Ciò che trasporta il vento del nord

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    Cado spesso un poco dalle nuvole.

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    La grande dama era sveglia. Il suo spirito tornava in possesso dei molti colori di una capitale, animato dalle differenti lingue riunite dalle mura fortificate. Il rumore delle monete cominciava ad animare i mercati, facendosi più quieto al passaggio del metallo, sporco di caserma, delle guardie cittadine impegnate nella ronda. Gli occhi dei poveri mangiavano le merci in mostra, abituati a lavorare di gran lunga più dei denti, mentre qualche ragazzo azzardava piccoli furti; da qualche parte, una mela era ancora qualcosa per cui rischiare la vita.
    Le guardie misero mano su uno di quei ladruncoli: quello che l’afferrò era in grado di sollevarlo da terra con la forza di un solo braccio, e non mancò di mostrarlo al compagno ed ai presenti. Se il ragazzo aveva dei parenti lì con lui, dovevano essersi già rassegnati. Nessuno ebbe il coraggio di fiatare per evitare che i due uomini sfogassero la frustrazione di mille veri ladri e assassini mancati su quel poveraccio. Fu quando le lame già riflettevano il volto terrorizzato del piccoletto che il corno suonò propizio: partendo dalle mura a nord, le altre torri avevano fatto eco al grido di allarme, ed i breve un rombo si era avvicinato fino a Kisnoth. I due soldati corsero via, lasciando il piccoletto a battere le ginocchia a terra ed una madre strillante a riprendersi il figlio affamato e con qualche macchia di sangue sulle gambe (ma che lei aveva già immaginato sparse su tutto il corpo).
    Il clangore delle truppe che confluivano nella via principale, ordinate e luccicanti come i pesci, già sguainando spade ed imbracciando scudi, si scontrò contro la calma che, in realtà, avvolgeva il portone da cui era arrivata la chiamata. Davanti all’ammasso di soldati, tanti da far scomparire le porte ed i muri delle case, si presentò un solo soldato, spaventato: nessuno era in grado di capire se il tremore che non gli dava tregua derivava da quello che aveva visto o da quello che stava vedendo. D’improvviso un’onda scosse la folla, ed il più alto in grado riuscì a farsi strada fino al soldato che ancora teneva in mano il corno: l’ufficiale si cavò l’elmo dalla testa, rivelando la faccia accaldata ed innervosita; gli occhi neri non si staccarono per un secondo da quelli incerti sul da farsi del sottoposto. Si asciugò il sudore dalla fronte, prima di parlare.
    Sto aspettando un rapporto, soldato.
    Un… un gigante, signore. Uno degli arcieri dice che si tratta di un t–troll, è grosso e verde. Lo stiamo tenendo sotto tiro!
    Le corde degli archi tese fino allo spasmo produceva un rumore fastidioso, lo si poteva quasi sentire nonostante la massa di gente radunata fin lì, tanto erano impegnate le guardie sulle mura. L’ufficiale, incredulo rispetto a quel che gli era stato detto – dopotutto un troll difficilmente si spingeva fino lì, per di più lasciandosi bloccare da delle frecce, salì le scale e si affacciò oltre la barriera. Il respiro, per un attimo, corse ai ripari. L’aria si rifiutava di uscire, e ci volle più di una spinta energica dello spirito a smuoverla. Alzò in alto la mano, perché gli arcieri potessero vedere con la coda dell’occhio il suo ordine: le dita dolenti tennero ferma la presa sulle frecce ancora per un po’.
    In basso, una piccola montagna li osservava con sguardo dubbioso. Avvolta in un manto sporco (sembrava aver visto ogni stagione in ogni luogo, tanti erano i colori delle macchie) che arrivava a coprire tutto da spalle a piedi, ma non senza lasciar intravedere i contorni di una strana armatura; se si prendeva come riferimento la testa, qualsiasi cosa avesse addosso in quel momento era davvero troppo grande per lui, eppure non sembrava per niente affaticato. Il pelo verde scuro, corto fino alla fronte, si slanciava in una chioma imponente, che scendeva liscia fino alla metà della schiena leggermente curva: le zanne sembravano poter far ben più male delle frecce con cui lo minacciavano, ma gli occhi scuri non avevano niente di minaccioso. Anzi: l’ufficiale percepì istintivamente il tentativo, molto umano, di stabilire un contatto.
    Ihj Arev Ahutir, os…”, disse il troll con voce vibrante. Il tono basso con cui uscirono le parole scosse persino il metallo delle armature, ma il loro restare incomprese, assieme al sapore esotico dell’ignoto, non fece che aumentare la paura.
    Ancora non avete imparato ad ascoltare. Basta così poco a Kisnoth per dimenticare? Pochi anni fa, il tempo di compiere un viaggio, mi sentivo chiamare ‘Protettore della Dama’, ed oggi di nuovo mi trattate come un selvaggio.
    Un vento forte si levò da nord. Un’intensa onda scosse gli alberi e si abbatté sulle mura, penetrò tra le maglie delle armature e punse la pelle dei soldati con la forza di mille aghi. Le vesti ed il pelo del troll non si mossero: il vento gli danzò attorno, aggirandolo con un rispetto sovrannaturale.
    Gli spiriti sono inquieti. Lasciatemi passare: io non temo il vostro acciaio e voi dovete fare in modo di non temere me.

     
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