Sapore di Cenere

[CSV] [CC] [Aurora Occidentale]

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    Viaggiatore dei Mondi

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    There is no end to be found in this world.
    Sleep, my beloved: your life goes on.
    You were born, and you lived.
    You will tell the song of hope, won't you?

    For eternity...


     

     

    Quale che siano il mondo o il tempo, la Morte è sempre il mistero definitivo: c'è chi la teme, c'è chi la brama... chi riesce a svincolarsene, chi la rifugge, e chi cammina nella vita tenendola per mano; poeti, filosofi, scienziati, religiosi, mendicanti e re: ogni creatura potrebbe raccontarne una faccia diversa, ma neppure mettendole assieme si avrebbe un'idea vagamente simile ai sentimenti che scatena, quando attraversa le nostre vite - per noi o per qualcun altro.

    Le parole sono imperfette -anche le più potenti, anche le più evocative-, e non riusciranno mai del tutto a racchiudere un sentimento nel rassicurante limite di una definizione; per questo non ci sono discorsi nell'aria che grava sul cortile affollato del Palazzo del Governo... e neppure silenzio: il chiacchiericcio degli astanti è un brusio flebile ed indistinto, in cui si mescono i sospiri afflitti, i pianti sommessi, e gli ultimi ricordi di chi ha perso un compagno un figlio, un fratello o un amico nell'ultima sanguinosa battaglia.

    Non tutti i corpi dei caduti sono ancora stati raccolti e radunati per ricevere una sepoltura, ma quel momento di raccoglimento e di cordoglio -chiuso su sé stesso come la sacralità di un tempio- non fa distinzione di fazione e stendardo... e il simbolo di tanto dolore si riassume nelle fattezze di una fanciulla esanime, colei che ha -per purezza di ideali- mosso il primo passo verso la ribellione nel momento in cui ha promesso il suo aiuto ad un non-umano, un Diverso... l'unico che sia mai evaso dall'Enclave.

    La salma è stata composta, e il sangue lavato via: tra i pochi abiti che aveva portato con sé e salvato dalle asprezze della vita da campo, le ancelle le hanno messo quello che più potesse avvicinarsi alla regalità del suo lignaggio; i suoi occhi spenti sono chiusi, come se dormisse, e le lunghe chiome castane sono state lasciate libere dall'acconciatura sobria e severa con cui li legava di solito... morbidi sulle spalle, come era solita portarli da bambina e come solo i più anziani veterani del Confine col Mare possono ricordare.

    Non ci sono fiori.
    L'Ovest è una terra per lo più arida, è vero... ma è stata la guerra che ha distrutto quelli che si erano erti verso il cielo, per sbocciare con coraggio dalle rocce rosse, perché è così che funziona - sempre e ovunque: sono le cose più belle e gentili a venire sacrificate alla violenza del mondo.

    Il feretro è stato posto sul primo pianerottolo delle scale della reggia, come un monumento su di un piedistallo -o una reliquia su un altare-, aperto perché le si possa rendere omaggio, e custodito dalle alte cariche del fronte alleato, a sorvegliare l'andirivieni in silenzio, come una guardia d'onore: i Cavalieri Celesti dell'Est -Tristan Gawain Quarion Galanodel e Lancelot du Lac-, le Milizie d'Argento di Rivenore -Eric Durdander e Beseech Synnøve-, i Liber Aeris Milites di Laputa -Khatep e Grifis Minos- e il leader dei Samurai di Undarm, un guerriero non più nel fiore degli anni, con un occhio sfregiato e l'aria fiera ma addolorata.

    Solitario, in cima alla rampa di scale, è il posto destinato al Principe Naga:
    accanto alla bara dove lo Specchio dormirà il suo sonno eterno,
    sulle sue spalle ricade l'onere di raccogliere le condoglianze di chi li ha seguiti in battaglia,
    di consolare il dolore per la perdita, e di pronunciare l'orazione funebre.

    Inori -


    La presente è una scena facoltativa -interludio nella campagna "Aurora Occidentale"-,
    di libero accesso per tutti coloro che hanno partecipato alle precedenti fasi della guerra, o che risultano pre-iscritti agli eventi della prossima quest "Vento di Libertà".

