[EM] Ritorno

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  1. Dracace
     
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    Nelle oscurità della Tana, protetto in uno scuro cantuccio dalle occhiate indiscrete dei passanti e dalle mani inopportunamente lunghe dei predoni giace un corpo inanimato. I delicati lineamenti di fanciullo sono butterati e, nonostante il pesante cerone bianco, brandelli di pelle risentono dell’avanzare di un inarrestabile processo di deterioramento. Veste con sgargianti abiti di spettacolo consistenti in pantaloni scuri, maglia a strisce sgargianti e un paio di bretelle. Non da segni di alcun genere e pare morto a tutti gli effetti. Non reagisce neppure quando un prudente roditore spelacchiato gli avvicina le pelose vibrisse e gli da un’annusata. La bestiola, incoraggiata dalla possibilità di rimediare un pasto e spinta dalla fame ad ignorare il pessimo stato di conservazione di quella carne, si avvicina un altro poco e tira fuori i denti piatti, pronta a colpire. Una lama, uno squittio, silenzio. Tutto si svolge in una manciata di secondi. La mano afferra uno dei coltelli bloccati alla vita dalla cintura, ricalcando un gesto compiuto meccanicamente un infinità di volte. Il piccolo coltello da lancio assapora festante il sangue della preda, finalmente dissetato dopo anni di digiuno. L’acrobata sbatte due o tre volte le palpebre, come per cercare di scrollarsi di dosso una pesante cappa di sonnolenza. Si mette a sedere a fatica, la schiena contro la parete di roccia grezza. Una pozza rossa si sta formando vicino a lui e quel colore cremisi vivo gli risveglia dentro una terribile ebbrezza assopita da tempo. Il suo demone recalcitra per prendere il comando, ma per il momento Veret ha ancora il controllo. Ma deve dissetarlo, altrimenti la voglia ripugnante di quell’infima creatura lo trascinerà nell’abisso. Si acquatta a gattoni e avvicina le labbra alla polla di liquido formatasi in una concavità del terreno. Beve diverse golate e ogni volta sente le sue forze riacquistare vigore. Si pulisce con la manica della veste e si alza in piedi, lucido e attento al mondo circostante. Si trova nella zona est della Tana, in un vicolo dismesso non troppo distante dal Bazar. In un minuto passa all’inventario i suoi pochi averi e li ritrova tutti al proprio posto. Il set di cinque lame fisse alla cintola, le rozze protezioni metalliche ben strette a braccia e gambe. Tempo di fare qualche compera.

    Il mercato è affollato, come al solito. Una babele di genti si dimenano di qua e di là, ognuna intenta a contrattare, sgraffignare o portare avanti altre e ben più disdicevoli attività. Una cosa da sempre apprezzata dal Funambolo è la possibilità che ti riserva questo luogo, per quanto tu possa essere appariscente, di passare pressoché inosservato. Con disinvoltura afferra un largo manto nero dalla bancarella di uno smunto uomo alle prese con un cliente. Fa un nodo all’altezza del collo per tenerlo fermo addosso e ci si avvolge dentro, lasciando scoperti solo gli occhi, due vuote orbite di un bianco lattiginoso. Sarà anche possibile passare inosservati, ma ciò non toglie che qualche precauzione non guasta mai.

    Il negozio di Vorit l’armaiolo è più o meno trafficato come al solito. La gente entra, saggia le lame delle sue creazioni, prende sonore bastonate se formula anche solo il pensiero di portare merce non pagata al di fuori. Il vecchio troneggia sul suo sgabello, dietro il bancone. I suoi occhi, ancora ben vispi nonostante l’avanzare dell’età, non perdono di vista niente e nessuno ma scrutano truci la marmaglia e soprattutto le loro mani. Uno sconosciuto si distacca dalla folla e gli viene incontro, ammantato e anonimo eccezion fatta per gli occhi, sfere morte e inespressive, capaci di far salire qualche brivido su per la schiena anche a una vecchia pellaccia come lui. Un sospetto gli germoglia nella mente, ma viene subito scartato. Non può essere lui, pensa. Se n’è andato, scomparso. Una lama, un urlo, silenzio.

