Civil War

riepilogo.

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    Viaggiatore dei Mondi

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    "Quo in discrimine versetur salus mea et bonorum omnium atque universae rei publicae ex eo scire potes quod domus nostras et partiam ipsam vel diripiendam vel inflammandam reliquimus. In eum locum res deducta est ut, nisi qui deus vel casus aliquis subvenerit, salvi esse nequeamus. Equidem, ut veni ad urbem, non destiti omnia et sentire, et dicere, et facere quae ad concordiam pertinerent; sed mirus invaserat furor non solum improbis, sed etiam iis qui boni habentur, ut pugnare cuperent, me clamante nihil esse bello civili miserius. Itaque, cum Caesar amentia quadam raperetur et, oblitus nominis atque honorum suorum, Ariminum, Pisarum, Anconam occupavisset, urbem reliquimus: quam sapienter aut quam fortiter, nihil attinet disputari".

    Marco Tullio Cicerone.

    png

    Sulle antiche pietre della Città Celeste i riflessi rosei dell'alba giunsero quel dì come messi di un terribile presagio di sventura, ed il sangue versato sarebbe presto confluito allo spargersi di tinte vermiglie dei giorni passati.
    Nove giorni erano trascorsi dall'inizio della fine: non un'invasione ma un caotico susseguirsi di rivolte interne, che come un cancro distrussero giorno dopo giorno l'intera isola dall'interno, consumandola ed avvolgendola in un clima di terrore e morte, straziato dalle urla di chi, sventurato, non aveva trovato riparo per proteggersi. Prima i contadini, poi i mercanti, e poi gli artigiani, i sacerdoti, i soldati: nessuno si era innalzato al di sopra di quei deliri immotivati, di quel terrore, completamente smarriti, e sia giusti che criminali si erano piegati al richiamo del sangue. Fratello contro fratello, ciascun abitante di Laputa trovò in quelle nove giornate ragione per dare sfogo alla propria violenza: chi per divertimento, chi per sadismo, chi per ideali, chi semplicemente per difendersi o difendere. Ma in una guerra il prezzo di un pensiero era ben poca cosa di fronte alle armi ed alla fiumana umana che procedeva a ritmo forzato, e così le parole dei saggi furono messe a tacere, mentre con le spade sguainate si marciava verso il Mastio.

    Le porte della Città Bassa avevano ceduto per la prima volta all'avanzare di un esercito mercenario. Non cadute ma accompagnate, perchè perfino fra i soldati fedeli alla Dama, alcuni avevano scelto le forze avverse, coscienti di quanto le loro presenze -ed i fiorini nelle loro tasche- fossero necessarie alla sopravvivenza dell'Isola dei Cieli. Senno o pragmaticità che fosse, la conseguenza fu la stessa: più rapidi di qualunque straniero, questi entrarono nel Presidio Errante con estrema facilità facendosi largo fra la folla e coloro che, in memoria di favori passati o per semplice ideologia, avevano scelto di fermarli. E così cadde l'Aviatore, come il padre di famiglia o il ragazzo più giovane. Così cadde la schiava liberata ed il sacerdote che si chinò pietoso su di lei. E sui loro corpi cadde anche il mercante colpito da un dardo alla gola, ed il mercenario a cui scudo e spada non erano bastati davanti alla forza di un mago.
    L'esercito passò oltre, e lasciò dietro di sè una scia di sangue.

    ll ritmo incalzante dei passi dei mercenari in armatura raggiunse quindi il Latifondo, e lì dove tutto era iniziato, sulla terra spoglia di un campo a maggese si concluse una delle più terribili battaglie che la storia di Laputa potesse mai ricordare, ed il sangue di fratelli scorreva fra le irrigazioni. Spade sguainate, forconi e falci, ed un enorme albero ricolmo d'armi a farne da giudice: cadde il contadino ed il suo aiutante, cadde l'Aviatore ed il soldato.
    L'esercito passò oltre, e dietro di sè una scia di sale, così che nulla potesse crescere al suo passaggio.

    Il clangore delle armi divenne sveglia per coloro che abitavano nei Distaccamenti Industriali, ricordando loro l'intrinseca falsità dei placidi sogni nel dormiveglia, convinti di essere al sicuro nei propri letti: la marcia continuava, e nulla resisteva al passaggio dell'esercito. Folli coloro che, attaccati ai loro beni materiali, scesero alle botteghe; furono in molti a dare in cambio la vita: chi scambiato per invasore e dunque attaccato, chi per difensore, dunque attaccato comunque. Non c'era scampo per chi usciva dalla propria porta. E così cadde l'operaio ed il mercante, il venditore e la massaia. Cadde anche l'Aviatore, i tenenti ed i doganieri.
    L'esercito passò oltre, e lasciò dietro di sè solo distruzione, cibo e corpi lasciati a marcire.

    Giunse infine il turno della Città Alta, e lì l'esercito si trovò sparpagliato: laddove Aviatori e soldati avevano preparato la loro ultima linea di difesa le forze del Sodalizio non riuscirono totalmente a penetrarne le fila. E proprio lì, ai piedi del Mastio, sotto lo sguardo severo di un albero secolare, i capi della rivolta avanzarono a testa alta, reclamando a gran voce la resa della Dama.

    " Soldati di laputa, Liberi Aersi Milites e tutti coloro che si ostinano a difendere chi ha tradito Laputa e il suo Autcrate. Siete tagliati fuori da qualsiasi tipo di rifornimento, controlliamo l'area da cui dipende il nutrimento di tutti, e quella in cui vi sono tutte le industrie. Quasi tutta la città e soprattutto le sue risorse sono sotto nostro controllo. Se non saranno le nostre spade ad uccidervi lo sarà la fame.
    Non ha senso versare altro sangue, quando l'esito di questo conflitto è ormai scontato. Vi proponiamo un accordo: se vi arrenderete e non difenderete ulteriormente il Mastio, garantiremo l'incolumità di tutti, senza eccezioni né ripensamenti, sia durante che dopo la ripresa del castello. Saremo clementi persino nel giudicare chi detiene la maggior parte delle colpe.
    Non vogliamo vendetta, ma solo che vi facciate da parte e lasciate Laputa a chi ha sempre agito legittimamente.
    "

    Tuonò a gran voce Jepsen Hughes, nuovo punto di riferimento dell'esercito in seguito alla dipartita di Ukkonen. E tutti gli occhi rimasero su di lui, in testa al corteo, finchè le porte del Mastio non si spalancarono, rivelando al loro interno una figura femminile vestita di bianco. Lunghi capelli castani ricadevano sulle spalle diafane, ed occhi verdi tuonanti odio represso per troppo tempo fissi sugli "invasori". Ecco la ragione per cui aveva mentito: esattamente come previsto, non appena la notizia dell'Autocrate scomparso le era sfuggita di mano, un'incredibile quantità di cittadini si era rivoltata al suo stesso Presidio, sporcandosi la bocca con parole come "orgoglio", "giustizia", "patriottismo" o "legittimità" senza poi dar peso al sangue dei suoi stessi fratelli che ora come nove giorni fa era stato versato senza una reale ragione che non fosse il loro modo di fare estremista.
    Incoerenza, ecco cosa era.
    Un'incoerenza costata vite, e quelle non avevano prezzo.
    Nemmeno per il Sodalizio.

    -Siete venuti a chiedere che sia fatta giustizia, ma io vedo armi sguainate, violenza contro il popolo e pura forza bruta: è questo a rendervi i legittimi successori dell'Autocrate?

    Non le servì alzare la voce, perchè non appena aprì bocca calò il silenzio.

    -Non ho alcuna intenzione di lasciare il Presidio Errante nelle mani di uomini incapaci di capire anche una cosa così semplice. Ma se per voi è necessario versare del sangue o aprire le porte dell'oltretomba, che siano gli interessati a farlo. Propongo un duello, qui ed ora: chi vince otterrà il potere, e potrà far dell'altro ciò che vuole.

    Una lunga pausa seguì quella dichiarazione, forse per ponderare quella che a tutti gli effetti era una proposta allettante, soprattutto per il Sodalizio.

    -Il vostro Campione contro di me.

    E se prima il silenzio fu sintomo di riflessione, in quel momento ebbe un retrogusto assai particolare. Centinaia di emozioni si ammassarono fra la folla di soldati, mercenari ed aviatori. C'era concitazione, paura, eccitazione, timore, dubbio, terrore. Eppure nessuno si fece avanti, e l'intera scena fu come congelata per lunghi, forse eterni attimi di muta attesa.
    Fu un rumore metallico a destare i figuranti di quello spettacolo, un suono di passi lenti ma sostenuti provenienti dalle retrovie dell'esercito mercenario. Un uomo in armatura si separò dai compagni, e senza voltarsi raggiunse il piazzale dove sostava la fanciulla.
    L'aria vibrò, gli occhi dei presenti fissi su di loro.

    Nell'attonito silenzio che regnava intorno a loro, il cavaliere si tolse l'elmo e lo lasciò cadere sulla pietra bianca; il suo tonfo secco, la risposta al guanto di sfida.



    Guerra Civile e Censimento
    XXII - XXX giorno del dodicesimo mese - Hadar, "Mese della Luna d'Argento".
    In quelle che nella storia prenderanno il nome di "Le Nove giornate di Laputa", il Presidio Errante si troverà dilaniato dalla Guerra Civile che, nei primi otto giorni assumerà i connotati di rivolte popolari mentre, nell'ultimo, diverrà una vera e propria invasione da parte di un esercito mercenario assoldato dai potenti del Sodalizio.
    Questo marcerà fino ai piedi del Mastio, dove la Dama del Vento proporrà una risoluzione rapida del conflitto, così da non versare ancora sangue inutilmente.

    In tutto questo, nell'ultima giornata, centinaia di abitanti, aviatori, soldati e mercenari perderanno la vita, e gran parte della Città Alta sarà rasa al suolo. Ed in questo delirio di violenza immotivata, ciascun cittadino residente nell'isola farà i conti con la dura realtà dei fatti. Chi nel disperato tentativo di fuga, chi nascondendosi, chi imbracciando le armi e scendendo in campo: ciascuno di loro ha una storia da raccontare, una testimonanzia che, volente o nolente, fa parte della storia di Endlos.
    Così lo sono anche le immagini impresse negli occhi di quei pochi stranieri che, per sfortuna o propria volontà, si son trovati all'interno dell'isola durante l'invasione.

    Ciascun cittadino di Laputa è invitato a postare un solo intervento per ogni personaggio residente nella stessa, così da confermarla, ed in cui narra della propria esperienza durante la Guerra Civile. Lo stesso possono fare pg non residenti, se hanno intenzione di partecipare al topic di riepilogo con un proprio intervento.

    Sebbene il post sia una narrazione a sè stante, per azioni autoconclusive come far esplodere palazzi, uccidere gente, nascondersi nel Magisterium o simili siete pregati di chiedere l'autorizzazione a Drusilia Galanodel tramite mp, messaggio nel topic in Bacheca [qui] o per via privata.

    Il topic resterà aperto fino al termine della campagna, ed oltre solo in caso di esplicita richiesta allo staff.

    I personaggi giocanti impegnati nelle quest Brutal Raid e Soltanto per Amore non sono autorizzati a postare prima della conclusione delle loro rispettive quest.


