Supremazia sulla Terra

[Aurora Occidentale]

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    Sotto la carezza tiepida e rassicurante con cui il vento del Sud risaliva la parete di roccia del Picco della Guardia -portando con sé l'eco salmastro del mare e l'arida secchezza del deserto-, il suo piccolo cuoricino in tumulto rallentò la corsa furiosa dei propri battiti, e le palpebre si abbassarono lentamente al riparo di quei rami spogli.

    Gli piaceva starsene su quell'albero, proteso sul ciglio del crepaccio e stagliato contro la volta azzurra del cielo, come un'acquila solitaria in mezzo al silenzio maestoso e assordante che dominava quell'anfratto... quello era il suo posto segreto, e lo aiutava sempre a trovare la quiete quando si sentiva solo, triste o spaventato... e mentre la brezza gli sfiorava il volto, lambendogli la pelle rimasta scoperta dai calzoni corti e dalle maniche della camicia -rimboccate fino ai gomiti-, si sentì mortalmente atterrito.

    Non riusciva a comprendere cosa fosse successo, né il perché: stava solo giocando per strada insieme ai suoi amichetti come ogni giorno, e in quel momento era di nuovo felice, ma poi... poi aveva preso la mano di Yuu, e quello era caduto a terra, mostandogli occhi vuoti e bianchi come il latte; aveva provato a scuoterlo e a chiamarlo, ma il bimbo non si era ripreso, e mentre gli altri attorno a lui lo fissavano con sospetto, anche Mana -in piedi ad un passo di distanza- aveva iniziato a stare male. Non sapeva cosa avesse fatto di brutto, ma una consapevolezza lo aveva colpito:
    era solo colpa sua. Per questo era scappato.

    Si fece coraggio e inghiottì il magone che minacciava di soffocarlo come un groppo in gola, e si concentrò sulla brezza che giocava con le corte ciocche dei suoi capelli e che gli ricordava la mamma e la tenerezza con cui era solita consolarlo prima di volare in cielo... e le parve quasi di vederla mentre lo circondava tra le braccia flessuose e se lo stringeva amorevolmente al petto.

    Le labbra pallide si piegarono appena in un sorriso nostalgico, sentì l'umida scia di una lacrima percorrergli la guancia, lentamente schiuse gli occhi, e... il bianco abbacinante di pareti, pavimento e soffitto lo accecò, scagliandolo di nuovo in quell'incubo immacolato e asettico: nessun cielo, nessun albero, nessun vento... solo il suo lettino e una porta sempre chiusa.

    È quando il corpo è tra quattro mura, che lo spirito fa i suoi viaggi più lontani.

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    I dolci occhi scuri lanciarono un'ultimo sguardo alla sua immagine riflessa nel piccolo specchio sopravvissuto alle asprezze della vita da campo, e mentre la destra provvedeva ad impigliare nello chignon i ciuffi sfuggiti al rigoroso ordine dell'acconciatura che intrappolava l'orgogliosa chioma corvina, la mancina allacciò strettamente i bottoncini che le chiudevano la casacca attorno al sottile collo da cigno, nascondendo così completamente all'altrui vista le bende e ogni ricordo delle bruciature.

    Sapeva meglio di chiunque altro quanto la sua presenza fosse stata fuori luogo nel bel mezzo di una battaglia, e che ogni volta rischiava di divenire un intralcio, un bersaglio o un punto debole, ma... l'umiliazione di divenire un peso era di certo più dignitosa della vigliaccheria con cui i suoi nemici osservavano la scacchiera dall'alto, facendosi scudo dei Figli dell'Ovest. Anche durante il loro Battesimo di Fuoco, lei aveva scelto di restare, perché era ciò che doveva ai suoi uomini e a tutti gli coloro che si erano radunati sotto il vessillo della Resistenza; dopotutto, incitarli a non cedere, motivarli ad andare avanti, tenere saldi e forti i loro spiriti davanti allo spettacolo aberrante di quella guerra fratricida era stato il minimo che potesse fare... almeno fino a quel momento.

    Questa volta, sussisteva però per lei un modo più pratico per rendersi utile, e per quanto i suoi consiglieri -i pochi rimasti in vita- l'avessero supplicata di recedere da quella sua decisione di prender parte attiva all'azione, Odayaka Mira, erede delle Nobili Famiglie e Ambasciatrice di Undarm, era stata irremovibile: essendo l'unica in quello schieramento a poter vantare una conoscenza della zona ostile entro cui avrebbero dovuto addentrarsi -l'unica ad aver visitato il Palazzo del Governo-, avrebbe guidato lei stessa il Principe Naga fino al vero responsabile di quella guerra spietata.

    Con la placida risolutezza che le era valsa il soprannome di Specchio Tranquillo, Odayaka prese posto al basso tavolino dove attendeva l'arrivo dei due Eroi, imperturbabile come il giorno in cui aveva scelto di ribellarsi ai Governatori e alla follia dei loro ideali... perché aveva abbracciato già allora la consapevolezza di avere solamente due opzioni:
    la vittoria, o la morte.

    Behind the Enemy Lines

    Conquistato l'accesso alla città di Sequerus con la vittoria riportata ai cancelli del Picco della Guardia, i Ribelli si preparano a muovere lo scacco matto agli usurpatori asserragliatisi nel Palazzo Reale; mentre le truppe alleate impegnano l'esercito dei Governatori, voi incontrate Odayaka Mira nella tenda di comando dell'accampamento della Resistenza prima di intraprendere il raid per la cattura di Kikio Oh – fondatore dei Lacci Neri e creatore dei Pacificatori.

    Prossima scadenza: 30 Novembre, compreso.
    Per dubbi o qualunque altra cosa, potete chiedere in Bacheca. :kisu:

     
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    Una brina sottile, delicata come petali privi della paura tipica di chi è conscio che il tempo ha effetto su tutto. Su tutti.
    L'aria profumava di fresco e, nonstante il sangue versato il giorno prima, pareva immacolata, un pensiero nato per caso e nel gioco di una mente innocente; l'accampamento della Resistenza manteneva la propria linea sul Picco della Guardia, quasi volesse rimarcare la conquista che il popolo dell'Ovest era riuscito ad ottenere sacrificando molto di sè.

    Scostò la tenda con il dorso della mano, lasciando penetrare la luce e sfilando all'interno, abbracciando tutto con il suo Atharvaveda: era come trovarsi al sicuro, in piedi, sull'acqua di un lago dalla superficie completamente priva di increspature.
    Sembrava di nuotare nell'aria.


    «Odayaka.
    Sei sicura?»


    Oramai aveva condiviso con lei ben più di un ideale e Namas percepiva il riflesso delle proprie iridi dorate nel volto imperscrutabile della Reggente di Undarm.
    Era anche colpa sua se ella aveva subito quelle ferite che nessun vestito sarebbe mai stato in grado di occultare alla vista del Nagavandari; perchè sebbene lo specchio d'acqua fosse piatto, sotto la superficie iniziavano a turbinare profonde macchie scure.
    Ed il senso di colpa era da sempre l'ombra più fredda nella vasta luce che illuminava il cuore del Principe.

