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Antonio Fernandez Carriedo.
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Laputa, Città Bassa. L'aria puzzava di fuliggine e bruciato, esattamente come quella volta: dal più che discusso e proclamato giorno in cui alcuni reputavano fosse "sparito" l'Alfiere, Laputa si era ritrovata vittima di un numero sorprendente di disastri, ancor peggio delle Guerre di Fondazione che, nonostante la loro violenza, non avevano tuttavia mai varcato le porte del Presidio Errante. Ricordava che erano morti centinaia di soldati allora, ma almeno i civili erano rimasti al sicuro nelle loro case, situazione ben diversa dal triste ora ed il disperato adesso.
Correndo fra le macerie a capo del suo gruppo di soldati in armatura, Antonio non ebbe la forza di contare i cadaveri stesi sulle strade, fra le mani ancora contratte oggetti come forconi o coltelli rozzamente tramutati in armi per difendersi. E vide i cadaveri di coloro che non avevano accettato di essere invasi, come quelli di chi era accorso a difenderli.
Un assalto per lui senza senso, perchè l'invasore che si spacciava per legittimo successore era andato contro Drusilia Galanodel, l'unica carica ufficiale al di sotto dell'Alfiere, assassina o non assassina che fosse, e unica attuale reggente del Presidio Errante, secondo le leggi proclamate dallo stesso Autocrate. Per quanto riguardava le sue considerazioni personali, dubitava della colpevolezza dell'Ufficiale, ma anche se così non fosse stato, per il giovane moro non sarebbe cambiato assolutamente nulla: prima del naufragio sulle chiare sponde di Endlos, per secoli aveva visto susseguirsi al trono della propria nazione regnanti più o meno rispettabili, ed in ogni caso aveva sempre scelto di seguirli.
Era una questione di ordine, ed anche di giustizia.
Anche se a capo non vi era certo un uomo o una donna giusta.-Dé un paso atrás!
Esclamò ai suoi che, abituati alla sua pronuncia, arretrarono per evitare alcuni dardi incantati. Non appena l'attacco fu concluso, ripresero la loro marcia verso un gruppo di mercenari supportati da incantatori.
-¡Siempre adelante!
Senza paura o titubanze avanzarono in massa, la terra sotto i loro corpi pesanti prese a tremare, e con le ultime forze si lanciarono minacciosi verso il nemico. Non importava la vittoria quella notte, ma la loro fedeltà alla Legge del Presidio.
E all'Ufficiale Galanodel.
Edited by Drusilia Galanodel - 20/12/2012, 17:01. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)Riferimenti a Brifos e Arthur Friederick Giles
Quarto Girone - Città Alta
Quartieri residenziali
Sapeva che sarebbe successo. Le rivolte stavano durando troppo a lungo.
Nove giorni erano passati senza che il sangue non scorresse tra le strade del Presidio Errante. Non appena si fu sparsa la voce circa la scomparsa dell'Autocrate il popolo aveva cominciato a ribellarsi contro la Città stessa, o per meglio dire contro colei che aveva tenuto nascosto l'accaduto per tutto quel tempo regnando sul Presidio come se nulla fosse.
Uriel sorseggiava il suo tè in silenzio mentre fissava il vuoto, barricato tra le quattro mura di casa. Pensava alla situazione della Città volante e a cosa sarebbe potuto succedere in seguito. Non era poi passato molto tempo da quando -cadendo dal cielo- cominciò la sua vita in quell'immenso centro pulsante e a prima vista calmo. Non gli dispiaceva affatto quel luogo: aveva subito fatto amicizia con un mago del Magisterium -Dan, il suo salvatore-, lo aveva aiutato quando l'ombra nera del Male calò sopra Laputa e in seguito venne addirittura eletto Ambasciatore. Lui .
E poi c'era-
Esplosione.
Un suono sordo in lontananza che ricordava una detonazione lo costrinse ad appoggiare la tazza sul tavolo e a scattare in piedi dalla sedia su cui era placidamente seduto.
Un'altra esplosione, questa volta dannatamente vicina lo fece istintivamente correre fuori casa per capire cosa diamine stesse accadendo.
Una casa che distava a qualche isolato più in là era in macerie e in fiamme. La gente correva, scappava, inciampava...moriva.
Molte persone correvano verso di lui, alcune sanguinanti in diverse parti del corpo.
Un'altra esplosione non molto distante dall'ultima.- Fuggite! I mercenari sono qui! -
Con lo sguardo sbigottito, il semidio era ancora paralizzato per quello che aveva e stava tutt'ora vedendo.
Nuvole di fumo nero si alzavano verso il cielo come tentacoli e qualcosa di strano e non facilmente identificabile stava venendo proprio verso di lui e gli abitanti che si trovavano lì in quel momento, lasciando dietro di sé una scia di fumo.
Guardò con occhio fugace le persone in fuga; non avrebbero fatto in tempo a scappare.
Il semidio si gettò in mezzo alla strada, portò in avanti le mani e gridò:« Cryos, io ti invoco! »
Un'enorme creatura di ghiaccio si materializzò davanti a lui, inglobando nel suo freddo ghiaccio le recinzioni delle case che si trovavano nel suo raggio d'evocazione.
Non appena l'oggetto volante impattò contro la creatura esplose con un boato assordante, causando delle crepe sul corpo del possente gigante. Una volta concluso il suo compito, questo se ne andò riducendosi in piccoli frammenti di ghiaccio.
Pensò rapido a un luogo dove potersi rifugiare. Il suo quartiere ormai non era più sicuro e restarsene chiuso in casa non avrebbe concluso nulla.
D'improvviso, il suo amore per i libri gli ricordò che esisteva un posto dove poteva trovare rifugio, e nel frattempo proteggere la conoscenza da quei rozzi barbari saccheggiatori senza alcun amore per la lettura ma solo per la guerra.
Così, sperando di ritrovare casa sua ancora in piedi al suo ritorno, si mise a correre verso il Magisterium.
La situazione nelle strade non era poi tanto diversa da quella del suo quartiere. Morte, sangue e distruzione erano i nuovi Autocrati di Laputa, tiranni come non mai.
Quando fu quasi vicino al Magisterium, il Semidio dovette pure imbattersi in un mercenario che aveva appena sgozzato un povero innocente. Dato che questi era ancora voltato di spalle, Uriel ne approfittò subito per scagliarli contro una sfera di folgore che fece volare l'uomo qualche metro più avanti e con una bella ustionatura sulla schiena. Non fu affatto dispiaciuto di averlo colpito a tradimento. Infondo aveva appena fatto fuori un innocente a sangue freddo, e nonostante questo Uriel fu abbastanza caritatevole da lasciarlo in vita, seppur ustionato.
Passò un altro paio di vicoli e si ritrovò finalmente davanti all'imponente edificio.
