[CC] Quel Gigante tra i Boschi

Sentivo tutto ovattato: un mal di testa incredibile, una confusione estrema, ricordi confusi. Improvvisamente ripresi conoscenza alzando la mia schiena e distaccandomi dall’essere sdraiato. Come facevo ad essere sdraiato, ma soprattutto... come facevo a trovarmi fuori dell’Eva all’interno di un bosco?
Cominciai a muovere freneticamente il mio capo, nel comprendere meglio cosa era successo: l’angelo, il dolore alle gambe, lo svenimento. Tutto mi era offuscato, rimembrando solo pezzi di un puzzle che era incompleto con molti più interrogativi di risposte. L’Eva? Dov’era il gigante di ferro? Come facevo a trovarmi fuori dell’entry plug? Che fossi morto e finito a miglior vita?
Anche se disorientato in un ambiente che non riconoscevo, decisi di riportarmi in piedi e cominciare a comprendere meglio la scenografia che mi circondava.

Una foresta? A New Tokyo non ci sono foreste.

Rimembrai, nel ricordare lo scenario di distruzione: tra macerie e mezze costruzioni fumanti.
Che posto era questo? E soprattutto… come c’ero arrivato senza essere all’interno dell’evangelion? Imbarazzo, incertezza, dubbio.
La mia testa doleva come non mai prima di quel momento, avendo forti giramenti nel barcollare: non riuscendo ad avere un buon equilibrio e dovendo ogni tanto, poggiare la mano su di un tronco di quei rigogliosi alberi per restare in piedi e non tornare riverso a terra. Posto magnifico senza dubbio. Tale flora era un’utopia nel mondo che io conoscevo, in quanto l’ecosistema aveva subito grossi cambi climatici mediante il cataclisma chiamato second ipact; non avendo più foreste rigogliose come quella che mi si presentava ora in maniera così percepibile. Ancora non capivo, tutto mi era estraneo e nulla mi portava a comprendere razionalmente ciò che stavo vivendo in prima persona: sogno forse?

Che fossi ancora incosciente e stessi sognando? Mentre la brutalità dell’angelo che stavo combattendo, ultimava la sua opera nel massacrare la gigantesca struttura in cui ero collocato e che ormai era in procinto di diventare solo un cumulo di viscere, acciaio e carne strappati e divelti?
Non capivo, non comprendevo, non intuivo: semplicemente, continuavo a procedere per quella strada istintiva tra i vari alberi che evitato goffamente per non sbatterci contro. Il fiato ad essere pesante e la vista che non mi aiutava, nell’osservare sprazzi di linee prima offuscate e poi nitide. La testa mi esplodeva talmente tanto da rischiare di rimettere e vomitare in mezzo a quel verde salutare: in un malessere che mi attanagliava come un virus che lentamente annienta gli anticorpi estinguendo il loro compito di protezione. Non avevo certo un bell’aspetto, ma non potevo rimanere fermo, dovevo procedere cercando di scoprire qualcosa: a forza vi doveva essere qualcosa che collegasse la mia momentanea amnesia al fattore scatenante di quegli eventi incomprensibili. Poi lo ritrovai, era fermo… immobile… stabile nella sua posizione eretta - nel totale connubio con la scenografia naturale: come diavolo ero uscito, come fisicamente e razionalmente era possibile?

Pazzesco, impossibile, allucinante. Non riuscivo a riconoscere tale posto, non mi ricordavo di una foresta nelle vicinanze della città fortezza, e soprattutto l’aria, era troppo pulita per essere prodotto dell’ecosistema naturale: causa le radiazioni di esplosioni nucleari in passato, che ne avevano guastato l’ossigeno. Un rigurgito involontario mi fece espletare quel poco di cibo che avevo mangiato a pranzo; dovuto a una forte nausea nel sentirmi totalmente frastornato e sofferente per un disaggio continuo per il forte stress fisico. Un filo di bava colava dalla mia bocca, nella scena poco gradevole di essere ricoperto d’eccessiva produzione di saliva mista a rimasugli di quello che era cibo. La gola mi doleva per la contrazione involontaria della glottide, nello sforzo di rimettere in maniera copiosa. Chinai un istante il capo, nel poggiare la fronte sul suolo di erba e foglie: distendendo le braccia per rilassare i muscoli e sentire meno pressione sul capo. D’un tratto, anche se ancora frastornato e sofferente, mi parve di udire una voce provenire oltre l’Eva. Suggestione forse… o realtà?