     
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    Era tutto buio intorno a lui, ma stranamente non lo temeva.
    Quel manto di tenebra era caldo e rassicurante, molto più di quanto potesse sembrare in realtà; gli attimi concitati della battaglia, per quanto non troppo distanti nel tempo, sembravano essere nulla di più che un lontano ricordo dal quale era riuscito ad evadere in un modo o nell’altro.
    Eppure c’era qualcosa che lo turbava in cuor suo, come se avesse dimenticato qualcosa.
    Non riusciva a spiegarsi cosa o perché, ma sentiva che aveva sottovalutato qualcosa di importante e di vitale, in un certo senso; ma forse era meglio così: destinato all’oblio del momento, non avrebbe dovuto fare altro se non arrendersi a quel riposo forzato impostogli dal corpo e dalla mente.
    Ma nonostante quella muta rassegnazione, il suo animo continuava ad essere inquieto ed agitato, incapace di rilassarsi e di abbandonarsi a quel piacevole ristoro; la sua mente, parimenti, seguitava a pensare distogliendolo dalla pace di quel momento tanto agognato fino all'ultimo.
    Alla fine, il suo istinto di guerriero ebbe la meglio, rendendosi conto di essersi lasciato andare nel momento sbagliato. Assolutamente sbagliato.

    La battaglia!”, esclamò sgranando gli occhi e sedendosi.
    Si guardò intorno, stranito e spaventato, con il fiato corto; era tutto sudato, fradicio per qualcuno, tanto che piccole ciocche gli erano rimaste appiccicate sulla fronte e sulle guance madide di sudore. “Dov'è che mi trovo?!
    Era sorpreso, dopotutto.

    Si lasciò cadere sulla branda, nuovamente, lasciando che la testa si incastrasse nella morbidezza del cuscino; portò la sinistra sul cuore, percependone il battito forsennato, mentre poco a poco cominciò a ridurre l'intensità dei suoi respiri.
    Era passato qualche giorno, ma sentiva ancora l'adrenalina scorrergli nel corpo: evidentemente, in quel suo sonno – forzato o meno che fosse – non si era reso conto che quella battaglia si era già conclusa con la loro vittoria.
    Venne redarguito, inoltre, su alcune ed importanti informazioni che gli sarebbero state certamente utili da li in avanti, tanto che si meravigliò più di una volta nell'udire quelle parole, incredulo – almeno per una parte – di quanto stava ascoltando. La prima verità ad essergli rivelata, fu la vittoria ottenuta al Picco della Guardia: in merito aveva già qualche sentore, essendo ancora vivo e non essendo in catene; la conferma, in tal senso, arrivò tempestiva e venne accolta con gioia dallo Scorpione che aveva salvato la pelle una volta di più.
    Al di là di questo, vi erano comunque ben altre informazioni il cui livello di importanza superava di gran lunga una vittoria in battaglia: Beesech – la rossa – e Sagramor non erano abitanti e soldati dell'Ovest, bensì una sorta di agenti sotto copertura con il compito precipuo di salvaguardare la vita del Principe; quest'ultimo, parimenti, era stato designato a coprire la più alta carica per un presidio: l'insediamento come Alfiere. Erano giunti dei rinforzi da Laputa, la città nel cielo, che aveva visitato qualche tempo prima in compagnia di Arkan (del quale, purtroppo, non aveva alcuna notizia da qualche tempo): a quanto pareva, erano in missione anche loro – per conto, però, del rispettivo Alfiere – ma avrebbero contribuito alla causa dell'Ovest e della sua emancipazione dai pregiudizi; ultimo, ma non ultimo per importanza, si stava preparando un duro attacco contro gli usurpatori di Sequerus al fin di mettere fine al conflitto, evitando di protrarlo oltre tempo.
    Le notizie gli vennero fornite centellinate, dandogli modo e tempo di poterle incamerare ed assimilare visto che, comunque, si trattava della sua (nuova) terra; non ci volle poi molto a ricevere la chiamata per l'attacco decisivo – così come sperato dai vertici d’altronde – alla quale rispose con grande entusiasmo, presentandosi in pompa magna.
    Doveva infatti accedere alla tenda di lady Odayaka – lo Specchio Tranquillo –, che aveva avuto un posto di tutto rispetto in quel ‘breve’ conflitto, tanto da rischiare in prima persona la sua stessa vita: un esempio di gerarca da rispettare e seguire; parimenti nella tenda avrebbe avuto modo di incontrare il Principe, con il quale avrebbe condiviso quella missione. Si vestì – ed armò – di tutto punto cercando di risultare il più elegante possibile, senza peraltro uscire dal suo ruolo di guerriero vissuto. Sulle spalle indossò il sontuoso mantello donatogli da Razul e utilizzato sino ad ora solo per le occasioni più importanti… proprio come quella.
    Solerte, e con il cuore in gola, raggiunse la tenda.

    Con permesso.”, disse con voce forte per annunciarsi.
    Scostò la parte di tenda che serviva a far da porta, attraversandola con sicurezza. “Amon-”, aggiunse poco dopo ricordando il suo nome agli astanti, “-spero di non essere arrivato troppo in ritardo.” Concluse, omaggiandoli con un piccolo e breve inchino.

    Non tenne troppo gli occhi su Odayaka: non voleva sembrare maleducato.
    Al contrario, invece, guardò intensamente il Principe mostrandosi un’espressione colma di rispetto, il medesimo che era solito riservare nei confronti di persone dalla forte personalità ed alle quali avrebbe volentieri affidato la sua stessa vita.
    Era un onore che, di solito, riservava a pochi.

    Scostò un poco il mantello e afferrò il polso destro con la mano sinistra.
    In quella posizione, attese con fierezza quanto avevano da dirgli ed in che modo sarebbe potuto essere utile alla causa dell’Ovest.

     
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    «Odayaka. Sei sicura?»

    La domanda del Principe Naga sostituì la formalità dei saluti, restituendo alle orecchie della fanciulla l'eco dei suoi stessi pensieri: era sicura di quel che sta facendo...? Come se ci fosse qualcosa di certo in una guerra..! Si erano già trovati più volte colti alla sprovvista dai mezzi di cui il nemico disponeva, e lei stessa ne aveva pagato lo scotto: poteva dirsi dunque sicura di voler rischiare di nuovo la vita in prima linea...?

    Nell'intimo segreto di un respiro, lo Specchio Tranquillo trovò la sua risposta, e lasciò che tutte le incertezze le scivolassero addosso come gocce di pioggia su una superficie di vetro: poteva ammettere almeno con sé stessa di non sentirsi tranquilla all'idea di addentrarsi a quel modo in campo aperto -dopotutto, non era neppure un guerriero-, ma... sì, sicura della sua decisione lo era davvero.

    « Conosco il Palazzo meglio di chiunque altro nella nostra fazione, Principe. »
    argomentò la fanciulla con voce placida, sorridendo con grazia
    « Posso condurci alla meta per vie secondarie; con un po' di fortuna, non incontreremo pericoli. »

    Con permesso.
    la voce dello Scorpione sopraggiunse ad annunciarne l'arrivo
    Amon; spero di non essere arrivato troppo in ritardo.

    Rompendo gli indugi che ancora dondolavano tra l'Ambasciatrice e il Nagavandari, l'Egiziano fece il suo ingresso nella tenda di comando, esibendosi in un inchino di saluto e rivolgendo al designato -legittimo- Alfiere una solenne posa marziale; era già vestito e calzato, armato di tutto punto e pronto a partire, una cosa che Odayaka non potè che apprezzare.

    « Bene arrivato, Amon-san... »
    ricambiò la Dama, alzandosi dal suo posto e inchinandosi un poco a sua volta
    « Direi che ci siamo tutti, perciò... Mettiamoci in movimento. »

    E col passo leggero di una ninfea che fluttui sull'acqua dello stagno, la donna imboccò l'uscita della tenda di comando e dell'accampamento della Resistenza, per far strada ad entrambi gli Eroi lungo le vie di una città sotto assedio.