Lo guardò un attimo in tutta la sua bellezza mentre recuperava un po' il fiato. Uno sguardo davanti alle grandi porte d'ingresso e si accorse che due figure stavano giocando a scacchi. Poco prima, dei cadaveri.-Alfiere in D6.
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TukTuk.
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Era sul tetto di un palazzo, quando accadde.
Era li da diversi giorni, in verità, ad attendere col fiato sospeso quel momento tanto temuto, tanto disperatamente evitato, ma che infine li aveva colti.
Le rivolte popolari erano state gestite fino ad all’ora… ma tutti sapevano che la saturazione sarebbe arrivata presto. Che il presidio sarebbe stato inghiottito da un fantasma ancor più spettrale di un epidemia, di una strage, di una guerra.
Perché nulla è paragonabile ad una guerra civile.
La Masticora dalle mille e mille fauci comparve alle sue spalle, informandolo con il suo cupo ruggito ciò che già sapeva. I mercenari che si erano radunati alle porte di Laputa erano ora passati all'attacco, le loro truppe in una colonna infinita che premeva verso il Mastio.
Gli occhi ciechi gli si spalancarono dalla sorpresa, del tutto immotivata, quando le prime anime nel suo raggio visivo cominciarono a spegnersi.
Anime che animavano le giornate soleggiate di Laputa, luminose e tenebrose, con i loro segreti e virtù… anime che aveva imparato a conoscere.
Come molti, quel giorno, Tukariantartruk si domandò quale fosse il suo posto.
Non era da molto negli Aviatori, ma abbastanza per aver difeso le mura di Laputa dai pericoli di Endlos già una volta. Ora come allora, i fumi dei roghi si alzavano lenti e impetuosi, atti ad oscurare un cielo rosso di sangue. Eppure, in quel momento non vi erano portali demoniaci, nessuna immonda creatura planava dal cielo, nessuna bolgia infernale era scesa su di loro.
No, quelli erano altri Laputensi.
Perfino fra i più fedeli alla Dama si contavano dei voltagabbana, le prova ne era il semplice spalancarsi delle porte della città presidio.“Dimmi piuttosto, perché desideri aggregarti alla nostra gloriosa organizzazione?”
Quella domanda echeggiò nella sua testa per qualche istante, mentre l’immagine indefinita della dotta creatura che l’aveva posta si formava nella sua mente.
Perché si era unito agli aviatori?
Non dovette nemmeno sforzarsi per trovare una risposta.
Aveva scelto, l’indecisione svanita in un istante.
La sua decisione avrebbe potuto gettare caos, come passare del tutto inosservata… ma, per un istante, la sua missione sarebbe stata accantonata.
Il Bluastro si alzò, chiamato per la terza volta nel ruolo di difensore.
Lui era Tukariatartuk Dai Cunicoli SemiSepolti, Cavalcaspirito, Bluastro degli Eserciti dei Cunicoli, Aviatore blu e Maestro nella quarta Centuria della Prima Legione dell'Esercito Errante,
Gli erano state affidate delle truppe: avrebbe rintracciato quelle ancora fedeli a Drusilia e le avrebbe guidate nella resistenza della Città Alta.
Tukarian si alzò, scrollandosi di dosso il torpore dell’attesa. La Masticora lo imitò, lanciando un ruggito di avvertimento con le tre fauci a chiunque fosse a portata d’orecchio.
La decisione era stata presa da entrambi, singolarmente.
Il Boggart si alzò in volo, a gambe incrociate, cercando di espandere la propria vista il più possibile, alla ricerca di quelle anime che avrebbe dovuto proteggere e guidare.
Lo spirito dei Cunicoli si avvicinò all’orlo del tetto, osservando mestamente il basso.
“Il pericolo è più nei tuoi occhi che non in venti delle loro spade” biascicò il Boggart, con una perla di tristezza nella voce.
La Masticora lo fissò con occhi acquosi, sussurrando con la terza fauce.
“ Se mi guardi con dolcezza, sarò forte contro il loro odio. “
I due si salutarono così, prendendo strade diverse, condividendo un unico destino.
Entrambi avrebbero combattuto per Drusilia, per Laputa, per gli Aviatori e sopratutto, per loro stessi.
E mentre il Bluastro osservava la propria compagna scomparire oltre il parapetto del tetto, calando come una maledizione sulla strada sottostante, si ritrovò a pensare se anche quella guerra lo avrebbe perseguitato nei sogni, come avveniva per quelle passate.
Edited by Kami della Falsa Speranza - 25/12/2012, 23:02. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)Status Mentale: <3 quel che si dice "chiavi in mano".
Mana: 25%
Consumi: 0%
Equip: vestiti vari
Passive:
Queen
( Kira e Killer Queen condividono le tecniche attive fra di loro ).
Queen II
( malus passivo che rende condivisibili fra Kira e Killer Queen i danni subiti, indipendentemente da chi li subisce per primo ).
A Night at the Opera
( in quanto vampiro Kiradetiene un'incremento passivo del 50% in Velocità, Forza, Agilità e Riflessi, il senso dell'udito è aumentato e può vedere al buio, è inoltre in possesso di un'auspex passivo fino a trenta metri che gli permette di percepire l'energia vitale altrui; e per ultimo, Kira soffre del malus dato dal Sole che gli impedisce di camminare durante il giorno ).
Good Company
( Kira come vampiro esercita una malia passiva sulle donne che rende queste ultime attratte dal suo aspetto; e tale influsso detiene un rinforzo passivo del 50% )
Famigli
Killer Queen
( Kira ha in dotazione un famiglio/Stand di forma umanoide, con emblemi d'oro e borchie di cuoio. La creatura è sempre al suo fianco, ma quando non attiva risiede in una sacca dimensionale costituita dalla mente dell'assassino; e anche quando attivo, lo Stand risulta sempre invisibile agli auspex, ed invisibile alla vista fino a quando non attacca l'avversario ).
Sheer Heart Attack
( Killer Queen detiene un famiglio dotato di rivestimento corazzato che risiede nel pugno destro, quando utilizzato questo agisce di propria iniziativa e si muove su quasi ogni superficie d'appoggio per attaccare il nemico percependone il calore corporeo tramite auspex passivo, salvo poi generare esplosioni di raggio e potenza variabile mediante attiva apposita ).
Attive:. -
Ja¢k.
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C'era tenebra, nella sala centrale della residenza Goldwyne. Tenebra spezzata da grappoli di candele in agonia. L'aria era opaca, sapeva di metalli rugginosi e cera liquefatta.
