibile di giustificare l’accaduto. Già sapevo che, se niente si fosse messo in mezzo, la prossima mossa sarebbe stata la fuga.

    *da background: A diciassette lesse i primi libri sull’evocazione, capitati tra le sue mani per caso: cominciò a collegare le sue esperienze passate ad una sorta di manifestazione mal controllata. Fu l’anno del suo primo incontro volontario: riuscì a stabilire un legame con uno spirito saggio di chi sa quale foresta (sui libri non era specificato), che riusciva a parlare per immagini, tramite collegamento mentale. L’entità era convinta che fosse scortese da parte sua poter vedere Agares e non viceversa (era una presenza eterea, e la si percepiva soltanto come leggera distorsione nell’aria), e pertanto cercò di trasmettergli una parte del suo potere: mentre provava a vedere come funzionava, camminando ad occhi chiusi e seguendo le bizzarre scie colorate che vedeva nell’aria, il ragazzino cadde per delle scale e si ruppe il naso. Quando si riprese, lo spirito se ne era andato, ma sia il dolore che quella specie di sesto senso erano rimasti.

    Passiva chiamata in causa: Volo
    “Conobbe addirittura uno spiritello dell’aria, residente – dava ad intendere – vicino casa sua da molto tempo: dato che Agares era il solo nei dintorni in grado di vederlo e, quindi, di “comunicare” con lui, decise di seguirlo.”
    Lo spiritello lo segue da tempo e, venutosi a creare un certo legame (pur particolare, date le evidenti differenze razziali), ha deciso di dargli un aiuto tangibile: viaggiando intorno a lui ed assecondandone i movimenti, permette al ragazzo di volare, con una discreta manovrabilità, fino ad un massimo di cinque metri di distanza dal terreno – termine oltre il quale il pericolo di perdere la concentrazione non può non essere considerato a dovere; Agares, dal canto suo, temendo un po’ le altezze eccessive, non ha obiettato alla decisione dello spirito di non spingersi più in là.
     
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  2. Tristan Gawain
     
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    Se Kisnoth poteva dirsi davvero la Grande Dama del Pentauron,
    quel cavaliere era appena giusto sotto le sue sottane, precipitando dal continuum temporale
    con così tanta violenza da far svolazzare l'intimo abito della città.
    I contorni di Tristan si disegnarono con prepotenza fra le mura di un vicolo,
    mentre un bagliore simile a luce disciolta nell'acqua permeava ciò che i passanti

    -sbalorditi dalla visione-
    avrebbero riconosciuto come il corpo di un uomo in armatura scura e mantello color smeraldo.

    Per quanto la sua vera natura fosse quella di viandante,
    il Fu Re presagiva che molti di quei viaggi sarebbero finiti allo stesso modo:
    nauseato, stanco, disorientato...
    ...e ben distante dalla propria meta.
    Ajani l'aveva avvertito: la sua Empatia

    -dono e condanna nella stessa misura-
    avrebbe indotto spesso il cuore e l'anima del guerriero a preferire percorsi
    che nessun'altro avrebbe potuto scorgere e che, con altrettanta saggezza,
    nessuno avrebbe mai scelto di percorrere.
    La fatica si appoggiò alle sue spalle e sul volto, conferendogli un aspetto
    di qualche anno più in là rispetto ai suoi rispettabili quarantanni; la peluria del volto,
    in una cornice di perfezione fra barba e baffi,
    partecipava di buon grado ad invecchiarne l'aspetto
    sebbene il fascino di avventure ed esperienze dolorose scalfiva le prime impressioni,
    giocando prepotentemente con gli occhi di chi si fermava ad osservare Tristan.

    Poggiò il palmo sulla nuda pietra dell'edificio più vicino e ne seguì i contorni
    trovando subito la discontinuità di un angolo che lo condusse ad una porta,
    legnosa e scardinata in alto,
    unico punto d'ingresso per la locanda dove avrebbe ben presto partecipato
    all'ennesimo ed involontario coinvolgimento di vite altrui.
    Quando varcò la soglia, il ragazzino già librava nell'aria
    con la disarmante facilità con cui lo si sarebbe immaginato inseguire
    una farfalla in un prato: tuttavia, l'animosità e la preoccupazione dei presenti

    -percepite con veemenza dalle facoltà del Gawain-
    fecero capire al Re di Ordàlia che una situazione simile esulava dalla meraviglia
    per un semplice balzo in aria.
    Per quanto esso potesse coinvolgere il volo oppure no.