L’unico modo per scoprirlo era rimettersi in piedi e oltrepassare la voluminosa struttura che comandavo. Riflessi involontari di tremiti, rendeva quel gesto di alzarmi dannatamente complesso, nel sentire la testa pesare una tonnellata. Con tutto me stesso ci provai, fino a riuscire, anche se totalmente traballante: dovendo aggrapparmi nuovamente su un appoggio che altro non era il gigante che pilotavo. Continuando nel muovermi lentamente un passo alla volta, riuscì nel sorpassare la struttura artificiale e vederlo. Non era molto nitido, ma riuscivo a comprendere che si trattasse di un uomo che restava inmmobile ad osservare. Il respiro era sempre affannato, e le mie condizioni abbastanza precarie da non riuscire a mantenere la postura.

A… aiutami ti pr... eg… o.

E nuovamente cedetti nel perdere i sensi. Nel ritrovarmi nuovamente a vedere tutto buio in uno stato d’incoscienza: nel sentire nuovamente che le forze mi avevano abbandonato per lasciare spazio al vuoto.

Al pari del detto “ nel girone di quelli che sono sospesi”, così io sentivo la mia essenza turbata e confusa, nel vaneggiare senza un linguaggio logico apparentemente, ed essere preso da crisi di panico. Il mio corpo sembrò fermarsi in quella caduta nel vuoto, sorretto da misterioso individuo che celermente venne in mio soccorso: frasi senza senso ad essere udite, in un discorso preciso nel rammentare gli istanti prima del non senso, e di quel risveglio sofferente. Il senso di colpa mi stava uccidendo, come del resto il sentirmi spaesato in quel comportamento tanto caotico di non dimostrarmi equilibrato: insicurezza, panico. Sconfitta?
Sentivo tutto intorno ovattato, e la comunicazione di quel misterioso giunto, essere momentaneamente ignorata, nel mio continuare a fraseggiare –forse- in un atto di speranza, o di colpevolezza.

L’angelo… devo distruggere l’angelo...

Quella frase ad indicare un compito ben preciso, ma che per chi stava ascoltando poteva significare ben poco, o anche nulla. Nella mia mente si rifacevano vivi i ricordi degli istanti di battaglia: il mio mitragliare, e la successiva offesa dell’emissario nello stroncare la mia lucidità, e farmi cadere in un baratro di malessere e disperazione. Senso opprimente d’incapacità più totale. Il resto era solo contorno, un contorno estremamente bello e quieto - che nel mio subconscio veniva rifiutato per l’attaccamento alla mia origine: alla difesa di un popolo che senza di me era totalmente in balia dell’estinzione.
Cosa mi rimaneva ora? Solo senso di colpa e apatia. Apatia per la paura di non avere più un utilità, e quindi, essere solo un individuo senza una motivazione concreta e pulsante che lo tenesse ancora stretto al legame della vita: una rondine senza il suo stormo non ha senso di esistere.

Dolore sulla guancia, arrossamento di quest’ultima e leggero gonfiore. L’azione ad una prima analisi brutale, aveva dato modo alla mia confusione di riottenere un pizzico di lucidità, e sgranare d’improvviso gli occhi nel riprendere posizione eretta; seppur barcollante ancora, riuscì a far esclusivamente affidamento sulle mie forze, eseguendo qualche passo in avanti e posare una mano su di un tronco, nel gesto seguente d’altro espletare per il dolore allo stomaco in un lieve chinarmi.
Le domande multiple dello straniero furono meglio intese dal mio udito, nel cercare di rispondere ai primi quesiti anche se ancora confuso.