    La punta del coltello resta incastonata nel bancone per un paio di centimetri. Tutti si sono fermati all’interno della bottega d’armi e osservano raggelati l’accaduto. Il proprietario, ancora tremante, si allontana e appoggia una mano sulla parete d’assi di legno, in cerca di sostegno.

    Mi hai spaventato … ragazzo. E vedo che l’impertinenza non ti è passata col tempo.



    Si asciuga la fronte madida, ora più padrone di sé. Trascina la gamba malandata per qualche metro e torna a sedersi sul suo sgabello, inveendo contro la folla, non osando rivolgere la propria ira per l’accaduto sul diretto responsabile.

    E voi che diamine avete da guardare? Se volete comprare fatelo, altrimenti sparite da qui! Questo è un negozio, non una dannatissima esposizione. Per quando riguarda te, invece ragazzo



    La voce del fabbro, se non perde in ostilità, per lo meno si abbassa di tono.

    dimmi, perché sei venuto a piantar grane in questo modo nel mio negozio?



    I miei scagnozzi. Li hai visti?



    Ah, sei qui per loro. Sì, dopo la tua scomparsa si sono trattenuti da queste parti. Non che abbiano altro posto dove andare. L’ultima volta che ne ho sentito parlare stavano smaltendo il ricavato di un grosso furto in questo bordello.



    La calligrafia larga di Vorit scrive un indirizzo su un pezzo di pergamena con un pennino preso da un cassetto del bancone. La mano di Veret afferra il foglietto e lo infila in fretta in una tasca dei pantaloni, per poi voltarsi e sparire alla vista del conoscente ingurgitato dalla clientela, senza una parola di ringraziamento o commiato.

    Testardo cadavere ambulante, neppure la morte ti viene a prendere per non aver a che fare con te.



    La notte porta la sua ombra anche sulla soglia della casa chiusa. Non che ci sia molta differenza fra la parte diurna e quella notturna della giornata quando ti trovi sotto la superficie del suolo. L’insegna oscilla leggermente, facendo risuonare il chiaro suono di un campanellino ogni qualvolta uno dei numerosi avventori apre o chiude il portone d’ingresso. Al suo interno Lady Chan è piazzata nel bel mezzo dell’androne, posizione privilegiata da cui riesce ad avere una panoramica di tutte le alcove e a fare un meccanico conto delle tempistiche necessarie per completare i servizi elargiti al di là delle tendine. La padrona di casa inizia il suo cerimoniale, avvicinandosi per portare il ben venuto alla figura appena entrata nella sua dimora.

    Ben venuto alla Giumenta Pezzata. Sei nuovo, vero? Dietro tutto quel gran mantello non riesco a vedere bene il tuo volto. Vuoi che ti chiami una delle mie bambine, caro?



    Veramente sarei più interessato a un paio di tuoi visitatori abituali. Due persone... bhe, uno è un po’ troppo verde per essere definito una persona. Comunque, due tizi che bazzicano spesso da queste parti



    La voce della dama ora è più diretta e franca, molto meno mielosa rispetto a prima.

    Sentimi bene, ciccino, non so per quale motivo sei interessato a loro ma devi sapere che qui da noi il cliente è sacro e se vuoi sapere i fatti degli altri ti conviene girare al largo. La nostra reputazione è basata sulla riservatezza



    Un sorriso perfido increspa le labbra tumefatte del giovane

    Reputazione? Ti rendi conto del lavoro che fai? Comunque mettiamola in questo modo. Ho portato qualche giocattolo con me e posso usarlo su quei due oppure su di te.



    Senza distogliere gli occhi dalla signora solleva con noncuranza un lembo del mantello, rivelandole la collezione di lame che si porta appresso.
     
