Lost in the Echo

Building on Ruins ~ Epilogo I

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    In qualche modo era finita: per il Dominio delle Sabbie iniziava quel giorno una nuova era da costruire sulle fondamenta che avevano contribuito a gettare, e a loro -invisibile mano che tesseva le trame della Storia dei mondi- non restava che svanire tra le ombre del sogno... la volontà che li aveva generati: il Mandato straordinario di cui il Card Master li aveva investiti si era concluso, e mentre la Forza era già stata riassegnata al suo nuovo posto di guardia, a lui e all'Imperatore restavano i rintocchi di un orologio fantasma per scandire i passi della loro marcia sulla via del ritorno a casa... o verso il prossimo campo di battaglia.

    « ...che succede, bello? »

    Quando l'Hellhound al suo fianco parve farsi d'un tratto irrequieto, l'Arcano era diretto al Belvedere, il punto dove avrebbe potuto richiamare la Soglia della dimensione onirica, il vuoto di nero velluto che lo avrebbe riportato a casa, ma... per via di quella strana reazione, la Morte indugiò un istante ancora nel mondo reale, abbassando il tiro degli occhi blu cobalto sull'incorporea bestia tricefala, tutta dedita a fiutare avidamente l'aria e ruotare le teste semi-decomposte alla ricerca dell'origine della scia che avevano percepito.

    « Cosa c'è...? »

    Alla domanda rivoltagli, uno dei crani -quello centrale- si levò a restituire l'occhiata al biondo, quello a sinistra si chinò a suolo per leccarsi una zampa, e l'ultimo -quello a destra- drizzò le orecchie con fare guardingo: con uno scatto delle zampe, l'animale spiritico fece per partire a razzo, ma al padrone bastò un parco strattone al guinzaglio mentale che li vincolava per neutralizzare il loro impeto e riportarli all'ordine.

    Comportamento curioso, per il suo amico perfettamente disciplinato, ma non inspiegabile; per quanto defunto, il suo istinto restava comunque quello di un qualsiasi Mastino Infernale: fiutare gli spiriti prossimi al trapasso, rapirli al momento del decesso, e portarli in tributo al loro padrone; era per quel motivo che molti demoni ne avano uno... Probabilmente, il suo botolo doveva aver fiutato un'anima vicino alla morte.

    « Sitz. »
    dispose, con forte accento tedesco

    Ubbidiente a quel comando, il Cerbero si mise rigidamente in posizione seduta, pur continuando a lanciare occhiate smaniose a qualcosa oltre le sue spalle, e allora il Dottore si volse, pronto a seguire quell'indizio. Fu allora che la vide: tra le ombre dei cunicoli sotterranei stava una fanciulla, che lo fissava di rimando...

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    « . . . »

    Non la conosceva -di questo era certo-, ma quando i loro sguardi si incontrarono l'Ankou percepì una strana attrazione... come un richiamo -simile e diverso dalla Risonanza-; prima di rendersene conto, aveva già mosso due passi nella sua direzione, e nel momento in cui tornò presente a sé stesso, si tolse il cappello in segno di omaggio, portandoselo sul doppio petto del cappotto e restando in attesa... che ella dicesse qualcosa, o -in vero- alla ricerca di qualcosa di intelligente da dire.



    Edited by Madhatter - 2/11/2014, 02:07
     
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  2. Yggdrasill
     
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    Erano ore che vagava all'interno di quell'inferno di caldo e polvere.
    Si era smarrita più volte tra quei cunicoli, perché la visione non le aveva mostrato quale strada prendere, ma solo quale persona incontrare.
    Era come un ritornello ossessivo, come quelle melodie che si annidano nella mente senza più abbandonarla: il viso di quell'uomo si presentava puntualmente nei suoi pensieri, non invitato, non richiesto, ma non per questo non voluto.
    L'urgenza martellante di dovergli parlare qualunque prezzo si era lentamente trasformata in un sommesso desiderio di compagnia, nella timida sensazione di essere meno sola.
    Meno persa.
    Era quello che voleva?
    Echo non smetteva di domandarselo, percorrendo quelle vie buie come se fossero personalissime strade della sua coscienza.