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    Già da diversi giorni la notte di Sequerus non conosceva quiete: tra gli spari, le urla, gli schianti e le fughe, aleggiava nell'aria baccano scandito da lunghe pause, un silenzio spezzato; la guerriglia tra le pattuglie degli schieramenti opposti proseguiva fino all'alba senza mai portare reali cambiamenti, e all'indomani c'erano per le strade nuove macchie rosse, qualche porzione di mura e case più crivellata e distrutta del giorno precedente, tanta tensione in più... e altre vite in meno.

    Muovendosi con l'unico lume di una fioca lanterna, la Reggente di Undarm condusse il gruppo tra strette strade e vicoli deserti, e mentre cercava di evitare accuratamente gli snodi dove avrebbero rischiato di dare nell'occhio, un'ombra velò il suo sguardo alla vista della splendida capitale ridotta in quello stato... ma non c'era tempo per quel genere di pensieri; lontani come echi di un altro mondo, le grida dei soldati le dissero che l'esercito Alleato -le forze dei Ribelli congiunte a quelle dell'Est e di Rivenore- doveva star ingaggiando battaglia frontale con le truppe governative: un diversivo studiato per attirare tutti i cani dei Governatori al fronte, una manovra per tenere i loro occhi puntati sul grosso delle truppe mentre delle ristrette task-force sgattaiolavano verso i veri obiettivi della Resistenza...

    Con un'attenzione spasmodica che non conosceva sollievo, Odayaka poté constatare che -per una volta- il piano sembrava star funzionando piuttosto bene: dopo quasi un'ora di snervante marcia, la sagoma imponente e regale del Palazzo Reale torreggiava su di loro come un gigante; le informazioni estorte ad uno dei prigionieri -catturati dopo la vittoria dei Cancelli- si erano rivelate preziose per garantirsi l'accesso oltre le mura di cinta, e mentre le dita affusolate componevano l'ultima cifra del codice la zona di carico e scarico dei rifornimenti si aprì davanti a loro.

    Una missione di infiltraggio riuscita senza brutte sorprese o spiavevoli incontri; ci sarebbe stato da rallegrarsi per la propria fortuna, o da ringraziare il cielo, i Kami o chi per loro... se -in una sorta di crudele compensazione- lo scenario che li attendeva dall'altra parte non fosse stato qualcosa di così raccapricciante. Corpi deformi in gran numero sono stati ammassati in cataste, forse abbandonate da chi -a giudicare dal cumulo annerito dalle fiamme in un angolo- doveva essere stato incaricato di cremarli.

    Queste, però sono solo congetture... per conoscere i fatti dovreste chiederlo a loro. E forse potreste farlo davvero, perché anche se non ci sono guardie in giro, l'Occhio di Ra e l'Atharvaveda possono percepire -flebile ma reale- una fiamma vitale proveniente dalla base di una piramide di corpi, abbandonata vicino ad una camionetta: qualcuno è ancora vivo...

    Behind the Enemy Lines


    L'unica segnalazione è per Namas: all'interno del settore cargo, inizi a percepire una leggera nausea che ti ricorda -sebbene più blanda- quella provata sul campo di battaglia al cospetto dei Pacificatori.

    Prossima scadenza: 9 Dicembre, compreso.
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    Incredibilmente era arrivato proprio al momento giusto.
    Odayaka non per altro tempo, indugiando giusto il necessario per salutare lo Scorpione che poc'anzi era arrivato; prima di seguirli entrambi, si assicurò di aver portato tutto il necessario: spada e pugnale, infatti, erano al loro posto come già preventivato.
    Entrambe le lame – armi mortali nelle sue mani – erano ben nascoste dietro all'ampio mantello, rendendo Amon più grosso di quanto fosse in realtà: ovviamente, l'intento primario di quel 'travestimento' – se così poteva esser definito – era quello di evitare sino all'ultimo che qualcuno potesse pensare che fosse armato; vi era però il rischio che lo pensassero.
    Tuttavia restò della sua idea, senza perdere altro tempo.

    Finalmente avrebbe conosciuto la 'capitale'.
    Da quando era arrivato su Endlos, e in particolare nel presidio dell'Ovest, non aveva mai sconfinato oltre Kijani Fahari se non per recarsi ad Est; seppure quella non fosse propriamente una gita di piacere, avrebbe avuto quindi la possibilità di visitare un nuovo posto.
    Ciò che videro i suoi occhi, però, non fu affatto piacevole tanto da riportargli alla memoria non solo quanto fatto pochi giorni prima, ma anche e soprattutto sprazzi di battaglie ed assassinii che aveva perpetrato brutalmente sotto l'egida dello Scorpione Nero.
    In quel momento la sua schiena ebbe un sussulto, un brivido che gliela percorse tutta portandolo per la prima volta a fremere per il disgusto; da che era giunto su Endlos erano state diverse le occasioni in cui aveva avuto modo di provare nuove emozioni e sensazioni, ma quello era il momento meno indicato per 'sperimentarne' di nuove.
    In quel momento doveva essere lucido, attento e pronto di riflessi: si trovavano in campo nemico e quei rumori, quegli spari e quelle urla di dolore ne erano la prova più evidente ed eclatante. Quella stessa prospettiva lo riportò alla realtà.

    «Non è il momento per pensare a queste cose-», si disse con tono severo, di rimprovero «-avrò tempo e modo per pagare dei miei peccati.» Scosse la testa, poi, leggermente in modo da scacciare tutti quei cattivi pensieri. «D'altronde io sono un assassino.»
    E quella era un'innegabile verità.

    Si decise quindi a concentrarsi, richiamando a sé il dono più prezioso che aveva.
    Concentrò pertanto il 'Respiro Divino' in modo da farlo confluire nella testa e, in particolare, negli occhi per dar modo all''Occhio di Ra' di attivarsi; il suo viso, al solito, venne sfigurato da quel vigore energetico ritrovato, restituendogli una nuova visione dell'ambiente circostante.

    Byakugan

    Seppure in movimento, continuava a scandagliare la zona circostante in modo da non farsi cogliere impreparato da un eventuale attacco o da un plotone di uomini posti a difesa della capitale ormai semorente. In quella circostanza la presenza di Odayaka fu davvero molto importante per la segretezza della loro missione.

    Grazie alle sue conoscenze, infatti, non fu affatto difficile muoversi al lume di una flebile lanterna, in un labirinto di strade e stradine cui lo Scorpione non era affatto abituato, ma che di certo – col favore delle tenebre – ben si confaceva alla sua attitudine di assassino.
    Se solo avessero saputo – tutti – che razza di bestia era.
    Scrollò il capo ancora una volta, per allontanare quell'ulteriore pensiero negativo e concentrarsi una volta di più sull'obiettivo di quel momento: evitare di essere scoperti e, se del caso, agire nel più breve tempo possibile per zittire le minacce.
    D'altronde i suoi occhi servivano anche a quello, in quel particolare momento.

    «Hanno già cominciato.», si disse con tono secco.
    Frattanto, girò anche lo sguardo verso il lato dal quale l'eco era più forte; tra sé e sé, in un angolo remoto del suo cuore, vi era chi gioiva per quelle urla di dolore – e di terrore – struggendosi un poco per non essere li a guerreggiare a sua volta, ad incrociare la spada contro il nemico con l'unico scopo di bagnarsi del suo sangue.
    Amon portò una mano sul suo cuore, intimandogli di calmare quelle pulsioni così forte che lo avrebbero voluto in quel massacro: in quel momento, la missione era un'altra e non avrebbe permesso ai suoi istinti di prevalere in quella situazione.
    Magari dopo...

