Un Loto splende sui petali del Giglio

L'Arcobaleno torna a brillare nell'Est

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    Al volgere della Ruota del Mondo, come un libro che avvii un altro capitolo, dopo l'inverno e le piogge fredde, nascevano ora fiori nuovi, ed essi erano Quattro.
    Come le effimere rose, che alla morte covano già un fulgore più bello nel prossimo seme, benché resti uguale nella forma, allo stesso modo le Essenze, che erano scomparse dalle Cose, erano tornate alla vecchia carne, che adesso irradiava un potere splendido e perfetto.
    E stava fra questi fiori il Loto, che era il Destino come il Mondo può vederlo; aveva, nei lontani pensieri, il desiderio di sciogliere il nodo di troppi e velenosi poteri che infestavano le terre di Endlos, e però del pari Doveva tornare dove, per il poco tempo che credeva d'aver ricevuto senza che fosse Chiamato, reputava di essere più utile. Ma, fra l'utilità ed il Dovere, in mezzo era radiosa la figura di colei che permise molte delle cose che accaddero ai Quattro, colei alla quale, cosa rara per il Celebliant, egli aveva tributato Giusta onorificenza sin dal primo incontro: Kalia Djibrielle Feadù Menethil, Dama Azzurra, Alfiere del Presidio Orientale delle Terre di Endlos.

    Così, il Guardiano volle raggiungerla dove che fosse, e, per la Conoscenza che aveva entro i muri del Nulla, seppe quella trovarsi nell'alta torre del suo bel maniero di Lordaeron; e fu con lei, nel tempo che il cuore della terra pulsi la propria vita.
    Al collo l'Alfiere portava un ciondolo, regalo dell'Essenza alla Nobile persona di lei, nel metallo intriso di parte del potere proprio dell'Arcobaleno. Hênrind era, il Figlio del Cerchio.
    Per molti giorni e molte notti e per tutto il tempo nel quale le Essenze erano assopite e perse, l'oggetto era rimasto come spento, e benché il potere ancora lo conservasse, sembrava però vuoto della vitalità che l'Alfiere, indossandolo, era solita percepire come serena quiescenza.
    E se, qualche ora prima, aveva avuto un sussulto, nel momento in cui l'Essenza aveva rivolto pensieri alla Dama, il Figlio del Cerchio si fece limpido e brillante e, per la prima volta da quando venne donato e infuso, irradiava mille luci, non già pallide e quasi lattee, ma terse e vigorose, e in breve tempo l'Obelisco degli Astri accolse sulle pareti lo sfavillio di queste, danzanti come onde su un mare di pietra.
    Molte erano, ciascuna larga e saggia, e mai restavano ad illuminare un luogo solo: nell'armonia di una marea, andavano e venivano, e tutti i colori stavano attorno alla Dama che ne portava il fulcro, e la Polla brillava di luce propria, perché i bagliori, che erano dappertutto, toccavano anche l'Acqua della Visione, creando un'altra fascia di riflessi e di onde.

    Poi venne la Nebbia, stillando leggera e fluida dal metallo del pendente, e sull'argento del quale brillava si attaccavano le luci, ma su di essa era come se avessero perso vigore, perché danzavano tenui e sbiadite come l'etereo arcobaleno. Tale era, infatti, la natura di questo evento: non a caso l'Erelamarth è detto Celebliant, Arcobaleno d'Argento.
    Così, poco a poco il Figlio del Cerchio si acquietò, e riprese il vecchio lucore latteo, e la nebbia iridescente era come solida, in una grande sfera; sulle pareti le luci danzavano lente e silenziose, e tutto intorno pareva che il mondo avesse perso la voce, e acquistato sapienza. Il Fumo vorticò un poco e poi si aprì, dissolvendosi nell'aria, svelando l'Eterno.

    Alto e severo come la pietra, ma intriso di un potere nobile e vigoroso stava al cospetto della dama Eru Elen Amarth, tornato dalla Quiete e dalle terre che sono Oltre. Più sacro nell'aspetto, pareva che tutto di lui fosse nuovo e antico insieme, e sui lunghi panni grigi d'argento danzavano le tenui luci, sempre in movimento, sempre diverse, come gli eventi del Mondo; e allo stesso modo erano i capelli di lui, e gli occhi Vuoti e Saggi. Attorno levitava il Cerchio, rotolando sempre piano, come se dovesse arrestare il suo corso: ma non era Destinato a finire.

