[EM] Sotto la Tana

L'assenza di luce che aveva inglobato ogni figura poco prima, si ritirò lasciando scorgere prima rivoli di terriccio, poi le pareti e man mano tutto il resto dell'ambientazione sotterranea. Fu così che ebbi modo di saggiare la pericolosità dei cunicoli di Merovish: ora un enorme vermone si parava davanti al gruppo di Eversori. L'animale era anche il nostro obbiettivo, visto il lucente rivestimento della sua corazza: gemme preziose brillavano, incastonate nella pelle ruvida. Non ebbi il tempo materiale di sondarlo bene con lo sguardo né con le orecchie, che dalle sue membra fuoriuscì un impetuoso ruggito, tanto potente - e puzzolente - da scagliarmi ancora una volta per aria.
Mentre racimolavo le energie per tornare in piedi ed escogitare uno stratagemma per prendere tempo, osservai bene la bestia. La testa si trovava a parecchi piedi dal suolo e colpirla, per me, sembrava impossibile. Nondimeno con le mie scarse abilità nel combattimento, avrei potuto pensare di scalfire la parte del corpo che si riversava dai cunicoli. Mi restava la sola opzione di distrarre l'animale, dando modo così ai miei compagni di andare a colpo più sicuro.
Combattendo il dolore proveniente da quasi ogni parte del mio corpo, presi a correre con tutte le forze che mi erano rimaste, cercando - questa volta - di produrre quanti più rumori possibile. Raccolsi anche un grosso sasso e, una volta entrato in quello che pensai essere il campo visivo del Wyrm, lo lanciai con tutta la mia forza verso i suoi occhi. Non avevo la minima possibilità di fargli del male con una mossa del genere, ma speravo almeno che si concentrasse su di me.
Una volta effettuato il lancio, andai verso destra, poi verso sinistra, con tutta la velocità che mi consentissero le gambe. La mantella si muoveva frenetica, scossa dai rapidi movimenti tutt'intorno alla bestia, cercando di non uscire mai dal suo campo visivo.

Nel frattempo una massa di sabbia prendeva le fattezze di una grossa ghigliottina, e Bid'daum cercò di riprendersi dal grido furioso della bestia, mentre ci incoraggiava dando ordini che non avevo modo di seguire finché la testa del Wyrm rimaneva sospesa. Sperai soltanto che la mia mossa potesse far andare a segno gli attacchi dei miei compagni, più di così, per me era impossibile.

Chissà quali dolori atroci dovevano avergli provocato i miei compagni per stendere la creatura così velocemente. Fatto sta che tra una ghigliottina di sabbia ed un ruggito straziato - per la verità provai pietà, lo ammetto - la testa del vermone si scontrò rapidamente col suolo, ed in quel momento smisi di correre per meglio osservare la situazione.
Sembrava finito, ormai, ma continuava nei suoi fragorosi lamenti e sbattendo la testa un po' ovunque, destabilizzò il sottile equilibrio di quell'antro che era stata arena dello scontro con i suoi nemici. Quindi si mosse il biondo, la figura che fino ad ora era stata a capo di tutta quell'operazione. In uno stranissimo modo sembrò mettere fine ai dolori del Wyrm, che ricadde con la testa sulla fredda roccia, immerso nel proprio rossastro fluido.

«Prendiamo quel che possiamo e filiamo.»

Mai fino a quel momento ero tanto concorde con un Eversore. Mi mossi velocemente, cercando di nascondere i dolori sparsi che avevo accumulato durante lo scontro. Affannavo per la stanchezza - questo non riuscii a celarlo - mentre mi avvicinai alla carcassa e notai che lo strano individuo coperto da maschera e mantello, si trasformò letteralmente in un grosso contenitore munito di zampe. Allora staccai con le mani ciò che potevo, visto che alcune preziose gemme non erano più tanto fortemente attaccate al mostro; le caricai quanto più velocemente potessi dentro l'Eversore-carrello.

Con il mastodontico vermone ormai steso al suolo, le preziose gemme che ne ricoprivano la corazza venivano rapidamente raccolte da ognuno di noi e lanciate nel Deserto mutato inspiegabilmente in un esapode carrello da miniera. Tra scosse e tonfi di rocce che pesantemente crollavano dal soffitto della caverna, capimmo che il tempo a nostra disposizione era agli sgoccioli. Quando addirittura cominciarono a formarsi crepe sul pavimento, la strada che avremmo voluto percorrere fu irrimediabilmente chiusa al passaggio. Era palese: l'unica via per cavarsela era quella del ritorno in "superficie". Cioè, nei cunicoli che avevamo attraversato.
Corsi con tutte le forze che avevo, affannando pesantemente ed evitando con enormi difficoltà i detriti che crollavano dal soffitto e le fosse che man mano andavano a formarsi sulla terra che andava verso la devastazione. Ma non bastava il pericolo naturale che incombeva: il mio finissimo orecchio, captò un rumore metallico in avvicinamento. Massì, l'avevo già sentito, i Titani da recupero che avevamo in precedenza evitato ci correvano incontro. Il panico non m'impedì un laborioso ragionamento, ma la lucidità, con tutto quel dispendio di energie stava poco a poco scomparendo. Non riuscii a pensare molto in fretta ma non servì, visto che non appena ci ebbero raggiunti, non ci degnarono di un'attenzione.
Poco male dunque, proseguii insieme al resto del gruppo per un'altra manciata di interminabili minuti, per poi trovarmi sano e salvo esattamente dove la missione era cominciata.

Mi fermai qualche istante per riprendere fiato, poi li guardai uno per uno. I miei nuovi compagni, la prima delle mie nuove missioni, la mia vita. Dal più scontroso e insubordinato al più terrificante e macabro, occuparono un posto nel mio spirito, e potevo sentirli ribollire dentro di me. Tutte le emozioni che mi provocava la parola Eversore.

Mentre il Deserto rideva fragorosamente -ed era un modo alquanto inquietante di ridere, visto che il suono proveniva da una maschera apparentemente priva di vita- ed il Tritone osservava con la solita aria seria la situazione, il Gerarca monocorno si pronunciò in una sfida alquanto ardua -sebbene ancora non avessi avuto a che fare con tale Zimmer - e dopo poco scomparve, sfumando alla vista di ognuno di noi.
Ancora un giro di sguardi, il cappuccio mi si era sfilato dal capo, svelando le mie fattezze. Non volli celarmi nuovamente, visto il rapporto di fratellanza che desideravo con ogni molecola del mio corpo.