Roose era solo, lì dentro. Assiso su uno scranno di legno, sorseggiava del vino. Vino marchiato Goldwyne, ovviamente. A osservare un punto impreciso nel cielo indaco oltre la finestra. I rumori dei disordini cittadini riuscivano addirittura a raggiungere le sue orecchie. Disordini che era stato anche il buon Roose ad alimentare, allo scopo preciso di far divenire quel piccolo fuoco sull'isola del cielo un immane incendio che avrebbe sconvolto la politica dell'intera Laputa. Aveva assoldato gruppi di sbandati fatti raccattare da Walton in mezzo alle strade, nient'altro che poveracci disposti a tagliare la gola alle proprie madri per un pugno di monete. E Roose ne aveva dispensate, di monete, così come di violenza. Gli sbandati avevano avuto il preciso compito di darsi alla pazza gioia quella notte: mischiarsi al popolo per fomentare la guerra civile, inneggiare alla rivolta, prendersela ora con la guardia cittadina ora con i liberi aeris milites. Roose Goldwyne ne avrebbe beneficiato solo in seguito, una volta che le acque si fossero placate. Dopo la fortunatissima caduta di Leone Ukkonen a chi altri si sarebbe potuto rivolgere il popolo se non a lui? Lui, ricco membro del Sodalizio al di fuori di ogni conflitto. Lui, portatore di ordine e pace.
Roose Goldwyne, signore incontrastato del Sodalizio.
« La notte volge al termine, padre. »
La voce di Walton lo raggiunse alle spalle. Roose non accennò neanche a voltarsi.
Laputa, e il potere di Laputa, lo aspettava al termine di quella lunga notte, e al termine dei disordini. Non si poteva immaginare un evento in grande stile senza esecuzioni capitali, senza supplizi e auto da fè. Senza crudeltà non vi ha luogo godimento, ecco cosa insegnava la storia umana. E presto il castigo, tanto per quest'ultima quanto per Drusilia Galanodel e per quei chiassosi soldatini dei liberi aeris ilites si sarebbe avvicinato alla festa.
« Si, e presto giungerà una nuova alba. »
Sussurrò Roose, sorseggiando dal calice.
« La più radiosa che il casato Goldwyne abbia mai visto. »
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Percorreva i vicoli di Laputa con indosso un mantello scuro che ne ricopriva le fattezze: nonostante lo infastidisse nascondere la sua magnifica figura era infatti ben cosciente di quanto una creatura con lo stesso viso di Drusilia, nemica giurata di una delle due fazioni avverse, fosse in pericolo durante la guerra civile in atto. E no, per quanto in molti lo calunniassero, lui non era nè pazzo nè sprovveduto: sapeva che la morte era dietro l'angolo. In più aveva promesso alla sorellina che l'est non sarebbe intervenuto, quindi in un certo senso doveva mantenere un profilo basso per non farsi riconoscere.
Superò un ponticello senza destar sospetti, per poi schivare abilmente l'attacco di un tipaccio con un coltello. Senza che Quarion si degnasse di muovere le mani comodamente poste sotto il mantello, ciocche azzurrine fuoriuscirono dalla cappa, trasformandosi in qualcosa davvero molto simile a fili elettrici. In parte aiutati dalla sorpresa dell'uomo a tale singolare visione, questi raggiunsero presto la sua testa, infilandosi in narici e bocca per tenerlo fermo e poi gli trapassarono cornea, pupilla e cristallino così da afferrargli i bulbi oculari e lasciarli schizzare via dal cranio come tappi di spumante al suono dei boati che riempivano il cielo al nuovo anno.
Lo lasciò in vita, ululante di dolore, ora cieco per terra. Fu perfino così garbato da recuperare e poi posargli con delicatezza fra le mani contorte dagli spasmi quelle due sfere bianche e castane macchiate di rosso che erano rotolate via sulle pietre del lastricato.
Infine sospirò, sollevando lo sguardo al cielo e notando la figura di un uomo divertirsi con una mano mozzata davanti alla finestra. Lo riconobbe: si trattava di quel Kira che tempo addietro si era inconsapevolmente ritrovato prigioniero della sua magione ad Est. Evidentemente aveva smesso con il toccare parti intime maschili ed aveva inaugurato una nuova versione di necrofilia. Spettacolo interessante comunque, davvero.
-Divertiti finchè puoi, mio perverso Kira.
Sorrise potandosi con la destra le ciocche di capelli dentro al cappuccio.
-Sento che ci rivedremo molto, molto presto.SPOILER (clicca per visualizzare)→TENTACOLI INORGANICI»
Derivazione: evocatore
Descrizione: Quarion è in grado evocare "tentacoli" dall'aspetto di fili elettrici o di elementi elettronici. Questi sono collegati al corpo del loro utilizzatore (precisamente sono prolungamenti dei suoi capelli) e fungono come arti aggiuntivi, più forti di quelli organici dell'evocatore. Non possono essere spezzati a mani nude, ma basta una lama qualunque per tagliarli. Il numero dei tentacoli è 10. Alla punta sono perforanti.
Consumo: Medio
Drurata:VariabileMedio.. -
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+++ Voglio una pressione costante sulle prime linee nemiche.
Non devono pensare, non devono riflettere: la loro intera esistenza deve ridursi ad alzare uno scudo ed affondare un'arma. +++
Città Bassa, Contrada della CroceHersìr Hölsbann conficcò la spada nella schiena del soldato laputense, poi torse violentemente il braccio per liberare la lama e diede un leggero colpetto di ginocchia al destriero, facendolo girare su se stesso. L'impeto della battaglia imperversava nelle sue vene, premeva per eruttare all'esterno, ma lui la tenne a freno con la stessa abilità con cui manovrava il suo stallone - in equilibrio fra il gelo e il fuoco, sul filo del rasoio. Non era un berserkìr: la furia di Odino era come un mare in tempesta e lui, coi piedi saldamente posati sulla punta della scogliera, la sfidava salda come la roccia sotto i suoi piedi. Vuoto e calma, ogni emozione sacrificata al rosso fuoco della guerra, finché non era in un lago di vuoto e calma. Vide impassibile l'asta di una lancia allungarsi verso di lui, l'intercettò con la spada e affondò ancora, sbattendo appena le palpebre quando uno schizzo di sangue lo colpì poco sopra le palpebre. Il suo viso era una maschera di calma, e né il roboare nelle sue orecchie né il calore sotto la pelle riusciva a penetrare il vuoto.
La pace, nel bel mezzo esatto della guerra.