    Comunque sia, il diversivo stava funzionando: non si poteva più perder tempo.
    Dopo un'ora – forse di più, visto che Amon aveva perso la concezione del tempo – di cammino, finalmente individuarono la sagoma del Palazzo Reale. In realtà lo Scorpione non aveva le conoscenze per poterci arrivare: si basò semplicemente sull'imponenza del palazzo e sulle reazioni dei suoi compagni, per trarre infine le sue conclusioni.
    Le informazioni ottenute con l'estorsione dai prigionieri si erano rivelate utili allo scopo: fino a quel momento, infatti, era filato tutto liscio.
    Si erano così garantiti l'accesso oltre le mura di cinta, per poi penetrare nella zona di carico e scarico (non prima di aver premuto qualcosa sul muro).

    «Chissà che roba è quella.», pensò stranito Amon in quel momento.
    Per lui, infatti, la tecnologia era ancora un qualcosa di assurdo da ricollegare unicamente alle divinità; un potere appannaggio di entità più grandi di loro, paragonabile alla magia.
    Ecco, quella roba per lui non era nient'altro che magia.
    Ah, beata ignoranza.

    Una volta oltrepassata la soglia, però, vide(ro) l'inferno.
    Corpi deformi ed ammassati in una grandi e diverse cataste, abbandonate a sé stesse senza una plausibile ragione; era una scena raccapricciante, che portò la schiena dello Scorpione Nero ad essere attraversata più di una volta da brividi più o meno forti.
    Nonostante tutto, riuscì comunque a tenersi rigido ed immobile, senza dare il minimo sentore a chi l'accompagnava di ciò che lo dilaniava dentro: era malinconico e dispiaciuto, in un certo senso, per la sorte di quegli uomini e di quelle donne – e di qualsiasi altro essere non umano che aveva avuto la sfortuna di essere stato catturato da loro.

    ...”, si guardò intorno preso dall'istinto.
    Com'era possibile che quella zona fosse stata lasciata in quel modo? Com'era possibile che non vi fossero dei turni di guardia? In un certo senso, però, una risposta l'aveva a quei suoi quesiti: ormai erano già morti, che senso aveva vegliare su di loro?
    Evidentemente erano arroccati nelle loro scevre convinzioni di supremazia e superiorità: chi sarebbe mai riuscito ad eludere le guardie, le mura di cinta ed arrivare sin dentro il palazzo ed ammirare quegli orrori? Nessuno – forse –, tranne loro.
    La pagherete.”, disse secco con un sussurro così flebile, da essere a malapena percepibile persino da sé stesso.

    Guardando con maggiore attenzione, però, c'era qualcosa che prima gli era sfuggito.
    Complice il buio e, forse, la disattenzione dovuta al primo impatto con quei corpi deformi non aveva fatto caso ad un particolare di non poco conto: in una di quelle cataste, infatti, c'era un sopravvissuto al massacro; prima non se n'era accorto perché la sua trama era flebile, sottile ed a tratti addirittura evanescente.
    Se non fosse stato per quei brevissimi istanti di intensità – discontinui a dire il vero – della sua trama energetica, forse non se ne sarebbe accorto neanche in quel momento.
    -ce n'è uno ancora vivo!”, esclamò di punto in bianco, fiondandosi verso la catasta alla cui base aveva visto la trama.

    Aiutatemi!”, chiese poi con una esclamazione cominciando a scavare tra quei corpi, con l'intento di spostarli ai lati o in avanti e tentare di salvare almeno una vita da quella massa informe di morti.


    Non metto ancora in spoiler le passive usate - in descrizione - perché fondamentalmente sono ancora in revisione, ma uso le combo di abilità che sono passate: la vista cieca e la visione della trama energetica, come suggerito anche nel post. =)
     
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    La risolutezza di Odayaka profumava come germogli di fiori spuntati coraggiosamente fra la neve.
    Le sorrise, accennando appena una smorfia con la bocca, tale da far dischiudere le labbra e mostrare una dentatura perfetta, con dei canini leggermente più pronunciati rispetto ad un umano qualsiasi.
    Si voltò in direzione di Amon e accolse il suo arrivo con un sommesso inchino: trovava sintonia in quel guerriero, in parte per il suo rigore e la disciplina, in parte perchè con esso condivideva un dono per certi versi simile...quello della visione sovrannaturale.


    «Sono orgoglioso di averti con noi, Amon.
    Spero tu abbia avuto modo di risanare le tue ferite.»


    Intendeva ovviamente quelle del corpo, poichè gli orrori ai quali avevano assistito avevano sicuramente inciso ad una profondità insondabile, tale per cui il danno sarebbe stato così distante da far male come un'eco indecifrabile.


    La lanterna che li guidava gemeva dell'oscurità discesa su Sequerus.
    Perchè non solo la mancanza di luce serpeggiava
    -era proprio il caso di dirlo-
    assieme ai tre incursori, bensì il brusìo e l'essenza della catastrofe ancora risuonavano fra le macerie del Picco della Guardia.
    Il Principe percepì più volte i turbamenti nel flusso energetico di Amon e si trovò quasi consolato nel notare come quella causa avesse attecchito nell'animo di molte persone.
    L'Atharvaveda fremeva nel dipingere, incastrata fra altri mille ricordi, l'immagine del guerriero che precedeva Namas: perchè in un attimo appariva come un'ombra colorata per metà d'oro, una sfumatura simile alla sabbia sotto il mezzogiorno, e per metà di un tetro livore, una sorta di crosta rappresa fatta con la pece ed il sangue.
    In fondo, per quanto profondamente diversi, col giusto allenamento i due sarebbero riusciti un giorno a comunicare solamente alterando i flutti dei propri corpi, senza nemmeno proferire una singola parola.

    Quando giunsero alla via d'accesso, conquistata con le informazioni degli uomini catturati, il Palazzo Reale sembrava un presagio alzatosi al cospetto dei liberatori: Odayaka, la cui sagoma danzava nelle iridi di Namas senza che egli potesse distogliere lo sguardo, si occupò di aprire il varco, facendo appello a quelle conoscenze tecnologiche che il Nagavandari riteneva aliene alla sua natura ma fondamentali da imparare, affinchè un giorno Sequerus potesse far fronte a qualsiasi minaccia.

    I sensi del guerriero vacillarono all'unisono: la vista subì una virata al nero, istantanea, sebbene non ci volle molto affinchè la volontà cancellasse quel momentaneo blackout; un sibilo insistente fece capolino nell'udito dell'uomo-serpente e in un attimo, mentre Amon già perlustrava la zona con la propria vista ultraterrena, Namas percepì nuovamente la debolezza che lo aveva rallentato il giorno della battaglia.


    «Qualcosa non va...»

    E prima che egli potesse ricevere spiegazioni dai suoi due compagni, il combattente dall'ombra metà oro e metà pece richiese la loro più immediata attenzione.
    Un sopravvissuto, sepolto sotto una pira di carne e sangue, ossa e disperazione.
    Namas raggiunse Amon mantenendo al meglio la compostezza della quale necessitava, iniziando anche lui a rimuovere i cadaveri ammassati sopra a quel flebile mormorìo di vita, un umano aggrappato per un sottilissimo filo alla condizione di superstite di quello scempio.