    Il bizzarro stato sospeso della sua esistenza non le impediva di avvertire la stanchezza, che lentamente prendeva possesso delle gambe sottili, ormai esauste di condurla tra i polverosi vicoli del Sud. La fanciulla scandagliò con gli occhi l'ambiente, poi abbassò lo sguardo - marchiato dalle rosse vestigia del suo potere - verso l'album di fogli neri scarabocchiati in modo acerbo: il luogo sembrava essere quello giusto.

    Si appoggiò a una delle innumerevoli pareti di quel budello di pietra, percorrendo pigramente con lo sguardo l'andito scarsamente illuminato che si apriva di fronte a lei. La luce filtrava in lame che trafiggevano il fitto pulviscolo, donando all'ambiente un'area surreale, quasi magica.
    Poi, lo vide.
    Sgranò appena gli occhi e, se solo avesse potuto, il suo cuore avrebbe mancato il battito, il suo petto un respiro.

    Lì, nascosta tra le ombre, Echo osservava il giovane uomo avanzare verso i confini del Sogno. Avvertì uno strano tremito nel cuore, un'emozione fragile -eppure profondissima - tenderle appena le membra esili mentre muoveva un passo nella sua direzione, una scarica che, attraversandola, risvegliava il suo corpo semi-morto.
    Aveva dovuto attendere per un tempo infinito prima di potersi finalmente presentare al suo cospetto, ma finalmente quel momento era arrivato.
    Lo fissò a lungo, intensamente, con i grandi occhi blu ancora lievemente spruzzati di cremisi incollati sul suo mantello nero.
    I sensi affinati della fanciulla percepirono l'animale che lo affiancava agitarsi e fremere nella sua direzione - probabilmente aveva fiutato la sua condizione di
    revenant -, ma la sua attenzione era tutta per l'uomo che aveva davanti, per quello che era stato il fulcro delle sue premonizioni, il centro delle immagini che avevano riempito la sua mente per due, lunghi mesi da quando era morta.
    Si fece appena avanti, quel tanto che bastava per mettere in luce il viso bellissimo e lunare. Ad ogni piccolo movimento, gli anfibi sollevavano sbuffi di polvere rossiccia dal selciato, mentre la corta gonna di tulle pallido si agitava attorno alle gambe come un tenero fantasma alla più lieve delle correnti. Al suo fianco, l'album da disegno pendeva come un cencio abbandonato.

    Lui si voltò e la fissò di rimando per un lungo istante in cui il tempo sembrò dilatarsi e svanire, ed Echo ebbe la sensazione che quei begli occhi blu cobalto potessero arrivare così a fondo dentro di lei da leggerle l'anima.


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    « Ti ho cercato così a lungo… »
    Esordì timida e a disagio, abbassando lo sguardo meticcio verso terra, mentre si rendeva improvvisamente conto che il ragazzo aveva quasi azzerato la distanza tra di loro
    « …ma finalmente ti ho trovato. »

    Il timbro era sottile e fragile come cristallo di rocca. Fievole, un esile tintinnio d'argento che si dissolveva nell'aria, pronto a spezzarsi ad ogni momento come la corda tesa di un violino. Parlare faceva male, così tanto da macchiare di un bel cinabro le bende che le fasciavano il collo delicato, ma non le importava. Desiderava a tutti i costi che l'Ankou sentisse la sua voce.

    « Eri proprio come t'immaginavo, tranne per i capelli. Nella mia visione non erano così belli… i tuoi, invece, splendono come l’oro. »

    Abbozzò un sorriso, rimproverandosi interiormente per aver detto una cosa al contempo così stupida e così imbarazzante. E per quanto lottò, non seppe resistere all'impulso di allungare le braccia levigate verso di lui per cingerle attorno al cappotto di panno nero. Vi poggiò il viso, affondando la guancia morbida e bianca nella stoffa ruvida, mentre i capelli - di un candore niveo, quasi accecante - ricadevano come una nuvola morbida sulle spalle sottili.

    « È bello incontrarti… »

    Ora finalmente aveva capito quale fosse la risposta a quella domanda.
    Si, era davvero quello che desiderava.



    Edited by Yggdrasill - 28/8/2013, 00:39
     
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    « Ti ho cercato così a lungo... ma finalmente ti ho trovato. »

    Mentre quelle parole sbocciavano con voce dolce dalla curva delicata di labbra ben disegnate, la bianca fanciulla abbassò timidamente lo sguardo, permettendo al Dottore solo un assaggio sfuggente di quelle iridi chiare appena sporcate da un vivido sprizzo di rosso... lo stesso colore che -con un brivido di preoccupazione- gli occhi blu videro spandersi su quell'esile collo da cigno, impregnando la candida fibra di cotone delle bende che lo fasciavano.