    Non parlò.

    Piegandosi in un decoroso inchino, porse il saluto a colei che, più di tutti, rispettava entro quelle terre; ma nella severità del volto Vuoto, a suo modo era felice di rivedere il la Dama Azzurra per la prima volta dopo molto tempo.



    Edited by Eru Elen Amarth - 10/4/2014, 11:39
     
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    La lampada della scrivania era l'unica fonte di luce ad opporsi alla soffusa penombra dello studio, illuminando il piano di lavoro e lo spessore di fogli impilati lì sopra: una piuma d'oca -retta con delicatezza dalle dita affusolate di una candida mano- si muoveva lentamente sulla carta, ad intervalli irregolari, vergando parole isolate o pezzi di frasi con scie fluide di nero inchiostro, solo dopo lunghe pause, quasi la mente tentennasse incerta sulle istruzioni da impartire.

    L'ora era ben tarda -per quel che poteva valere il tempo per un immortale-, ed ella era miracolosamente riuscita a mettersi in pari con inpellenze e scartoffie riguardanti i mille problemi del semipiano, ma anche se avrebbe potuto essere nelle proprie stanze a riposare nell'abbraccio fresco delle lenzuola, l'Alfiere dell'Est aveva scelto di attardasi nel suo
    sancta sanctorum nella Torre-Osservatorio... uno dei posti che più di ogni altro la faceva sentire vicina alla Corte.

    Ed era proprio a quel non-luogo e alla sua antica Famiglia che i pensieri della Dama Azzurra erano rivolti: al silenzio della Luna -soprattutto-, attorno a cui molte cose dovevano ruotare; troppi misteri, coincidenze e implicazioni... ma il suo lavoro di indagine -di ragionamento- su tutta qulla strana situazione doveva purtroppo basarsi su pochi dati e molte congetture.

    Stava carezzandosi distrattamente una guancia con le morbide barbe della piuma d’oca quando -forte e improvvisa- percepì un'energia insolita concentrarlesi all'altezza dello sterno; trasalendo per la sorpresa, la donna celeste sollevò la destra sul petto morbido, e le dita affusolate sfiorarono il pendente che sempre portava attorno al collo da cigno: un ciondolo a forma di cerchio, realizzato ad immagine e somiglianza di Amarthrind, l'arma del Guardiano Zero... colui che gliel'aveva notato.

    jpgUna interdetta meraviglia -qualcosa che bilanciava speranza e preoccupazione- si impadronì di lei nel vederlo rifulgere di colori vividi quanto mai lo erano stati negli ultimi mesi, osservando gli astri illusori che dominavano la stanza oscurarsi a quell'aurora, e mentre la nebbia si alzava attorno a lei, come una preghiera ella strinse quel nome nella sua mente, raccogliendo il gioiello nel palmo e serrando per un istante gli occhi di zaffiro.

    Fu in quell'istante sospeso che, con la stessa delicata lentezza con cui il velo che cela il dipinto è lasciato cadere, i suoi sensi le rivelarono una nuova presenza... una presenza familiare, eppure diversa, e nel sollevare le palpebre bordate di lunghe ciglia, le iridi blu se lo ritrovarono davanti: il Destino, sfavillante del suo puro e antico potere, le stava davanti.
    E il Destino si inginocchiò a lei.

    Amarth non parlò, e neppure lo fece Kalia; solo, abbandonò la penna sul tavolo, si disincastrò dalla sedia per raggiungerlo, e si lasciò cadere in ginocchio a sua volta, davanti a lui, allacciandogli le braccia al collo con quieta gentilezza, per stringerlo in un abbraccio, vasto come l'oceano.

     
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    Se, entro le cerchia del mondo, potesse nascere qualche cosa che s'adattasse al nome di stupore, ebbene con tale parola la bocca del Destino avrebbe parlato, poiché non credeva l'Alfiere così propensa al perdono; infatti, nonostante egli avesse fatto visita alla Dama, che quella volta gli apparve triste e non contrariata, credeva che il peso della Quiete fosse ignobile, essendo lo Zero grande per nome entro Istvàn e l'Est. Così che, quando credette l'Alfiere redarguirlo per la defezione di un suo collaboratore e si vide la Dama gettarglisi addosso per un abbraccio, il Celebliant non seppe in quale modo reagire.