    Edited by Drusilia Galanodel - 23/2/2013, 11:45
     
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    Aeriel Glade

    Guerre e conflitti di ogni sorta si susseguivano nella storia di ogni luogo e di ogni tempo, ciascuna terra immemore delle tragedie degli scontri passati o semplicemente assetata di potere e distruzione.

    A chi è immortale o semplicemente a chi ha vissuto per molto tempo, tali questioni finiscono presto per risultare assurdamente stupide o ironicamente divertenti, tuttavia esiste anche un altro caso, coloro che smettono di provare emozioni a riguardo, vivendo gli avvenimenti con la freddezza con cui si può vivere un racconto altrui.

    Questo era il caso di Aeriel. Benché membro dei LAM, infatti, non sentiva quello scontro come il proprio, quanto piuttosto un qualcosa per combattere la noia dell'eternità. Così, quando fu annunciato lo scontro tra Drusilia ed il campione degli "sfidanti", l'elementale pensò bene di liberare il campo e di raggiungere una posizione dalla quale gli sarebbe stato semplice ammirare la storia ripetersi o formarsi, a seconda dei punti di vista.






    Roarwüls Twins

    marcus_minidaniel_mini
    CITAZIONE
    Narrato / M: narrato Marcus / D: narrato Daniel
    Parlato Marcus / -Pensato Marcus-
    Parlato Daniel / -Pensato Daniel-
    "Parlato Peter Gregson"

    Vari accadimenti avevano condotto fino a quel momento, raramente tali accadimenti seguivano i piani dei due gemelli, ma loro erano giovani, inesperti, od almeno probabilmente era ciò che gli altri del Sodalizio pensavano. Il distinto gentiluomo che solitamente si faceva accompagnare da loro due, ora non c'era... e probabilmente non sarebbe mai tornato (almeno non quella versione del cyborg, ormai obsoleta).

    Se ne stavano tranquilli in uno dei trabiccoli di Marcus (od almeno così li chiamava Daniel, il gemello), la loro posizione? Be', diciamo sotto terra, non troppo naturalmente, considerando che nessuno dei due aveva particolarmente voglia di cadere dal fondo dell'isola all'interno di una talpa meccanica.

    Naturalmente Marcus si era premunito di rilasciare, liberi nel vento, vari insetti di sua progettazione, in modo da poter tenere d'occhio ciò che succedeva in superficie.
    D: ...ed io ho preparato il pranzo al sacco!
    M: Dan, non gliene frega niente a nessuno, lascia parlare il Narratore; prego, continui pure.
    D: Dici così solo perché ti sta leccando il culo, vero?!
    M: Sta semplicemente dicendo che non sono uno sprovveduto...
    D: Certo... Vabbè...
    *Il Narratore si schiarisce la gola*
    Come dicevo... nulla poteva sfuggire agli occhi vigili dei due gemelli, collegati ad ogni telecamerina inserita negli insetti volanti grazie ad una comoda interfaccia che si trovava nella parte "meccanica" dei loro corpi.

    Oh, guarda, pare che la reginetta del Castello Marcondirondello voglia uno scontro uno contro uno. Visto che ho fatto bene a dirti di mettere il microonde in questa scatoletta?! Ora possiamo farci i popcorn!!
    Ok, Dan, lo ammetto, a volte non tutto quello che dici è una cretinata.

    Graz... Ehi!

    I due bisticciarono ancora per un po', forse per il fatto che l'abitacolo era leggermente più piccolo di una villa, ma presto si sarebbero concentrati su ben altro: lo scontro stava per avere inizio.

     
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  3. Virginia Naïlo
     
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    Virginia Nailo
    Aviatore

    Riferimenti a 23 e Dan Mihai Simion

    -Da questa parte non c'è nessuno!

    Correva al suono del metallo, e la marcia accompagnava i suoi passi verso un luogo sicuro: il suo gruppo era stato colpito dal fuoco nemico non appena l'esercito del Sodalizio aveva varcato la soglia della Città Alta, e per quanto fosse capace nelle arti curative, ciò che era accaduto dopo non le aveva dato modo di fermarsi ed aiutare i suoi compagni. Era per quella ragione che, raggruppati gli altri, aveva optato per una ritirata, almeno il tempo che le bastava per una benedizione curativa decente in grado di farli rimanere in piedi e combattere. Superarono il terzo incrocio, ed un'esplosione sulla destra la sbilanciò sul lato, mentre l'aviatore appena dietro di lei inciampò nelle proprie gambe.

    civilwarvirgi2

    Strano a dirsi, ma si ritrovò a tossire per del fumo nero che, non comprese il perchè, avvolse tutto ciò che le era attorno: non poteva sapere cosa fosse esploso lì vicino, e con tutta quella puzza di bruciato, gli occhi umidi per la sporcizia che regnava sovrana, iniziò anche a perdere l'orientamento, come se la situazione non fosse già disperata. Per un attimo finì perfino per credere di avere le allucinazioni, perchè fra le nubi nere che avvolgevano la via fu quasi certa di aver intravisto il volto di 23, lo schiavo della Quinta Bolgia. A dire il vero, rimase a fissare quel punto per lunghissimi attimi come un'ebete, questo finchè i conati di vomito e sangue di uno dei suoi commilitoni non la riportò bruscamente alla realtà.

    -Avanti, un ultimo sforzo.

    Prese l'amico per terra, lasciando che si posasse sulle proprie spalle. Gli aveva detto di un porticato al riparo, ma iniziava a dubitare che fosse ancora in piedi. E se l'avessero già superato? No, non era possibile. Il porticato era più avanti, così ricordava. Così sperava. Così pregava.

    -Manca poco, manca poco.

    Si ritrovò a ripetere, non più agli altri ma a sè stessa.
    Poi un'altra deflagrazione, questa volta terribilmente più vicina. Virginia si sentì scaraventare qualche metro più avanti, mentre l'aviatore posato sulle spalle era sfuggito dalla sua presa.

    -Vralok resta giù, non è successo niente.

    Sussurrò al primo tentativo di rialzarsi. Ricordò che ce ne vollero almeno quattro prima di riprendere pienamente coscienza e sollevarsi con il busto. In posizione seduta sul lastricato si rese improvvisamente conto di quanto le sue gambe tremassero, quanto lei tremasse: era una suora, per il cielo! Non poteva essere pronta a tutto questo, anche se portava con sè il titolo di Aviatrice. Nessuno poteva, solo i mostri potevano.

    -Una ragazzina non dovrebbe essere qui, e nemmeno portare quello stemma sul guanto.

    Fu allora che Virginia si rese conto di tutto.

    civilwarvirginia1

    Gli occhi color nocciola si sbarrarono, mentre la vista appannata metteva a fuoco la figura di un mercenario vissuto e con una grossa cicatrice sulla guancia, eretto proprio sopra al corpo senza vita dell'aviatore che pochi attimi prima lei stessa teneva stretto fra le braccia. Portava un'armatura di cuoio borchiato e stretta in pugno una spada sguainata macchiata di rosso, mentre con sguardo spento osservava la sua prossima vittima. Se lo avesse incontrato altrove, Virginia non avrebbe mai pensato che fosse malvagio, e perfino ora che avanzava verso di lei come suo assassino, qualcosa le suggerì che non volesse davvero farlo. Forse era lo sguardo maturo a suggerirlo, o quell'aria fiacca che solo lo scorrere del tempo può generare anche nel più scalmanato dei combattenti. Aveva una cinquantina di anni: ad occhio e croce sarebbe potuto essere suo padre.

    -Raggiungerai il tuo amico, prometto che finirà in fretta.

    E così l'uomo levò la lama, pronta ad assaggiare altro sangue nemico. Eppure questa cadde al suolo, esattamente come la sua testa sgozzata. Il corpo si accasciò inerme, ed un ragazzo dai capelli biondi apparve dal nulla, tendendole la mano.

    -Non aver paura, sono un amico.

    Ed allora Virginia pensò davvero di avere le allucinazioni, perchè alla luce delle fiamme fra la paglia ed i detriti, sul muro dietro di lui vide chiaramente l'ombra di sei ali.

     
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  4. Dan Mihai Simion
     
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    Dan Mihai Simion
    Magister

    Riferimenti a Virginia Naïlo

    Si muoveva rapido come una scheggia, saltando da un tetto ad un vicolo, da una panchina ad una recinzione al pari di un gatto. Ed intanto gli occhi celesti osservavano l'ironico spegnersi si Laputa fra le fiamme.

    Un'esplosione, e poi un altro crollo: sembrava quasi che gli edifici della Città Alta fossero per una qualche magia divenuti di cartapesta, e fra sè convenne che se questa follia fosse durata ancora qualche ora, del girone sarebbe rimasto davvero poco o nulla. Schivò un masso volato da chissà dove, ed intanto si lanciò in un muro di fiamme, uscendone totalmente illeso e raggiungendo un enorme spazio vuoto. Si guardò intorno: da quell'angolazione il Magisterium sembrava ancora più grande, forse perchè l'unico rimasto in piedi in quel quartiere. Protetto dalla magia e dalle menti più geniali di Endlos, nemmeno l'attacco mercenario era stato in grado di scalfirlo, ragion per cui molti cittadini avevano supplicato asilo al suo interno durante le nove giornate. Così avevano ospitato uomini, anziani, donne e bambini: ora come ora non c'era una parete o un corridoio libero da letti e brande evocate o generate da evocatori ed elementalisti... e c'era ancora troppa gente per le strade, fra i soldati ed i cadaveri. Lui stesso aveva scelto di uscire allo scoperto per salvare il salvabile, grazie alla concessione del Prorettore.

    Un'altra esplosione attirò le sue attenzioni, e la voce di un uomo rivolto ad una ragazzina... che cosa pensava di fare in fretta???
    La guerra è terribile, insensata il più delle volte: forse era per quello che molti maghi preferivano starsene alla larga, preferendo o professando la neutralità. Perchè non aveva senso farsi battaglia per un titolo, come non era umanamente concepibile uccidere una bambina trovata per strada, ferita ed oltremodo spaventata, solo per colpa di uno stemma. Lo stemma degli Aviatori.
    Non gli ci volle nulla a staccargli la testa: una semplice parola sussurrata quasi fra sè, ed ecco che il capo dell'uomo aveva preso a rotolare lontano dal suo corpo privo di vita.

    -Non aver paura, sono un amico.

    Si avvicinò a lei lentamente, cercando di non respirare tutto quel fumo che li circondava. Non potè non notare come tremasse, ma cercò di non mostrarle il proprio dolore così da darle abbastanza forza per rialzarsi.
    Le tese la mano.

    dancivilwar

    -Sei ferita, ti porto al Magisterium.

     
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  5. Rygdea
     
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    La Sentinella era stanca, stanca da morire.
    Le sue membra erano pesanti, intorpidite come se avesse scavato nella neve fresca per ore, a mani nude. Tirò i bendaggi sporchi che gli coprivano le braccia sino a sentire dolore: se soffriva, erano ancora vive - e ciò era un bene.
    Digrignò i denti - ma senza un suono, senza farsi notare dai suoi sottoposti. I doveri di un leader erano anche quelli di nascondere le proprie debolezze affinchè l'esempio potesse spingere i suoi soldati - i suoi amici, fratelli e sorelle - a scovare energie nascoste per andare avanti, e combattere ancora.
    Con sguardo vitreo, fece passare gli occhi azzurri sulla sala: erano pochi i rimasti, l'ultimo sparuto baluardo di fedeli che osavano frenare l'avanzata dell'orda mercenaria. Una lotta fratricida per la quale la Quarta Compagnia dell'Approdo non avrebbe dovuto avere alcun schieramento.