    « Eri proprio come t'immaginavo, tranne per i capelli. »
    proseguì lei, flebile, lasciandogli solo intuire quale sforzo le costasse parlare
    « Nella mia visione non erano così belli… i tuoi, invece, splendono come l’oro. »

    Probabilmente, se la situazione fosse stata diversa, la pallida Morte sarebbe arrossita fino alla punta dei capelli d'oro di cui quella familiare sconosciuta aveva con tanta tenerezza intessuto le lodi... e non solo perché si trattava di apprezzamenti scaturiti da una giovane bella come una bambola -eterea e affascinante come un sogno-, ma soprattutto perché quelle stesse chiome erano state fin troppe volte causa dei motteggi della gente del villaggio dove aveva abitato in vita -gli stessi che lo avevano sepolto vivo per le loro stupide superstizioni-: sembravano paglia, a detta loro, e più d'uno aveva preso l'abitudine di chiamarlo affettuosamente “spaventapasseri” alle sue spalle per quello e per via della sua corporatura alta e magra.

    ...ma quella non era una situazione normale, e nemmeno un motteggio, a giudicare dal sorriso che le vide abbozzare, così al primo posto tra i suoi pensieri rimase l'apprensione sulle condizioni di salute della ragazza (cioè... per modo di dire, dal momento che sembrava... beh, sì: morta, e... stava andando nel pallone); anche quando, senza spiegazione, lei tese verso di lui le braccia sottili e flessuose per circondarlo in una stretta che lo lasciò impietrito.

    « È bello incontrarti... »

    Non che fosse spiacevole -tutt'altro-, ma: con la madre morta prima dei suoi dieci anni, un ubriacone violento come padre, una sorella minore -suo unico affetto- defunta appena adolescente, un villaggio di carnefici od omertosi, e una non-vita trascorsa in compagnia di spiriti, mostri ed altre entità sue pari, non era molto abituato a quel genere di contatto umano.

    « Ah... Ehm... Anche per me. »
    mormorò impacciato ma sincero, rispondendo al gesto abbracciandola a sua volta
    « È che... sì... la sua gola... non le fa male...? »

    Restando ben dritto, senza osare muoversi di un millimetro per timore di spezzare il sottile incanto di quell'idillio, il Tedesco abbassò lo sguardo di cobalto sulla soffice e vaporosa nuvola di capelli albini che reggeva contro il petto, sentendo nuovamente l’imbarazzo vago di quell’impasse: cosa puoi dire ad una ragazza carina che ti abbraccia all’improvviso?

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    « I-io… Ecco... io sono un medico. »
    no: non ci siamo; doveva impegnarsi di più, o rischiava la figura del brocco
    « Posso fare qualcosa per aiutarla, Freulein...? »

    Mh. Forse -e dico forse- ci siamo: almeno, è un inizio.

     
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  4. Yggdrasill
     
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    La soffice nuvola di capelli biondi ruotò lentamente mentre Echo poggiava il mento sul petto del tedesco; i grandi occhi blu oltremare non conservavano più alcuna traccia cremisi nelle profondità del loro sguardo, e la soffice bocca era distesa in un sorriso ampio e caldo.

    « Posso restare così? »

    La sua voce, adesso, era limpida e chiara, e sembrava risuonare nella mente stessa del giovane tedesco invece che dalle labbra immobili della ragazza, scorrendo come il placido mormorio d'acqua corriva.

    « Non devi preoccuparti per la mia gola, la sua è una ferita sempre aperta, o quasi. »
    Spiegò, scoprendosi a disagio nel svelare le conseguenze della sua condizione.
    « Nessuno può curarla, perché è il ricordo della mia morte. »

    La fanciulla ben comprendeva come fosse semplice per Faust intuire la sua condizione, sebbene sospettasse che non gli fosse del tutto spiegabile. Il suo stato consisteva in un delicato gioco di equilibri consumato sul sottile filo che separa la vita dalla morte, un limbo di non-esistenza assolutamente deserto all'infuori della sua presenza. Non era viva, ma non era neanche morta. Non apparteneva a nessuno dei due mondi, ma poteva vederli entrambi, e di entrambi poteva varcare le soglie.