Fece voltare ancora il suo stallone, ma presto si avvide che non erano rimasti nemici vivi a contrastare l'avanzata dei suoi cavalieri: chi tra gli 'aviatori' non era morto attendeva di viaggiare alla dimora di Hel sdraiato nel proprio sangue. Con un urlo di soddisfazione alzò la sua arma al cielo e fece impennare il destriero, scatenando i ruggiti feroci delle sue truppe. L'euforia dei suoi ulfsark scorse su di lui come acqua sulla roccia, temperandone la natura ma senza mutarla. Era per questo che viveva, per danzare sul filo del rasoio
Con la coda dell'occhio percepì un movimento. Voltando il capo vide una dozzina di aviatori sbucare qualche isolato più in là da una strada trasversale e fermarsi repentinamente alla loro vista; allora Hersìr Hölsbann urlò un ordine con tutto il fiato che aveva in corpo e prima che i nemici capissero che la loro unica speranza di sopravvivenza era disperdersi nei vicoli e nelle stradine strette in cui i loro cavalli da guerra non potevano raggiungerli il suo intero squadrone era partito alla carica verso i nemici, inducendoli a scappare in massa per la medesima via da cui erano giunti. L'acciottolato della città volante crepitò come ghiaia sotto i loro zoccoli e in men che non si dica svoltarono l'angolo al galoppo più sfrenato, lance e spade in resta.
Piombarono sui mercenari di Borgia come una valanga, travolgendoli prima ancora che si accorgessero che non erano Aviatori; lui stesso uccise due soldati al soldo prima di accorgersi che la loro uniforme era sbagliata, e ormai erano già penetrati nella falange assolutamente impreparata come un'accetta con il tronco. Hersìr Hölsbann gridò ai suoi uomini di fermarsi, ma era troppo tardi: i mercenari, attaccati e in preda al panico, reagirono attaccandoli a loro volta. Ben presto il caos e i rumori della battaglia divennero troppo forti per farsi sentire da chiunque, e lui stesso fu costretto a lottare con le unghie e con i denti contro i loro stessi alleati terrorizzati per rimanere in vita...
Nella direzione da cui erano venuti una donna in uniforme dai pensierosi occhi rossi annuì fra sé e sé ed alzò la mano all'auricolare. « Jattur, qui Argonath: il primo gruppo di mercenari ha attaccato erroneamente i propri alleati. » disse con voce impersonale, come se non avesse appena mandato al massacro decine di uomini. « Proseguo. »
La donna svanì nel nulla, come se non fosse mai esistita.
In un'altra strada, in un'altra contrada, un altro gruppo di Aviatori stanchi, feriti e in fuga comparve all'improvviso di fronte ai nemici...+++ Non dovremo bloccarli, ma rallentarli.
E quando il loro impeto sarà scemato, colpiremo al cuore. Decapiteremo la loro capacità di reagire. +++
Secondo Livello, latifondoIl fumo acre degli archibugi riempì l'aria mentre l'ennesima raffica si abbatteva sui ranghi degli Aviatori, senza tuttavia spezzarne le linee. La battaglia, ferocissima, durava ormai da ore quel giorno, e altri otto giorni prima di quello. Mai Lorenzos aveva affrontato un simile carnaio, anche se il loro capitano sembrava fiducioso della vittoria: i soldati a difesa della città volante -una città volante?!?- resistevano fino all'ultimo prima di crepare, e anche così bisognava dargli una spintarella in tal senso. Come aveva detto il loro capitano, « Questi non sono stupidi briganti del nord vestiti con pelliccia di orso! »
« Caricare! »
Docilmente Lorenzos mise la giusta dose di polvere nera nello scodellino e la palla di piombo nella canna, premendo il tutto alla base dell'arma con lo scovolino. Era così che si vincevano le battaglie, con un robusto muro di picchieri supportato alle spalle da tre file compatte di archibugieri - perché, se anche riuscivi a superare il fuoco costante di pallottole, non avevi certo l'impeto necessario a spezzare il muro di picche in prima fila. Un elefante, ecco, forse quello sarebbe riuscito a sconfiggerli: certo non i miliziani davanti a loro, e persino i grifoni alati potevano fare ben poco quando un terzo degli archibugieri li usava al tiro al bersaglio. Le carcasse piumate e sanguinolente sparse in tutto il livello ne erano la prova.
« Mirate! »
Alzando l'archibugio in posizione orizzontale, si assicurò di piantare saldamente il calcio dell'arma alla spalla, altrimenti il rinculo gliel'avrebbe sicuramente spezzata. Chiuse un occhio, assicurandosi con l'altro che il centro del mirino fosse puntato direttamente al centro del petto dell'uomo che avrebbe ucciso. Un archibugio non è un'arma di precisione, ma non c'è bisogno di precisione quando tre file di archibugieri possono riversare un fuoco costante di palle di piombo sul nemico. Nessuna pausa, nessuna attesa, poiché c'era sempre una fila a sparare mentre le altre due ricaricavano...
« Fuo- »
Accadde tutto in un istante.
Un secondo prima il loro capitano abbaiava i suoi ordini con la calma consueta che ci si aspetta dai propri capi, l'istante immediatamente successivo qualcosa era davanti a lui. Uomo o demone, non lo seppe mai: una sagoma umana -o almeno così sembrava-, cristallizzata a mezz'aria con le ginocchia piegate per assorbire l'impatto della caduta, le braccia già levate. Non ci fu tempo per reagire, per lanciare un grido, un urlo, niente.
L'essere atterrò a terra, l'arma protesa all'indietro nella posizione finale del suo colpo.
Alle sue spalle, lentamente, il corpo decapitato del capitano
cadde di sella e rovinò a terra.
la creatura si voltò
In seguito Lorenzos avrebbe giurato a chiunque che la creatura aveva guardato lui, proprio lui, fra tutti quanti, prima di spiccare un salto impossibile e svanire nel nulla a mezz'aria - che lui e non altri aveva visto il proprio volto riflesso sullo specchio lucido che l'essere aveva al posto del viso. Ricordò e disse di essersi sentito pietrificato, come se tutto l'odio e il disprezzo del demonio dall'asta sfolgorante di blu si fosse riversato su di lui come un'ondata in piena.
Lorenzos quel giorno non sparò la palla di piombo nel suo archibugio. Nè lo fecero gli altri archibugieri.
La pioggia incessante di proiettili era cessata, sia pure per un istante, e quando la polvere calò sulla terra pochi del reggimento di archibugieri erano ancora vivi per raccontarlo.
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Sui tetti del latifondo, a qualche decina di metri in linea d'aria, un soldato in armatura tattica asghabardiana disattivò l'occultamento e atterrò leggero accanto ad un bambino e ad un bizzarro animaletto da compagnia. « Non basta. » sibilò laconicamente Jattur, la stanchezza e la frustrazione chiaramente percepibili nella sua voce. « Grazie a Rajulma abbiamo ucciso praticamente tutti i capitani delle compagnie mercenarie arruolati da Ukkonen, ma ancora non basta. »
Prese fiato, calmando affanno e dolore. Non si era ancora ripreso del tutto dalle ferite riportate a Dimora Ukkonen, ma era comunque sceso a combattere. Così come tutti. Almeno, così gli sarebbe piaciuto pensare. Ma non tutti erano accanto a lui e ad Adam, e a tutti gli altri che versavano il loro sangue per salvare la popolazione di quella città.