    «Tiriamolo fuori.
    Riesci a respirare?
    Riesci a parlare?»

     
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    Alla vista di quell'orrendo spettacolo, la Dama di Undarm arretrò istintivamente d'un passo, e le ginocchia -rese molli dal raccapriccio- tremarono sotto il peso di un atroce sospetto; con la destra che le premeva sulle labbra -a trattenere un singulto e a celare una smorfia-, l'Ambasciatrice vacillò ma riuscì a restare in piedi, e mentre i due guerrieri si slanciavano in avanti in soccorso del superstite, la mancina cercò il contatto rassicurante con la parete più vicina.

    «Qualcosa non va...»
    bisbigliò Namas, facendosi ombroso

    -ce n'è uno ancora vivo!
    esclamò Amon d'un tratto, gettandosi verso uno dei mucchi
    Aiutatemi!

    «Tiriamolo fuori.»
    assentì il Principe, raggiungendo il compagno per aiutarlo
    «Riesci a respirare? Riesci a parlare?»

    Un rantolo e dei colpi di tosse furono la prima risposta che gli Eroi ottennero dalla catasta, e quando gli ebbero scostato di dosso l'ultimo cadavere, il moribondo -un tempo un uomo, ora una sorta di abominio dalla pelle livida e orribilmente deformata da pustole e rigonfiamenti innaturali dove le ossa hanno cambiato forma- tentò ancora di articolare qualche suono; fu il suo verso a riscuotere lo Specchio dalle sue riflessioni.

    jpg« ...siete uno dei Caduti? »
    domandò la donna, raggiungendo i due al suo capezzale
    « Quelli che hanno fallito il test Sincronizzazione... »

    Mentre quello muoveva con difficoltà un amaro cenno di assenso col capo, Odayaka recuperò la bisaccia che le pendeva da un fianco, rimuovendo il tappo per concedere almeno il refrigerio di un sorso d'acqua alle labbra secche e spaccate di quel povero sventurato... e la compostezza che sempre la contraddistingueva non nascose la pietà nei suoi occhi scuri: aveva studiato la documentazione reperita dal Naga dopo l'incursione nei laboratori della Sorella Nera, e aveva facilmente intuito quell'unica inequivocabile verità.

    Perché ella aveva visto con i suoi occhi le evidenze fotografiche dei più grotteschi casi di rigetto dell'innesto del Paziente-Zero, letto i referti medici cronologicamente degenerativi, e sfogliato i numerosi certificati di morte di più di metà dei soggetti-campione... e le deformazioni che le stavano sotto gli occhi ricalcavano in maniera assai vivida le descrizione contenute in quei fascicoli; infatti -per quanto poco riconoscibili al di là del sangue, dello sporco e di chissà quali altre secrezioni-, quegli uomini indossavano ancora le uniformi dell'esercito dei Governatori.

    « Ho... ho fallito, sì... Ero indegno di diventare un Pacificatore... »
    la bocca di quel volto sfigurato si incurvò nel ricordo di un sorriso amaro
    « Volevo... volevo solo aiutare la mia terra... e proteggere la mia famiglia... »

    La voce del Caduto si incrinò in quello che sarebbe potuto essere uno spasmo di dolore o un affranto singhiozzo di tristezza, e un rivolo umido -lacrime o siero?- scivolò lungo quel che restava di un volto devastato, lasciando i Ribelli al cospetto dello straziante spettacolo di una vita che si spegne lentamente, nell'impotenza di fare qualsiasi cosa per impedirlo.

    Poi, con uno sbuffo insofferente -frustrato da quel suo stesso accesso di debolezza- il soldato si impose un contegno, e quando sollevò la palpebra per fissare i volti degli astanti, lo fece con solennità.

    « Io... non so chi siete... »
    esordì, con la voce roca e affaticata di chi soffre
    « ...però... però, ho due richieste... da farvi...
    Vi prego... »


    Tra gli orrori della guerra, anche il gesto più piccolo può avere grande valore...
    Ma quei tre avrebbero davvero potuto esaudire il suo ultimo desiderio...?

    Behind the Enemy Lines

    Niente specifiche da dichiarare; a voi la scelta =*

    Prossima scadenza: 21 Dicembre, con proroghe per festività.
    Per dubbi o qualunque altra cosa, potete chiedere in Bacheca. :kisu:

     
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    L'onore ed il piacere sono i miei.”, disse al principe.
    Come puoi ben vedere mi sono ristabilito completamente-”, aggiunse subito dopo aver portato la mano destra sul cuore, mostrando ancora una volta il proprio rispetto rivolgendosi questa volta ad entrambi, “-e di questo ve ne ringrazio dal profondo del mio cuore.

    Fece una piccola pausa, chinando questa volta anche il capo.

    Farò del mio meglio per esservi d'aiuto in questa impresa.”, aggiunse ancora,
    -non ve ne pentirete.

    […]

    il momento era concitato: c'era una vita da salvare.
    Si sentiva ansioso – forse speranzoso – nel salvare quella vita da una fine infausta, priva di gloria ed onori; non poteva permettere che si spegnesse sotto quel cumulo di corpi informi e deformi, pertanto l'unica soluzione era continuare a scavare con quanta forza aveva in corpo.
    Non si curava dell'avanzato stato di decomposizione e delle flatulenze emanate da quei corpi: in un certo senso, vista la sua attitudine di assassino, vi era parzialmente abituato; in quel momento, comunque, non aveva il tempo per scandalizzarsi o per ritrarsi in quanto si trattava del suo nuovo cammino di salvezza e redenzione. Voleva salvare quella vita.
    Doveva salvarla, per cominciare a salvare sé stesso.

    È vivo!”, esclamò nuovamente nel sentire dei colpi di tosse.
    «Resisti: ancora un poco e sarai libero-», disse tra sé e sé continuando a scansare cadaveri come un forsennato, «-un innocente non deve morire in questo posto.»
    «Io non posso permetterlo!»

    E dopo un poco, finalmente poté vederlo.
    Storse il naso nel vederlo, molto più che con gli altri cadaveri che aveva spostato di peso; forse, in quel caso, si aspettava di trovare quella povera vittima in ben altre condizioni. Era un abominio: pelle livida, deformata da rigonfiamenti innaturali e pustole dalle dimensioni più disparate; persino le ossa, in quel corpo, sembravano essere mutate. Quello non poteva essere più considerato un essere umano, ma un mostro.
    Stranamente, nonostante tutto, non riusciva a non provare pietà.
    D'istinto portò la mano destra sotto il mantello ad accarezzare l'elsa del pugnale: aveva pensato – malamente, vista la situazione – di togliergli la vita.
    «Non soffrirai più...», si sussurrò.



    Non riuscì a farlo: si sentiva in colpa, in qualche modo.
    Lo pervase un senso di impotenza senza fine: fosse stato ancora con i suoi commilitoni non avrebbe esitato a recidere la sua vita. E non per pietà, questo doveva essere ben chiaro. In quel momento, invece, avrebbe voluto colpirlo per pietà, per evitargli inutili sofferenze.
    Ma un rantolo, un verso suo lo fermarono e frattanto attirarono l'attenzione di Odayaka, che avvicinatasi fece alcune domande al (fu) uomo.
    «Caduti?», si chiese girando lo sguardo verso la donna.
    «Test di sincronizzazione?!»