    Lei era come un fiore appena sbocciato, strappato troppo presto da una mano crudele.


    Abbassò gli occhi, staccandosi appena dal dolce e timido dottore tedesco; aveva poggiato le mani sui suoi fianchi e ne aveva stretto la stoffa con mani esitanti, mentre le guance si erano tinte di un tenero rossore innocente. Non sciolse, però, il contatto con lui.
    Quando la sua anima era stata trovata dall'Oracolo e dal Card Master, la piccola ragazza morta non era stata in grado di ricordare il suo nome. E così loro gliene avevano donato uno nuovo, unico e importante, che nascondeva tra le sue pieghe un significato molto più profondo di quello letterale.
    Lei era Echo, e come l'eco vibrava nell'aria portando lontano voci e parole, lei avrebbe risuonato per entrambe le Corti, intrecciandole e legandole indissolubilmente l'una all'altra.
    Presentarsi, denunciare apertamente il suo nome, era come portare alla luce quel senso profondo che sentiva di dover custodire gelosamente dentro di sé.
    Ma - si ripeté - a Faust sentiva di poter mostrare tutto.
    Anche i recessi più profondi della sua anima.


    « Il mio nome è Echo. »
    Cominciò, risollevando lo sguardo marino e mischiandone le acque al cielo dei suoi occhi di cobalto.
    « E il mio Arcano è il Silenzio. »



    Edited by Amelie - 28/8/2013, 17:23
     
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    Per tutta risposta, la misteriosa sconosciuta sollevò il candido faccino di porcellana verso quello del tedesco, puntellandogli il mento sul petto, fissandolo con una luce calda negli occhi blu e un dolce sorriso sulle labbra morbide; quando parlò non lo fece con la sua voce: quel che gli risuonò nella testa non era neppure un suono reale.

    « Posso restare così? »
    gli chiese la giovane, direttamente alla sua mente
    « Non devi preoccuparti per la mia gola, la sua è una ferita sempre aperta, o quasi.
    Nessuno può curarla, perché è il ricordo della mia morte. »


    Un lampo di dolorosa comprensione attraversò gli occhi cerchiati da profonde occhiaie del Dottore, e immaginando -o forse intuendo- il disagio della fanciulla nel fargli quella confessione, Faust si limitò ad annuire piano e a ripromettersi di non tornare maldestramente su quell'argomento: certo, non sapeva chi ella fosse e non poteva pretendere di conoscerla o capirla (anche se la Risonanza continuava ad assuefarlo a quel senso di familiarità), ma sapeva per esperienza personale quanto spiacevole fosse rievocare il ricordo del proprio trapasso... ancor più se dovuto a una morte violenta.

    Mentre il biondo rimestava i propri pensieri, l'albina si scostò un poco da lui, interrompendo il contatto di sguardi ma restando aggrappata con le manine bianche alla nera stoffa del cappotto; per un istante parve farsi assorta, e quando tornò ad incatenare i loro sguardi -due diverse tonalità di blu- le sue labbrucce si schiusero per consegnargli una rivelazione che lo raggelò.

    « Il mio nome è Echo. E il mio Arcano è il Silenzio. »

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    « . . . »

    E Silenzio fu ciò che ella dipanò, lasciando attonita persino la Morte.
    Nel contemplarla per un lungo istante con occhi blu cobalto -sbarrati da una sorpresa densa di presagio-, Faust non seppe spiegarsi razionalmente il perché di quello stato d'animo, eppure qualcosa di più antico -sotterraneo e sopito- gli trasmise un fremito; se di paura o di aspettativa il Tredicesimo Arcano non riuscì a capirlo, perché il suo ego attuale non conosceva quanto straordinarie fossero le circostanze che accompagnavano la comparsa della Carta Bianca... e una sola domanda gli rimbalzò nella mente, affiorando -senza controllo- dalle sue labbra livide.


    « Quali sono gli ordini...? »

    Poteva non sapere cosa stesse per succedere,
    ma la scheggia d'eterno che dimorava dentro di lui doveva già averlo intuito...

    E il sussurro mentale di Echo fluì dolcemente tra i suoi pensieri.

     
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