« Questa storia non finirà quando la battaglia sarà cessata e i corpi sepolti. » sussurrò, colmo di livore. « Qualuno dovrà pagare. »+++ A quel punto la nostra arma migliore non saranno le spade,
ma la paura e la confusione. Non lasciamogli respiro, facciamoli sprofondare nel panico animale della preda davanti ad un predatore, e non avremmo bisogno di ucciderli tutti per vincere! +++
Terzo Livello, distaccamento industrialeCon un calcio ssALI-bot #168.586 fece saltare il muro dell'edificio, proiettando assieme ai corpi-ospite degli altri nove virus una pioggia di mattoni e calce polverizzata sui nemici da entrambi i fianchi. Quei corpi robotici - "Yotan", figuravano nel database - erano pura ferraglia metallica aggrozzata alla bell'é meglio, decisamente non ottimizzati secondo... beh, secondo qualunque parametro! Insomma, passi che ad Asghabard nessuno avrebbe mai dato un hardware fisionomicamente affine ad un corpo umano ad un'intelligenza artificiale, ma quello era ridicolo.
-caricò il pugno e lo conficcò nella cassa toracica del primo uomo a portata, penetrando usbergo e cassa toracica e tutto-
Vuoi fare un lavoro? Lo fai fatto per bene. Che logica c'è nel costruire un drone da combattimento se poi utilizzi materiali scadenti, un design pessimo e giunture dalla mobilità infima?
-una spada scheggiò il suo braccio sinistro, lui reagì afferrando il proprietario della spada e utilizzandolo come mazza ferrata-
Oh, si, certo, l'Autocrate -era quello il titolo, no?- aveva fatto migliorare qualcuno di essi, ma la maggior parte era ferraglia. Molto, molto, molto al di sotto degli standard asghabardiani. Vabbé.
-prevedibilmente, si ruppe subito-
Per far funzionare quegli accrocchi in modo creativo praticamente tutti i bot creati da Argonath erano costretti a sfruttare in remoto la ram dell'astronave e prelevare terabyte su terabyte di schemi tattici completamente assurdi e irrealistici su Asghabard, ma che per fortuna -o per stramberia- su quel mondo assurdo funzionavano.
-ssALI-bot #168.586 prese un altro soldato e continuò con quello a mazzuolare i colleghi nemici-
Prendiamo le armi. Di base quei cosi-Yotan venivano forniti con qualche arma bianca, qualche lama nascosta e l'occasionale balestra. Se avevano un'arma, beninteso. Trovarne due omogeni per programma ed equipaggiamento? Follia pura!
-un cretino gli tirò addosso una freccia. davvero. -.-''-
Meno male che il software degli Yotan era più che felice di mettersi a disposizione -no, più che felice quasi entusiasta- motivo per il quale furono evitati molti problemi di compatibilità varia tra sistemi algoritmici differenti.
-ssALI-bot #168.586 guardò il cretino, agitò il dito attorno alla tempia nel gesto universale che significava "ma sei scemo o cosa?" e diede svogliatamente un calcio ad un soldato davanti a lui.-
Sta di fatto che era comunque un casino abbestia. Venti intelligenze artificiali, dieci -no, un po' meno- droni da combattimento, un thread di squadra pienissimo di millemila messaggi su cose come "status - fisico", "tattiche nemiche identificate", "potenza impiegata", "condizioni metereologiche", "numero nemici rimasti", "sdrucciolosità selciato", "traiettoriapallonenemico". Suvvia.
-il soldato colpito da un calcio volò urlando contro la casa opposta, impattò fra il secondo e il terzo piano e rimbalzò a terra (non più) urlando-
Passi che le intelligenze artificiali non provano frustrazione. Passi che non si lamentano per cose come stipendi nulli, orari da schiavisti e gratificazione prossima allo zero assoluto. Ma c'è proprio bisogno di far scervellare i chip così?
-un subprocesso analizzò velocemente le urla dei soldati morenti: irrilevanti-
Alla fine il tristo e sconsolato ssALI-bot #168.586 fece a pezzi sanguinolenti l'ultimo dei nemici cui avevano teso un agguato e si collegò al network della sua squadra. Di dieci droni, due avevano subito danni pesanti e altri cinque avevano riportato più lievi abbassamenti dell'integrità strutturale. Contro cinquanta soldati umani morti, faceva una media di ingiuriati pari a sette virgola uno-quattro-due-otto-cinque-sette-uno-quattro-sette ad uno. E quello doveva essere un buon risultato?
Almeno i pezzi erano talmente standardizzati che dei due K.O. se ne poteva rimediare uno sano...+++ Quello che non capisco è perché entrambi gli schieramenti affermino di combattere per Laputa. +++
+++ Gli umani sono più produttivi se motivati. E gli ideali sono una grande motivazione +++
Quarto Livello, mastioAll'improvviso l'avatar dell'Argonath comparve sopra uno dei tetti. Il suo sguardo si abbassò sulla piazza sottostante, dove Drusilia Galanodel e Cesare Borgia duellavano in uno spiazzo volontariamente deserto. Sarebbe stato facilissimo per uno qualunque delle decine di spettatori prendere un'arma a distanza e uccidere il capo dello schieramento avverso, portando alla vittoria del proprio, eppure non uno aveva fatto la mossa più logica. Non molto logico, forse, ma i processi mentali umani erano un processo molto più complesso di quelli di un'intelligenza artificiale.
Almeno in teoria.
Argonath non era sicura della ragione per cui era lì. Non poteva influenzare lo scontro, le sue armi avrebbero potuto obliterare l'intera piazza ma non uccidere un singolo individuo nella folla risparmiando il suo opponente. E probabilmente intervenire a suo soccorso avrebbe causato l'ira di Drusilia, anche se l'intelligenza artificiale era ben lungi dal comprendere il perché. Eppure aveva sentito il... "bisogno", così avrebbe detto un umano?... di assistere.
Strano. Ma tutto sommato innocuo.
Edited by Jattur Shattur - 17/1/2013, 12:31. -
Harium.
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I disordini, le tensioni, invisibili catene che soffocavano le genti.
Uno strattone troppo veemente da una parte, e un’altra ala d’incatenati sentiva le spire metalliche stringersi addosso. Erano state nove giornate di nervosismi, culminate infine in un plateale e intestino conflitto tra le fazioni coinvolte nella piramide del potere laputense.
Il Drago sentiva il richiamo primigenio nell’aria, eppure tentava di sviarlo o d’ignorarlo, ma per quanto ci provasse quello cresceva di giorno in giorno. Era un suono che passava per le risposte stizzite, per i brontolii della strada, per le serrande che chiudevano prima del tempo. E infine il grido del Caos fu assordante, e rimbombò sulle asce, sulle armature e nei dardi sibilanti.