    “Signore, c'è qualcosa che non va?”

    Ignorando lo sgomento di chi lo vide barcollare verso l'uomo grosso e curvo,
    il cavaliere prese senza pensarci la posizione fra lui e il piccolo ragazzo,
    interponendosi in quella che appariva come una diatriba
    senza pari diritti.

    E' un enorme piacere rivederti scrivere ma soprattutto partecipare.
    :flwr:

    CITAZIONE

    ~The Bleeding Lion~
    [...]L'altra facoltà accentuata dai suoi nuovi poteri è l'Empatia: il guerriero riesce a percepire le emozioni di coloro i quali si trovano attorno a lui, riuscendo a discernere con una precisione variabile la profondità del sentimento o le ragioni che lo originano. Tale percezione si estende anche agli oggetti dotati di coscienza o anima

     
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    Cado spesso un poco dalle nuvole.

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    Non dirò nulla riguardo al cavaliere che si interpose, liberando Agares non solo dal rischio di venire nuovamente caricato da Robert, ma anche dal peso di tutti gli sguardi che si interrogavano su cosa fosse successo; ora erano distribuiti con maggiore uniformità sui tre attori principali, benché non si capisse da chi sarebbe arrivata la mossa successiva. Divertito dall’intreccio venutosi a formare, mi limiterò a seguire il mio pupillo con il solito interesse.
    Il giovane evocatore guardava dal basso le spalle dell’uomo che aveva preso le sue difese, domandandosi cosa in lui, per la prima volta, ispirasse fiducia. Poi, ricordandosi che il suo ingresso era avvenuto dopo la discussione sul furto, capì che le motivazioni esulavano dal caso in questione; passò per la sua testa – turbandolo un poco – l’idea che quel signore lo avesse visto spiccare dal niente un gran balzo, ed ora fosse interessato a sua volta a capire perché: il pensiero di avere ancora un’altra persona da cui doversi guardare macchiò il suo spirito di un principio di paura, ancora acerbo, ma già in grado di spingere il cuore a correre.
    C’era, dall’altra parte, chi poteva osservare in viso il nuovo arrivato. Il commerciante, che fino ad allora aveva scavalcato tutti i presenti con la propria stazza, mossa da una carica di rabbia che, già da sola, riusciva ad intimorire i più, si vide messo a confronto con un avversario fisicamente alla sua pari – se non superiore. Potrei raccontare di molti uomini, adagiati su di una superiorità alla quale l’ambiente attorno li aveva abituati, cedere di fronte al primo accenno di confronto reale; similmente, lo spirito pigro di Robert si piegò all’insufficienza del solo suo corpo per superare l’ostacolo. Sbuffò, ignorando il cavaliere, gettando dietro la sua figura gli occhi.
    “Non finisce qua, ladro da due soldi”, e voltatosi se ne andò dal locale.
    Agares, trovandosi solo di fronte a chi, a conti fatti, l’aveva tolto da una situazione pericolosa, sapeva di dover dimostrare gratitudine; un anno passato a rubare e scappare da tutti, temendo che i propri poteri potessero essere scoperti, senza una mano amica a cui tendere per avere aiuto, lo aveva reso timoroso e diffidente e gli impedì di essere del tutto franco.
    “Ti… La… Vi ringrazio”, disse, con voce timida, restando fermo dietro le spalle dello sconosciuto, rannicchiato e nascosto dentro vesti troppo larghe per lui.

    Piacere mio partecipare nuovamente al gioco. :flwr:


    Edited by BimboSperduto - 10/7/2012, 12:15
     
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  4. Tristan Gawain
     
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    Come una diga dinnanzi ad un fiume
    -poco prorompente-
    il guerriero arginò la situazione, riuscendo a deviare quel flusso iracondo
    che scemò verso un disappunto borbottato e di fatto irrealizzato.
    Sinceratosi che anche il resto della clientela fosse tornata
    alla quotidianeità di un pasto caldo e del buon vino,
    Tristan si voltò verso il ragazzino
    cogliendolo in uno sguardo di pura e semplice comprensione.