    « Che diavolo ci faccio qui... »

    _ ___ __________ ___ _


    « ... Che facciamo? »

    Zachery Tytos sembrava confuso; guardava incessantemente i volti degli altri comandanti di Compagnia, facendoli passare uno ad uno senza trovarvi altre risposte se non facce contrite ed espressioni rassegnate. La sua smorfia si trasformò da dubbiosa ad incredula, quando parve chiaro a tutti che non avevano altra soluzione che quella.

    « Mi state dicendo che li lasceremo passare?? », esclamò, questa volta battendo i grossi pugni sul tavolo di pietra. Aveva gli occhi esageratamente sporgenti in quel momento, come se fosse posseduto da qualche spirito guerriero di altri tempi. Lelian scosse il capo, come se non seguisse perfettamente il pensiero di Zack. « Buona parte di Laputa è con loro, Tenente "Acciaio". Sono qui con l'autorizzazione del Sodalizio, non possiamo combatterli. »
    Zachery sembrò andare fuori di testa alle parole del Tenente della Seconda Compagnia. « Sei fuori di testa, elfo? Questo significa guerra civile!! Noi siamo la prima linea di difesa del Presidio Errante, come puoi-- »
    « Aye, siamo la Guardia dell'Approdo e difendiamo Laputa dall'esterno. Ciò che li uccide dall'interno non spetta a noi. »
    L'anziano Jammos Perwyn Morya scese dalla sedia con malagrazia; i pesanti calzari di metallo rimbombarono nella scarsa luce della sala riunioni, come un colpo di cannone dà inizio ad una battaglia. Dietro di lui, il cieco Owen scuoteva il capo, addolorato. « Se solo Marach fosse qui... », diceva.

    Ma non c'era, commentò mentalmente Rygdea seduto a braccia incrociate accanto a Lelian.
    Il Supervisore dell'Approvo, Marach Ulthverian, era corso al Mastio non appena si era diffusa la notizia della scomparsa di Raylek. E con lui era partito Fuin e l'intera Prima Compagnia, compagni esuli del goblin e della sua Sbriciolacielo sin dai tempi di Myth Arandor: come potevano non essere sconvolti dalla sua sparizione?

    « Il Sodalizio in subbuglio. », disse, come per riordinare le idee. Gli altri ufficiali lo guardarono, silenziosi. « L'Autocrate scomparso, Gray morto. »
    « ... E Drusilia assassina. », disse Lelian. Senza proferire parola, tutti loro si guardarono: avevano combattuto fianco a fianco alla Galanodel ed ai suoi aviatori durante le Guerre della Fondazione; avevano versato sangue e lacrime e sudore come fratelli d'arme, tutti uniti. Puoi non scoprire mai tutto su una persona, ma quando te la ritrovi accanto mentre la morte danza davanti ai tuoi occhi, qualunque segreto svanisce come neve al sole. L'affetto di Drusilia per Forge era genuino, così come la devozione di tutti i soldati di Laputa per il loro amato condottiero goblin. Neppure il mellifluo Dorian Gray aveva mai dato segno di doppiogiochismo davanti all'Autocrate: era il loro padre, di tutti loro.

    E una parte di Laputa stava tradendo il suo ricordo.

    « Li lasceremo passare. »
    Uno ad uno, gli ufficiali annuirono alle parole dell'anziano nano del clan Morya.
    Non potevano fare altrimenti: se avessero tentato di fermarli - e probabilmente non vi sarebbero riusciti, nonostante l'enorme esperienza e il vantaggio tattico del campo - probabilmente alcuni dei loro stessi uomini si sarebbero rivoltati contro di loro. Pochi, ma alcuni l'avrebbero fatto: accecati dalle menzogne dei mercanti del Sodalizio.
    Loro sapevano, ma non potevano fare nulla per impedire questa bugia.
    « Io raggiungerò gli Aviatori. », disse Rygdea. Vide più di uno di loro sobbalzare a quella dichiarazione: significava abbandonare la posizione, e per la reputazione della Sentinella sarebbe stato un colpo durissimo, senza contare l'insubordinazione del gesto.
    « Non obbligherò nessuno di voi a seguirmi: è una mia decisione, e non voglio portarvi con me in una lotta insensata tra fratelli. »

    Il silenzio che seguì fu eloquente.
    Come poteva biasimarli? Molti di loro avevano famiglia lassù, e avevano accettato quell'esistenza infernale all'Approdo solo per garantire al meglio una vita di innocente protezione ai propri cari. Come poteva, lui, chiedere loro di abbandonare il sacro motto per inseguire un ideale? "Il dovere è il mio scudo".

    « Significherà la forca per te, Rygdea. »
    La voce di Owen era tremula e triste.

    « Così sia. Per la memoria del goblin che ci ha dato un focolare ed una famiglia, scambierò volentieri la mia vita.
    Non lascerò che la infanghino senza combattere.
    »

    _ ___ __________ ___ _

    Dicono che la verità sia tra i primi caduti, in guerra. Ma chi è che determina la verità? Dopotutto, è solo una questione di prospettiva; il dovere di ogni soldato è quello di proteggere gli innocenti, e a volte ciò comporta mentire: raccontare la solita favoletta del bene e del male... E non dire che la guerra, in realtà, è solo selezione naturale su larga scala. Non esistono questi assoluti. Ciò che Rygdea aveva imparato dopo tutti quegli anni era disperatamente semplice: il mondo intero è un'enorme bomba, e serve soltanto qualcuno che accenda la scintilla.

    Guardò fuori, verso il grande portone del Mastio. Sentiva le voci dell'enorme folla radunatasi all'esterno; ne percepiva la rabbia, la curiosità, la volontà incrollabile. E vide Drusilia, la traditrice, l'assassina.
    Non era così.

    Ma che importava? La storia è scritta dai vincitori: la Storia, alla fine, è piena di bugiardi. Se il Sodalizio vincerà, e loro moriranno, la loro verità sarà scritta, e la loro perduta. Jepsen sarà un eroe, perchè tutto ciò di cui hanno avuto bisogno per cambiare l'ordine è stata una grossa balla e un fiume di sangue. Hughes stava per compiere il più grande trucco che un bugiardo avesse mai giocato nella storia di Endlos, probabilmente: la sua verità sarà la verità.
    Certo, sempre che lui viva, e loro muoiano.

    « Ordini, Capitano? »

    Rygdea osservò Eori Maknar senza davvero vederlo; accanto al suo tank c'era un altro dei suoi uomini della Quarta, il giovane ma talentuoso Rialam Massey. Tutti bravi ragazzi, eccellenti soldati e formidabili guerrieri.

    « Uno che non sia pazzo non si sveglia la mattina pensando che quello sarà il suo ultimo giorno di vita. Ma è un privilegio, non una maledizione: sapere che si è vicini alla fine ti dona un vago senso di libertà, di compiutezza. »

    Un buon momento per un epilogo.

    « Eppure, eccoci qui.
    In inferiorità numerica, senza munizioni, senza niente di niente. E' un suicidio, tutto qui.
    Ma queste mura, queste colonne di granito, questo marmo che calpestiamo, pregno di tutti quegli ideali che Raylek ha voluto trasmetterci... Loro ci ricorderanno, per quello che stiamo facendo. Perchè tra tutti gli innumerevoli incubi che ci infestano la notte, questo l'abbiamo scelto noi, per noi.
    »

    Lo aiutarono a vestire la pesantissima corazza da avanguardia: quella, forse, sarebbe stata l'ultima battaglia della Sentinella.
    E Rygdea era felice di morire per quell'ideale.
    Vide mentalmente la faccia di Jepsen Hughes, e si concentrò a fondo affinchè si piantasse per bene nei suoi occhi.

    « Avanzeremo come l'ultimo respiro su questo mondo, con forza e coraggio e determinazione nei nostri animi -
    ed un solo obiettivo in mente.
    Uccidiamo quel bastardo.
    »

     
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    Le guerre inevitabili sono sempre giuste, aveva detto tempo addietro un grande scrittore. E cosa c'era di più inevitabile dello scontro tra le due facce della stessa medaglia? Bianco e nero, vissuti in armonia finché era esistito il grigio, ed ora costretti a darsi battaglia per poter sopravvivere un altro giorno.

    Dall'alto di una delle torri del Mastio, Rekishi scruta il campo di battaglia. Il suo secondo da cittadino del Presidio Errante. Questa volta non ha marciato al fianco di nessuno; allora era stata un'ostentazione di forza difficilmente uguagliabile. Ciò che invece il vento gli sussurra è il pianto della gente ed il calore delle lingue di fuoco che inghiottono e radono al suolo i palazzi della Città Alta. Quella è la vera guerra, ma allo stesso tempo quella più odiata dal Cantore. Nessun Eroe.

    Li vede combattere, urlare e trucidare senza pietà chi il giorno prima chiamavano 'fratello'. Formiche che si avventano sui loro simili. Cosa importa se sono sospinte dalla sete di sangue o da un ideale? Non sono che strumenti nella mani di quegli Eroi che avrebbero dovuto confrontarsi per dar vita ad una degna Storia. La distruzione di Laputa è ciò che entrambi gli schieramenti si meritano. La Guerra degli Inganni.

    Una trama di menzogne intessuta ad arte durante tutta la sua permanenza in città, così rivoltante per chi come lui ricerca la verità da dargli il voltastomaco. Una città che decade, abbandonato persino da Aeon stesso. Possibile che la scomparsa di un Alfiere fosse una cosa di poco conto? Eppure il ricordo del Faro è ben vivido nella sua mente. Giusto così; ciò che sale troppo in alto è destinato a cadere.

    Respira per l'ultima volta quel fumo nero dall'odore dolciastro, poi chiude le pagine di Requiem e volta la schiena a quello spettacolo. Gli è stato detto che la Dama del Vento ha sfidato l Sodalizio ad un duello. Lo scontro tra i due Eroi che stava aspettando? Forse non tutto è perduto.

    rekishi-5_zpse213d037

    Avrebbe osservato lo scontro.
    Avrebbe visto il volto del vincitore.
    Ancora una volta sarebbe stato là
    a riportare la verità dell'ultimo atto.
    Parola dopo parola.
    Fino alla fine della Storia.
     
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    Il Nibbio

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    Miséricorde

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    Contrada della Croce

    jpg

    Ancora assordato dal fischio della fin troppo vicina esplosione, il giovane Aviatore fece leva sulle braccia doloranti per sollevarsi dal lastricato, e nello staccarsi dal suolo si scoprì ancora frastornato per l’impatto con l’onda d’urto rovente che aveva sbalzato via lui e i suoi compagni insieme a pezzi di architettura; stringendo i denti, rigirò nel segreto del palato un’imprecazione, riuscendo per lo meno ad issarsi in ginocchio, e quando lottò per aprire le palpebre -incrostate di polvere e sudore- qualcosa di denso gli colò dalla tempia per riversarsi nell’occhio sinistro.