Il Sodalizio invase la sua stessa patria, rivoltando tra loro i fratelli di Laputa. L’esercito straniero fu condotto per le strade, scontrandosi contro le falangi locali. Notte di urla, notte di stridii attraverso il cielo, pigolati dai grifoni impauriti. Cavalcarono il cielo i prodi aviatori, calcarono il selciato i miserabili mercenari, pagati qualche soldo per portare la guerra anche nell’ultimo anfratto delle nuvole.
Harium era scosso, turbato fin nel profondo.
Il panico della gente assaliva i suoi sensi, le fiamme sulla città che punteggiavano di luci il cielo notturno lo inquietavano. Lui era stato generato dal Caos, partorito come Spettro portatore di distruzione.
L’Astro aveva volato per lo spazio, come una cometa sperduta nell’immensità del buio, fredda e sola. Si era rifugiato nel centro delle dimensioni, arroccandosi sull’isola più lontana da tutto, rifugiandosi nell’ordine dei guerrieri senza paura.
Eppure il Caos l’aveva raggiunto.
Rimase così raggomitolato su di un pinnacolo distante, raggelandosi, chiudendosi nel suo animo terrorizzato.
Perché ovunque andasse, il Caos lo trovava sempre.. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)come promesso, ecco il post a Civil War con Grifis^^ spero piaccia.
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Shantotto & Yoko
SPOILER (clicca per visualizzare)« Shantotto »
« Yoko »
- DrusiliaLe urla innocenti e disperate dei cittadini, il tintinnio metallico di armi e scudi dei guerrieri, il sangue, le speranze sommerse sotto il peso dei corpi accasciati al suolo; ciò che con tanto ardore alcuni avevano cercato di evitare, ciò che con tanta viltà altri avevano auspicato potesse esplodere, era infine accaduto.
Le fiamme della guerra bruciavano alte nelle strade dilaniate del Presidio Errante.
Era giunto infine il giorno, il crollo definitivo della fiducia, la rottura di quell'unico, singolo e debole filo che ancora manteneva gli abitanti aggrappati ad una povera speranza. L'autocrate non era più tornato, né mai, ora certamente, avrebbe fatto più ritorno: perito, per mano della figlia che lui stesso con tanto amore aveva accolto fra le sue mura.
Non erano infondate le paure del Gran Maestro degli Aviatori, non erano errate le informazioni che da un ignoto Corvo le erano state passate: avrebbero ceduto, se nessuno fosse intervenuto.
Sotto i colpi delle menzogne, sotto le grida e le calunnie di quei mercanti avrebbero ceduto, e si sarebbero lasciati corrompere, ingannare, accecare, persi e privi della loro più grande ed unica certezza.
Le fiamme della guerra bruciavano alte nelle strade dilaniate del Presidio Errante.
« La nostra posizione è stata a suo tempo già dichiarata.
E puoi star certo, finché resterò su questa poltrona accomodata,
la mia decisione non sarà in alcun modo alterata. »
Si sistemò con estrema calma i piccoli occhialini da lettura poggiati delicatamente sul volto tondo e colorito, proferendo le sue parole senza ancora interrompere la lettura del proprio libro. Si trovava nel suo ufficio personale il Rettore dell'Accademia di Laputa, e rivolgeva le proprie risposte ad uno dei tanti allievi dei Magistri arruolati e già all'opera fra quelle mura.
Pareva contrariato, borbottare per ciò che era stata la scelta del luogo che l'aveva accolto; non faceva anch'essi parte della terra ora in fiamme? Per quale ragione non avrebbero potuto aiutare i soldati a porre termine a quel conflitto?
« Ciò che è mia parola sia chiara e sia divulgata:
la magia che fra queste mura viene insegnata
mai contro il popolo del Presidio sarà impiegata! »
In difesa degli abitanti, in difesa di chi era vittima innocente ed incosciente, e per essa soltanto, la forza del Magisterium sarebbe scesa in campo. Non arma di guerra, non strumento o fazione di battaglia, non spada ma scudo, asilo, riparo e salvezza per chi in quegli eventi sarebbe stato il solo a pagarne il caro prezzo.
Le Toghe Blu erano giunte da Palanthas, e ad esse insieme a chierici e maghi era stato affidato il compito di curare i feriti; Magistri, apprendisti e volontari erano invece stati divisi ciascuno in funzione delle proprie competenze, chi schierato a guardia e tutela di mura ed ingressi, chi arruolato per le strade esterne nella ricerca di chi ancora, travolto o scampato dalla furia del conflitto, cercava salvezza ed un tetto sotto cui riposare e... sperare.
Armati di forconi, trapassati da lame o abbracciati a ciò che di più caro ancora loro restava, quale che fosse il ruolo da essi interpretato in quella battaglia, cittadini, soldati ed aviatori, ma non mercenari ed invasori, sarebbero stati accolti, protetti, aiutati.
In questo si erano impiegati il Prorettore, Demone-Volpe e secondo in comando della piccola Tarutaru, con l'assistente anch'esso Magister Dan Mihai Simion. Furono giorni di disperazione, furono giorni privi di riposo, privi di un sorriso, ricchi di illusione.
Vi fu sconforto, vi fu distruzione, vi fu speranza e vi fu sconfitta.
Nove volte il sole si era issato ad illuminare distese di cenere e sangue; per nove giorni il rumore incessante dei loro passi era risuonato in ogni angolo del Presidio con prepotenza, arroganza, furia cieca ed odio. Per nove giorni avevano marciato, per nove giorni il conflitto era avanzato, ed alle porte del Mastio quell'incubo sarebbe infine terminato.
Erano in prima fila questa volta: Rettore e Prorettore insieme, la figura di una accanto all'altro, alle spalle dell'avanzata fiera e decisa dell'unica donna su cui ogni speranza era oramai riposta.
Era stretta la mano del Demone, ed in essa la magia vibrava forte, incatenata e pronta ad esser rilasciata. Se anche lei fosse caduta quel giorno, se anche lei sarebbe dovuta essere l'ennesima inutile vittima di un conflitto tanto stupido...
« Non un solo passo. »
Spostò lo sguardo verso il basso, ad incrociare la tempesta silenziosa del suo volto rotondo.
Lo sapeva bene quanto quella piccola donna non ammettesse replica alle sue parole... ed ancor meglio conosceva le conseguenze spettate a chi aveva avutoil coraggiola follia di farlo.. L'aveva seguita, aveva condiviso le sue scelte e l'aveva appoggiata, ma quanto in là lo sguardo della piccola Tarutaru era stato in grado di spingersi?
Qual'era il confine a tutti sfuggito ma a lei così chiaro e delineato?
-Il vostro Campione contro di me.