    I quattro raid portati contemporaneamente dai Ribelli ai centri nevralgici del potere di Sequerus hanno avuto esiti ambivalenti, e molti imprevisti; ciononostante, il fronte alleato ha consolidato il suo ingresso nella capitale, costringendo i Governatori a ritirarsi nell'ultima roccaforte rimasta loro: il centro di detenzione e sperimentazione noto col nome di Enclave; tuttavia, non si può certo considerarla una vittoria.
    La Resistenza ha perso uno dei suoi leader, Odayaka Mira, brutalmente assassinata da Kikio Ho -ultimo rappresentante delle Grandi Famiglie ancora in gioco-, e mentre entrambi gli schieramenti si preparano per sostenere quello che sarà probabilmente lo scontro finale, i samurai di Undarm organizzano l'ultimo saluto per la loro principessa.

    Si tratterà di una scena masterata, scandita da tre post secchi del "QM", mentre per voi non ci saranno turni, così da permettervi di interagire liberamente tra utenti al ritmo che preferirete, mentre -sullo sfondo- vengono svolte le esequie.
    Chi lo desidera, può partecipare per approfondire il proprio background, per rinsaldare legami interpersonali con i compagni, per effettuare in-game un passaggio di informazioni -da PG a PG- su quanto vissuto e scoperto/intravisto nelle fasi precedenti, o anche per semplice introspezione; se avete desiderio di interagire con qualcuno dei PNG apparsi fino ad ora, basta avvisarmi in bacheca -nel caso si tratti dei miei- o accordarsi con il diretto interessato.

    Il secondo post da QM verrà rilasciato in data 5 Giugno.
    Per dubbi o qualunque altra cosa, potete chiedere in Bacheca. :win:



    Edited by Madhatter - 23/5/2014, 00:32
     
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    deva


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    Incessante.

    Quello era il dolore della perdita: incessante.
    Era la processione dei volti smarriti, delle frasi spezzate a metà dal pianto: le madri costrette ad osservare il loro stesso sangue e la loro stessa carne sublimare in un ricordo; fratelli, sorelle, gli amori che prescindevano dal genere e dall’origine sociale, legami recisi senza che alcuna appendice potesse germogliare più vigorosa di prima.

    Incessante.

    La dignità ed il rispetto vegliavano sui primi scalini, avevano le armature dell’Est e dell’Isola nel Cielo e dei Samurai di Sequerus, gettavano onore sull’enorme ferita che era quel popolo raccoltosi per porgere l’ultimo saluto alla Reggente di Undarm.
    Il feretro, un vascello di tessuto e legno, giaceva a pochi passi da Namas: il Principe osservava con una calma surreale il mare nero che erano i capelli della donna, distesi ed inermi quanto il corpo che li possedeva con una bellezza imprescindibile.
    Sapeva che la Resistenza avrebbe reso omaggio a tutte le vite strappate in quella guerra e non ci fu secondo senza che egli si domandasse perché mai il suo cuore soffrisse di più per un’anima rubata piuttosto che per un’altra.
    Si sentì colpevole, indegno di presenziare a quel dolore collettivo: irrispettoso, vigliacco nel vestirsi di un silenzio palpabile, austero, un silenzio capace di spintonare chiunque ed allontanare persino la tempesta più violenta.
    Gli occhi del nagavandari serpeggiavano, zeloti con il capo chino, fra la folla, dedicando attimi di condoglianze a coloro i quali percepissero il fugace istinto di ricambiare quello sguardo vivo a metà.
    Ma lui non era li, non era più ciò che per anni aveva creduto di essere.
    Era stato fin troppo vicino al punto di ritorno, a cedere all’ira ed alla vendetta: poteva giurare persino di sentire ancora le dita di Amon stringergli la spalla, richiamarlo alla realtà.
    Avrebbe voluto parlare in privato con il guerriero: da quando avevano ritrovato il corpo di Odayaka, non c’era stato modo per il Principe di rispondere alle parole che lo Scorpione era stato in grado di mettere in piedi in quel tremendo momento di dolore.
    Sentiva l’esigenza di farlo, di spiegargli che la sua rabbia non poteva tramutarsi in odio, che nessuno su Endlos avrebbe perpetrato quel gioco al massacro in nome di una giustizia violenta e laida.
    Che solamente lui, Namas, avrebbe macchiato il proprio onore col peccato pur di fermare l’insensatezza della piaga che si era abbattuta sulla loro terra.
    Lui, solamente lui avrebbe pagato le conseguenze della guerra e nessun altro si sarebbe ritrovato mai più nel tetro abbraccio che aveva colto lo Specchio Tranquillo.