    Ma era questa la grazia dell'Alfiere dell'Est, questo il suo merito più grande: essere ciò che di più alto e nobile e giusto dimori nelle Cose. Era come se ogni passo di lei fosse benedetto, ogni parola la più adatta, e il rispetto che le si tributava era non solo dovuto per titolo, ma per eccelsi meriti.

    E così Eru Elen Amarth accolse il gesto di lei e, cosa assai rara, in ginocchio volle ricambiarlo: ma era privo di sentimento allegro, e non perché egli fosse d'altro umore: come era noto, egli non Poteva trattenere con sé le Emozioni che aveva la Fortuna di incontrare, non essendo in Dovere di provarne alcuna. E però tanto era il rispetto, la devozione e l'ubbidienza alla Dama Azzurra, che il Guardiano operò una cosa mai fatta: per un istante cedette alla Tranquillità che Kalia emanava, egli che sempre era protetto dall'assorbire in sé emozioni altrui e provandole, e la prese con sé, tingendo tutto il suo corpo del più bell'azzurro; e la spanse nell'aria, così che le stanze dell'Obelisco risuonassero del potere della fanciulla, acuito e riverberato dall'Eterno. Più di questo, egli non seppe e non poté fare a dimostrazione di un sentimento positivo nutrito nei confronti della Castellana.

    E quando la radianza finì, disciolta come il sole al tramonto sul mare, piano si alzò, tenendo le mani alla Dama che voleva sollevare con sé.

    -Io sono ora, mio Alfiere, tornato dalla Quiete.-
    Vuote le parole, ma ancora Azzurre
    -Ma non è l'Essenza a parlare, adesso. E' l'Erelamarth che operava nel Presidio, uscito dai ranghi del suo regno senza un giusto preavviso. Quando mi avrà giudicato, e punito secondo il suo modo, allora dirò come Guardiano.-

    In pace e consapevole delle azioni, il Bibliotecario consigliere della Dama giunse a pagare il crimine.



    Ho Annullato per qualche istante "Alcar Valaron" per poter subire l'aura di Tranquillità di Kalia. Quindi Synchro ha fatto tingere di Azzurro Amarth, perché stava provando l'emozione corrispondente.
     
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    Pian piano, l'aurora che l'aveva sorpresa tra le stelle artificiali dell'osservatorio si acquietò, e il misurato gesto dello Zero -tintosi adesso le chiome, gli occhi e le vesti di una serena radianza cerulea- che si risollevava e le tendeva le mani, catalizzò l'attenzione delle iridi blu della Castellana; un invito muto, che la Dama Azzurra raccolse con sulle labbra un dolce sorriso, adagiando con leggerezza le dita affusolate su quei palmi pronti ad accoglierle.

    -Io sono ora, mio Alfiere, tornato dalla Quiete. Ma non è l'Essenza a parlare, adesso.-
    così esordì sereno il Guardiano, con parole che -tuttavia- la preoccuparono
    -E' l'Erelamarth che operava nel Presidio, uscito dai ranghi del suo regno senza un giusto preavviso. Quando mi avrà giudicato, e punito secondo il suo modo, allora dirò come Guardiano.-

    Dapprima, la fanciulla celeste lo fissò interrogativa, facendo oscillare le lunghe chiome turchine nel reclinare il capo da una parte e sbattendo le palpebre bordate di lunghe ciglia con aria interdetta; poi, la fronte liscia si corrugo in un cipiglio vagamente imbronciato: come poteva parlare così in un momento come quello?

    Sia lui stesso -in sogno- che Yang -successivamente al risveglio- si erano già recati al suo cospetto in passato per esporle i motivi del loro ritiro, e la donna aveva compreso con intimo rammarico quale sacrificio avesse rappresentato per i Quattro divenire parte di un mondo che -per loro intrinseca natura- avrebbero dovuto rimirare dall'esterno.

