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    Impeto e tempesta

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    Sbadigliò, mentre la mano guantata di nero andava a posarsi su di un bel mobile dalla pelle d'ebano. I rubini incastonati all'estremità di ciascun dito, lavorati in modo da sembrare unghie umane, premettero lentamente sulla superficie liscia e ben levigata di quel corpo statuario, per poi affondare con una lentezza quasi maniacale. Il mobile -circa vent'anni, originario del Sud- si sforzò di rimanere in silenzio anche quando con la coda dell'occhio scoprì rivoli rubicondi scorrere su di lui come piccoli ruscelli, per poi cadere sul pavimento marmoreo con disinvoltura.

    Ne seguì un attimo di pausa, la Regina Rossa immobile, forse distratta da qualche rumore che le avesse suggerito l'arrivo del suo ospite. Poi di nuovo un sospiro seccato: non amava attendere, ancor meno se la propria preparazione giornaliera era durata più del solito. Otto ore di lavoro da parte dei mobili preferiti, così da rendere il suo aspetto più vicino ad un'opera d'arte che ad una donna vera e propria.

    L'intero volto si mostrava ora completamente coperto da una maschera di fondotinta chiaro ed uniforme come porcellana, labbra rosse e perfettamente disegnate a farne contrasto, lucidate con particolari cosmetici così da renderle estremamente simili al vetro. Gli occhi d'argento sembravano un tutt'uno col resto dell'occhio, lasciando il privilegio del risalto al nero della pupilla e dell'eyeliner che ne tracciava i confini; sui lati del volto si diramava in arabeschi dall'aspetto di rovi alle cui estremità brillavano piccoli rubini dalle forme irregolari. Infine, a sfumare i contorni ed a definire meglio la forma del volto che lei aveva scelto di possedere quel giorno, ombretti rossi per gli occhi e polveri metalliche per il corpo ed il viso.

    L'abito, poi, era un trionfo dell'architettura. Praticamente un tutt'uno con l'acconciatura -i cui capelli rossi, sostenuti da lacche, basi metalliche, fermagli e chi lo sa che altri intrugli alchemici, avevano ora la forma di una rosa sbocciata sulla sua nuca- scendeva dal collo ai piedi sinuoso e sensuale, prendendo l'aspetto di un roveto nero. Lì dove i pieni non coprivano la pelle innaturalmente bianca, solo una rete a reggere il complesso e mostrare in un gioco di vedo-non-vedo i disegni fatti con polvere di rubini sulla stessa pelle della signora. Delle scarpe rosse con una pianta dall'inclinazione innaturale completava quel mosaico di dettagli e suggeriva al mobile lì presente che non si sarebbe alzata dalla sua poltrona -due gemelle dai tratti asiatici, nude come lui e completamente tinte di rosso da esperti di body painting. C'era un altro paio di fanciulle proprio di fronte a lei, dove si sarebbe dovuto accomodare l'ospite.

    In un altro moto di rabbia, la donna gli scorticò nuovamente la schiena mentre lui si sforzava di tacere. Nell'immobilismo da oggetto in cui era costretto, sperò che quel supplizio terminasse il prima possibile.
     
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    Roose avanzò tra i lussuosi corridoi della dimora della Red Queen con stampata in volto una espressione mista tra l'insofferenza e il disgusto. Odiava doversi spostare -specialmente verso una tappa così lontana come Bloodrunner- come un qualsiasi garzone da macellaio. Odiava abbandonare i suoi forzieri -i pochi che gli erano rimasti dopo la rivolta di Laputa-. Ma più di tutto, odiava dover sacrificare il suo preziosissimo tempo con una donna. Forse, sarebbe stato più giusto ammettere che il ricco Roose Goldwyne era stato costretto a farlo. Semplicemente perché dopo il collasso del Sodalizio, non era poi così ricco.