    «Perdonami.»

    Lo sussurrò appena, con una voce che sembrò cenere ancora tiepida.
    L'Atharvaveda stava dipingendo quegli istanti su di una tela colore del piombo. Erano in un campo di fiori.

    Fiori senza petali.

     
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    Il concetto di ‘morte’ è abbastanza relativo, soprattutto per uno Scorpione Nero.
    Essa è infatti un’alleata preziosa, l’amica più sincera di ciascun assassino che – proprio come loro – ha imparato a convivervi ed a cooperarvi al fine di portare a compimento le proprie missioni. Pertanto, morire aveva un significato piuttosto profondo ed accostabile a concetti quali l’orgoglio e l’onore di poter avere una fine onorevole in combattimento – magari contro un avversario degno.
    Si trattava di una utopia rincorsa da ogni guerriero, anche per degli assassini come loro.
    Ma c’era qualcosa che non era stato insegnato loro; che era stato intimato loro di rinunciare e di allontanare dalla propria personalità, dal proprio ‘io’ interiore al fine di divenire una perfetta macchina da guerra incapace di provare sentimenti ed emozioni.
    Ciascuno di loro, per quanto ammirasse la morte non la rispettava; non la onorava e non la temeva perché incapace di provare paura verso di essa. Il timore atavico presente in ciascun essere vivente per la fine della propria esistenza non era parte della mentalità di uno Scorpione.
    E loro, semplicemente, obbedivano.

    « Cos’è che mi fa soffrire? », si chiedeva Amon con la tristezza nel cuore.
    « Cos’è di lei che ha colpito a tal punto il mio cuore, da permettermi di piangere di nuovo? », continuava a chiedersi cercando una risposta ai suoi dubbi e tormenti.

    Ma la risposta era una soltanto: lui non era più uno Scorpione.
    O meglio: non lo era più completamente.

    « Mi hanno sempre abituato che la morte, non è niente di che- », si disse in piena riflessione,
    « -che dovevamo accettarla come una benedizione, pagando un pegno: la vita degli altri, contro la nostra sacrificando noi stessi per il bene dell’Ordine; per il bene del Faraone. » Volse lo sguardo al cielo, poi, completamente estraniato da tutto il resto. « Ma qui è tutto diverso: l’obiettivo non è l’umiliazione di un popolo o di un nemico;- »

    Chiuse gli occhi, per un momento.

    « -non per la conquista di un territorio, preventivamente adoperata a protezione del nostro. »,
    aggiunse subito dopo con sempre maggiore enfasi, « È un conflitto per ragioni differenti, ben più profonde di qualsiasi altra e più glabra motivazione: un popolo oppresso dalla tirannia contro il diverso e lo straniero. Un’oppressione per chiunque. »

    Perso nei suoi pensieri, stava venendo meno alle esequie di Odayaka.
    Ma si trattava di una celebrazione funebre anche per tutti quegli uomini e per quelle donne che in quei giorni avevano combattuto, ed avevano perso la vita per il bene comune; di padri e madri, figli e figlie, vecchi e bambini che erano periti sotto la mano degli oppressori dell’Enclave.
    Ma, simbolicamente, era una festa di cordoglio anche per tutti quegli animi che si erano piegati al giogo del tiranno e che non avevano avuto la forza di opporsi, pur non credendo in quell’ideale.
    Era anche per loro che avevano combattuto e stavano combattendo.

    « Pugno contro pugno. Spada contro spada. È questa dunque la strada? », si chiese.
    « Sì. », affrettò a rispondersi senza il minimo ripensamento.

    Li riaprì per guardarsi intorno.
    (e per guardare lei)

    Era bellissima, nonostante la linfa vita non scorresse più in lei.
    I capelli erano stati tenuti sciolti, ma nonostante tutto si mantenevano composti incorniciando il bel viso di Odayaka la cui espressione si manteneva distesa e rilassata. Senza rendersene conto, ammirando la bellezza della donna, cominciò a piangere lasciando che calde lacrime rigassero il suo volto.
    Non aveva ancora superato la sua morte, nonostante tutto.