Sono un pilota, quel gigante che vedi si chiama Evangelion.

Dare una prima spiegazione per calmare il suo conseguente disagio, e cercare di ottenere qualche informazione su dove diavolo ero finito, dato che sicuramente non si trattava della terra, o meglio, non del luogo ormai sconvolto da cataclismi naturali e non che stavano sterminando la mia specie.
La specifica nel nominativo regno, mi faceva intuire seppur a fatica, che non si trattasse di un epoca di modernità, o meglio, che questo luogo non aveva minimamente a che fare con la stessa linea temporale. Le nazioni da lui nominate - precisamente nel continente Europeo- erano ormai terra morta, essendo fra quelle cittadinanze perite per prima al conseguente Second Impact.

Provengo dall’ultima città superstite al cataclisma che ha sconvolto l’ecosistema terrestre, nell’estinzione di mezza popolazione mondiale, fra cui le nazioni da te citate. Sono di nazionalità Giapponese, ultima speranza per l'annientamento di creature dette Angeli che hanno l'obiettivo di sterminare la razza umana.

Nuovamente un rigurgito, a buttare fuori altro malessere fisico per il forte disaggio che metteva a dura prova la mia salute cagionevole. Nel pulirmi con una mano la bocca, questa volta una domanda venne posta dal sottoscritto, nel capire in che razza di luogo mi trovavo.

Dove diavolo mi trovo? e soprattutto in che epoca?

Una realtà parallela? Sembrava una fottuta saga cinematografica, tipo quei film di fantascienza dal cast milionario e gli effetti speciali d’ultima generazione.
Girandomi e poggiando la schiena sul tronco dell’albero, scivolai fino a sedermi per terra, mentre la mia faccia esprimeva un’aria di stupore mista a perplessità.
Mi ci volle qualche istante per poter impostare qualche tipo di frase, in quell’inquietudine che nuovamente mi aveva assalito, rendendomi conto che ormai il mondo da cui provenivo era spacciato.

Mi stai dicendo, che questo mondo si trova in un’altra dimensione? E che oltre a questa, n’esistono molte altre?

Assurdo, l’istinto mi spingeva a procurarmi un pizzico sulle guance per comprendere realmente se fossi stato desto, o se stavo sognando, ma il dolore che provavo fisicamente era troppo percepibile per essere solo frutto del subconscio.
Come diavolo era possibile una cosa del genere? E in che modo era avvenuto tale misterioso avvenimento?
La mia mente ancora era confusa, ricordando solo spezzoni, e non avendo la totale visione completa dell’istante o azione che aveva scatenato tutto questo. Sguardo vacuo a fissare un punto a caso, mentre la mia bocca rimaneva spalanca in quell’espressione sbigottita ed ebete che mi rendeva incredulo sull’accettare un tale avvenimento.
Cosa fare ora? Come scatenare l’effetto contrario per far ritorno a New Tokyo?
Le domande molteplici mi s’infilavano nella testa come pezzi di vetro, procurandomi stato ansioso per non sapere da dove ripartire, e soprattutto, in che modo scatenare nuovamente quell’evento multidimensionale che mi aveva sbalzato in questo misterioso emisfero alternativo.

Esiste un modo per far ritorno? E se si, come?

Chiesi con tono agitato, nella speranza che quell’individuo dai vestiti grotteschi potesse darmi quella soluzione che io non riuscivo a trovare, e che mi rendeva al pari di un cieco che vagava senza orientamento: ad ogni modo sembrava gentile, nel dimostrarsi premuroso e sincerarsi delle mie condizioni - nella domanda se avessi all’interno dell’Eva-01 qualche medicinale che potesse migliorare il mio attuale stato di salute.

Penso che questo mio malessere fisico sia causato dall’aria troppo pulita di questo mondo, a cui i miei polmoni non sono abituati.

