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Edited by flama - 17/3/2013, 00:08. -
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Lottava strenuamente, l’assalto di scheletri dai volti dimenticati pareva infinito.
Il subconscio non perdeva l’occasione di palesare vittime irrequiete nei viaggi onirici del nostro, incubi che Bid’daum non smetteva mai di aggredire, nel blando tentativo di rispedirli indietro, nell’Averno da cui provenivano. Ma quelli non cedevano, e lui arretrava come un coniglio braccato dai cagnacci, attraversando cunicoli illusori che la sua psiche ricostruiva malamente ogni notte. Camminava e non sentiva il suo peso, era immerso nell’irreale ma non se ne rendeva conto, mai sospettava della falsità di quel teatrino degli orrori fintanto che ci brancolava dentro.
Girava un angolo, e l’ambiente cambiava liberamente, senza mai privarlo dei lugubri tocchi d'invisibili mani in cerca di vendetta. Era giunto in una specie di landa coltivata, forse un libero assemblaggio dei suoi ricordi legati a Laputa... non poteva rendersi conto di esser sconfinato oltre il chiuso putridume del suo cranio, finendo in un’onirica terra di nessuno. E non sapendolo, pensò con disinvoltura che anche la collina di cadaveri fosse un’altra prova da affrontare durante quel sogno inesauribile.
Avanzava tra i prati, al suo passaggio l’ambiente appassiva e scoloriva, come se l’anima nera risucchiasse tutta la vita dal suolo: un occhio attento avrebbe notato che anche il suo stesso corpo si sbriciolava lungo il cammino.
Non fece caso al cielo, sicuramente di un colore irreale, ma la sua attenzione fu subito catalizzata da una risata lontana. Avvicinandosi cupamente all’altura di morte, aleggiando a pochi centimetri da terra come un’entità spettrale, avrebbe percepito una presenza familiare. Non sapeva spiegarselo razionalmente – dopotutto niente era logico nel mondo dei sogni – ma era certo di riconoscere chi avrebbe inquadrato a breve. Così il suo occhio mentale si spostò verso la cima, mentre il falso corpo continuava la scalata, e poté vedere il cavaliere bianco di Laputa.
La voce gli giunse limpida, cristallina, come fosse un bisbiglio all’orecchio in una stanza vuota.
Il rivale declamò il suo nome, e parve al Kuthiano di riscoprire qualcosa che un tempo aveva sicuramente saputo ma che - chissà come mai? - la memoria aveva brutalmente rimosso. Il volto immaginario di lui avrebbe mostrato un’espressione stupefatta, quasi imbambolata, mentre tutta la sua figura era avvolta da un alone incendiario, come se un eterno rogo ardesse alle sue spalle.
Io sono Bid’daum.
Si lasciò scappare il nome dalle labbra inesistenti giacché, in quel mondo, pensieri e parole coincidevano, senza una possibile distinzione tra i segreti della mente e le falsità del verbo.
E ti odio.
Aggiunse con semplicità, senza ricordare esattamente il motivo di tanto astio: sentiva ribollire lo spirito, bruciavano sulla pelle vecchie cicatrici, eppure il sentimento oscuro restava ingiustificato.
Era ormai pochi metri sotto la vetta, pestava cadaveri sconosciuti, e non riusciva a distogliere lo sguardo dal Falco: un fascino magnetico permeava la sua limpida figura, talvolta snaturata in turpi espressioni.
E poteva percepire le loro anime entrare in risonanza, come frammenti di un’unica completezza, smaniosi di ricongiungere le loro sfilacciate fratture.. -
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L’altro pareva una condensa di tutto il suo odio, e poteva percepire chiaramente i sentimenti oscuri defluire verso la sua statuaria bellezza.
Parole che non erano parole giunsero a pizzicare il nostro, ora pietrificato e teso a comprendere la natura di quell’essenza. Nella sua voce c’erano tracce di divinità, non sembrava nemmeno respirare quella fetida aria che i mortali dovevano deglutire.
Il figuro sognato si sollevò, pulsando da un luogo all’altro, con la naturalità di un fiore che perde la propria corolla. Il Kuthiano si affrettò a voltarsi, per non vederlo dissolversi alla minima disattenzione, secondo un’altra legge non scritta di quel mondo. Fortunatamente l’angelo era rimasto lì, saldo nelle sue apparenze, immutato nel suo sguardo compiaciuto.
E il sognatore maledetto parve assorto in qualche pensiero, che fu quindi esternato con naturalezza da un’arcana voce fuoricampo, sua e non sua allo stesso tempo.
Quindi, se ti nutri del mio odio... tu vivi in funzione di me.
Senza il mio astio tu saresti il nulla, o – ancora peggio – potresti essere l’ultimo degli anonimi senza uno scopo.
Folgorato da quella rivelazione così spontanea, il catalettico Bid’daum non poté escludere la seconda parte del suo ragionamento.
Certo non posso negare che anch’io esisto in funzione di te, poiché esploderei dall’interno senza qualcosa su cui riversare il mio tormento.
Capisci quindi cosa vuol dire questo?
Lentamente cominciavano a riaffiorare scarni ricordi di quel cavaliere, qualche dettaglio dell’incontro avvenuto dall’altra parte qualche tempo prima.