    « Dovrei essere felice per lei, per la sua morte da eroina- », si disse ancora,
    « -ma non posso. Non ci riesco. » Strinse i pugni molto forte, al di sotto del logoro mantello nero indossato per l’occasione. « Provo rabbia per la sua morte e non me ne capacito! »
    Chinò lo sguardo, subito dopo. « Non riesco a lasciarla andare. »

    Rialzò lo sguardo per guardarla, nuovamente.
    Si morse il labbro inferiore, sul lato destro, lasciando che un piccolo rivolo di sangue scendesse sul suo mento, sporcandolo ed inumidendolo.

    « -se solo fossi stato più forte… », aggiunse con rammarico.
    « Se solo non mi fossi distratto ora- »



    « -ora forse… »

    Sarebbe davvero cambiata la situazione? Sarebbe riuscito a salvare comunque Odayaka?
    O il destino ci avrebbe messo del suo, di nuovo, pur di toglierle la vita?
    Purtroppo era una domanda a cui non poteva rispondere.

    Perdonami. ”, disse composto con un filo di voce.

    Avanzò d’un paio di passi, uscendo dall’ombra nella quale si era nascosto.
    Non gli piaceva mettersi in mostra in situazioni del genere; nonostante il suo addestramento, anche quando era nell’Ordine non amava quel genere di celebrazioni. Per quanto gli fosse stata inculcata un’idea della morte del tutto sbagliata, in cuor suo – silenziosamente – era sempre stato addolorato.
    Ora non aveva bisogno di nascondere quei suoi stati d’animo, ma il disagio nel presenziare ad un simile evento era latente, per quanto cercasse di nasconderlo o negarlo a sé stesso.
    Ma doveva farlo per Odayaka.

    Prometto sulla tua morte di farmi carico della tua tristezza. ”, disse ancora in un sospiro,
    Di farmi carico della tristezza del Principe, Namas, e di tutti gli abitanti dell’Ovest vessati ed uccisi in nome di un ideale distorto e di mettere la mia forza e la mia spada al loro servizio.



    Onorerò la morte di ciascuno.
    Questo io vi prometto.


    Aveva camminato, perso nei suoi pensieri.
    Aveva salito le scale e pronunciato quel giuramento dinanzi al feretro, udito forse dal solo Principe.
    Era a lui che doveva le sue condoglianze più sincere; ed all’Ovest per intero per la perdita di una simile guerriera. Si avvicinò quindi al guerriero con il quale aveva condiviso quel dolore.
    Gli sorrise un po’ forzatamente, con gli occhi ancora inumiditi; l’espressione si era fatta subito seria, tenendo il lineamenti ben tesi.

    Principe, io-

    Era titubante.
    Indeciso.
    (addolorato)

     
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    deva


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    Osservò Amon salire gli scalini con la grazia e la disciplina di un guerriero addestrato a non fallire mai: lo Scorpione Nero onorò le delicate spoglie di Odayaka, facendosi poi spazio e raggiungendo la vicinanza di Namas.
    Quest'ultimo lo guardò, appuntando i propri occhi dalle iridi dorate su quelli umidi dell'altro, e sollevò il braccio destro con la calma di chi non teme il tempo e le distanze: poggiò la mano sulla spalla dell'amico, senza che le dita esercitassero più forza del dovuto.
    Era giunto il momento di contraccambiare il gesto ricevuto.


    «Amon, ti prego: chiamami col mio nome.»

    Si sincerò che nessuno dei presenti decidesse in quell'istante di salire la scala e porgergli le condoglianze. Invitò, poi, il guerriero a posizionarsi al suo fianco sinistro, lasciando così la possibilità ad entrambi di controllare e vegliare sul feretro, mostrando il volto a quelle anime in pena che assieme a loro piangevano le morti sollevate in quei giorni di battaglia.

    «Grazie.
    Grazie per aver placato la mia ira.»