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    La gelida notte meridionale si conficcava nelle ossa con una cattiveria fin troppo umana.
    Nemmeno le pietre - venate da fratture irregolari - potevano opporre resistenza alle stilettate del freddo: tra un tramonto e il successivo, l’Inferno si alternava al Cocito come il giorno con la notte. Lo spettacolo offerto poteva però valere lo strazio del gelo: dune infinite si sfumavano dei colori della luna, tinta ogni mese in modo diverso, e i laghi cristallizzati restituivano quei raggi opalescenti sia in superficie che nel sottosuolo. Una quiete talmente vuota da condurre alla pazzia regnava sotto la volta stellata del Sud.

    Sarebbe stato uno spettacolo mozzafiato… se solo l’unico spettatore di tutto ciò avesse avuto ancora un cuore per goderne.
    Il Kuthiano poggiava i piedi sul ciglio di una duna, si stringeva nella mantella foderata per schermarsi dal freddo invivibile. Recitava una litania maledetta, un’antica formula per mettersi in contatto con gli spiriti del cielo notturno; questi ultimi erano famosi per la loro riluttanza nel rispondere alle invocazioni degli sciamani, tanto che - per questa imperturbabile sordità - alcuni avevano perfino messo in dubbio la loro esistenza. Non era però il caso del nostro, che continuava a rivolgere preghiere nere al cielo stellato, spinto dalla morbosa pulsione di schiavizzare uno spirito notturno. Cosa ne avrebbe fatto poi?
    L’avrebbe semplicemente spolpato, spremendolo fino all’ultima goccia di potere, per poi buttarlo via una volta finito. Non era raro che si comportasse così anche con le persone.

    Un impulso totalmente inaspettato saettò nella sua testa.
    Il riverbero di un’anima particolare aveva raggiunto un marchiato, ovvero uno di quei disgraziati sparsi per Merovish che, privati di ogni volontà, erano stati resi ripetitori dei poteri di Bid’daum. Uno di questi aveva captato una flebile traccia spiritica di qualcuno di familiare, eppure risultava impossibile da identificare. Era la prima volta che accadeva qualcosa del genere.

    La curiosità deviata che lo totalizzò fu sufficiente per rimandare a un’altra volta il rituale che stava compiendo in pieno deserto.
    Il suo corpo prese a sgretolarsi in tanti frustoli di nebbia nera, finché nello Yuzrab non ci fu più nessuno.

    ~ ~ ~

    Riprese concretezza nell’androne di un bordello di Merovish. Aveva seguito la traccia spiritica attraverso il tessuto astrale di cui è impregnato il mondo reale, per poi tornare in forma fisica una volta raggiunta la preda. Sarebbe comparso dal nulla, dove prima c’era aria ora ci sarebbe stato il demonio monocorno, accompagnato da un rigurgito di anatema.
    In quel lurido caseggiato, in cui si respirava la stessa sifilide, Bid’daum sgranò gli occhi.
    Incredulo.

    QQquJyU

    « Tu…! »

    Il passato aveva vomitato sulla terra una delle sue ombre.
    Vide il volto macero di un circense, sentì il lezzo di un cadavere che si rifiutava di addormentarsi per sempre. Quella voce, quegli occhi ghignanti. Lo aveva visto troppe volte nelle sue allucinazioni per dimenticarsene.
    Quello era il Funambolo.

    Il suo sguardo s’indurì, abbandonando lo sbigottimento iniziale. Lo sezionò a distanza, usando solo i suoi occhi intrisi di sangue. Poi articolò molto lentamente le sue parole.

    « Cosa ci fai qui? »

    Stentava ancora a credere a ciò che stava vedendo. Eppure quell’anima duplice - identica a com’era anni prima - era troppo cangiante per essere una semplice illusione.
    Che senso aveva tutto ciò?