    « Resta nei paraggi, Walton. E tieni gli occhi bene aperti. »

    Walton annuì lentamente col capo. Seguiva il suo signore, affiancato alla sua destra, rapido e silente come fosse la sua ombra. Un'ombra incredibilmente più snella e minuta, e sicuramente molto più letale, di quella del mercante dal ventre prominente.
    Avanzarono scortati da uno di quegli schiavi seminudi appartenenti alla Red Queen. Sguardi vacui, labbra serrate. Spiriti muti la cui ragione esistenziale era ridotta a meri strumenti nelle mani di quella che Roose aveva sempre considerato una sottospecie di donna truccata e agghindata come un clown. Questo, ovviamente, dietro la sorridente faccia con cui entrambi avevano condotto i propri affari, sempre e comunque negli interessi di entrambi. Ma da lì a presentarsi nella sua casa, a Bloodrunner..Indossava stivali alti di cuoio nero sopra il ginocchio, brache azzurre, giubba porpora con alamari dorati. Eppure, in confronto alla signora di quel posto, il suo vestiario appariva incredibilmente sobrio.

    « Buongiorno, Lisbeth. »

    Senza alcuna cerimonia, senza nemmeno attendere di essere annunciato, Roose si portò direttamente dinanzi alla Red Queen. Walton rimase accostato all'ingresso della stanza, nascosto nella penombra. Gli occhi vigili e sospetti che scrutavano ogni angolo, ogni possibile pericolo. Al contrario, Roose Goldwyne appariva rilassato come se si trovasse nella sua, di casa. Mostrare sicurezza, e una velata ma costante minaccia, era alla base di ogni suo rapporto d'affari.
    Gettò un'occhiata sprezzante alle schiave l' presenti. Strumenti del piacere, ma non solo: ci si aspettava che lui si dovesse sedere sulla schiena di una di esse. Un'idea ridicola quanto inattuabile, a causa del suo peso. Non aveva intenzione di sottostare all'ironia da due soldi della Red Queen, ma si costrinse a fare buon viso a cattivo gioco. Scoprì una chiostra di denti marci. La grottesca imitazione di un sorriso. Si era sbagliato: Lisbeth Von Schröder non aveva affatto l'aspetto di un clown. Piuttosto, di una laida prostituta che andasse esclusivamente coi clown.

    « Avrai una sedia più comoda di quella, spero. Non vorrei mai spezzare la schiena a uno dei tuoi giocattolini. »



     
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    Dicono che le donne non sappiano tenere la bocca chiusa.
    Evidentemente quelle voci non conoscono la Regina Rossa.
    Lisbeth osservò l'arrivo di quel flaccido ed oltremodo sgraziato essere completamente immobile, il volto inespressivo, le pupille incollate a lui come quelle di un predatore. Eppure Roose preda non lo era, almeno per lei: non lo avrebbe comprato nemmeno come mobile, a dirla tutta. Ma le serviva per amministrare i suoi soldi in un ambiente che non era solita frequentare con piacere. Al Bloodrunner raramente si fermava ad ammirare bei mobili. I più emanavano un cattivo odore.

    « Avrai una sedia più comoda di quella, spero. Non vorrei mai spezzare la schiena a uno dei tuoi giocattolini. »

    La donna non sorrise -non avrebbe mai rovinato la sua perfetta maschera a favore di qualche espressione ebete- pertanto mosse le dita in un gesto distratto, evidente quel tanto che bastava per far capire alla servitù di portare all'ospite una sedia più... per la sua stazza. Le fanciulle di fronte a lei si levarono in piedi e si allontanarono a passi leggeri mentre degli energumeni completamente nudi le sostituivano per volere della padrona. I loro volti -probabilmente troppo rudi rispetto a quelli degli altri- erano completamente dipinti con motivi astratti, così da nascondere le imperfezioni. I capelli erano completamente rasati.

    -Spero per lei che questi vadano meglio. Sa, non sono i miei preferiti, ma non ho nulla di più resistente.