    Parlò senza voltarsi, le mani chiuse come un chiostro di carne ed ossa, intrecciate dietro il bacino; la luce di quella giornata offuscata dalle nuvole cadeva pesante sopra ciascuno, tingendo di grigio e piombo qualsiasi colore esulasse dalle tinte più scure. Ma i suoi capelli, neri più della tenebra negli abissi, negavano qualsiasi possibilità di sottomettersi al capriccio del vento, incorniciando un viso la cui bellezza avrebbe offeso il rispettoso cordoglio che vestiva la scena davanti ai due combattenti.

    «Ti chiedo di restare al mio fianco, se possibile.»

     
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    Immersi nei cuscini di velluto e nelle stoffe pregiati che abbiamo ammucchiato al centro, riapriamo lentamente gli occhi. Un soffitto poco familiare: la parte centrale della nostra tenda. Nonostante i nostri sforzi ancora una volta non siamo riusciti a dormire. Da quanto tempo non possiamo concederci del sonno ristoratore? La sgradevole sensazione della stanchezza, con le palpebre che si fanno più pesanti, ci accompagna e si fa più gravosa ad ogni istante che passa. Abbiamo forse paura di sprofondare in un torpore lungo mille anni? Questo meraviglioso mondo scivola dalle nostre mani; non possiamo permetterci il lusso di perderne neanche un frammento. Doveri, nient’altro che doveri. Perché tutto corre così velocemente?

    Con un sospiro ci flettiamo e ci alziamo, strusciando le pantofole sui tappeti persiani che nascondo l’arida terra dell’Ovest. Lo stesso velo che ricopre il nostro cuore da tempi immemori. Come fa lady Kalia a soffrire per ogni singola persona che svanisce in questo mondo? Ha un sapore amaro, diverso da ogni altra cosa, ma fa parte del ciclo del karma. E’ la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro. Sarebbe come piangere per il sole o per il vento. Durante il viaggio ci abbiamo riflettuto a lungo senza trovare una risposta che non la possa rendere triste.

    Oltre i lembi della tenda vi è la devastazione. Campagne in fiamme, villaggi rasi al suolo e pianti ininterrotti dall’alba al tramonto. Profughi marciano in file serrate, vestiti di stracci e con logore bende macchiate di sangue. Si incamminano abbandonando tutto e lasciando alle loro spalle la vita per cercare rifugio dalle Vesti Blu. Per sfuggire all’artiglio della morte ed urlare al mondo che loro saranno ancora lì. Ancora lì per molto. Con il vento carico di cenere che ci scompiglia i capelli, le labbra si incurvano in un sorriso. « Meraviglioso. » Una forza dirompente in grado di piegare la Storia stessa. Uno spettacolo ineguagliabile. « Questo mondo è davvero meraviglioso. » In lontananza pennacchi neri di fumo si innalzano al cielo macchiando le nuvole. Presto avremmo incontrato il prescelto di Rivenore e ci saremmo avvicinati alla seconda Chiave. Tuoni in lontananza annunciano la pioggia. « Chissà se abbiamo un abito nero… »

    « Che è il sonno, se non l'immagine della gelida morte. »
    {Publio Ovidio Nasone}


    Sfiliamo tra gli astanti come un’ombra fasciati da un kimono nero su cui campeggia ripetuto un kanji cremisi: Kami (神). Cremisi come la sciarpa che abbiamo avvolto tre volte intorno al collo. Cremisi come il wagasa che ci ha protetto dalla pioggia leggera che sta scendendo come lacrime su Sequerus. Lo ripieghiamo e le gocce scivolano giù ad accompagnare i nostri passi come rintocchi di morte.

    Lei ha scelto la via semplice e la più difficile al contempo. La morte è leggera come una piuma, il dovere pesante come una montagna, recita un detto. Noi non siamo pienamente d’accordo. I doveri rimangono, trascinati con la propria anima nel ciclo del karma: un eroe ricalcherà le proprie orme ad ogni giro della ruota. Sempre e comunque. Ma la morte è comunque parte della Storia e del tutto naturale. Una sorte mille volte peggiore capita a chi vengono strappati dal ciclo e sarebbe capitata a noi, imprigionati nell’Atramènt, se il destino non avesse voluto farci incontrare Julian Lambert. Per questo possiamo comprendere più di ogni presente la sofferenza della prigionia di Namas e la sua voglia di riscatto. E’ solo chi viene tagliato dal mondo che ne può apprezzare la vera bellezza. E' questo che ha visto in lui lord Aeon?