     
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  3. Dracace
     
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    Qualcosa attira la sua attenzione e gli impedisce di spingere oltre quel ben poco pacato tentativo di intimidazione. Una figura si materializza nell’androne, una figura che in tempi passati gli era nota. Passato lo stupore per l’inaspettata visita, il cerone del giovane si modifica in una smorfia di amara tristezza. Non risponde subito, ma spende attimi che, nella tensione del momento, sembrano eterni, per osservare meglio il nuovo arrivato, paragonandolo con l’immagine del vecchio compare presente nella sua mente. Alcuni nuovi gingilli. Probabilmente un potere oscuro e a lui ignoto rafforzatosi in sua assenza.

    Già, io …



    La frase è detta a mezza voce, come se stesse parlando più con se stesso che con l’altro. Tira un lungo, esaustivo sospiro e si siede su un tavolaccio lì vicino, liberandosi del mantello che gli ostruisce i movimenti. Lady Chan decide che questo è il momento giusto per svignarsela, attingendo dalla saggezza popolare il sentore che se due uomini hanno un qualche conto in sospeso, non è bene trovarsi nella stessa stanza. Soprattutto se uno dei due è comparso di punto in bianco dal nulla e l’altro ha tutta l’aria di essere andato a male parecchi anni fa. Mentre la signora se la svigna nel retrobottega, il silenzio rimane l’unica compagnia al ricongiunto duo.

    Non hai idea di quanto sia bello rivedere un viso famigliare dopo … quanto tempo è passato di preciso? Ho finito per perdere la cognizione del tempo trattenuto come sono stato tra quegli orrori.



    L’ultima parola viene sputata con esitazione, come se il brivido di riverente terrore associato a tale visione non abbandonasse più la mente del poveretto. Nuovamente tutto è silente, fatta eccezione per qualche gemito in lontananza, provocato da avventori ignari di cosa stia accadendo non troppo lontani dai loro giacigli d’amore.
     
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    L’altro sembrava sfinito fin nelle interiora. Ovunque fosse stato, in compagnia di certi “orrori”, non doveva essersela passata bene. Ben lungi comunque dal provare compassione o felicità per il ritorno dell’acrobata, rispose alla sua domanda.

    « Quattro anni. »

    Rimarcò bene la cifra inspessendo il tono di voce.

    « Sono passati quattro anni da quando ci hai abbandonati. Non è stato facile, ma ce la siamo cavata anche senza di te. Quel morbo mutato che hai lasciato nel tuo studio ci ha aiutato in parte, lo ammetto. Tuttavia… »

    Fece una pausa per inquadrarlo ancora meglio di quanto stesse già facendo. Era davvero quell’eccentrico dotto nel cadavere di un ragazzetto del circo, lo stesso individuo che aveva assistito al naufragio di Bid’daum sul semipiano, che l’aveva subito messo alla prova in uno scontro. Da lui era stato arruolato, con lui aveva sognato piani di conquista quando ancora dormivano sui pagliericci, in una catapecchia di periferia rubata a un disgraziato. Cazzo, erano perfino discesi agli inferi per compiacere una puttanella che aveva perso un’anima nell’oltremondo!
    Poi lui era scomparso, da un giorno all’altro.

    « …il tuo sogno non ti appartiene più. L’hai lasciato qui a Merovish, insieme a noi, ed è diventato di altri. Abbiamo ucciso in nome di questo sogno, abbiamo allungato le nostre mani in ogni angolo del deserto, abbiamo addirittura portato la guerra in altri presidi… in nome dell’Eversione. »

    Quel nome aveva acquisito nuovi e inaspettati significati nel corso degli anni: Eversione voleva dire spietatezza, ma certe volte anche compromessi. A dirla tutta, assumeva nuove sfumature ogni volta che veniva declinato in una nuova persona che ne abbracciava il credo.

    « Ora cosa pensi di fare, Raem? Un tempo avevi grandi sogni, oggi ti trovo a ricattare una vecchia baldracca. »

    La bocca si deformò a un angolo, assumendo un tratto derisorio.
    Quello che un tempo era il Capo, ora era poco meno di una scimmiottatura di se stesso.
    Era patetico.