    Presa dalla foga di quella breve esternazione, affondò ancora di più le unghie sulla schiena del mobile d'ebano, posto lì come passatempo. Non era bravo in molte cose e nemmeno fra i più belli; considerando che portava già alcune cicatrici, la Regina sin dall'acquisto aveva scelto di conservarlo per i suoi giochetti macabri. Nulla a che vedere con ciò che stava accadendo all'incontro fra il mercante e l'ereditiera: in quel caso era solo un antistress.

    -Prego, si accomodi come se fosse a casa sua.
     
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    Roose non distolse lo sguardo dalla sadica tortura messa in atto dalla donna, ma anzi la studiò senza lasciar trasparire alcun segno di approvazione o di disgusto. Trovava la crudeltà di Lisbeth indescrivibilmente raffinata e artistica, in un certo senso,ma per nulla adatta al suo modo di agire. Lei trattava gli uomini come giocattolini con cui divertirsi in mille e uno modi libertini, lui come validi strumenti in vita solo per accrescere e glorificare il suo potere. Lei giocava con la vita e con la morte. Lui le sfruttava nel modo più conveniente possibile.

    « Mpf...immagino che se avessi sete faresti sgozzare uno di questi poveracci e verseresti il suo sangue in un calice. »

    Commentò acido, prendendo posto su uno di quei materassi di muscoli rigonfi. E a dirla tutta fu duro ammettere a se stesso di trovarlo abbastanza comodo. Mai però, mai lo avrebbe dato a vedere, né a lei né a Walton.

    « Chiedo scusa, ma ho sempre odiato i vuoti salamelecchi. Mi hai chiamato per affari, o trovi la mia compagnia così piacevole, Lisbeth? »





     
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    Altatorre, uno dei cinque grandi quartieri del Pentauron.
    Ricco, delicato e prezioso: ogni edificio sembrava un'opera d'arte. L'aria che si respirava in quelle strade aveva un sapore diverso dal Bloodrunner, in cui spesso lavorava Roose. Altatorre profumava di fresco e dei profumi rari e costosissimi che portavano i proprietari su vesti, pelle e capelli. Profumava di nobiltà ed alto lignaggio, marcato ancor più dalla bella presenza degli schiavi e dei lavoratori stipendiati. Un'opera d'arte... e per questo l'artista odiava spostarsi.

    -Affari- rispose secca la donna, con il solito viso inespressivo -Ho bisogno di ampliare il mio mercato nel Bloodrunner e desidererei qualche avversario in meno. La mia arte impiega tempo, e non ho intenzione di spenderne altro per pensare a qualche strategia a lungo termine.

    Ma il Bloodrunner era grigio, sporco e marcio: qualora si fosse affacciata, ne era certa, sarebbe svenuta per la puzza.

    -Vorrei che parliate un pò con loro... e se non sembreranno disponibili ad un... "accordo" con noi, immagino voi sappiate già come risolvere il problema. Come fanno tutti i mobili di quel luogo, immagino.

    Perchè Roose e la Dama Rossa erano soci virtualmente "alla pari", ma restava comunque lei l'unica a cedere i propri soldi per quasi tutti gli investimenti. Per quanto il grasso mercante potesse non adorarla, quella ricca ereditiera restava per lui una miniera d'oro indispensabile per una rinascita economica.

    -Infondo non mi sarei unita con voi se non rispettassi il vostro lavoro.
     
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    Roose Goldwyne si portò un pensoso pugno chiuso sotto il naso, la fronte aggrottata nello sforzo di pensare. Pensare a cosa stesse passando per la mente della donna che aveva di fronte, pensare a come poter sfruttare la cosa per i propri interessi. Un sorriso sottile si fece largo dietro la mano serrata. Avere come alleata la Dama Rossa era una mossa necessaria -per quanto lui avesse sempre detestato l'altro sesso- ma averla come debitrice, sarebbe stato ancora meglio. Chissà dove, chissà quando, i servigi della Dama Rossa sarebbero potuti tornare utili al buon vecchio Roose.