    Saliamo i gradini, uno ad uno, nel silenzio innaturale che accompagna la veglia. Volti noti sono giunti per il funerale. Alcuni li riconosco come figure di spicco dell’Est, altri – tra cui Kathep – alte cariche dei LAM. E’ così non solo Kalia si è mossa per concludere questa guerra. Chissà cosa pensa Drusilia. Forse crede in qualche suo sciocco ideale di giustizia. Lo sguardo ci cade sul bracciale che indossiamo al polso destro. Se solo il rito avesse funzionato ora avremmo compreso tutto di lei…

    Con la rampa di scale alle nostre spalle pochi passi ci separano dal prescelto di Rivenore. Un Nagavandari come dicevano le voci, dagli occhi serpentini e pelle di alabastro. Accanto a lui un giovane ragazzo dai capelli lunghi e dalla bronzea, forse il suo generale. O un amante. Nessun inchino, ma un semplice cenno del capo per insinuarci nel suo dolore e poter parlare. «Principe Naga.» esordiamo. Ci sforziamo di non sbadigliare. In fondo rappresentiamo l’Est e la nostra Gilda in queste terre lontane. « Siamo qui per informarvi che sotto la nostra guida sono giunte in queste terre le Vesti Blu di Palanthas esperte nel Ramo di Obeah, la via della guarigione. In questo momento si stanno occupando dei feriti più gravi provenienti dai villaggi nei dintorni. » Nessun accenno alla morte dello Specchio né condoglianze. Quelle sono cose che neanche ci sfiorano la mente. « Per quanto riguarda noi, la Corona di Sophia, siamo giunti qui sotto ordine di lady Kalia per espugnare l’Enclave con il minimo numero di morti e nel minor tempo possibile. » Ma niente doni. Per quello non abbiamo avuto tempo. « Ci troverete qui quando vorrete pianificare il tutto. » E anche se non vorrete. Abbiamo intenzione di procedere nel miglior modo possibile.
     
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    deva


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    Che quell'uomo fosse diverso dagli altri appariva chiaro persino dai movimenti: vedere una figura, ammantata in un kimono nero, sfilare come il più imparziale spettatore di questa violenta realtà era uno spettacolo che in pochi riuscivano a concretizzare.
    E lui, al cospetto di Namas, pareva non voler nascondere affatto quel talento.


    «L'intero Ovest è grato a voi ed alla Dama dell'Est, Lady Kalia, per l'aiuto ed il supporto.
    Non potremo mai sdebitarci.»


    Se il dolore fosse stato moneta, in quel caso, il Presidio avrebbe potuto pagare qualsiasi debito d'onore contratto per far fronte alla guerra.
    L'Atharvaveda del nagavandari, rimasto sopito nella quiescenza del lutto, reagì con veemenza al nuovo arrivato: non fu l'impeto a destare meraviglia nell'impassibile volto del Principe, bensì una trascendentale curiosità su chi

    -veramente-
    fosse giunto ad informarlo delle prossime mosse.
    Mosse delle quali, oltretutto, avrebbe preferito parlare in separata sede.
    Lontano dal cadavere il cui peso, erroneamente, egli continuava ad appoggiare sulle proprie spalle.


    «Credo di non aver colto, tuttavia, il vostro nome.»

    Evitò di scrutarlo con troppo interesse.
    Come evitò di riferirsi all'uomo utilizzando il plurale: raramente, fatta eccezione per l'eccentricità con cui esso operava, l'Atharvaveda aveva fallito nel comunicare a Namas la vera natura delle cose.
    Ed in quell'uomo, oltre l'abito scuro e l'effige del dio cucita reiteratamente sul tessuto, più e più flussi d'energia facevano da risacca, nella più totale naturalezza.
    Quasi quella molteplicità fosse l'unico modo col quale l'uomo potesse esistere, al loro cospetto.