     
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  5. Dracace
     
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    Parole dure, sicuramente almeno in parte meritate. Parole a cui avrebbe potuto difendersi in tanti modi. Menzionando come la colpa fosse più del vecchio che sua, tanto per iniziare. Come quel caro vecchio dotto e la sua sete di conoscenza li avevano portato ai limiti della realtà, confinati in uno stato di non esistenza con entità di puro terrore. Avrebbe potuto descrivere l’atrocità sopportata nel constatare come il tempo stesso si rifiutasse di trascorrere, ogni istante spasmodicamente lungo come un’intera eternità. Ma a cosa sarebbe servito? Non è mai fruttuoso prendersela con le circostanze che ci circondano. L’unica cosa da fare con il fato è accettarlo e farci i conti, cercando di minimizzare i danni e trasformarli in esperienza.

    Già, avete portato il mio sogno avanti. Avete diffuso l’eversione.



    Mentre scende dal tavolo, annuisce vigorosamente, per sottolineare come i fatti appena enunciati siano innegabili verità.

    Avete dimostrato di essere un’entità distinta da me, capace di sopravvivere e fortificarsi. Tu stesso sarai sicuramente molto più forte di quanto io possa ricordare, probabilmente potresti sconfiggermi con facilità in questo preciso istante. Sono debole. Questo è innegabile. Ma ho un vantaggio è ti dico qual è. PROPRIO VOI STAVO CERCANDO!



    Una coppia ancora meno probabile dei presenti compare dalle rispettive alcove. Uno è un arabo panciuto dagli spessi baffoni all’insù. L’altro un basso e tozzo goblin, col grugno tra i più brutti mai visti in tutto il sud. Entrambi sembrano placidi e soddisfatti di come hanno speso i propri soldi. Per lo meno fino a quando non si sentono chiamati in causa dal loro presunto trapassato datore di lavoro.

    Si, sono vivo. Evviva, evviva. Aprite bene le orecchie e fate come vi dico, se non volete che ve le strappi a morsi. Trovate un animale, uno grosso. Appendetelo per un uncino, sgozzatelo. Raccogliete il suo sangue in un barile e portatemelo. Sbrigatevi, HO SETE!



    L’ultima parola viene detta con un po’ troppa enfasi, e parte del controllo fino ad allora mantenuto saldamente da Veret vacilla. Per un secondo il demone interiore esce allo scoperto e sbraita, smanioso di appagare un’implacabile e bramosa voglia.

    Stavo dicendo? A sì, ho un vantaggio. Non solo ho un corpo immortale e ben tre anime imprigionate dentro. Non solo non sento fatica, o dolore. Io ho visto la MORTE, letteralmente, e sono sopravvissuto per raccontarlo.



    Un nuovo brivido lo interrompe nel mezzo del discorso, portandogli via parte della determinazione che vi stava immettendo.

    Puoi contare sul fatto che non esiste niente in questa e in qualunque altra dimensione di lontanamente paragonabile a Lei. Non c’è niente che mi possa spaventare, niente che mi possa scoraggiare. La mia sete trangugerà il mondo intero e non permetterò a nessuno di frapporsi. Dammi tempo e da questo patetico e nauseabondo mucchietto rinascerò come una fenice, più forte, più determinato di quanto non sarei mai potuto essere se non L’avessi vista.


    Verso la fine torna a riacquistare padronanza di sé, lasciando trasparire un lato ben più spaventoso del suo temibile demone. Un’essenza di pure determinazione e ambizione. Pronta a tutto. Capace di tutto. E con tutto il dannato tempo dell’universo davanti a sé per ottenerlo.
     
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    Quella del Funambolo fu un’ammissione di debolezza. Pura e semplice.
    Sperava forse d’impietosirlo? Confidava magari che il lupo non avrebbe azzannato l’esemplare che gli porgeva la giugulare in segno di sottomissione?