    Con un grugnito infastidito, il giovanotto si portò al volto la mano guantata per tergerla via,
    -ricevendo in risposta uno spasmo di dolore che gli risalì con un tremore tutto il braccio-,
    e dopo essersi ripulito alla meglio, contemplò con fare assente il rosso che imbrattava la stoffa.

    Sangue. Sangue. E ancora sangue. Quanto ne aveva già visto scorrere in quei nove giorni?

    All’interno del cappuccio -che mascherava la zazzera di capelli biondi-, il ragazzo scosse il capo per cercare di schiarirsi la mente annebbiata, e sfidando una volta di più le ingiurie di ferite e stanchezza si rimise in piedi barcollando un poco in mezzo al polverone che ancora si librava pigro nel secondo girone; per un attimo, quello scenario gli ricordò le distese di terra rossa di Sequerus, quando un bambino braccato dagli schiavisti del Sud si era rannicchiato in una buca sperando di non essere trovato...

    Si puntellò sulla spada, ricacciando quel ricordo negli anfratti più bui della sua coscienza, perché le cose non stavano più così: lui non era più un poppante spaventato, quella non era la terra che lo aveva visto nascere con l’ostilità nel cuore, e -soprattutto- nessun Capitano Leon sarebbe giunto a salvarlo per riporlo tra le braccia sicure della Dama Azzurra.

    Lanciò uno sguardo ai corpi esanimi dei suoi compagni e si sentì ribollire di collera, ma quando le iridi cerulee indugiarono anche sulle salme dei suoi nemici non si sentì nemmeno lontanamente soddisfatto, perché nonostante combattere come un eroe in una qualche importante battaglia fosse sempre stato il suo sogno d’infanzia, non era quella la gloria che aveva inseguito: che tante persone fossero dovute morire -che lui stesso avesse dovuto
    ucciderne per trarre in salvo i civili superstiti del Latifondo e scortarli all’Albero-Casa- non aveva alcun senso.

    Claudicando con la vista appannata e le gambe stanche, gettò un ultimo sguardo ai morti, ripromettendosi di tornare per seppellirli, e rinsaldando la stretta sull’elsa della Tsubasa si preparò ad inseguire il nemico che ancora assediava il nido dei grifoni. La dimora che aveva riunito lui e i suoi compagni come fratelli l’avrebbe difesa fino alla morte.

     
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    Cherish

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    Alfiere
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    Quarto Girone - Città Alta
    Magisterium, interno

    jpg

    Leggera come una piuma, avanzò lungo uno dei tanti corridoi di brande approntate per accogliere i feriti, e mentre gli occhi di zaffiro indugiavano sui volti afflitti di quell’umanità, ella lottò con sé stessa perché il suo cuore tenero non avesse la meglio sulla freddezza analitica del medico.

    Quando il mondo impazzisce, l’ultima cosa che puoi permetterti è di perdere la testa, e in situazioni di ristrettezze come quella, diveniva di importanza scrupolosa stabilire una scala di priorità; per quanto fosse intimamente convinta che anche un mal di denti avesse la sua dignità, non poteva sprecare le sue risorse per tagli o ferite superficiali a cui i Magus della struttura avrebbero provveduto di lì a poco... non quando il suo apporto di guaritrice poteva fare la differenza tra la vita e la morte di un uomo le cui viscere penzolavano dall’addome come macabri festoni.

    Controllando per l’ennesima volta con maniacalità che il velo di stoffa dei monaci dalle Vesti Blu di Palanthas -unico supporto ufficiale inviato dall’Est in virtù del patto tra le Accademie- nascondesse alla vista ogni capello della sua chioma cerulea, si inginocchiò accanto alla branda di una donna cui il fuoco di un’esplosione aveva divorato oltre metà del corpo, e dopo aver posto una carezza sul capo del bambino piangente al suo capezzale, pose la mano su di lei, risanandola.

    Non rimase a vedere il risveglio della sua paziente e la reazione di gioia di suo figlio, perché dopo gli ultimi sette giorni passati a nascondersi nell’anonimato della divisa, voleva e doveva evitare ogni rischio di venir riconosciuta... perché sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto trovarsi lì: Drusilia era stata chiara sul fatto di non voler trascinare un altro Presidio in quella guerra insensata, e lei sarebbe stata più che disposta a rispettare la sua volontà,
    se solo non ci fossero state di mezzo tante vite innocenti -e la consapevolezza di poter invece essere di aiuto sul campo.

    Dopotutto, in passato aveva già lasciato il suo palazzo le sue terre di nascosto altre volte;
    era sufficiente non farsi scoprire per tenere fede alla richiesta fattale dalla Dama del Vento.
    ...sì...cioè... all’incirca... quello... quello non era proprio come mentire... no...?

    Così, mentre l’aureola celeste dell’infusione magica ancora svaporava nell’aria, la Guaritrice si alzò e si volse per immettersi nell’andirivieni di inservienti e mescolarsi a quegli eroi senza nome e senza volto che si affaccendavano senza posa per il Magisterium per salvare delle vite... una corsa contro il tempo ad un ritmo che lei stessa si era imposta, e che avrebbe continuato a tenere fino alla fine. Infondo, per lei che aveva trasceso la mortalità dell’esistenza,
    il sonno era cosa superflua.

     
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    .†.Dancing Mist.†.

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    Quarto Girone - Città Alta
    Approdo, zona residenziale

    Da quando l’esercito invasore aveva espugnato il settore dei distaccamenti industriali per accedere al successivo girone dell’Isola, per molti dei più esagitati e sanguinari era stato quello l’obiettivo principale: la dimora dell’Usurpatrice.

    Alcuni -i più arrabbiati- avevano mosso in quella direzione per semplice dispregio verso la presunta assassina dell’Autocrate, altri -gli sciacalli e gli opportunisti- si erano aggregati a quello squadrone con la sola materialistica pretesa di saccheggiare qualcosa di valore con cui riempirsi le tasche, e i peggiori -più subdoli e scaltri- si erano mescolati a loro con l’intento di mettere le mani sul tesoro più prezioso della Dama... chi per dissacrarlo con la più barbara ferocia, chi per trarne profitto con un riscatto.
    Alla fine, tutti -parimenti- stolti.

    Quando raggiunsero la casa di Drusilia Galanodel, la trovarono buia e silenziosa: la Dama del Vento non aveva mai avuto dei domestici, e la porta spalancata li persuase che qualcuno li avesse già preceduti... così entrarono lasciando sulla soglia il furore, sperando soltanto che fosse rimasto qualcosa da sgraffignare, e iniziando a covare una certa inquietudine non appena si ritrovarono ad avanzare nell’atrio deserto dove aleggiava una bassa foschia.

    Accompagnati da un silenzio tonante e dall’aleggiare pigro della bruma, in cui ogni loro respiro sembrava chiassoso in modo assordante, i mercenari ispezionarono le stanze e i corridoi del pian terreno; trovandoli intonsi, cominciarono a riempire avidamente gli zaini e le borse con suppellettili e argenteria, e di nuovo fiduciosi in un ricco bottino si avventurarono al piano di sopra: chissà quali gioielli costosi doveva aver accumulato quella donna ambiziosa? Quanto ci avrebbero ricavato rivendendoli?

    Una risatina infantile li fece trasalire, probabilmente perché l’atmosfera spettrale cominciava a far presa sugli animi degli intrusi, ma quando presero coraggio -l’uno dalla volontà di mostrare più spina dorsale e fegato dell’altro- sguainarono le armi, e si diressero alla porta da cui quel suono si era ripetuto; spalancarono l’uscio con un calcio, e stavolta fu il turno del piccolo abitante di sobbalzare: dall’interno della cameretta, un bambino dai capelli scuri e gli occhi verdi -che non doveva avere più di tre o quattro anni- li fissò con perplessità.

    Seduto su di un tappeto dall’aria pregiata, e immerso per metà nella caligine che impregnava tutta la casa, il piccolo stava assistendo allo spettacolo di alcune marionette di cui nessuno stava tirando i fili, ma a questo nessuno prestò attenzione: un sogghigno sinistro incurvò le labbra di molti di loro, e uno venne avanti per afferrare il fagottino, ma quando la mano calò sulla collottola, la nebbia si sollevò come viva inghiottendo il pargolo; con un’imprecazione sulle labbra, l’uomo indietreggiò.


    « Oh, mon dieu, signori...! »
    li redarguì con tono di biasimo una voce di velluto, che li fece sussultare
    « Vi sembra linguaggio da adoperare davanti ad un bambino? »

    Simultaneamente, gli sguardi e le spade si puntarono verso l’origine di quelle parole, trovando colui che le aveva pronunciate -un ragazzo pallido, con i capelli bianchi e gli occhi nascosti da occhialini scuri- seduto a gambe accavallate sulla coda di un pianoforte: a giudicare dagli abiti bianchi ed eleganti, e dall’aspetto gracile, non doveva essere nulla in grado di minacciarli...

    Eppure sbiancarono tutti quando videro il fantasma -la figura umanoide fatta di nebbia-
    materializzarsi al suo fianco, con il bambino in braccio, stretto premurosamente contro il petto.

    I più impressionabili si inchiodarono sul posto alzando le armi, i più pavidi e reattivi girarono sui tacchi per imboccare la porta, ma un secondo fantoccio era comparso a sbarrargli il passo; le lame saettarono, ma la nebbia si ricompattò dietro di loro, e quando presero in considerazione la fuga verso la più vicina finestra, scoprirono che un’altra di quelle creature era comparsa ad ostacolarli. Insieme ad una quarta, ad una quinta, una sesta... Guardandosi intorno si scoprirono accerchiati.

    « Non vorrete andar via così presto, spero... »
    allargando le braccia, evocò un violino blu nella mancina e un archetto nella destra
    « ...vi perdereste lo spettacolo. ♥ »

    Imbracciato lo strumento, il Gufo bianco cominciò a suonare, e -in risposta- le marionette di fumo magico cominciarono a danzare in circolo attorno agli intrusi, prima di cominciare a saltare e piroettare scambiandosi di posto; attaccati alle membra dei fantocci, fili sottili come capelli luccicavano ad ogni movimento, catturando i riflessi del lume della stanza dei giochi, e ben presto si imperlarono di rosso quando -in maglie sempre più fitte e strette cominciarono ad attorcigliarsi attorno ai corpi dei mercenari...

    Urla di dolore e di paura iniziarono ad echeggiare per le mura di quella casa, ma la ballata non era ancora finita, e i burattini di nebbia avrebbero continuato a volteggiare verso la conclusione della loro danza; prima che l’epilogo giungesse, il violinista si volse verso il pargolo senza smettere di suonare, e -al di là delle lenti scure degli occhialini- gli dedicò una piccola strizzata d’occhio.


    jpg
    « Non guardare, Lowarn: non fa bene alla tua educazione. »

    La bambola di nebbia che lo reggeva in braccio sollevò una mano densa ed opaca per coprirgli gli occhi verdi; poi, la musica vibrò delle sue ultime note, i fili si tesero all’unisono dipanando il suono umido di qualcosa che si lacera e gorgogliante di un liquido che scorre, e i fantocci si esibirono in un inchino a ciò che restava dei mercenari prima di svanire in un soffio di fumo.