     
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    Un Presidio dove le lunghe mani dell’Est e dell’Errante sono giunte per spingere la guerra verso la sua conclusione. Non potrà mai sdebitarsi, dice, e crediamo abbia ragione. Un futuro Alfiere in debito verso altri è un Alfiere debole, seppur appoggiato da Aeon. Cosa lo spinge ad accettare così facilmente l’aiuto altrui pur sapendo quanto pesa? Un principe, ci era stato detto, ma ai nostri occhi appare un leader disperato. Non che la cosa ci danneggi, visto ciò che desideriamo da lui, ma allora perché lord Aeon ha voluto sostenerlo? Che piani ha per Endlos? Cosa trama nel suo castello a Rivenore? Ormai il concetto di città o Presidio è qualcosa di insignificante; ciò che ci interessa è oltre.

    Con un gesto fluido lasciamo che il wagasa scivoli nella manica del kimono scomparendo come non fosse mai esistito. « Non vi è sfuggito. » pronunciamo solennemente. Forse troppo, perché qualcuno dei presenti si volta. Certe volte ci dimentichiamo come l’autorità dei Saggi sia sgradevole in situazioni dove il buon gusto pretende di non dare troppo nell’occhio. Ma è davvero una richiesta che si può fare a noi? Ad un Protodeus? « Un nome è qualcosa per identificare una persona. Ma noi non siamo uno. » Un timido tentativo di far valere la propria autorità, il suo? Non usare il plurale non è stato un caso, ne siamo certi. Incurviamo le labbra in un sorriso. Ma dovrà fare molto di più di questo per farci cambiare idea. « Se la cosa vi turba potete chiamarci Julian Lambert. E’ un nome come un altro. » Il nome di chi ci ha salvato e di chi ha veramente conosciuto Endlos. Il nome di uno sciocco. E a proposito di nomi…

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    C’è una persona lì accanto che non conosciamo. Gli altri volti sono per lo più noti, ma quello ci è sconosciuto. E si trova accanto a lui, cosa da non sottovalutare. I nostri occhi si spostano sul volto bronzeo del giovane scandagliandone gli occhi verdi. « Lui, invece? » domandiamo. « E’ il vostro generale? »
     
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    deva


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    Avendo passato la maggior parte della sua vita sul Picco Fantasma, Namas poco aveva osservato di persona oltre le terre dell'Ovest; certo, aveva appreso tutto ciò di essenziale tramite gli Antichi Scritti e, senza minare i suoi allenamenti, era riuscito a rimanere al corrente dei fatti principali di tutta Endlos.
    Eppure, nonostante quel velo di gelida ignoranza su chi fosse precisamente la Dama dell'Est, il Principe non potè fare a meno di notare dissonanza fra colui che si trovava in piedi dinnanzi al nagavandari e colei che i racconti dipingevano come la donna più generosa e caritatevole sull'intero semi-piano.


    «Generale?
    In alcuni eserciti, si, sarebbe questo il suo appellativo.»


    Non volle girarsi di proposito in direzione di Amon: c'era qualcosa nell'individuo che rispondeva al nome di Julian Lambert che lo turbava profondamente. Una sensazione lentamente alimentata, come combustibile somministrato a gocce, dalla vastità percepità tramite l'Atharvaveda. Percepiva qualcosa che, se avesse distolto anche solo un attimo lo sguardo, avrebbe potuto dilagare e strozzare le sue certezze.

    «Per noi è solamente Amon, un abitante di queste terre.»

    Nel rispondergli, dovette far ricorso alla pluralità del popolo di Sequerus, conscio che quella molteplice presenza di intenti e collettivi avrebbe sicuramente rallentato la chirurgica precisione con cui l'uomo dal kimono nero stava sapientemente sezionando la personalità del Principe.
    La Trascendenza e la Consapevolezza, conquistate da Namas, raramente potevano dirsi affilate armi oratorie: egli non era mai il primo ad attaccare, rispettando una filosofia ben più profonda del mero combattimento, ma conosceva perfettamente l'armonia con la quale un salice cede al peso della neve per sopravvivere.
    Questo era un territorio nel quale pochi individui su tutta Endlos potevano dirsi migliori di lui: la saggezza della sopravvivenza.