    “Prego.”

    Il Capitano delle Guardie notò la diffidenza tipica di chi
    -incompreso-
    è costretto a vivere da solo e a lottare per il proprio, minuscolo,
    spazio vitale.
    E gli stracci messi a mo d'abito sulle sue giovani spalle
    faceva capire più di quanto il cipiglio titubante dell'accusato
    riuscisse a trasmettere in quei pochi attimi d'incontro fortuito.


    “Hai fame?
    Se vuoi, possiamo mangiare qualcosa...magari mi racconti come è andata veramente.”


    In un tentativo di accorciare le loro distanze
    -che spaziavano dal tempo anagrafico fino all'essenza delle loro capacità-
    l'uomo dagli occhi celesti come il cielo dell'Est s'accovacciò sulle ginocchia,
    riducendo almeno il divario che la sola altezza creava fra i due.


    “Tranquillo, offro io.”

     
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    Bimbo Sperduto

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    Il suo sconosciuto salvatore si era abbassato verso di lui, in un gesto tutt’altro che minaccioso, gettando il ragazzo in un confronto quasi paritario – al di là delle apparenze – al quale, da lungo tempo, non era più abituato. Abbassò gli occhi fino a scorgere le ginocchia piegate dell’altro: un gesto che, dopo l’intervento in suo soccorso, era per lui un’ulteriore prova dell’animo nobile che doveva abitare in quel corpo imperioso che aveva di fronte; decine i testi con cui la fantasia del ragazzo era stata portata a credere all’esistenza di valori simili e di persone che avevano giurato a spada tratta di proteggerli.
    Mitigata, almeno in parte, la diffidenza, annuì con un silenzio macchiato da un lieve imbarazzo, nel vedersi prima salvato da una minaccia brutale, e poi dai morsi della fame che un solo pezzo di formaggio non bastava a placare.
    “Se però dopo vuole mettermi in galera, io… io la avverto che sono il più abile a… ecco, non venire messo in galera!”
    Era impacciato, ma sentì di dover tirare fuori un po’ del suo spirito per tranquillizzarsi e rimettersi in pace con una giornata cominciata storta.
     
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  6. Tristan Gawain
     
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    “Se però dopo vuole mettermi in galera, io… io la avverto che sono il più abile a… ecco, non venire messo in galera!”

    Lo fissò negli occhi da ragazzino
    -trovandovi più di quanto s'aspettasse-
    ed iniziò a cercare nel baule pieno di giochi
    che sarebbe dovuta essere la sua infanzia:
    come poteva uno della sua età già conoscere
    l'amarezza della vita di strada?


    “No, no, nessuna galera. Promesso!
    Però non correre che sono comunque vecchio, io.”


    Sorrise, issandosi nuovamente sulle ginocchia;
    eretto, Tristan appariva maestoso come il leone che era suo simbolo,
    tonante nel suo portamento regale e silenzioso.
    Trovò accomodazione poco distante, ad un tavolo con due sedie mingherline,
    e si lasciò cadere a peso
    (quasi) morto su una delle due
    invitando nuovamente il suo ospite a fargli compagnia
    per un pasto caldo e qualcosa da bere.
    Fece cenno ad una ragazza dietro il bancone, portandosi avanti con l'ordinazione,
    per poi appoggiare le mani callose
    -costrette ad impugnare più armi di quante la mente volesse ricordare-
    sul ripiano in legno, ad assaggiarne ogni venatura consumata e torsione del materiale
    segnato e rovinato dall'incuranza dei clienti.


    “Mi chiamo Tristan Gawain.
    Posso sapere il tuo nome?”