    « I prossimi li aspettiamo in salotto. ♥ »

    Congedato il violino e l’ultima creatura, il Musicista prese il bambino in braccio
    e lasciò la stanza
    in silenzio.


    Ballade des Pendu: La Ballata Antica o Canzone da Ballo è un componimento di origine popolare, costume con ogni probabilità riconducibile alla remotissima consuetudine latina delle “ballistea” di accompagnare alla musica (solitamente vivace) i movimenti della danza, rimarcando il ritmo con un testo solitamente composto -assieme al ritornello- da 1 a 4 “stanze”.
    Sulle note della melodia magica, costituiti da nebbia a cui è stata data solidità, appariranno innanzi al violinista un numero variabile di fantocci (mai più di 3), che prenderanno a danzare attorno a lui, a ritmo della sua Ballata; sebbene la prima impressione davanti a queste marionette nebbiose di forma umana sia la suggestione per lo splendido spettacolo di piazza, ben presto diventa facile realizzare quanto possano essere insidiose quando impiegate in battaglia.
    In risposta ai comandi impartiti loro mentalmente attraverso il contatto simpatetico che le note del suo violino creano, Owl può servirsi dei burattini per fargli compiere numerose azioni, purché siano dirette e semplici: portare pesi al suo posto, attaccare avversari, fargli scudo con il loro corpo...
    Quale che sia lo scopo a cui li adibisce, i pupazzi non possono allontanarsi da lui oltre un raggio di 10 metri:; se -per qualche motivo- la musica si interrompe o le bambole si allontanano oltre la zona di influenza, la nebbia che compone i fantocci si disperde e sublima immediatamente fino a svanire nell’aria.
    [Killing Version] Come se già gli “Appesi” non rappresentassero un problema di per loro, è possibile far sì che da e tra i simulacri si stendano i fili del burattinaio, in modo da creare una rete che si avvolga attorno all’avversario per immobilizzarlo, attorcigliandoglisi sempre più strettamente addosso ad ogni volteggio e piroetta che compiranno accerchiandolo e iniziando a danzare attorno a lui, penetrando sempre più in profondità nelle carni, segando muscoli e ossa, per reciderlo e smembrarlo orribilmente.
    Il numero massimo di marionette evocabili sale a cinque pezzi, che prenderanno parte alla ballata coinvolgendovi la vittima ormai condannata; ultimata l’esecuzione, i fantocci si congedano dopo aver fatto la riverenza alla vittima (o a quel che ne resta) che ha fatto loro compagnia nella danza, dissolvendosi in dense volute della nebbia che li ha generati.



    Edited by Madhatter - 16/12/2012, 21:39
     
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    .†.Amakudari.†.

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    Quarto Girone - Città Alta
    Magisterium, ingresso

    Contemplando con sguardo vitreo la folla radunatasi lì davanti, il gigante dagli occhi bigi si ritrovò a considerare che c’erano davvero molte cose in tutta quella storia che non aveva capito; tralasciando le per lui imperscrutabili motivazioni che portavano i ningen all’antagonismo -“sentimenti”, queste incognite misteriose-, il vero interrogativo -più un tasto dolente, a dire la verità- era un altro: che colpa ne avevano i libri? Perché portare la guerra nella loro dimora?

    jpgUna crepitante scintilla azzurrina percorse innocua la lunghezza del corno dorato che gli sormontava il crine blu, e quando quel fenomeno si ripeté in un ruggito minaccioso sul muro di sfolgorante di energia elettrica che aveva richiamato per sigillare l’ingresso, più di un mercenario si irrigidì o arretrò.

    « Abbiamo detto che di qui non passerete. »
    ribadì con voce incolore e volto inespressivo

    ...e c’era da dire che, ergendosi nella sua ragguardevole statura, con la lancia in piedi al suo fianco, la glaciale e inespressività del Raitei era decisamente intimidatoria; sperando così di aver chiarito il concetto, il Demone delle Tempeste arretrò un piede per proiettarsi di profilo, e -gettando un’occhiata al piedistallo, sormontato dal quadrato di marmo quadrettato in bianco e in nero- si rivolse al suo collega.

    « Cavallo in B2. »

     
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  11. Lo Schiavista
     
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    Quanto possono essere ironiche le svolte che un paese può subire, come i ruoli che un uomo si trova di punto in bianco a ricoprire! E pensare che fui l'ultimo del Sodalizio a scendere in campo per la lunga assenza dell'Alfiere! Non volevo prendermi il fango, che venisse in qualche modo frenato il mio brillante percorso, quando ad assumersi il rischio di richiamare l'attenzione del nostro capo poteva essere qualcun altro.
    Non pensavo mai che un giorno avrei svolto un ruolo fondamentale in una rivolta avvenuta nel mio stesso presidio. Non ne avrei visto il motivo: Avevo consolidato una posizione prestigiosa a Laputa, sia economicamente che politicamente e piano piano stavo ottenendo anche di più. Se mai un giorno avessi avuto ambizioni più grandi sarebbe stata solo questione di tempo prima di ottenere quello che volevo e così fu fino a che c'era l'Autocrate.
    Il presidio Errante bruciava, crollava e il sangue scorreva per le strade. Per otto giorni erano scoppiate lotte e rivolte, ma solo al nono era iniziata la battaglia vera e propria, in cui il nostro esercito si era fatto strada per la città.
    Guardavo la devastazione che regnava, mentre percorrevo le vie di un'area resa sicura, e mi rendevo conto che anche ciò che avevo costruito fosse rovinato in quella guerra. Tuttavia io e gli altri membri del Sodalizio avevamo ben poca scelta: o salvare quel che ci sarebbe rimasto dopo la battaglia o vederci sottratto tutto da chi aveva deciso di sedere sul trono del Mastio. Mi chiedevo quando avrei potuto riprendere la mia ascesa, quando averi di nuovo raggiunto e superato il punto dove ero arrivato prima che fosse iniziato tutto questo.
    Non ci avrei mai creduto... ero a capo delle truppe della rivolta! Proprio io, che mi ero tenuto in disparte, auspicando un ritorno all'Autocrate. Che vedevo quel conflitto come qualcosa per evitare il peggio, almeno per noi mercanti, ma non certo come un'opportunità. L'unico tratto positivo era che sarei entrato nella Storia e sarei stato persino ricordato come un personaggio positivo, se la situazione fosse rimasta a noi favorevole e avessimo vinto la guerra. Quanto potevano essere ironici i ruoli che un uomo si trova di punto in bianco a ricoprire!

    Indossavo una casacca militare, un abito ben diverso da quelli che ero abituato a portare, tuttavia adatto all'ambiente in cui mi trovavo e soprattutto mi offriva una protezione maggiore. Mi facevo strada per le vie sporche di fango e cenere, scortato da alcuni dei mercenari più fidati. Avremo preso la strada più sicura da eventuali nemici infiltrati dietro le nostre linee, un percorso che avevo concordato personalmente con alcuni esperti di tattica che mi avevano dato un paio di buoni consigli quel giorno.
    Il nostro esercito era riuscito a prendere quasi tutta la città, ma si era fermato proprio alle porte del suo nucleo. Era il caso di proporre loro una resa e non prolungare oltre quella fastidiosa resistenza, che avrebbe nuociuto ad entrambi gli schieramenti.
    Raggiunsi la città alta e mi ricongiunsi con gli alti capi della rivolta, sfilammo fino in prossimità del Mastio, fin dove ci era consentito arrivare senza restare coinvolti negli scontri.
    Un attimo di silenzio, poi io, in testa a tutti, parlai.
    " Soldati di Laputa, Liberi Aersi Milites e tutti coloro che si ostinano a difendere chi ha tradito Laputa e il suo Autcrate. Siete tagliati fuori da qualsiasi tipo di rifornimento, controlliamo l'area da cui dipende il nutrimento di tutti e quella in cui vi sono tutte le industrie. Quasi tutta la città e soprattutto le sue risorse sono sotto nostro controllo. Se non saranno le nostre spade ad uccidervi lo sarà la fame.
    Non ha senso versare altro sangue, quando l'esito di questo conflitto è ormai scontato. Vi proponiamo un accordo: se vi arrenderete e non difenderete ulteriormente il Mastio, garantiremo l'incolumità di tutti, senza eccezioni né ripensamenti, sia durante che dopo la ripresa del castello. Saremo clementi persino nel giudicare chi detiene la maggior parte delle colpe.
    Non vogliamo vendetta, ma solo che vi facciate da parte e lasciate Laputa a chi ha sempre agito legittimamente."

    A dire il vero avevo parecchi risentimenti dei loro confronti e avrei voluto riservare ai capi degli aviatori una punizione esemplare, tuttavia pur di chiudere subito ciò che stava accadendo ero disposto a dimenticare i torti subiti e sorvolare su molte cose avevano fatto quegli stolti. La mia ricchezza era legata alla prosperità di quel presidio e più il conflitto si prolungava, più questa veniva messa in discussione. L'unica cosa che mi interessava era che quella donna se ne andasse e lasciasse il governo al Sodalizio, che aveva sempre avuto un ruolo politico all'interno di Laputa.

    Quindi le porte del castello si aprirono e la nostra nemica uscì allo scoperto. Mai mi sarei aspettato che fosse stata lei stessa a riferire la decisione. Né io, né nessun altro ebbe il coraggio di aprir bocca da quel momento.
    " Siete venuti a chiedere che sia fatta giustizia, ma io vedo armi sguainate, violenza contro il popolo e pura forza bruta: è questo a rendervi i legittimi successori dell'Autocrate?"
    In quella frase emerse la verità su quello scontro. Legittimità, giustizia e tutto il resto non c'entravano; erano solo una scusa per nobilitarsi a cui parecchi stavano credendo, persino all'interno del Sodalizio. La verità era che nessuno era disposto a mandare a monte quello che aveva costruito, come sarebbe successo in caso di sconfitta, e questo valeva sia per noi che per gli Aviatori. I mercanti avevano tutto lì e avevano compiuto enormi sacrifici per Laputa, era forse questo il modo con cui venivano ripagati? Così come per Drusilia: aveva corso innumerevoli rischi, era arrivata a un passo dall'ottenere il controllo totale dell'isola, poteva forse rinunciare alle proprie ambizioni quando era ormai così vicina dal realizzarle?
    Ecco la verità, una minuscola e semplice frase, in mezzo a una moltitudine di belle (e false) parole.
    " Non ho alcuna intenzione di lasciare il Presidio Errante nelle mani di uomini incapaci di capire anche una cosa così semplice. Ma se per voi è necessario versare del sangue o aprire le porte dell'oltretomba, che siano gli interessati a farlo. Propongo un duello, qui ed ora: chi vince otterrà il potere, e potrà far dell'altro ciò che vuole."
    Credetti che fosse tornata a fare discorsi per incantare gli allocchi e all'inizio lo era, ma la sua proposta mi colpì.
    " Il vostro Campione contro di me."
    Sembrava proprio che stesse dicendo sul serio! Il rischio era senz'altro alto, ma la prospettiva di togliere subito di mezzo il capo dei nostri nemici era senz'altro allettante. Il mio istinto mi diceva di accettare, ma preferii dare ascolto alla razionalità. I rischi erano notevoli e in caso di sconfitta probabilmente ci sarebbero stati diversi capi che avrebbero voluto mantenere l'impegno preso. Forse era più prudente continuare lo scontro come era andato avanti fin ora.
    Come minimo avrei dovuto consultarmi con gli altri se avessi voluto anche solo prendere in considerazione quella proposta.
    Quindi nessuno disse nulla, finché un uomo non si fece avanti, scegliendo lui per tutti e mettendoci nelle sue mani.
    Qualcuno che nemmeno io avrei potuto fermare, né avrei avuto il coraggio.