Sorrise Shantotto in direzione del Demone, dal basso del suo metro enfatizzato di altezza, sorrise con una smorfia che al suo cospetto, in quel momento, tutto poteva esser fuorché una beffa sgradita.
« Dove non basta la pelle del leone, bisogna attaccarvi quella della volpe. »
E sorrise il Demone di suo rimando, un pochino incredulo ed altrettanto (lui sì) beffardo.
Si riscoprì d'improvviso tanto calmo quanto eccitato:
« E chi la butta giù quella? ». -
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Guerra.
Si trovava per le strade di Laputa quando l’invasione era cominciata, aveva bisogno di concedersi una passeggiata per riflettere sulle possibilità e su cosa fare del prigioniero catturato nove giorni prima.
Il ragazzino dai capelli bianchi era un pensiero marginale, in realtà, lo premeva soprattutto riuscire ad anticipare le mosse del Sodalizio.
Probabilmente avrebbero chiamato un assemblea generale, detto agli altri presidi che il goblin era stato ammazzato dal suo ufficiale e che quindi la Galanodel avrebbe dovuto essere come minimo incarcerata.
Blandamente si chiese perché quella sciocca di Drusilia non avesse gestito la cosa in maniera più efficace, fabbricando false prove e addossando lei per prima la colpa a quei codardi contamonete i quali ora avevano tutte le possibilità di imbastire immensi apparati burocratici per minare la sua autorità al riparo delle loro costose casette.
Sicuramente non si sarebbe mai aspettato un’invasione
L’esercito nemico, affittato da quei luridi traditori, si stava facendo strada attraverso le cerchie di Laputa a velocità allarmante e lui doveva muoversi il più rapidamente possibile per tornare al Mastio, sicuramente lì ci sarebbe stato più bisogno della sua presenza.
Già se la immaginava, Drusilia, a lanciare ordini con fare sicuro e austero mentre in realtà moriva dentro ogni volta che comandava di respingere gli invasori, ben sapendo che molti dei propri soldati sarebbero morti per difendere la sua casa.
Quella donna aveva la pessima abitudine di considerare ogni sottoposto e ogni cittadino dell’Isola nel Cielo come se fosse uno dei suoi figli, il che la rendeva amata dal popolo da una parte ma dall’altra le impediva di prendere le decisioni difficili quando era necessario.
Per fortuna aveva anche la pessima abitudine di fidarsi, ad esempio di lui, ciò gli avrebbe reso meno complicato manipolarla quando fosse stato necessario.
Intanto che rifletteva tutte queste cose, l’Antico si aggirava per i viottoli secondari della Città Alta evitando accuratamente ogni battaglione nemico.
Conosceva quelle strade come e più del palmo delle proprie mani, avendo passato intere notti a vagare per le stradine che componevano la cerchia più interna dato che la cosa lo aiutava a pensare, ora ringraziava fortemente il fatto di non dover dormire, poiché la cosa gli permetteva di muoversi per la città senza farsi vedere e continuò finché qualcosa non lo distrasse.
Si mosse verso la strada principale appena in tempo per vedere molto più indietro sulla via un mago mercenario, a capo di un battaglione, che annichiliva con la propria magia oscura un gruppo di bambini terrorizzati lasciando crollare al suolo solo i loro cadaveri carbonizzati.
Un gruppo di aviatori si scagliò alla carica contro l’unità nemica passandogli davanti senza vederlo ma non avevano alcuna possibilità, il mago mercenario ci mise assai poco a usare uno dei propri incantesimi per far esplodere il capitano degli aviatori, terrorizzandoli al punto da mandarli in rotta.
Fu allora che uscì dal viottolo in cui si trovava, con un lampo di luce focalizzò su di se l’attenzione dei LAM in fuga i quali, alla sua vista (conoscendolo di fama) si ripresero, serrandosi attorno a lui.
Intanto anche i mercenari erano giunti, il loro mago-capitano ancora si sollazzava ridendo selvaggiamente e con espressione selvaggia scagliò alcune lance oscure verso gli aviatori impauriti, il ricordo della fine fatta fare al loro stimato capitano era ancora piuttosto vivido nelle loro menti.
I dardi però non ferirono nessuno, anzi, impattarono contro uno scudo di pura luminosità e si frantumarono innocui.Ah, allora sei tu l’Aviatore mago della luce di cui si parla, si dice che tu sia piuttosto potente ma io dimostrerò agli altri che si sbagliano, gli dimostrerò che l’oscurità è più forte della luce!
Dimostrerò loro che io Mastre, sono più grande mago oscuro viven…
Il cadavere del capitano nemico crollò al suolo, mentre un rivoltante odore di carne abbrustolita si sollevava dalla carcassa la cui parte superiore era completamente annerita.
Gli aviatori guardarono con un misto di rispetto e terrore l’antica mummia che ora li capeggiava, colui che dopo aver stordito due guardie, essere entrato urlando all’interno dell’Albero Casa ed essere stato accolto direttamente nell’ufficio del Gran Maestro, era diventato aviatore Blu prima e poi Magister.
I mercenari invece lo osservavano terrorizzati, avevano creduto che il loro capitano fosse un mago potente, un vero signore della magia quando era bastato solo un incantesimo da parte dell’avversario per fare scempio del suo corpo, quello fu il loro primo errore.
In preda alla disperazione, caricarono comunque, quello fu il loro ultimo errore.Uccideteli.
Bastò una parola perché gli Aviatori si mettessero in formazione difensiva, pronti alla battaglia, una battaglia che però non ci fu poiché quando i nemici furono abbastanza vicini il Sommo evocò dietro di loro un battaglione scheletrico e questi, trovandosi circondati, si dettero a una fuga disordinata che portò alla morte di tutti loro e di nessuno degli uomini capeggiati da Khatep.Andiamo.
Abbiamo altre cose da fare, ci dirigeremo al Mastio e stermineremo ogni mercenario che incontreremo sulla via, oltre a soccorrere i civili.
Quella era ora la sua casa.
Quello era ora il suo popolo.
Così come quando era Sommo Sacerdote aveva difeso Khemri dall’assalto delle mostruosità del Chaos, ora avrebbe protetto Laputa da tutto ciò che avrebbe potuto ferirla.
Poiché non importava quanto fosse senza scrupoli, sadico, crudele, malvagio o incline all’inganno, al raggiro e alla mistificazione; Khatep non avrebbe permesso a nessuno di invadere o fare del male alla sua terra.. -
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Riaprii gli occhi nell'infermieria degli Aviatori solo qualche giorno dopo il termine di quel rabbioso conflitto. Vi vollero cure intensive e prolungate per rimettermi in sesto, fui costretto al sonno ed al riposo, ignaro delle ostilità definitivamente esplose nella quiete della mia incoscienza.