    Amon cadeva letteralmente dalle nuvole.
    E, frattanto, Odayaka prestava soccorso a quell'anima in pena, mostrando pietà per quell'essere informe, porgendogli un po' d'acqua per lasciargli bagnare le labbra. La guardò intensamente in quell'atto di generosità incondizionata; fu in quel momento che lasciò la presa sull'elsa del pugnale, intento ad apprendere quei gesti caritatevoli che gli sfuggivano ancora.
    La morte, in quel caso, non sarebbe potuta essere un gesto caritatevole? In quella situazione, privarlo della vita, non sarebbe stata una liberazione?
    Soffriva e questo glielo si poteva leggere in tutte quelle deformazioni che ne deturpavano il corpo, e dalla sua espressione sofferente; non riusciva neanche a parlare.
    Che pena che gli faceva.

    ...”, si girò verso quella povera vittima. Aveva parlato.
    «E dire che stavo per ucciderti-», si disse rimproverandosi, «-che imperdonabile errore: ho ancora molto da imparare.» Chinò il capo leggermente, chiudendo per un brevissimo attimo gli occhi. «Perdonami: le cattive abitudini sono dure a morire.»
    Ma ancora sapeva, purtroppo.

    ...

    ...” rimase sbigottito nel sentire le parole di quello.

    Quell'uomo era in combutta per diventare un Pacificatore.
    E lui aveva avuto pietà di una simile bestia, di un simile abominio! Si ritrasse indietro, per un attimo, disgustato da quella presenza; non poteva perdonare i Pacificatori né, tanto meno, avrebbe potuto perdonare un aspirante abominio. Mugen aveva sofferto per colpa di quegli insulsi guerrieri e così era stato anche per il Principe.
    Il loro olezzo e la loro aura erano deleterie per chiunque non fosse un uomo e questo aveva potuto vederlo (ma non l'aveva sperimentato, per fortuna). Ma per quanto fosse adirato con questi soggetti, non poté continuare ad avercela con lui.

    «Proteggere.», si disse sbigottito.
    «Voleva semplicemente proteggere la sua gente-», aggiunse subito dopo esterrefatto; incredibilmente sentì la rabbia scemare, ma non svanire completamente. “Volevi proteggere la tua gente da cosa?”, gli chiese con tono deciso – ed a tratti furioso. “Hai idea di quanta gente abbia sofferto per colpa vostra? Hai idea di quanto sbagliato sia il vostro ideale?
    Li odiava con tutto sé stesso e, al contempo, odiava soprattutto sé stesso. «Odio te. Voi. Ma odio anche me stesso-», ricordando chi era e cosa faceva. «-uccidevo con la vostra stessa facilità, forte di un ideale che non mi apparteneva.»
    «Non del tutto, almeno.»

    Provava pietà, nuovamente.
    Alla richiesta di quello sembrò inizialmente diffidente, mostrandosi palesemente tale con un'espressione contrariata sul volto; poi si fece largo la titubanza, insieme al dubbio che si insinuava nel suo cuore. «È questo il cammino che ho scelto, no?»
    Perdono e comprensione; pietà per il prossimo.
    Deglutì, mostrandosi più disteso – a tratti rassegnato a quella situazione – e rilassato, dimostrandosi cambiato, in un certo senso, rispetto al passato.

    Ti ascolterò solo se lo vorranno anche loro.”, si limitò a dire.
    Si era già aperto abbastanza, dopotutto.

     
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    Aiutò Amon a spostare quei pochi cadaveri ancora intatti, impegnandosi affinchè la torre di morte e putrefazione non crollasse addosso a tutti e tre; la sensazione, anche se affievolita, premeva contro lo stomaco del Principe sorridendogli nelle orecchie, fino a schernire tutti i suoi sensi.
    Avrebbe voluto lasciar fluire l'Ohm fuori dal corpo, farlo espandere oltre i confini terreni del simulacro che possedeva, abbacinare l'intera Sequerus e farla sublimare nell'eterna consapevolezza di un sogno.

    Più e più volte aveva pensato a quella soluzione e, purtroppo per lui, la fattibilità della scelta mai seguita fino in fondo rendeva il ricordo ardente, carboni messi a penetrare le pareti dell'anima; se solo avesso voluto, avrebbe potuto sacrificare centinaia delle sue rincarnazioni affinchè per un'unica realtà la città rimanesse cristallizzata nella perfezione del dominio degli Aranwe.
    Tuttavia, era oramai tardi per salvaguardare quel momento, sfuggito fra le dita di un tempo meschino e crudele.

    Comprendeva senza sforzo alcuno il disagio e la rabbia di Amon, ne percepiva le variazioni all'interno del flusso energetico, addirittura il mormorìo di quel rumore trascendentale cullava la sua di collera. Erano simili, laddove Namas crescendo aveva costretto i suoi peccati e i suoi lati oscuri a diventare l'ombra capace di delineare una luce interiore netta ed imparziale.

    Si fece ancora più vicino alla deformità del sopravvissuto, cercando di togliergli lo sforzo di alzare la voce per poter pronunciare la richiesta che avrebbe concluso la sua esistenza da cavia.
    E, guardando rapidamente Odayaka, lo spettro del dolore si fece visibile nel suo sguardo da ofide.


    «Parla e verrai ascoltato.»

     
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    La tremula fiamma della pietà, che aveva fatto breccia nel cuore di Amon alla vista di quel povero sventurato, vacillò e si spense, soccombendo in silenzio all'avvampare violento di una più cruda e vorace, quella dell'ira: perché fu quello il sentimento che lo pervase nel momento in cui ebbe udito la verità, e l'indignazione per l'ignobile condotta dei loro nemici -la creazione dei Pacificatori, la loro esistenza, l'idea stessa che li aveva concepiti- tornò ad ardere nei suoi pensieri.

    La nobiltà d'animo lo trattenne dal compiere gesti inconsulti, ma questo non addolcì le parole di Amon quando -per primo- dette risposta alle parole del moribondo.

    Volevi proteggere la tua gente da cosa?
    inquisì con voce chiara e forte, che ben vibrava dei suoi sentimenti
    Hai idea di quanta gente abbia sofferto per colpa vostra?
    Hai idea di quanto sbagliato sia il vostro ideale?

    poi, tornò la calma - e fu sereno quando rimise la decisione agli altri
    Ti ascolterò solo se lo vorranno anche loro.

    «Parla e verrai ascoltato.»
    promise il Naga, chianandosi per risparmiargli lo sforzo di parlare

    « Lo-Lord Kikio Oh... Sta trasferendo i... i Laboratori a-all'Enclave,
    m-ma.... il P-paziente... la s-sua cavia... lui è... ancora qui... »

    cominciò, col tono stentato di chi lotta per restare cosciente
    « Si chiama E-Elia ...è ...è s-solo un bambino... V-vi prego... N-non fategli del male...
    Portatelo via... se potete... V-voi dovete portarlo via... da qui. »


    Un altro rivolo scivolò dagli occhi in parte ciechi dell'uomo, lungo la superficie irregolare di quel viso deforme; eppure, al di là della sofferenza che gli segnava il corpo, c'era luce in quella lacrima... quella luce dolce e triste che redime ogni uomo quando mette qualcun altro al di sopra di sé.