    Cesare Borgia

     
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    Mago guerriero, amante dei gufi e signore della piromanzia.

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    Alcuni dicono dal cimitero, altri dal cielo notturno... Decidete voi da dove vengo.

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    Era molto peggio di quanto non osasse immaginare e di quanto il ragazzo gli avesse riferito. Il messaggio forse non era chiarissimo, ma in una situazione del genere in effetti la chiarezza era impossibile, soprattutto perché l'intera situazione era ancora tutta in divenire e non poteva essere rapportata o fermata così facilmente. La richiesta però era stata assolutamente chiara e precisa: a Laputa stavano accadendo fatti molto gravi e c'era bisogno di tutto l'aiuto possibile e di uomini fidati... non solo e soprattutto non tanto dal punto di vista politico o ufficiale. Ed entrambi sapevano quanto in certe situazioni potessero contare i problemi diplomatici, così quanto fosse rilevante la scelta tra agire o rimanere inerte.
    Ovviamente la scelta dell'immobilità non era tipica del mezz'elfo e così aveva percorso di nuovo le terre di Endlos per andare dove mai aveva messo piede, nel famoso Presidio errante da cui erano scesi diversi individui nei vari Presidi, soprattutto nell'Est e con i quali era finito per stringere rapporti abbastanza stretti come quello con chi l'aveva avvisato di quegli eventi. Non aveva avuto presente i motivi degli eventi perché nemmeno Shirou sembrava saperli o così aveva desunto lui... ma al suo arrivo, niente avrebbe potuto prepararlo a quello che si trovò a vedere: una città devastata e in parte saccheggiata dagli orrori della guerra, una terra di morte, di cadaveri, di crimini e di saccheggi, dove le difese erano state forzate. Anzi, le difese erano state tradite: troppo solide sarebbe state quelle porte perché un esercito potesse sfondarle, semplicemente perché la conformazione stessa del Presidio Errante non avrebbe potuto ospitare nemici e macchine da guerra in maniera sufficiente a fare i danni che aveva di fronte.

    Si ritrovava a percorrere da solo le ombre delle vie dei bassifondi: in quello stato, infiltrarsi nella città non era affatto difficile, soprattutto per un ninja sufficientemente allenato alle missioni di infiltrazione. Ma in quel momento, in assenza di qualunque sorveglianza degna di tale nome, ci sarebbero riusciti in molti senza troppe difficoltà. Vagava per le vie dei bassifondi, ma quella parte della città era deserta, oltre che danneggiata. C'erano ampi segni di molte difficoltà, problemi sociali, rivolte... e infine combattimenti sfibranti, in un tentativo di avanzata e di resistenza contesi metro dopo metro in un'ampia lotta senza quartiere. Poco era stato risparmiato e troppe erano le morti già patite, probabilmente da entrambi gli schieramenti.
    *Shirou non esagerava. Qui c'è di tutto: soldati regolari del Presidio, membri dei Liberi Aeris Milites, uomini armati senza vessillo o identificazione alcuna, verosimilmente mercenari... e in mezzo, civili, molti dei quali armati alla bell'e meglio. Ma qualcosa mi dice che non si stavano difendendo... spero di sbagliarmi, ma alcuni civili sembrano esserci uccisi tra di loro o aver dato addosso ai soldati e non solo ai mercenari. Che cosa diavolo è successo?*
    Probabilmente solo le più alte gerarchie potevano sapere la verità, ma in quel momento non avrebbe potuto interrogarle, né sarebbe stato il caso: era giunto lì per aiutare degli amici, ma esporsi in quel momento avrebbe significato andare ben oltre e avrebbe potuto portare a danni ulteriori: in fondo c'era chi sapeva bene quale qualifica lui avesse nell'Est e cosa ciò comportasse. E la sua presenza lì avrebbe potuto significare un coinvolgimento politico più diretto dell'Est di quanto in quel momento non fosse necessario... al momento, almeno: per sua esperienza, certe situazioni potevano degenerare da un momento all'altro e se quello che si stava profilando si fosse rivelato esatto, avrebbe dovuto sopravvivere per riferirlo a chi di dovere e aiutare a preparare una reazione adeguata alla situazione. Altrimenti avrebbe dovuto riferire ugualmente quegli eventi, accontentandosi di rimanere nell'ombra e di osservare da lontano quel momento.
    Ma prima di tutto avrebbe dovuto cambiare zona: laggiù non rimaneva nulla, se non qualche sparuto sciacallo che non valeva la pena di soffermarsi a punire. Si ritrovò così ad attraversare senza intoppi quartieri popolari e campi forse prima coltivati, ma in quel momento in parte devastati e in ogni caso abbandonati da almeno una settimana, se non di più. E ancora una volta sangue e morti come nella parte sottostante della città. Il tutto ancora senza una risposta, senza il benché minimo senso, se non con l'atroce dubbio che non ci fosse alcuna forza d'invasione classicamente intesa, ma qualcosa di interno a Laputa stessa e che forse non poteva nemmeno arrivare a capire pienamente semplicemente perché era estraneo alla realtà del luogo.
    Ma in fondo il compito di un ninja era anche quello: indagare e scoprire verità che spesso si celavano fra le ombre come lo scopritore stesso.

    La situazione mutò radicalmente nella parte superiore e ne ebbe sentore fin da quando si avvicinò all'ingresso di quella terza fascia: gli edifici, quelli che erano ancora in piedi, presentavano dei connotati di maggior sfarzo e maggior ricchezza generale, ma quell'impressione non l'avrebbe potuta avere facilmente se non fosse passato poco prima per la parte più umile. Ma la differenza più importante era che lì la guerra stava ancora infuriando e la battaglia si stava svolgendo a pieno ritmo, con soldati e nemici feriti e gente terrorizzata che scappava da ogni parte ed in ogni dove. Approfittare del caos per passare inosservato sarebbe stato facile, specie se avesse costeggiato le zone dove più si stavano concentrando gli scontri, ma in quel modo si espose anche ad un rischio: quello di vedere la gente soffrire e di non poter passare oltre.
    Difatti purtroppo così avvenne: un gruppetto di tre individui armati piuttosto bene stava inseguendo due giovani tendenzialmente ben vestiti, forse fratello e sorella, forse no. La ragazza, che ad occhio e croce non poteva avere più di sedici anni, subì però quello che era il più classico e peggiore degli incidenti: inciampò nella raffinata gonna e cadde. La ragazza chiese aiuto all'altro giovane, chiamandolo per nome, ma questi non si fermò e non si voltò neppure per soccorrere la ragazza, che venne quindi presto raggiunta dai tre assalitori. Le loro intenzioni erano fin troppo chiare ai vecchi occhi del ninja e di fronte al suo terrore per ciò che stava per capitarle non poté trattenersi: scagliò il suo Shuriken Boomerang con forza contro la gamba del mercenario, che venne troncata facendo cadere il nemico, mente l'arma tornava indietro dal suo proprietario. Gli altri due, sorpresi, impugnarono le armi e si voltarono alla ricerca del misterioso assalitore e la ragazza in qualche modo ebbe la prontezza di spirito sufficiente per darsela a gambe. Uno dei due non avrebbe voluto lasciarla scappare e cercò di riagguantarla, ma ancora una volta l'arma da lancio si prodigò per un'altra mutilazione. La preda quindi poté sfuggire, almeno a quei tre, mentre gli assalitori, mercenari in tutti e per tutto, decisero di mettersi in salvo ognuno a modo proprio.
    *Figli della guerra della peggior specie...* commentò fra sé lo shinobi, riprendendo la marcia.
    Soldati, civili armati, gente in fuga, mercenari assalitori, esplosioni concatenate ad una violenza probabilmente epocale e forse mai vista nel Presidio Errante stavano continuando tutto intorno a lui e sui volti di molti, soprattutto dei soldati, era riflesso un dolore inverecondo per ciò che si stava compiendo e per il dovere che stavano portando avanti pur senza volerlo davvero. E sebbene non vi fosse nessuna evidenza empirica, quegli sguardi furono la prova più eloquente per lui: quella che si stava consumando lì dentro era una vera e propria guerra civile. E come tale, nessuno ne sarebbe uscito davvero vincitore.
    Dopo altre morti inferte ad alcuni ed evitate ad altri, lo shinobi arrivò di fronte ad una struttura che aveva tutta l’aria di essere un ospedale da campo, una sorta di zona neutra dove aveva visto altra gente dell'Est aggirarsi laggiù: se non aveva visto male, si trattava di un ordine religioso contraddistinto da delle vesti blu, dedito soprattutto alla cura e all'assistenza del prossimo e in quanto tale non considerabile come un aiuto concretamente politico... anzi, attaccare quei guaritori sarebbe stato un vero e proprio passo falso politico, che avrebbe portato in ogni caso ad una reazione da parte dell'Est, verosimilmente molto poco diplomatica.
    *Sembrano cavarsela meglio di tanti altri quaggiù* si disse lo shinobi dal tetto dell'edificio. Nessuno sano di mente avrebbe attaccato quella struttura, ma purtroppo la guerra era follia per la stragrande maggioranza delle volte e quel pensiero risuonò stranamente come una più tipica espressione di involontaria evocazione della sventura: difatti stava per andarsene quando di lì a poco una banda di una decina di altri mercenari svoltò dietro l'angolo con le armi bene in vista e nessuna intenzione pacifica. Anzi, tutti loro sembravano bramare sangue facile in preda ad una smania omicida ormai liberata ed irrefrenabile e dovevano aver pensato che non c'era posto più facile per trovare altro sangue da spargere che non in un luogo dove venivano portati i feriti. Ma quell'assalto si sarebbe rivelato presto un errore fatale.