     
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    Si accomodò davanti allo straniero: Tristan – così aveva detto di chiamarsi – fece un cenno alla ragazza che serviva dietro il bancone, gettando in un attimo di imbarazzo il giovane Agares; dal momento che gli veniva offerto da mangiare, cosa era giusto prendere? Quanto far spendere al signore? Ritrovarsi pronto ad essere servito in un locale in cui, fino a pochi minuti prima, tutti sapevano che non poteva uscire un soldo dalle sue tasche, era cosa inaspettata. Non voleva finire ad essere giudicato dalla cameriera, per cui pensò bene di comunicare la sua ordinazione, in anticipo, al cavaliere.
    “Io prendo quello che prende lei”, disse quasi sottovoce, “se quello che prende lei non costa troppo!”
    Dalla lontana eternità in cui mi confinavo avrei – se avessi potuto farlo – sorriso dell’innocenza che le buone maniere di un senzatetto fin troppo educato lasciavano trasparire. Ci fu presto un cambio, più precisamente quando il cavaliere gli chiese il nome: benché la domanda fosse lecita, macchiò il volto del ragazzo di tristezza; fu un attimo, in cui negli occhi si intravide un riflesso di passato che li inumidì un poco. Tristan Gawain. Doveva essere bello poter dire il proprio cognome senza preoccuparsi di venire messi in galera, pensò. A lui, che dalla morte del padre aveva ereditato solo una pesante faccenda burocratica, il cognome non lo diceva neppure più, per paura di venire riconosciuto da qualcuno.
    “Mi chiamo Agares. Vi… le posso chiedere come mai ha preso le mie difese?”
     
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  8. Tristan Gawain
     
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    “Io prendo quello che prende lei...se quello che prende lei non costa troppo!”

    In un cenno d'assenso,
    il Cavaliere decise di reggere il gioco d'imbarazzo
    quel che ragazzo, dal volto dipinto nella tristezza, perpetreva

    -forse-
    da fin troppo tempo.
    Ad un'occhiata rapida, Tristan soppesò la sua età in circa due decadi
    ma decise che ben presto avrebbe chiesto conferma al diretto interessato
    evitando perciò di trattarlo con modi e maniere che esulassero
    dal traguardo dell'adolescenza.


    “Mi chiamo Agares. Vi… le posso chiedere come mai ha preso le mie difese?”

    “Perchè non c'è bisogno di accanirsi contro chi, nel bene o nel male, sta tentando di sopravvivere.
    Giusto?”


    L'arrivo della cameriera interruppe le parole del Capitano
    il quale ordinò per entrambi due porzioni abbondanti di zuppa con brodo di carne
    e qualche fetta di pane, aggiungendo in un secondo momento anche della frutta
    così che il ragazzo potesse perlomeno recuperare quanti più nutrienti il suo corpo
    riuscisse ad assimilare.
    Dopo aver preso nota di tutto, la donna tornò verso il bancone
    intenta a preparare con celerità e precisione il pasto appena richiesto.


    “Agares.”
    -lo ripetè, ignaro che quel nome potesse essere come un sasso lanciato nello stagno dei dolori passati-
    “Quanti anni hai?”

    Per quanto disinteressata o fuori luogo, vista la piega della discussione,
    potesse apparire la domanda, Tristan conosceva bene le opportunità che

    -la sua nuova dimora-
    il Presidio Est poteva offrire.
    Forse quel ragazzo sarebbe stato troppo grande per essere affidato alle cure
    delle mura della Misericordia...ma viste le doti

    -latenti-
    di cui sembrava disporre, avrebbe di certo fatto comodo ad entrambi
    vederlo sotto l'ala protettiva della Caserma di Taldor.

     
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    Potevo distinguere la sincerità che accompagnava le parole di conforto del cavaliere; Agares la supponeva e la assaporava: se il gusto avesse potuto percepirla sarebbe stata fresca e dolce, una manna dal cielo dopo la siccità d’animo delle persone che lo avevano circondato fino a quel momento. Mentre annuiva, lo sguardo sembrava avere finalmente ricominciato a vedere oltre, e vagava nell’immaginario di chi sa quale prodezza che Tristan poteva aver compiuto.
    “Venti”, rispose, scosso dalla domanda che gli era stata posta. Abbassò lo sguardo e ripeté, come a sé stesso:
    “Venti, sì!”
    Rialzata la testa, sorrise, cacciando la tristezza dagli occhi. Ammirai lo spiccato ottimismo che è pronto, come spesso avevo potuto notare negli animi di altri giovani uomini, a riemergere dalla polvere al primo cenno di opportunità. Basta davvero così poca luce a dare di nuovo aria ad uno spirito? L’idea che non tutto in quella città fosse contro di lui – che, se ancora ragazzo e non uomo, poteva far valere il proprio diritto a risollevarsi e cambiare strada – lo fece tornare a respirare sereno.
     