Vittoria era stata chiamata... noi, Aviatori di Laputa, avevamo sconfitto gli invasori, costretti alla ritirata in quel loro assalto vile ed infame. Era stato persino conquistato un prigioniero dal nostro sacrificio, eppure... null'altro che sconfitta poteva accogliere il mio risveglio.
L'assalto che già nei miei confronti era stato perpetrato, quel giorno ancora una volta scoprii essersi ripetuto: il popolo esplose in massa, fummo costretti alla ritirata, alla fuga. Per... cosa? Per aver cercato di salvare loro le vite? Menzogne... erano bastate delle stupide menzogne per rivoltare un intero Presidio contro se stesso! Ma il nemico questa volta era stato infine dichiarato... non sarei rimasto ancora a riposare, non avrei permesso che le fiamme della guerra corrodessero ancora una volta la mia casa.
Era giunto il nono giorno, l'ultimo infine di ciò che parve essere un interminabile conflitto.
Vi erano ancora delle bende ad avvolgere il mio corpo, sotto la protezione dell'armatura: alcuni dei tagli, alcune delle ferite riportate nella battaglia non ebbero tempo di rimarginarsi, e mai, forse, sarebbero state in grado di farlo.
Le armi... fidate compagne di una vita, erano nuovamente al mio fianco. Alcune di esse vennero perse nella battaglia contro gli invasori; lo scudo infranto, le lame sparpagliate... ne venne recuperata qualcuna, delle altre invece dovettero essere ricostruite, forgiate e rinforzate nel più misero dettaglio ad immagine e somiglianza delle precedenti. Mai avrei potuto combattere senza loro al mio fianco...
- La scontro finale ha inizio!
Drusilia ha sfidato Cesare!
La voce per un istante placò gli ardori della piazza: le armi di tutti ascoltarono in silenzio, ed il capo dei presenti, il mio incluso, volse al Mastio.
Drusilia... era lei l'ultima speranza, la sola Rosa capace di donare una nuova luce al nostro Presidio...
« Qualunque sarà l'esito dello scontro... »
Un urlò si alzò brutale nell'aria, e le fiamme ripresero a bruciare alte e violente.
« ...noi ti seguiremo. ». -
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Edited by flama - 30/1/2013, 22:32. -
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Edited by Kallisto - 4/2/2013, 17:32. -
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Afferrò al volo l'elsa del Keyblade roteante in aria e lo mosse in un violento arco alla sua destra, spaccando la testa del soldato che aveva cercato di infilzarlo con la spada. L'arma guizzò e roteò nelle sue mani come indemoniata, bevendo il sangue di chiunque fosse a portata, e il Nessuno lo seguiva cercando di tenere il passo. La piazza sembrava immersa nella penombra, il sole oscurato dalla cosa di tenebra viva che fremeva nelle sue mani mentre sventrava, decapitava e mutilava, ingorda come il suo Custode non sarebbe mai stato, il terrore dei soldati un lezzo soffocante che si aggiungeva a migliaia di altre scie: Odio, Rabbia, Disgusto... la lista sembrava infinita.
E più il caos insensato di Laputa cresceva, più lui accumulava potere.
Alla fine l'Animo Oscuro strappò via l'anima dell'ultima delle sue vittime e fu la quiete, in quel caposaldo difeso strenuamente. Il Nessuno osservò con occhio critico i corpi smembrati e il sangue viscido che copriva il selciato nascondendone completamente il grigio chiaro. Era la quinta piazza in cui non lasciava nient'altro che cadaveri dietro, e tale era stato l'orrore delle altre quattro che nessuno - né Aviatore né mercenario - aveva ancora osato dare sepoltura ai caduti. Parte di quell'orrore era vero, parte era l'effetto di una malia, ma l'effetto rimaneva.
Finalmente soddisfatto del suo esame, Xord GIk annuì una singola volta.
« Bene, adesso le cose serie. » sussurrò fra sé e sé.
Chiuse gli occhi, escludendo il mondo dalla sua mente. Una scintilla di magia eliminò i suoni della battaglia e l'odore metallico del sangue. Si concentrò solo sul potere che scorreva nelle sue vene: lo coccolò, plagiò, lo concentrò, lo cullò dentro di sé come un bambino, o forse come migliaia di lupi rabbiosi ansiosi di sbranare tutto e tutti. Il suo intero essere si tese, sforzandosi di contenere una massa imponderabile; persino coloro privi di talento magico avrebbero potuto percepire l'immane potere di quell'uomo vestito di nero e dagli occhi rossi come il sangue che lo ricopriva.
Poi... lo rilasciò.
Con un urlo conficcò il suo Keyblade e il suo potere nella roccia della piazza, impregnandola dell'energia corrotta e letale che aveva bisogno per attivare l'incantesimo. L'aria fu scagliata all'indietro con un gorgoglio nero, e fu vuoto totale attorno a lui per un singolo, cristallino attimo. Socchiuse gli occhi, teso come una corda di violino, e con la pura forza della magia sollevò in aria i resti della carneficina spostandoli secondo il suo volere. Come nelle altre quattro piazze disegnò con pietra e sangue e carne morta un unico, immenso simbolo composto da migliaia di glifi ramidificati gli uni sugli altri, in un disegno troppo complesso per essere colto a colpo d'occhio. Il potere drenò dalle sue membra come un fiume in piena, dieci volte più di quanto qualunque incantesimo in passato su quel mondo disgustoso gli avesse richiesto, e con esso le energie - ma tenne duro, anche quando gli altri quattro simboli si disegnarono da 'soli' nelle altre quattro piazze disposte a pentacolo attorno al Mastio.
Alla fine i cinque sigilli smisero di prosciugarlo dell'energia accumulata in nove giorni, e lui si accasciò al suolo. Sfinito, si concesse per cinque lunghi secondi il lusso di rimanere inerte. Poi, con quello che era nelle sue condizioni uno sforzo titanico attivò l'incantesimo che aveva così lungamente e faticosamente costruito - e ovunque a Laputa il cielo e le strade divennero nere, prima di vomitare esseri mai visti prima d'ora. Per mesi aveva evocato Heartless, nascondendoli nelle profondità aspre e irraggiungibili di Geisine, e ora un esercito immane era vomitato dai varchi interdimensionali creati dal suo incantesimo: ovunque una mano si fosse levata contro gli abitanti di Laputa, chiunque avesse provato Odio o Rabbia contro i legittimi difensori avrebbe subito l'ira di migliaia di demoni assetati di emozioni malvagie, disposti a tutto pur di corromperli e trasmutarli in loro simili... perennemente affamati, privi di pietà o compassione, inarrestabili con ogni mezzo fino alla loro distruzione ultima.
E mentre nelle strade gli invasori urlavano di paura e orrore, l'essere che si faceva chiamare Godrik vonTabark sorrise.
C'era ancora una cosa che doveva fare, ma per quella doveva attendere....