    L’esploratore oscuro saltò giù dal tetto dell'edificio ed atterrò in mezzo alla strada davanti alla porta dell'ospedale improvvisato, apparendo in tutta la sua figura nera dapprima accovacciato alla fine di un balzo di cinque metri, che fece spaventare ed arretrare i mercenari per l'azione e l’improvvisa comparsa, poi in piedi, sagoma oscura in mezzo a luci ed ombre.
    "Tornate sui vostri passi e avrete salva la vita. Continuate a cercare sangue innocente qui dentro e sarà sparso solo il vostro."
    I nemici però iniziarono a ridere sguaiatamente e, dopo che uno di loro ebbe impavidamente dichiarato che non avevano paura di lui, si fecero avanti iniziando ad agitare le armi.
    La reazione del ninja non si fece attendere e questi sguainò la propria lama, ma nel farlo generò un'onda pneumatica che sorprese e mandò a gambe all'aria quasi la metà di loro. Gli altri però non si fermarono e cominciarono a cercare di ferire chi si era posto in mezzo alla loro strada, cercando di calare spade, mazze e asce da tutte le parti ed in varie traiettorie, arrivando sempre troppo tardi, perché il bersaglio aveva frapposto una delle sue due armi, il tachi o una lama parallela all'avambraccio sinistro, si era già spostato oppure era talmente confuso con le ombre che i nemici stavano semplicemente colpendo a vuoto e a casaccio prima di subire un colpo ben più preciso. Inoltre per chissà quale ragione, i mercenari neppure riuscivano più a vedere bene il nemico, perché qualsiasi movimento lui compisse contro di loro o per evitare i loro attacchi era sempre contornato da una scia di oscurità.
    Gli altri mercenari, un po' intontiti dall'ondata appena subita, ripresero le armi e si gettarono anch'essi nella bolgia e nella mischia, ma quello era proprio ciò che il vecchio mezz'elfo stava aspettando, perché non appena tutti i nemici furono a portata attorno a lui, non fece altro che ruotare su se stesso con velocità ancora superiore rispetto a quella con cui si era mosso fino a quel momento e due scie ancora più oscure partirono da entrambe le sue lame, investendo ogni nemico con una delle sue tecniche ninja, quella che era nota come il Fendente Radiale Oscuro.
    Con tale mossa rapida ed improvvisa, tutto terminò e dei dieci assalitori nessuno restò in vita e alcuni neppure restarono del tutto integri. Li aveva avvertiti, ma non avevano voluto ascoltarlo e le conseguenze le avevano appena scontate tutti. Non era una bella cosa quella che aveva fatto, ne era consapevole e non avrebbe voluto assommare lui tesso morte su morte, ma tra un’eliminazione di pochi invasati combattenti a pagamento e una vergognosa strage di molti innocenti, la scelta era stata chiara fin da subito per il vecchio ninja. Purtroppo l’ultimo avvertimento non era servito ad evitare quel triste esito ed il risultato era stato un bagno di sangue di fronte ad un luogo dove il sangue i cercava di non farlo scorrere.
    Un rumore di altri armati lo riportò alla realtà e lo fece scattare facendolo saltare di nuovo con un balzo mortale da dove era sceso: non poteva sapere chi altro sarebbe arrivato e l'effetto del suo Scatto Oscuro stava per terminare. Contando anche la sua esigenza di non scoprirsi più del dovuto, rimanere in campo aperto sarebbe stata la scelta meno saggia che potesse compiere. Quelli che vide poco dopo però furono soldati di Laputa, alcuni dei quali feriti, probabilmente attirati lì dalle necessità mediche oppure all'inseguimento tardivo di quegli stessi mercenari. Il ninja non era uno che si fidava solo delle apparenze e, sebbene sollevato dalla presenza di soldati regolari, rimase ad osservare i loro intenti e le loro azioni. Solo quando fu sufficientemente sicuro che quei soldati non avssero intenzioni ostili tornò a muoversi.

    Come aveva avuto modo di osservare avanzando di nascosto e fra i tetti degli edifici, nonostante il rischio di crolli e distruzioni, l'apice degli scontri si stava spostando rapidamente verso un punto ben più elevato ancora, verso una struttura che, per quanto poteva ipotizzare, poteva essere il nucleo politico-governativo della città e del Presidio.
    *Accidenti, una scia di battaglie di questa sorta è inverosimile. E vista l'organizzazione anche architettonica dell'intera città, nessun esercito avrebbe potuto arrivare fin lassù se le difese interne della città non fossero state solo tradite, ma anche fiaccate dall'interno. Shirou aveva ben ragione di chiedere aiuto. Spero solo che non si verifichi quello che temo, altrimenti il Santuario di Lorwen dovrà fare gli straordinari per accogliere i profughi!*
    Il tipico fatalismo del ninja stava cominciando ad emergere quando, dal pinnacolo di un edificio aristocratico, comparve di fronte a sé una proporzione probabilmente incompleta di tutto ciò che stava succedendo laggiù e di quanto sarebbe stato necessario per ricostruire il Presidio. Era sicuro che l'Est avrebbe contribuito in quell'opera, ma solo se la parte migliore avesse infine prevalso su ciò che aveva scatenato un simile delirante inferno in quella terra. Mentre avanzava, sempre coperto dalle ombre e sempre pronto ad usare le proprie armi contro chiunque indugiasse in violenze sugli innocenti, si ritrovò a chiedersi perché l'Alfiere non avesse chiesto aiuto invece di permettere che avvenisse tutta quella devastazione, ma quella colpa avrebbe sicuramente afflitto in futuro l’animo di chiunque avesse avuto il comando in quel momento.
    Alla fine arrivò in un momento di stasi del conflitto, tipico di quando l'invasore arrivava fino al cuore del regno invaso, quasi in attesa che il capo nemico comparisse prima di dare il colpo di grazia ad una situazione in pugno agli assedianti. Un uomo, probabile condottiero dell'esercito di biechi mercenari senza scrupoli che aveva combattuto fino a quel momento, si fece avanti e pronunciò parole cariche di ipocrisia: parlava a dei supposti traditori, ma era alla testa di un esercito che aveva portato devastazione e rovina alla città che dichiarava di voler proteggere. Parlava di misericordia, di garanzia di incolumità e di considerazione leggera delle supposte colpe anche per i capi avversi, ma chi avrebbe potuto credergli? Lo shinobi aveva sentito abbastanza discorsi del genere in vita sua da capire subito che nulla di tutto ciò sarebbe durato più dello spazio concesso dalla luce della ribalta e che presto o tardi qualcuno, il leader stesso o uno dei suoi sottoposti con il suo implicito benestare, non avrebbe esitato ad accanirsi su chi non aveva esitato ad attaccare sconsideratamente. E inoltre ebbe anche un ulteriore conferma a ciò che aveva solo ipotizzato: a Laputa si stava svolgendo una dannatissima guerra civile! Ed ecco spiegata anche la ragione del silenzio di chi aveva retto il Presidio Errante fino a quel giorno: era una battaglia interna e come tale solo i cittadini del Presidio Errante potevano apparire quali legittimati ad intervenire. Non lo approvava, ma comprendeva quello stesso silenzio, anche se Shirou l'aveva coinvolto nonostante tutto in una situazione molto più grande di quanto forse chiunque si aspettasse e, sebbene ciò potesse risultare un eventuale danno d'immagine politica se l'avessero visto e soprattutto riconosciuto, la sua presenza lì era anche un bene, perché il vecchio ninja avrebbe potuto riferire qualsiasi esito di quella battaglia alla Dama Azzurra.
    E in quel momento l'ombra comprese per ciò stesso che ormai il suo contributo potenziale era assolutamente nullo, perché per quanto potesse essere forte o furtivo, avere ragione di un intero esercito da solo avrebbe richiesto ben altre prerogative e soprattutto tempo e legittimità che non aveva, specie perché lì dentro non ci sarebbero stati solo sparuti gruppi di sbandati sanguinari, ma anche avversari ben più ostici e disciplinati. Tutto ciò che avrebbe potuto fare si sarebbe purtroppo limitato allo sfollamento di eventuali profughi. Sempre di nascosto.
    Poco dopo quello stesso richiamo e quella stupida proposta di resa incondizionata, emerse chiaramente una figura che, sebbene non avesse mai visto, riconobbe all'istante per una fortissima somiglianza con l'Ambasciatore dell'Est e anche con la sua versione alternativa del mondo di Endolas: quella era la famosa Drusilia Galanodel, guerriera fiera ed indomita e abbastanza saggia e dedita al suo popolo da capire anch'essa l'ipocrisia degli attaccanti che denunciò apertamente prima di compiere una mossa tanto coraggiosa quanto praticamente imposta: un duello risolutivo combattuto in prima persona contro il campione dello schieramento avverso. Per quanto il ninja dubitasse che ciò avrebbe potuto avere un esito davvero risolutivo, vide che lo stesso individuo che aveva lanciato la falsa offerta di resa, fu l'unico che si tolse l'elmo e si fece avanti a contendere alla Galanodel il premio tanto agognato e conteso: il dominio di Laputa.
    Il ninja, accuratamente nascosto fra le ombre di un edificio sopraelevato ed abbandonato, si impresse nella memoria quei volti e quello stesso momento, consapevole che quello di cui era lontano testimone era un momento fatale, un momento che avrebbe decretato un cambiamento irreversibile nella storia di Laputa. Un momento che non avrebbe avuto lui come solo testimone.
     
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    Battosai~ LAM ~ Scheda Musashi

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    Era all’incirca l'alba quandò vi fù l'invasione finale. Il samurai era dedito in quei giorni di trambusto e follia a fare la sua parte per mitigare le rivolte ormai abbastanza frequenti. Sembrava un passato lontano quella scenografia lieta che invadeva ogni angolo di Laputa: tra risate di bambini e adulti che si dilettavano fra pacifiche chiacchierate e contrattazioni su ogni tipo di materiale di acquisto. Amarezza sul suo viso, credendo che tutto quello che stava vivendo era solo un dannato incubo: in cui lui si era perso per ritrovarsi nella solita realtà cruda e claustrofobica. Tutto come detto stava procedendo nelle solite missioni di vigilanza, senza poter dare adito al minimo sospetto che la situazione sarebbe peggiorata ancor di più, con l'arrivo di diavoli e lo stesso inferno: così da rendere ogni minima speranza di pacifica convivenza solo un ricordo ormai sepolto. Muovendosi con la sua squadra per uno dei vicoli principali, il battosai si stava impegnando a far si che i civili fossero lasciati in pace dagli scriteriati e indomiti rivoltosi: che a ogni distrazione da parte delle milizie, cercavano di rapinare più gente possibile e creare sempre più trambusto. Poi il boato, e le grida degli abitani... incapaci di una reazione abbastanza celere da avere il tempo necessario per rifugiarsi. La vista per un momento fu sfocata, lasciando che l’oscurità prendesse il sopravvento. Sorde esplosioni a coprire altri rumori che potessero far percepire quanta gente fosse ancora viva e salvabile. Il corpo di Musashi non riuscì totalmente a scansarsi da una delle esplosioni, e venne scaraventato di qualche metro, sentendo i suoi sensi confondersi e assaggiare il sapore della terra mischiato al sangue nella sua bocca. Le urla nuovamente furono percepire, per poi essere distinte anche delle risate diaboliche e parole di offesa verso la gente che lo aveva accolto - la sua gente - quel posto che adesso stava venendo razziato e reso a un cumulo di macerie. Lentamente si rialzò dopo il violento urto; il caldo liquido scarlatto a uscire all’altezza della sua tempia destra e a colare sino al mento, per essere anche la stessa fronte ricoperta di sangue: in una presenza già debilitata prima di poter sfoderare le sue armi e lasciare che esse dessero il loro contributo. Una volta in piedi nuovamente, i suoi occhi si sgranarono, inorridito e sconvolto da ciò che le sue pupille ora vedevano chiaramente. Cadaveri erano in più punti: da bambini ad anziani, da uomini a donne. Tutti si dimostrarono statici, senza dare segni di vita. Altre figure corsero disperate, nello sfuggire ad armi che violentemente cercavano e riuscivano a colpire con le loro fatture rozze e dozzinali... le carni di quest'ultimi, lasciandoli a un destino crudele che nessuno di loro meritava.
    Per un’attimo rimase immobile, come catatonico, forse scioccato per ciò che era accaduto troppo celermente e troppo violento da essere contrastato in egual modo: il suo sguardo si bloccò e la sua bocca si aprì tremante nell’osservare quella visione infernale che ridestava nella sua mente ricordi sepolti che affiorano come boccioli che si schiudono in primavera. Dentro di lui qualcosa cominciò a crescere indomito come la piccola fiamma che da vita a un incendio nel bosco. Lo sguardo spiazzato si trasformò in collera modificando la sua fisionomia facciale. Viso crucciato, occhi tremanti con le sclere pulsanti di capillari irrorati dal sangue. La rabbia crebbe vertiginosamente, fino a che i suoi denti non andarono a cozzare col suo labbro inferiore, permettendo a quest'ultimi di affondare nella carne per scaricare minimamente la furia e lasciare che un rivolo di sangue uscisse e colasse fino al suo mento. Collera, collera infinita lo stava mangiando, divorando nettamente il battosai, per poi lasciare spazio all'azione ridestando le sue lame, sguainandole dai foderi e lasciando che il suo passo celere - trasformato in una folle corsa - non andò a scontrarsi con uno dei nuovi e sgraditi ospiti: che sadicamente stava massacrando il corpo già privo di vita di un uomo.
    Un sol attimo, un movimento sincronizzato di entrambe le lame, andò a tagliare di netto entrambe le braccia e far cadere quest’ultime per terra, mentre la carne divelta ora esposta all'aree, rilasciò zampilli del liquido rosso, andando a bagnare la stessa faccia del samurai che in uno sguardo demoniaco terminava il bastardo recidendogli la testa.