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  10. Tristan Gawain
     
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    “Venti...Venti, sì!”

    Tristan si lasciò sfuggire una risata lenta e pacata
    ma non per questo meno contagiosa,
    la quale s'arrestò solo qualche secondo dopo che

    -giunta con le loro pietanze-
    la cameriera ebbe finito di disporre il cibo sul tavolo.
    Invitandolo ad affondare il cucchiaio nel brodo profumato,
    il guerriero attese ancora un paio di istanti
    prima di imitare il suo ospite.


    “Oramai sei quasi un uomo.
    Hai già scelto dove andare, una volta che avrai lasciato la città?”


    Sapeva fin troppo bene, pur avendo origini regali,
    cosa significasse essere trattato da diverso.
    Lo aveva provato sulla propria pelle
    fra gli umani suoi amici e anche nelle cerchie celesti:
    in entrambi i casi, dopo essere scappato una volta,
    il Capitano delle Guardie aveva siglato un accordo con sè stesso
    rigettando la fuga come soluzione al problema.
    Da quel momento aveva indossato i panni dell'orgoglio
    lottando sempre e comunque per l'affermazione personale
    dei suoi inalienabili diritti alla vita.


    “C'è un territorio, ad Est di dove ci troviamo.”
    -raccolse un'oncia di zuppa sul metallo ricurvo, portandola alle labbra ed ingerendola in silenzio-
    “Agares...Vorrei venissi lì con me. La donna che ne regge il comando è una persona eccezionale e sarebbe felice di prendersi cura di te.
    Ed io farei altrettanto, se tu me lo permettessi.”

     
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    Una volta lasciata la città”: sebbene potesse sembrare, ad una prima occhiata, un’ipotesi banale – tra le prime da considerare, trovandosi in una situazione simile – per il ragazzo non era stato così. Vero, tra le pieghe dei veli di Endlos cadono uomini erranti con frequenza assai maggiore rispetto ad altre dimensioni, e specialmente nel Pentauron esempi del genere non mancavano di certo; l’unico modello che però aveva significato qualcosa per lui, pur condividendone ben pochi tratti, era il padre: legato da radici antiche alla terra e deciso a diventare una di esse. Adesso però guardava sé stesso, un seme gettato tra i sassi, e sapeva di non avere più sostegno.
    “Qui non ho niente…”
    E trattenne il fiato, in attesa di una conclusione che tardò troppo ad arrivare. Liberò l’aria, cercando negli occhi del cavaliere ancora un’altra prova della verità delle sue parole: l’aveva salvato dalle minacce di un commerciante, ma davvero bastava per affidargli la vita in mano? Agares non era convinto, e lo dimostrò quando, alla fine, riuscì a trovare delle parole adatte.
    “…come mai dovreste darmelo voi, da un’altra parte? Io non capisco. Chi è questa donna? Cosa fate tutti assieme ad Est?”
     
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  12. Tristan Gawain
     
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    “…come mai dovreste darmelo voi, da un’altra parte? Io non capisco. Chi è questa donna? Cosa fate tutti assieme ad Est?”

    L'uomo poggiò il cucchiaio nel piatto,
    allontanadolo da sotto il mento: s'era sfamato abbastanza
    sebbene il viaggio dimensionale l'avesse spossato
    più del previsto.
    Si prese una manciata di attimi per riflettere,
    attimi di silenzio che vennero subito colmati
    dalle chiacchiere delle persone attorno a loro:
    il locale era di modeste dimensioni e nulla che l'altro lato della strada
    non riuscisse ad offrire magari con un po' più di dignità.
    Tuttavia, forse per abitudine, forse per pigrizia,
    molti avventori sceglievano quei tavoli per soddisfare
    i morsi della fame mattutina.