Dolore, tristezza, rammarico. In dunque, nessuna possibilità, o al momento difficile di conoscere modo per far ritorno in quel mondo -“che ironia” - detestavo con tutto me stesso: quella decadenza che ormai aveva fatto si, che l’eden diventasse solo terra brulla e morta. Questo nuovo scenario, poteva forse essere un nuovo inizio, darmi quella pace che cercavo da quando il cataclisma era cominciato, e che mi aveva prodotto solo gravi turbe e insicurezze interiori. Avere la pace di non dover avere ogni istante della mia vita responsabilità, e rimuginare su ogni atto che poteva produrre una conseguenza in quella mia fragilità che pesava come un macigno. Davanti a quell’uomo di cui non conoscevo nulla, ero semplicemente una normale persona: una figura come tante – da parole sue – che finivano in questo mondo simile ad una calamita che attraeva ogni cosa. Non era detto che non potessi far ritorno, come non era detto che non si fossero prodotti altri Eva, guidati di conseguenza da altri piloti. Non potevo ogni volta sentire il peso di una responsabilità che non meritavo, o che meglio, non poteva solo essere affidata a me, come unico individuo in difesa di un intero popolo e razza.



Quindi non vi è possibilità?

Forse tale evento era destino, un opportunità di darmi quella vita felice che non avevo mai avuto: in una nuova realtà dove ancora la speranza e la pace erano elementi attendibili e concreti. Nel mio stare accovacciato, in una prima espressione malinconica, decisi di accettare quella situazione come un’opportunità: un’opportunità per rendere la mia vita migliore, lontano dall’ipocrisia e la cupidigia di multinazionali bramanti solo di potere, e che in verità poco s’interessavano dell’incolumità dei loro stessi simili tenuti all’oscuro del vero motivo del second impact. Una mano ora tesa a dimostrarmi solidarietà, in quel sentimento che la mia gente aveva scordato da molto tempo, e che aveva sostituito con l’ipocrisia del singolo e non della comunità. Il suo nome a rimanermi ben impresso nella testa, nel ricordo di quel primo abitante che a prescindere dal non conoscermi e non sapere a quale indole fossi predisposto, aveva sentito il dovere di salvare e dare assistenza ad un suo simile anche se di un mondo diverso dal suo: se la speranza doveva avere un volto, sicuramente Mozart – così presentatosi – n’era un fulgido esempio di come una creatura intellettualmente sviluppata si mostrasse evoluta. Ricalcando il suo gesto, protrassi la mia mano fino a collidere con la sua nella fusione di una stretta, una stretta amichevole di due persone incuriosite a vicenda nel conoscersi e avere un primo contatto.

Piacere mio… io sono Mizumi Takeda.

Proferì nel farmi forza e rialzarmi in un sorriso dipinto che voleva far trasparire sollievo, sollievo per una piacevole sensazione che stavo provando anche se in un momento difficile come questo, ma che infondo al cuore mi dava speranza per un futuro splendente.

Il fatto di dover nascondere l’Eva, era un problema rilevante, dato che giustamente, farlo sostare in quella zona poteva portare rischi non indifferenti, come anche citato da Mozart.
In effetti, bisognava ora pensare dove collocare quel gigante: non avendo più una base operativa come poteva essere quella della Nerv, bisognava campare di ingegno, e sfruttare la zona naturale per trovarvi riparo sicuro.

Non ci sono problemi… per quanto ha subito danni consistenti, dovrebbe avere le sue funzionalità di movimento ancora intatte.

Sentenziai, osservando l’Evangelion nell'alzare il capo, nell’inquadrare il bestione di carne e acciaio che sostava momentaneamente inanimato in quella scenografia selvaggia.

Avrò bisogno di strumenti per riparare i danni, qui avete a disposizione qualche tipo di tecnologia?

Domandai nella speranza che la risposta fosse positiva, in quanto attualmente non era funzionale al 100% per sfruttarlo in battaglia e dare così un mio contributo in questo nuovo mondo.

Ora bisogna capire solo dove collocarlo, tu sai qualche posto abbastanza sicuro e tranquillo per nascondere un bestione di sei metri?