    « ...è s-solo un bambino... ma gli hanno fatto cose orribili... per gli esperimenti... »
    proseguì, tremando - forse per l'indignazione, forse per le convulsioni
    « I-io ero un-uno dei s-suoi inservienti... m-mi occupavo di lui...
    S-salvatelo... S-salvate a-almeno lui... Vi... Vi prego... »

    Behind the Enemy Lines


    Prossima scadenza: 15 Marzo, compreso.
    Per dubbi o qualunque altra cosa, potete chiedere in Bacheca. :kisu:



    Edited by Madhatter - 10/3/2014, 14:34
     
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    Ascoltò le parole provenire da quel corpo rinsecchito e riarso come una foglia nell'incendio più violento: persino il flebile scorrere del flusso vitale di quell'uomo, oramai, non era che un'ombra gettata a caso fra i sassi, calciata via dalla luce stessa.
    Le lacrime scelsero nuovamente la via di fuga, pronte ad abbandonare la scialuppa, libere dal dolore covato a lungo nella coscienza segnata di un uomo, di un carnefice dal profumo di vittima.
    Namas sentì il peso dell'innocenza far tremare l'architrave delle sue inibizioni: al solo pensiero che un bambino potesse aver subito un destino simile, il passato del Nagavandari tramutò violento in un ricordo amarissimo, mescolandosi alla consapevolezza di quanto dolore insabbiato vi fosse ancora da setacciare e portare a galla in quell'insulsa guerra.


    «Dove.
    Qui, dove?»


    Le sue straordinarie capacità gli permettevano di rigenerare gran parte del proprio corpo.
    Ma lo spirito altrui, le vite che non gli appartenevano, esulavano da quel dominio miracoloso.
    Nulla, vana la speranza aggrappate alle dita del guerriero.

     
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    In quel momento era fortemente combattuto e non poteva nasconderlo.
    Aveva dato il suo consenso all’ascolto e così avevano fatto Namas ed Odayaka, pertanto adesso non restava altro da fare se non lasciarlo sfogare. Quella era la parte che odiava più di tutte: il pentimento della vittima, ormai consapevole di non poter più essere in grado di nuocere a nessuno.
    Era matematico: in quelle circostanze la maggior parte dei ‘cattivi’ si lasciava andare in piagnistei inutili, come se quel loro semplice gesto potesse aiutare a dimenticare.

    In quel momento era l’ultima cosa che voleva fare.

    Lo guardava, frattanto, cercando un barlume di pietà nella sua ritrovata umanità.
    Eppure era così difficile combattere quel suo demone interiore che, in assenza loro, sarebbe sicuramente uscito fuori dai meandri del suo cuore privando infine della vita quel povero diavolo.
    Però vi era una parte più profonda, più cinica e perversa nell’oscurità del suo cuore che gli impediva di accanirsi su quel essere: l’avrebbe visto morire, crogiolandosi nel dolore della sua vittima; avrebbe riso della sua solitudine, accanendosi con pensieri negativi.
    Lo Scorpione Nero – quello autentico – che era in lui l’avrebbe fatto e senza troppi complimenti.
    Un’altra parte, invece, si stava muovendo a pietà.

    Si chiedeva come un uomo potesse arrivare a partorire ideali così folli.
    Come, nonostante tutto, potesse accanirsi contro altri esseri viventi che appartenessero alla sua stessa razza, solo perché appartenenti ad un altro piano dimensionale: i cosiddetti naufraghi.
    Ma, d’altro canto, apprettava di quella situazione per farsi un esame di coscienza pensando a quanto male aveva fatto nella sua ‘vita precedente’, prima di giungere su Endlos; erano quelle situazioni che gli permettevano di migliorarsi giorno dopo giorno in un continuo processo di redenzione.
    In quel momento aveva capito di aver fatto la scelta giusta, moderando il proprio disappunto e domando la sua rabbia tentando di donare una seconda chance a quel povero diavolo.
    Anche se faticava a credere che fosse una scelta saggia.
    O giusta, ma chi era lui per giudicare?

    -Assassino-

    Avrebbero potuto gridargli.

    -Feccia-

    L’avrebbero potuto aggredire verbalmente in questo modo.

    -Traditore-

    Era anche quello, in un certo senso.

    Pertanto, chi era lui per poter giudicare quell’uomo?
    Assolutamente nessuno.
    Così era inutile continuare a giocare a fare il giustiziere: la missione era molto più importante.
    E se la missione richiedeva l’ascolto dei nemici, non poteva fare altro che chinare il capo – anche se con molta riluttanza – e stare ad ascoltare quanto aveva da dire quello che un tempo sarebbe stato un nemico anche piuttosto insidioso.



    Eppure, ad ogni singola parola di quell’uomo il suo animo si infervorava.
    Parlavano di un bambino e di come fosse stato trasformato in una cavia da laboratorio, vittima dei più biechi esperimenti. No, questo non poteva assolutamente accertarlo.
    Se non fosse stato per il suo rigore marziale, si sarebbe già accanito contro quella inconsapevole vittima lacerandogli la gola con tutto l’accanimento possibile ed immaginabile per un assassino della sua schiatta, senza alcuna remore; senza alcun rimorso.
    Lo odiava e lo sentiva espandersi al suo interno di più, sempre di più.
    Come avevano potuto compiere un simile oltraggio? Come avevano potuto alzare gli occhi su di un povero bambino indifeso?

    U-”, s’interruppe prima ancora di cominciare a parlare.
    -un bambino?!”, chiese poi con tono incerto mentre aveva preso ad irrobustire i muscoli del corpo; chiuse poi le mani a pugno, stringendole sempre più forte. “Avete fatto del male ad un bambino indifeso?” Lo sforzo fu tale che le unghia gli entrarono nella carne, lasciando fuoriuscire delle gocce di sangue. «-ed ora piangi anche?»
    Pensò amaramente.

    Si trattenne dal fiondarsi su quella larva; dallo scuoterlo e dal provocargli la morte.
    No, doveva parlare e dare ulteriori indicazioni in merito a quella questione, ma non poteva fare a mano di pensare per quell’uomo le più atroci e tremende mutilazioni: più di quante ne avrebbe potute ancora sopportare in quello stato pietoso.

    Parla, dannato.”, lo incalzò ulteriormente Amon avvicinandosi.
    Si era inginocchiato in sua direzione, restando dietro Namas per non lasciarsi sopraffare dalle sue emozioni. “Parla prima che possa fare qualcosa di irreparabile!
    Era furibondo, ma in un certo senso – nonostante tutto – aveva ancora il controllo di sé e del suo corpo, avendo cura di tenere le mani lontano dalle armi. Non che fossero necessarie per un omicidio come quello ma era la dimostrazione reale che era tutto sotto controllo. Più o meno.

    Dicci dov’è e faremo il possibile per salvarlo.” aggiunse infine,
    tentando di sembrare più calmo.

     
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    « . . . »

    Al di là della maschera di compostezza che le era valso il nome di Specchio Tranquillo, anche Odayaka Mira inorridì: perché immaginare un bambino nelle mani dei ricercatori di Kikio Oh già bastava a gelarle il sangue, e se uno dei volontari era giunto a definire i trattamenti da lui subiti come "cose orribili", allora seppe di doversi preparare a restare salda.

    «Dove. Qui, dove?»
    volle sapere il Principe, con accorata urgenza

    U-un bambino?! Avete fatto del male ad un bambino indifeso?
    inquisì invece il Guerriero, visibilmente adirato
    Parla, dannato. Parla prima che possa fare qualcosa di irreparabile!
    Dicci dov’è e faremo il possibile per salvarlo.


    « Il... S-settore s-sette C... »
    rispose quello, con un sorriso sghembo -mesto- davanti a quella foga
    « F-fate... fate presto... »

    Senza farselo ripetere, la Dama di Undarm mosse un deciso cenno col capo e si rimise in piedi, e -avvolgendogli con gentilezza le mani attorno al braccio- con un muto gesto invitò il Naga a fare lo stesso: era pallida e fredda, e le gambe erano malferme, ma il pensiero di quella giovane vita -chiusa da qualche parte alla stregua di un pacco o un oggetto senz'anima- costituì all'istante un enorme incentivo alla sua volontà di muoversi in fretta.