    « Nessun problema. »

    Disse in tono conciliante, facendo un gesto ampio con le braccia e rilassandosi su uno schienale inesistente. Per poco non perse l'equilibrio, crollando all'indietro, ma riuscì a ricomporsi all'ultimo.

    « L'unica cosa di cui avrei bisogno, sono ulteriori dettagli. Accompagnati da un buon rosso, se non è chiederti troppo. »





     
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    « Nessun problema. L'unica cosa di cui avrei bisogno, sono ulteriori dettagli. Accompagnati da un buon rosso, se non è chiederti troppo. »

    Osservò il grasso mercante allargare le braccia con movimenti goffi, e lo fece con sguardo freddo e spietato, come quello di un critico di fronte ad un'opera di valore effimero ed estremamente sgraziata al centro del suo museo preferito. In risposta a quelle che erano le richieste del mercante, mosse semplicemente le dita ed un paio di mobili giunsero immediatamente ad esaudire i desideri del suo ospite.

    -Preferirei lasciare i dettagli principalmente a voi, se è possibile: conoscete quel posto meglio di me- e non fu chiaro se si trattasse di un insulto o una constatazione -Il mio commercio ruota attorno ad opere d'arte, ma nella vostra ottica comprende un pò di tutto. Principalmente gioielli, dipinti, statue ed abiti, ma anche composizioni floreali, mobili ed altri oggetti di poco conto.

    E con "mobili" non si riferiva solo all'antiquariato... ma anche al commercio degli schiavi.

    -Per quanto riguarda il danaro, ne ho quanto volete: posso finanziarvi fintanto che mi farete rapporto su tutti i vostri movimenti.

    Terminato di mettere le cose in chiaro, mosse lievemente le dita affusolate, e la stessa coppia di ancelle di prima la raggiunse per tendere il drappo della gonna, in modo che fosse perfettamente teso.

    -Posso ritenervi in grado di farlo o sarebbe conveniente cercare qualcun altro?
     
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    Roose lasciò quell'ultima domanda come sospesa tra loro, ritenendola retorica. Non sarebbe mai stato invitato da Lisbeth nella sua stessa casa se lei non lo ritenesse perfettamente in grado di gestire il traffico -legale e non- di BloodRunner, ma l'idea che un Goldwyne dovesse fare rapporto a quella donna come un qualsiasi galoppino straccione proprio non gli andava giù. Il fallimento della rivolta su Laputa e la sua fuga lo avevano ridotto male, ma non così tanto da dover schiacciare la propria dignità e ingoiare quel rospo. Per un momento fu tentato di rifiutare la richiesta, di gettare in faccia a quella sadica sgualdrina il piscio rosso che spacciava per vino. Ma Roose Goldwyne era un uomo d'affari, e sapeva pensare bene alle conseguenze delle proprie azioni. E, volente o nolente, aveva bisogno del denaro di Lisbeth nella stessa misura in cui lei aveva bisogno dei suoi contatti. Ma come potersi fidare di una creatura del genere? Come poterla tenere sempre d'occhio? Come assicurarsi che non lo tradisse per trarne un profitto maggiore?
    L'idea che gli balenò in mente fu così naturale da rasentare la banalità.
    Si alzò lentamente dalla sedia umana, portandosi verso finestra. Fuori la giornata era uggiosa, il cielo colmo di nubi grigie e minacciose.. Dando le spalle a Lisbeth, Roose trangugiò l'ultimo sorso di vino dal calice. Gli parve aspro e amaro quasi quanto le parole che stava per dire.

    « Non commettere l'errore di scambiarmi per un garzone da macellaio, Lisbeth. L'unico scopo del mio lavoro è sempre stato quello di accrescere il mio profitto. Quella grottesca pantomima del Sodalizio è caduta a pezzi ma io, grazie a questa semplice regola, sono rimasto ancora in piedi. »

    Affermò con una forza e una decisione ai limiti della collera, mentre si voltava verso Lisbeth.