    Anf… Anf…

    Frustrazione, stanchezza, disperazione, rammarico, paura. Mille erano le sensazioni che si potevano percepire in quel marasma di caos. E li, in mezzo alla battaglia, in mezzo alle urla, in mezzo alla morte e alla distruzione – nuovamente - vi era la sua figura, una figura che come in un infinito Déjà vu, era costretto a rivivere per l’ennesima volta, le atrocità di conflitti per la stupida e cieca bramosia di potere. Digrignava i denti, per poi far si che la bocca si aprisse per riprendere maggiormente fiato, e lasciare che la staticità facesse posto alla più cruenta e belligerante azione. Cosa era successo, perché? e in che modo era scoppiato quel conflitto barbaro e selvaggio? dove la morte puntualmente aveva rincontrato – come un dannato segugio che ti fiuta, avendo ormai imparato a distinguere il tuo odore dagli altri – la figura di un fuggitivo che stava disperatamente scappando da ciò che con sadica ironia si stava ripetendo con precisione e scrupolosità. Una maledizione, ormai ne era convinto – era maledetto – mentre nei suoi occhi si poteva notare tutto il disprezzo e sgomento per quelle azioni che avevano rotto la quiete e pace che fino a qualche giorno prima benedicevano quel posto paradisiaco chiamato con il nome di Laputa. Merovish sembrava essersi attaccata come una dannata zecca che ti succhia il sangue, non volendo liberarlo da quelle catene che lo vedevano oppresso in una vita da incubo. Prima la morte dei suoi compagni, poi la scelta sbagliata di far parte di una cerchia di infami assassini, e ora questo. Perché… perché? Continuava a ripetersi nella sua mente come un disco rotto che insistente porta allo sfinimento di chi ascolta quel fastidioso rumore assillante. Nel mentre le sue spade cercavano di rallentare la marcia degli usurpatori - nel disperato gesto di diminuire il numero degli avversari - la sua mente sembrava essere proiettata in altri luoghi, rivedendo nel suo cervello le immagini delle persone care a lui, seguiti da flash back di attimi terrificanti e crudeli, in cui solo il sangue e la morte ne facevano da padroni: e che nessuna quiete poteva avere spazio in quelle visioni spiacevoli. Si… era senso di colpa, quel senso di colpa che era diventato il compagno fedele del samurai che mai si distaccava da lui, e che puntualmente lo assaliva deliziandosi in quegli attimi di lotta e distruzione di invadere nuovamente lo stato d’animo del nuovo membro dei Lam, che anche se doveroso al suo compito, era inquieto e timoroso: un guerriero da cuore straziato. Il sol pensare che l’estinzione potesse raggiungere e consolidarsi anche in quel posto tanto diverso in positivo dal maledetto e dannato presidio del Sud, lo spaventava, e lo rendeva ancora più furente nella battaglia per cercare di abbattere più avversari possibili - così da rallentare quel cancro che inesorabilmente stava invadendo ogni centimetro della ormai sbiadita città che aveva rasserenato il guerriero giapponese. In uno stato furente di berserker, le sue lame andavano a squarciare la carne, mentre il sangue che schizzava dai corpi degli avversari che cadevano sotto i suoi colpi, inondavano il suo viso e i suoi abiti: lasciando ora che la sua presenza fosse marchiata nuovamente di quella ferocia da cui voleva nettamente distaccarsi ma che per motivi eccezionali doveva liberare e far fluire nuovamente nella sua essenza.















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    narrato; parlato; pensato; parlato altrui

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    Edited by °PaNdEmOnIuM° - 17/12/2012, 23:58
     
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    Solo un idiota avrebbe potuto nascondersi in un posto sull'orlo di una guerra civile. Infatti è proprio di un'Idiota che stiamo che stiamo parlando, anche se non sapeva quale fosse la situazione in cui versava il presidio. Non ne aveva tempo e soprattutto voglia.
    Aveva ben altre cose di cui preoccuparsi, tra cui sfuggire alle ire della sua terribile insegnate e alle sue micidiali testate. Infatti quella donna non solo sembrava essersi arrabbiata quando era tornata a scuola con i compiti non finiti, ma visti gli esiti disastrosi degli ultimi test, la mancanza d'attenzione e la sua pessima abitudine di dormire in classe, la professoressa Keine aveva pensato di sfogare la sua ira richiamare all'ordine quell'alunna così indisciplinata, mostrandosi "un po' più drastica del solito".
    La povera fatina del ghiaccio aveva quindi pensato di gettarsi nuovamente nel Maelstorm, alla faccia di quello che dicono che Gensokyo è completamente isolato dagli altri mondi.
    Ma neanche questo era bastato a far rassegnare la sua mentore, che aveva deciso di raggiungerla e come prima cosa si era messa a cercare nel presidio Nord, quello ovviamente più gradito e meglio conosciuto dall'alunna.
    Questa quindi si era vista costretta a trovare una sistemazione temporanea e la scelta era caduta su un isola volate, nella quale si era nascosta in un un abitazione, sperando che il tempo facesse sbollire l'ira a chi la perseguitava.
    Presto però enormi rumori si erano iniziati a sentire all'esterno dell'abitazione. Evidentemente qualcuno si stava picchiando e nonostante gradisse partecipare alle scazzottate, non voleva certo uscire allo scoperto e correre il rischio di venire scoperta. Tra l'altro più rumore c'era, maggiore sarebbe stata l'attenzione che l'insegnate avrebbe dato a quel posto (almeno era quello che la sua testolina pensava).
    Per otto giorni la confusione non aveva fatto che aumentare, tanto che era stata spesso tentata di mettere il naso fuori e dire di stare zitti, dicendo che l'avrebbero fatta scoprire, ma la paura di essere vista e le provviste che si era portata l'avevano aiutata a restare dentro. Al nono giorno però sembrò persino venir intaccata l'integrità dell'abitazione, tanto che Cirno, non potendone più, si precipitò fuori.

    jpg


    Appena all'esterno trovò una decina di soldati, difficile dire se uomini di Laputa o mercenari, nella via devastata.
    " Hei, razza di idioti, ma che cavolo state facendo?"
    Gridò fuori dai sentimenti, per nulla spaventata dai militi. Dopo tutto lei era la più forte, quei soldati non avevano alcuna possibilità contro di lei. Fossero stati cento, mille o anche ⑨.
    Tuttavia non le stavano dando la dovuta attenzione, cosa che la fece arrabbiare ancora di più.
    " Non ignoratemi! Guardate che avete davanti a voi un potente nemico, siate più stupiti."
    Finalmente i dieci uomini parvero accorgersene, il che non fu un bene. Prima di tutto uno le scagliò una magia che la catapultò dieci metri più indietro, poi tutti la caricarono.
    Quando però furono in prossimità della poverina una densa nebbia bianca si levò e tutti quelli che vi entrarono, ci uscirono subito per non rimanere assiderati, coperti di ghiaccio dalla testa ai piedi. Più tardi, quelli che avevano provato entrare all'interno della formazione, riferirono di aver visto una donna dai capelli blu scuro e le ali ghiacciate stare in piedi. Cirno infatti si era nuovamente trasformata in "ciò che sarebbe potuta diventare un giorno, se si fosse impegnata".
    Quando però la perturbazione si diradò, i dieci non vi trovarono altro che un tratto di strada gelato. La fata se ne era sensatamente andata e aveva trovato un nascondiglio più sicuro, dove attendere la fine dei combattimenti.
     
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    croceart

    -Santo cielo, vi riesce così difficile attaccarci in silenzio?!?!?!?

    Il Saggio di Palanthas sostava all'entrata del Magisterium in compagnia dell'amico Brifos, mentre tutto intorno sembrava l'inferno. Un bel problema quando era stato deciso di giocare a scacchi per passare il tempo, soprattutto per lui che con quel fracasso non riusciva a concentrarsi. Non solo i maghi, gli artificieri e quanto più ne hai più ne metti, ma prima era perfino passato un gruppo di barbari sporchi e sudati, particolarmente fastidiosi perchè pedissequamente fissati nell'urlare in ogni santissimo attacco, ragion per cui aveva deciso di ammazzarli soffocandoli. Col senno di poi avrebbe fatto loro anche di peggio, dato che tutto quel baccano l'aveva intontito a tal punto da far vincere il reitei senza sforzo alcuno nel loro primo tentativo. E si, nonostante la partita successiva aveva visto Arthur come vincitore, nell'ultima il compagno di Regalia era comunque riuscito a fare scacco matto, ragion per cui era tornato nuovamente in vantaggio. E no, non andava bene per niente.

    -Sai perchè non uso quasi mai gli umani per i miei esperimenti?

    Domandò retoricamente al compare.

    arthurocivilwar

    -Sono così intrinsecamente stupidi che se li mettessi in un labirinto come topi continuerebbero a sbattere la testa contro un muro, piuttosto che trovare l'uscita. E poi sono così fragili che non mi riesce bene nemmeno sezionarli mentre sono in vita, vedi te quanto sono inutili...

    E nel mentre un gruppo di archibugieri si ritrovò le proprie armi esplose in piena faccia, causa delle pallottole che non erano riuscite ad uscire, compresse nella canna dalla telecinesi del vampiro.

    -E comunque non ti farò vincere anche stavolta con lo stesso trucco della scorsa partita, sappilo.

    E fu così che la mano pallida scese sulla pedina in legno scuro, muovendosi in diagonale.

    -Alfiere in in D6.

     
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