    « In questo presidio non c’è posto per i deboli, dovresti saperlo. »

    Furono poi raggiunti dagli scagnozzi di Raem, quegli scarti di carne che il Capo amava tirarsi dietro. Anche loro non celarono un forte sbalordimento nel rivedere il non-morto.
    Il Kuthiano reagì con sufficienza sentendo la sua richiesta di abbeverarsi di sangue: si mostrava sempre più vulnerabile.
    Ascoltò e poi ribatté le parole del cadavere.

    « Ci sono cose ben peggiori della Morte, Raem. Cose che non si lascerebbero ingannare a più riprese da un trucco di necromanzia come te. »

    Perché temere qualcosa da cui era possibile fuggire? La Morte e i suoi fratelli ormai calcavano quelle terre, erano diventati quasi dei volti familiari.

    Un’idea malsana iniziò a stuzzicare la fantasia del Castigo, qualcosa di tanto appagante da fargli formicolare le dita: lui poteva realmente polverizzare il Funambolo.
    Proprio lì, in quel momento, avrebbe potuto tranciare i legami col passato, stroncare sul nascere l’ascesa di un possibile rivale. Dopotutto, se la sua sete di potere non era più sotto l’egida degli Eversori, questa si poneva quasi automaticamente contro di essi.
    O con loro, o contro di loro.

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    « Io potrei distruggerti ora, l’hai ammesso anche tu. Perché dovrei permetterti di riacquistare le forze? A guardare il tuo corpo marcio, si direbbe che il tempo che ti era concesso sia già finito da parecchio, perché dovrei dartene altro? »

    Era un demonio in tutto e per tutto, comparso allo scadere di un contratto con un mortale per reclamarne l’anima. Una sola parola fuori posto - ma che dico, sarebbe bastato un solo respiro mal calcolato - e avrebbe potuto estinguere quell’anima, ostinata nel suo sfolgorio come lo stoppino di una candela ormai esaurita.

    Solo un respiro, Raem.

     
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  7. Dracace
     
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    Le rudi parole lasciano un segno. Già, perché avrebbe dovuto trattenersi dal distruggerlo? La sua ora è già scoccata da un tempo e i giorni in cui gli Eversori gli prestavano ascolto sono tramontati. Quale motivazione addurre alla sua preservazione?

    Ma ti senti quando pensi, ragazzo? Noi non elemosiniamo un bel niente. Fatti da parte e impara come si conducono le trattative



    Fatto questo cambio di battute interiori è finalmente il dotto a prendere il controllo del corpo. Quando parla la sua voce è calma e decisa, padrona della situazione. Per nulla intimorita dalle minacce di un possibile annichilimento.

    Salve Bid’daum. Ecco che cosa penso. A cosa ti serve annientarmi quando posso lavorare al tuo servizio? Mi credi debole? Mettimi alla prova. Sarai sempre in tempo più avanti a venire a reclamare la mia testa. Finche ti posso essere utile, perché sprecare l’occasione?



    Con queste parole si difende. Così mette in gioco la sua esistenza, non chiedendo pietà o clemenza ma facendo appello alla semplice logica del guadagno, un lato che pure uno spietato assassino come il monocorno possiede.
    Non troppo distante le tendine di una delle alcove si spostano, per lasciar spazio a una fragile creaturina. Occhi a mandorla, pelle color dell’avorio, labbra di un rosso acceso. I lunghi capelli neri le ricadono sulle spalle e le incorniciano il viso triste e melanconico. Veste una specie di kimono, bianco con motivi floreali azzurri, e un paio di zoccoli. Avanza verso i due con espressione un po’ assente, come se da troppo tempo fosse intrappolata in un brutto incubo senza risveglio. La sua voce è tiepida, poco più di un calmo bisbiglio.

    Posso allietare uno di voi signori?