    « Ma forse esisterebbe un modo per rendere questa..comunione d'intenti, solida e duratura, sicura e fruttuosa per entrambi, e per schiacciare ogni possibile tipo di concorrenza. »

    Adesso il suo tono di voce era calmo, pacato. Il suo sguardo gelido.
    Non vi era la minima traccia di lussuria o di affetto negli occhi di Roose Goldwyne. Non più da almeno trent'anni e cinquanta chili prima, né lui si preoccupò di simulare un qualche tipo di desiderio verso quella donna. Da tempo aveva appreso a considerare l'amore una insulsa menzogna, il sesso una squallida distrazione e l'estetica nient'altro che puerile vanità. Era grasso, vecchio e schifosamente ricco grazie a quei solidi principi. E il denaro era potere. E quell'unione aveva l'unico scopo di renderlo ancora più potente.
    Le labbra simili a vermi rigonfi si curvarono in alto nell'ipotesi di un sorriso malizioso.

    « Attualmente non esiste un signor Von Schröder, vero? »



     
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    Lisbeth osservò Roose con sguardo ricolmo di disprezzo per tutto il tempo in cui si trovò a parlare; affacciandosi all'ampia vetrata parve oscurarla con la sua mole. Sembrava uno di quegli armadi antichi grossi e pesanti, davvero poco comodi ed ingombranti.
    Sapeva perfettamente di non trovarsi di fronte ad un poveraccio, e nemmeno uno sprovveduto. Ciò nonostante non aveva intenzione di dargli completa libertà di gestire il suo capitale. Per quanto fosse infatti uno dei mercanti viventi più capaci, restava il dato di fatto che avesse perso la propria fortuna per aver scelto la fazione sbagliata su Laputa. I risultati erano stati disastrosi, pertanto non gli avrebbe concesso carta bianca, nemmeno se lui fosse riuscito a risparmiarsi di farle rapporto. Lei doveva controllarlo, in qualche modo.
    Per fortuna giunsero entrambi alla medesima soluzione.

    « Attualmente non esiste un signor Von Schröder, vero? »

    -In verità sono vedova.

    Pronunciò quelle parole con distacco e freddezza, compiacendosi tuttavia all'idea di vedere i lineamenti del volto grasso e sudaticcio di Roose deformarsi a quelli che erano tutti i sottintesi del caso. Non era certo uno stupido, ma se pensava di essere più furbo di lei aveva perso in partenza.

    -Ammettendo che io accetti, vorrei render chiaro che i vostri appartamenti saranno diametralmente opposti ai miei nella mia magione. Avremo servitù separata e, nei momenti in cui saremo insieme, desidererei che portaste i miei profumi. Detesto odori diversi nello stesso ambiente.

    Non specificò che detestava anche l'odore del sudore e del grasso, ma probabilmente quel suino in abiti di seta si sarebbe potuto offendere, ed allora avrebbe dovuto inventarsi qualcos'altro per tenerlo sotto controllo.

    -Sarebbe un problema?
     
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  10. Ja¢k
     
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    « Assolutamente. »

    Concesse in tono conciliante, il terribile sorriso privo di alcuna allegria deformò il suo volto in una smorfia sogghignante. Sembrava quasi un rospo. Un grosso rospo agghindato in seta e presto intinto dei forti profumi di Lisbeth von Schröder. Se l'idea lo disgustava, non lo diede a vedere. Qualche piccolo sacrificio era pur necessario.
    Si diresse verso uno degli schiavi che Lisbeth trattava alla strega di oggetti, e gli strappò di mano un altro calice e la bottiglia di rosso per tre quarti ancora piena. Dopo ciò che aveva appena fatto, sentiva come il bisogno di svuotarla prima di sera. Versò per entrambi, e le porse il calice mezzo pieno.

    « Brindiamo, allora. A una lunga e felice unione. »





     
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