Centellinati come gocce di rugiada che picchiettavano sul teschio di un morto, minute memorie zampillarono in quella mente così lucida, ma così confusa.. -
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Bastarono poche parole – le uniche giuste – per risvegliare l’energia sopita, che giunse a tempestare la stantia aria del sogno. Quasi in risposta alla vampa di potenza emanata da Grifis, s’intensificò il legame arcano che quella notte – collegando due anime – trascendeva lo spazio.
Attonito il Castigo ammirò l’altro, senza mai smettere di rimestare i sentimenti tetri e folgoranti.
Anelli cristallini, limpidi come polle d’acqua, avvolsero il candido cavaliere.
Fu poi la volta della lama, stranamente familiare, e infine la provocazione.
E finalmente riconobbe quella superbia.
Ricordò tutto.
A sua volte esplose, eruttando tutta la disperazione stipata nelle spire della sua anima: il torrente fangoso dei ricordi aveva spalancato i cancelli della sua furia, e l’abbraccio putrescente del suo spirito si estese fino a dilaniare lo spazio onirico in cui era relegato. Se l’altro accompagnava la sua presenza al boato degli oceani, invece di Bid’daum si sarebbe detto che era l’epicentro di un globo disperante, marcio e crepitante come il nucleo di una stella morente.
Le due aure espanse avrebbero trovato prima o poi un punto d’intersezione, stridendo orribilmente nel luogo di contatto, e annientando tutto ciò che di esterno era rimasto: tutta la montatura del sogno fu nebulizzata, opponendo la blanda resistenza di un quadro slavato dalla pioggia torrenziale.
Rimasero solo loro due, al centro dell’Universo.
Il Kuthiano non smorzò minimamente il flusso empatico che avrebbe raggiunto il Falco, come se fosse desideroso di far comprendere all’altro la sua vera identità.
Pensieri sfumati di perfidia, ricordi di solitudine – orfano, prigioniero, esiliato –, la strenua brama di sopravvivere, l’abisso e il fascino delle arti animiste proibite.
E poi l’inarrestabile devianza mentale, condanna insostenibile per qualunque creatura comune.
Ma lui voleva dimostrare di non essere uno dei tanti.
Ebbene, aveva venduto l’anima pur di non annoverarsi tra i milioni di ciottoli anonimi.
Pur di risplendere sfolgorante, anche a costo di consumarsi anzitempo.
Bid’daum sollevò la destrorsa fino a raggiungere la spalla corrispondente, per poi stendere stizzito l’avambraccio verso il basso, con un colpo di frusta, come a voler far scattare un meccanismo a serramanico.
Si palesò una spada nel suo pugno, nient’altro che la figurazione mentale dell’originale lama spiritica da lui brandita.
Il volto era devastato dall’odio distillato, contratto in un’abominevole espressione.
Vediamo se questo ti basta.
Sibilò all’altro, poi il mezzo diavolo si proiettò verso l’angelo, perforando - al pari di una cometa - la tenebra soffusa del sogno ormai svuotato. Portò avanti l’arma, calando un fendente carico di tutto il suo disprezzo.
Forse i due miraggi sagomati in forma di spade avrebbero impattato l’un sull’altro, trasmettendo empaticamente molto più di quanto le normali parole avrebbero potuto spiegare.
E - mentre le aure ruggivano - il reame onirico collassava su se stesso, non riuscendo più a contenere l’immenso potere sprigionatosi.. -
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Crollarono i pilastri del ponte che collegava le due menti, rimanendo in bilico tra sogno e veglia, finché i rivali - dalle parvenze ormai confuse e frammentate - avrebbero annunciato i rispettivi commiati.
La voce dell’altro lo raggiunse a fatica, giacché a questo punto i suoni del mondo reale si facevano sempre più prepotenti, ma non una sola parola sfuggì alla memoria del nostro.
Rispose di getto all’opponente, affidando il suo messaggio all’ultimo spiro di quella tempesta di pensieri.
A volte l’attesa ci cambia dentro, Cavaliere.
Nel frattempo aspettami e prega i tuoi dèi, perché quando tornerò, sarò pronto a distruggerti.
E l’ultima voce si perse nell’eco di una testa infine svuotata.
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La sua coscienza onirica precipitò, lasciandosi cadere giù dalle nuvole, dall’atmosfera fino al terreno. Ma il suolo di sotto era arido e morto, e solo un immenso lago vitreo lo stava aspettando nel suo fermo abbraccio. Purtroppo le braccia inesistenti non afferrarono il suo spirito, che continuò a cadere, oltre la superficie della terra.
Finì nell’abisso del sottosuolo, infine schiantandosi lievemente sul giaciglio che aveva accolto le sue stanche membra... così il diavolo era tornato nel suo inferno.
Aprì gli occhi.
La camera era afosa, irraggiata dalla luce spettrale che filtrava dal deserto. I suoni del mattino meridionale giunsero alla sua mente eccitata e frastornata, la folla già si stava formando per le vie del Bazar. Si alzò e mosse pochi passi, fino ad accostarsi alla finestra, tacciando per un momento il prorompente grido che giungeva da dentro di lui, proclama di una forza nuova.
Guardò verso il lago di vetro che incombeva su quel quartiere di Merovish, e gli parve di poter ripercorrere la sua caduta immaginaria a ritroso, solo con la spinta di uno sguardo, fino all’ultima sommità del cielo. Incrociò lo sguardo del Falco, poteva esserne certo.
Ci rivedremo presto, Cavaliere.
E il sadico ghigno tornò a deformare i lineamenti del Castigo..