    « Affrettiamoci, Principe...! »

    Esortando gentilmente il Serpente, lo Specchio si incamminò verso il tunnel illuminato artificialmente che collegava quell'hangar, e mentre Namas l'avrebbe seguita, Amon sarebbe stato richiamato un ultima volta dal Caduto in agonia.

    « Ehi... T-tu... A-avevo parlato di... di due richieste... »
    scandì, appuntando sull'Egiziano lo sguardo ardente dei suoi occhi decisi
    « Una... era... era per il b-bambino... l'altra... per me...
    M-mi s-serve la t-tua l-lama... U-uccidimi... P-poni f-fine... a questo dolore... »


    Avevano avuto la stessa idea. Forse, dopotutto,
    non erano così diversi.

    Behind the Enemy Lines


    Prossima scadenza: 26 Marzo, compreso.
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    Il braccio di Odayaka cinse i suoi pensieri, liberandolo da quelle catene di freddo distacco che lentamente avevano stretto morso attorno ai suoi sentimenti: perché se pietà e rispetto per la vita avevano mosso lo spirito del Principe all'ascolto, il totale disprezzo aveva poi soppiantato la circostanza dei ragionamenti, gettandolo nell'abisso dei suoi più reconditi ed oscuri lati caratteriali.
    Scrutò con uno sguardo serio l'uomo la cui vita stava evaporando come acqua sul metallo bollente, rugiade uccise dall'attrito della battaglia, e non volle dire altro prima di incamminarsi verso l'ingresso del Palazzo.

    Si fermò solo un secondo per poggiare la propria mano sulla spalla di Amon, lasciando che il battito del cuore del nagavandari
    -regolare al pari dell'immutabile scorrere del tempo-
    si sicronizzasse col riottoso pulsare del sangue dell'alleato.


    «Fa' ciò che devi.
    Ti aspettiamo dentro.»


    Non ebbe bisogno di guardarlo, poiché i due guerrieri avevano un mezzo in comune ben più profondo per comunicare: potevano guardare le reciproche maree spirituali, ammirare la tormenta d'energia che danzava sotto l'egida delle loro emozioni.

     
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    Il moribondo fu solerte nella risposta – seppure con le sue innegabili difficoltà.
    Il bambino si trovava nel settore '7-C', esortandoli peraltro a fare in fretta vista la contingenza del momento. Eppure Amon continuava a non accettare di buon grado quell'atteggiamento: avrebbe potuto liberarlo tempo addietro se tanto gli stava a cuore la sorte del ragazzo.
    Ora sperava di ripulirsi la coscienza con quella soffiata?

    Per la rabbia il giovane Scorpione si morse il labbro.
    A sua volta, tese tutti i muscoli del corpo culminando quello sforzo stringendo i pugni con una tale intensità da lasciare che le unghia si conficcassero nella carne sì da provocare delle insignificanti escoriazioni.



    Restò in silenzio, cercando di chetare il proprio animo.
    Provvidenziale fu l'intervento di Odayaka che, lesta, afferrò con dolcezza il braccio del Principe al fine di tirarlo con sé e risvegliarlo dal torpore interiore che lo aveva catturato.
    Dopotutto non c'era tempo da perdere.

    Eppure qualcosa fermò le sue intenzioni.



    Guardò con intensità il povero diavolo disteso per terra.
    Aveva farfugliato qualcosa, attirando in particolare l'attenzione del giovane Scorpione.
    Questi lo guardò esterrefatto; incredulo dinanzi a quanto gli aveva detto. Le richieste, infatti, erano due e con la seconda quell'uomo pensò a sé richiedendo che Amon stesso gli togliesse la vita.
    Gli aveva forse letto nella mente? Era da un po' che rimuginava sul fatto che se avesse potuto, gli sarebbe volentieri saltato addosso per togliergli la vita.
    (torturandolo, per giunta)

    Lo guardò ancora una volta, con sorpresa crescente.
    Quanti ne aveva visti in quelle condizioni? No, a dire il vero in quelle condizioni nessuno.
    Ma molti a cavallo tra la vita e la morte lo avevano pregato di togliere loro la vita, nel modo più veloce ed efficace possibile; e lui, preso com'era dall'assassinio non ci pensava due volte colpendo senza proferire alcuna parola, mostrando un sorriso soddisfatto dipinto sul volto.
    Quello non era veramente lui, ma lo Scorpione che era dentro di lui.
    In quella situazione lo Scorpione stava facendo il diavolo a quattro per uscire fuori e tagliare la gola nel modo più cruento possibile a quel poveraccio; lui, invece lottava per non lasciarsi abbindolare da quella proposta di sangue che gli veniva da dentro, mostrandosi contrariato all'idea di farlo.
    Era in contraddizione: una parte di sé voleva, mentre l'altra no.

    -Fallo!-

    Gli intimava lo Scorpione.

    -Uccidilo e giovati del suo sangue.-

    Gli diceva ancora, incalzandolo.

    -Te lo sta chiedendo lui, ma goditi il momento.-

    Lo Scorpione già si leccava le labbra, pregustando quel momento.

    -Uccidilo lentamente, fallo soffrire.-

    Lui non aspettava altro.

    Fu Namas a riportarlo con i piedi per terra.
    Con lui non aveva bisogno di mentire; in qualche modo sentiva che lui sapeva.
    Fece un cenno con il capo in segno d'assenso, ma avrebbe fatto a modo suo e non come sentiva dentro di sé; nel profondo del suo cuore, lui c'era ancora.
    Purtroppo.

    Credo che tu abbia espiato la tua pena.”, disse cominciando a calmarsi.
    Il suo respiro era più calmo e regolare: aveva deciso di concedergli la sua pietà, riservandogli l'unico trattamento caritatevole di cui poteva essere capace. “Mi auguro che tu sia veramente pentito.
    -ma non avrai il mio perdono. Non ancora.

    «Sono ancora troppo immaturo per farlo.», si disse.
    «-non sono pronto, ancora.»

    Ma forse in cuor suo l'aveva già fatto donando a quell'uomo la morte.
    Respirò profondamente prima di sguainare la spada riposta dietro alla schiena: gli avrebbe concesso una morte onorevole, omaggiandolo della sua lama.
    Era la prima volta da quando era arrivato su Endlos che toglieva la vita ad un nemico inerte.
    Per la prima volta, provò una tristezza infinita nel compiere quel gesto.
    S'inginocchiò vicinò all'uomo, per poi alzare le braccia e portare la spada al di sopra della testa rimuginando ancora sull'omicidio che stava compiendo.
    Inspiegabilmente gli si inumidirono gli occhi.



    Tirò giù le braccia velocemente, lasciando che la lama colpisse il cuore di quell'uomo.
    Un colpo unico, secco e letale.



    Senza dire nient'altro estrasse la spada e pulitala alla buona, la rimise nel fodero.
    Chinò il capo una sola volta, chiudendo gli occhi, verso la salma e si diresse con passo lesto verso il Principe ed Odayaka. Per quanto non lo desse a vedere esternamente era abbastanza scosso.
    Aveva scoperto un nuovo sentimento, quello di provare pietà per i propri nemici.

    Chi l'avrebbe mai detto, persino uno Scorpione poteva.
    (solo se lo voleva veramente)

     
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