    Inclina il capo, come se si accorgesse solo ora che i potenziali clienti consistono in un cadavere e un mezzo demonio. Sospira, ripensando tra sé che in fondo le erano toccati avventori peggiori.
     
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    Un impercettibile cambiamento segnò il volto putrido del Funambolo. Sentendo poi un tono di voce diverso, il Kuthiano fu certo che le anime contenute in quel corpo si fossero date il cambio.
    Quello che l’altro disse fu l’incisione funeraria che il Castigo giustappose al ricordo che aveva del Dotto.

    « Ma non ti fai schifo da solo? Saresti pure disposto a leccare la terra che calpesto per aver salva la vita, e pensare che un tempo eri tu quello che dava gli ordini. »

    Era una sorta di vittoria col passato, aveva appena umiliato un suo superiore. Eppure non riuscì ad esserne soddisfatto.

    « Ma forse quei tempi sono veramente andati. Mi hai deluso su tutta la linea, Raem. Avresti fatto meglio a restare in quel buco di culo che ti ha imprigionato per questi quattro anni, almeno non avresti rovinato l’immagine che avevo di te. »

    Si voltò, gli diede le spalle, senza più avere il minimo rispetto. Dopotutto quel perdente non valeva più niente per lui. Senza nemmeno guardarlo aggiunse un’ultima cosa.

    « Sparisci, non farti più vedere. »

    Così com’era comparso, Bid’daum si scompose in un mosaico di fumo nerastro.

    Si lasciò tutto alle spalle.
    Tutto ciò che il Funambolo rappresentava si era frantumato come i vetri di uno specchio. I cocci di cristallo riflettevano appena alcune schegge del passato.
    Forse non avrebbe parlato di quel ritrovo nemmeno con gli altri Gerarchi.

    Dopotutto, quella notte non aveva incontrato nessuno.

     
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  9. Dracace
     
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    Rimasto solo con la ghensha il funambolo inizia a ripensare agli avvenimenti appena accaduti. Un riavvicinamento al monocorno è ora fuori discussione. Forse gli altri due suoi vecchi sottoposti sarebbero stati più accondiscendenti, ma ora come ora non avrebbe potuto esserne certo. Quindi, che fare? Nel profondo dell’animo un senso di insoddisfazione e rabbia si sta facendo strada. Lui ha creato gli eversori, e ora, nonostante le sue poche pretese e i buoni propositi, questi non vogliono avere più nulla a che fare con lui? Cerca di mitigare quella pulsione, ripromettendosi di incontrare anche l’oplita e il mercante prima di prendere la decisione di distruggere con le proprie mani ciò che lui stesso ha creato.

    La ragazza attende ancora una risposta, abituata a venire spesso tenuta in poco conto da chi entra nel bordello per assecondare le proprie pulsioni. Povera sfortunata creatura. Costretta a svendersi pur di sottrarsi a una vita di stenti e ai morsi della fame. In fin dei conti però il suo atteggiamento non è poi troppo diverso dalla terribile umiliazione a cui si è appena sottoposto nella speranza di una riappacificazione. Eppure se riesce a provare un qualche tipo di pena per quella prostituta, è ben diverso il sentore che prova per se stesso. Non perde tempo a commiserarsi, tirarsi su di morale o insultare il vecchio amico. La sua mente ora è fertile di idee come non mai, un infinito orizzonte di possibilità da esplorare che lo stanno solo attendendo per realizzarsi. La sensazione di frenesia e operosità è fantastica e lo spinge a pianificare non solo le sue azioni per i giorni successivi, ma a portarsi avanti con l’immaginazioni di mesi e anni. Una scacchiera si definisce nella sua mente, un campo di battaglia in cui troppe pedine avversarie gli sono ancora ignote. Non per molto. Avrebbe setacciato ogni singolo granello di sabbia dello Yuzrab pur di ottenere le necessarie conoscenze. E, infine, una volta ottenuto un chiaro quadro della situazione, avrebbe agito. E il sud ancora una volta avrebbe sentito parlare del non morto.
     
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