    “Una volta ero un Re, di un regno vasto e prosperoso.
    Poi, persi tutto e mi ritrovati senza nemmeno qualcuno vicino che potesse ascoltare la mia sofferenza.”


    Le sorti di Ordàlia erano un rovo di cicatrici oramai chiuse da tempo,
    eppure riportarle alla mente coinvolgeva moti nell'animo che rimanevano turbolenti
    anche dopo strati e strati di anni e polvere.


    “Dopo la mia caduta, ero disilluso. Triste, oramai senza speranza, privo di affetti e possibilità.
    L'uomo che sono oggi è diverso: e lo devo ad una sola cosa.
    Lo devo alla capacità di aver accettato un aiuto nel momento giusto.”

     
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    Ero stuzzicato dall’idea di suggerire al ragazzo la strada da prendere, essere vento per spingerlo a correggere la rotta. Eppure, in quel momento, mi resi conto che non sarebbe stato necessario agire direttamente: forse lasciatosi trasportare dai racconti del giovane, il cavaliere aveva rafforzato il collegamento di animi che il clima di apertura stava stabilendo, raccontando una storia senza nomi che, proiettando situazioni e personaggi sull’esperienza di Agares, lo scosse lasciandogli l’impressione che, ora più di prima, Tristan fosse stato del tutto sincero.
    “E cosa… dovrei fare io, una volta laggiù?”
    Al ragazzo non spaventava l’idea di dover lavorare, anzi: si sarebbe sentito, finalmente, riabilitato, collocato in uno spazio suo per diritto. Soltanto, partire senza sapere cosa ne sarebbe stato di lui, o cosa poteva essergli chiesto in cambio dell’aiuto che gli veniva offerto, non lo faceva sentire a suo agio.
     
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  14. Tristan Gawain
     
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    “E cosa… dovrei fare io, una volta laggiù?”

    Il Cavaliere fu tentato di rispondere d'impeto,
    dicendogli che avrebbe potuto costruirsi una casa,
    lavorare per vivere in modo dignitoso,
    mettere in piedi una famiglia, trovare pace e serenità.
    Tuttavia, il cuore di Tristan venne abbracciato dalle emozioni del ragazzo
    finendo per trattenere tutta la positività che avrebbe altresì espresso
    se il Gawain non avesse mai risvegliato i propri poteri latenti.


    “Potrai fare ciò che più desideri.
    Lavorare come apprendista per qualche artigiano e persino ricevere un istruzione.
    Se invece vorrai imparare l'arte dei duelli, sarò ben lieto di accoglierti a Taldor, la Caserma di Istvàn.”


    Sorrise, annuendo alla cameriera quando ella si presentò al tavolo
    chiedendo se potesse portare via la scodella vuota del Capitano delle Guardie.


    “Voglio essere sincero: mi sembri un ragazzo che ha delle potenzialità e sarei conteto se mi concedessi l'onore di far parte della grande famiglia della Dama Azzurra.”

     
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    Cado spesso un poco dalle nuvole.

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    Al ragazzo brillarono gli occhi: dopo tanto tempo, avrebbe potuto riprendere un libro in mano, se le cose stavano come il cavaliere gliele riportava. Non era passato un momento senza che la fame di sapere, compagna costante fin dall’infanzia, cresciuta anch’ella da una più infantile curiosità ad un bisogno di conoscenza, bussasse alla porta chiedendo di essere soddisfatta; gli aprì, e la sentì gridare di gioia.
    “Sì!”, gridò anche lui, non senza poi tapparsi la bocca ed arrossire. Quando la cameriera portò via il piatto di Tristan si accorse che, preso com’era dalla discussione, si era dimenticato di mangiare. Coprì avidamente il pranzo col corpo così che la ragazza non portasse via anche il suo: lei, sorpresa dal comportamento bizzarro, sorrise e se ne andò.
    “Cioè, voglio dire, io vorrei poter studiare… davvero! Però possiamo andare quando avrò finito di mangiare? Chiedo scusa!”
     
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