    Solo per obbligo verso di loro -i loro affetti e i loro doveri- le Essenze si erano costrette a quello che era divenuto un muto tormento, fin dall'inizio oltre le loro possibilità, contaminando ciò che -per sua natura- sarebbe dovuto essere
    immutabile nel tempo e nello spazio, e pertanto... sarebbe dovuta essere lei a scusarsi per l'ingenuo egoismo con cui aveva finito per vincolare a sé il Guardiano -cieca ai suoi disagi-, non il contrario.

    jpg
    « In virtù di quali accuse dovrei giudicarti? »
    in piedi davanti a lui, la Dama Azzurra ritrasse le mani e le portò al cuore dolente
    « Sapendo quale scompenso ha creato il desiderio di averti qui, con che coscienza potrei punirti? »
    contrariata -quasi ferita- da quella richiesta, la fanciulla distolse lo sguardo
    « Io... sono solo contenta di vederti. Questa dovrebbe essere un'occasione lieta, ecco... »

     
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    -E lo è.-
    Disse, freddo come l'antica pietra
    -Non avevo altro desiderio che quello di omaggiare per prima colei che più di ogni altra cosa io rispetti per autorità, e ammiri per nobiltà, su queste terre mortali.-

    Così dicendo, puntò gli occhi azzurri verso quelli della Dama, e nella serietà del momento e del cuore, egli tanto poteva dire d'amarla, come il suddito il nobile regnante, che sapeva le sue parole non essere né calde, né accorate. E di ciò era dispiaciuto.
    Epperò altri modi non aveva, sicché poteva solo sperare che il potere di lei gli scandagliasse i pensieri, e ne carpisse il significato profondo, e li trasformasse in parole umane.
    E tornò all'Iride, l'Azzurro sfumando via come un bel sogno che svanisca; quindi parlò:

    -La Ruota del Destino ha posto me in questo Presidio, e per la sua lungimiranza ho assunto il ruolo di Bibliotecario, di Fondatore e rettore di Gilda, e in ultimo di suo Consigliere. Come, se lo vorranno, Yang risponderà a Drusilia della sua defezione dai Milites, e Yoe da Ufficiale di Presidio, io ora rispondo alla mia assenza in queste tre cariche. Che io abbia avuto questioni da risolvere e sacrifici da compiere, non è di per sé una giustificazione.-
    Sembrava quasi che lo sguardo inflessibile fosse un poco ammorbidito, quasi a supplicare
    -Mio Alfiere, dimentica chi io sia, di cosa io sia fatto. Guardami come un mortale, come uno dei tuoi attendenti. Giudicami in virtù del mio solo operato, perché non ho rimpianti di Essenza, ma di suddito.-

    E altro non disse.

     
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    -E lo è. Non avevo altro desiderio che quello di omaggiare per prima colei che più di ogni altra cosa io rispetti per autorità, e ammiri per nobiltà, su queste terre mortali.-

    Lo Zero rispose quieto alla domanda della Dama Azzurra, sostenendo il suo sguardo senza vacillare, e quando proseguì nell'esternare i motivi della sua contrizione -le mancanze come creatura del mondo, non come Essenza dell'Oltre- come fossero capi di imputazione, pur comprendendolo intimamente, Kalia sentì di non potere accettare quella sua richiesta.

    -Mio Alfiere, dimentica chi io sia, di cosa io sia fatto. Guardami come un mortale, come uno dei tuoi attendenti. Giudicami in virtù del mio solo operato, perché non ho rimpianti di Essenza, ma di suddito.-

    jpg
    « Capisco il tuo stato d'animo, Amarth, mio vecchio amico... »
    esordì dolce e conciliante la donna, portando la destra a sfiorargli la guancia
    « ...ma cosa ti aspetti che faccia? Tu non hai mai arrecato danno alcuno né a me e all'Est, né ad alcuna delle genti che proteggo: per quali colpe dovrei giudicarti? »
    tacque un istante, perché il Guardiano sondasse la fermezza dei suoi occhi blu
    « Se lasciare il tuo posto in queste terre ti ha recato così tanto cordoglio, ebbene: hai già ricevuto la tua punizione... e che ti sia sufficiente, perché io non emetterò nessuna condanna. »

    Così, mentre l'espressione sul suo volto si raddolciva, la Castellana lo abbracciò e lo tenne stretto per un lungo momento: la questione per lei poteva considerarsi conclusa. Dopotutto, è così che funziona una famiglia... e una casa non è una gabbia in cui giacere incatenati, ma un posto dove poter tornare.



    Edited by Madhatter - 8/12/2014, 12:05
     
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