    «Potete rimanere qui al mio fianco, se per voi è d'interesse

    Nonostante l'istinto gli dicesse di difendere il proprio orgoglio, il guerriero rinsaldò prepotentemente la presa sulla realtà dei fatti: era il momento ed il luogo per onorare i defunti, per accompagnarli verso la loro prossima esistenza, nella consapevolezza di rivederli un giorno compiere le gesta per le quali hanno già sacrificato sangue e sudore.
    Lo invitò alzando lentamente il braccio, sciogliendolo dalla chiusura che lo manteneva vicino alla schiena, aprendolo in direzione della sua sua destra ad indicare lo spazio vuoto e lasciando che il capo si chinasse appena in segno di rispetto...o di accortezza nel mostrarsi né sottomesso né arrogante.

    Perché nulla può essere più pericoloso di un predatore ritenuto innocuo.

     
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    Accenni a: Namas, Tristan

    Si era radunata davvero tanta gente per dare l'ultimo saluto a colei che aveva sostenuto la ribellione, assieme a Namas.
    Personalmente Sarah non sentiva poi così dolore, rispetto a quando si perdeva qualcuno a cui si teneva veramente. In fondo l'aveva conosciuta da pochissimo e non poteva certo aver sviluppato affetto o attaccamento nei suoi confronti.
    Era stato un po' come quando aveva visto morire diversi suoi commilitoni per mano del generale di Endolas: il dolore c'era stato, così come la paura che potesse capitare a lei, ma ciò doveva essere ben poca cosa rispetto a perdere un amico o un familiare. Certo, lei aveva avuto la fortuna di non aver mai avuto a che fare con una simile esperienza, quindi non poteva sapere quanto grande fosse la sofferenza in quei casi, ma non era difficile capire che fosse un'esperienza ben più dura.
    Ciò non voleva dire che il fatto non l'avesse toccato, infatti era lì, tuttavia non riusciva a fare a meno di riflettere sulla situazione. Erano stati in molti a morire in quella guerra, magari mostrando altrettanto coraggio e soffrendo maggiormente. Eppure pochi avevano fatto veramente caso al loro sacrificio, se non, appunto, coloro che li conoscevano. Molti aveva concesso loro solo uno sguardo distratto, facendo intuire che, a differenza di quella donna, sarebbero stati dimenticati.

    In fondo succedeva sempre così, ma poche volte aveva riflettuto sul perché. Dubitava che un capo si adoperasse maggiormente rispetto ai propri subordinati, anche se lei non ne era stata sicuramente da meno, dato che aveva condiviso i loro rischi in quella missione. Eppure perché tutti reagivano diversamente davanti alla sua perdita?
    Perché era conosciuta da più persone? Perché era un simbolo di quella ribellione? Perché coloro che tenevano veramente a lei avevano i mezzi per poter onorare il suo sacrificio?
    Forse un po' tutte queste cose.
    Terminata la piccola riflessione, avanzò, per raggiungerla e portarle l'ultimo saluto a mente sgombra. Arrivò a qualche metro dal piedistallo dover era stato posto il corpo e si fermò per qualche minuto con lo sguardo basso, in segno di rispetto. Dopo di che si allontanò silenziosamente. C'era già abbastanza gente e non era il caso di intralciare troppo con la sua presenza; rimanerle maggiormente accanto spettava a coloro che le volevano veramente bene.

    Una volta abbastanza distante la sua attenzione venne catturata da Namas e da Tristan. A uno sentiva di dover raccontare ciò che aveva visto, all'altro di dover chiedere una spiegazione a riguardo.
    Tuttavia sembravano piuttosto impegnati e non le parve il caso di intervenire in quel momento. Magari si sarebbe presentata l'occasione giusta per parlarci oppure avrebbe rimandato la cosa, limitandosi ad assistere all'evento.
     
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    Lasciò che la mano del Principe si posasse sulla sua spalla.
    Si guardarono negli occhi, per attimi che sembravano un’eternità: si sentiva uno sciocco, un derelitto ed un incapace che non era stato in grado di proteggere alcunché; sentiva, in qualche modo, di essere venuto meno ai suoi doveri di guerriero, messo in fuga da qualcosa di più grande e temibile.
    Eppure il Principe era li, pronto a consolarlo nonostante provasse una pena ben maggiore della sua; un dolore serbato dentro, in profondità, mostrato ai suoi occhi una volta soltanto.
    Nel ricordo di quel momento, portò la sinistra a massaggiare la mano destra ferita nel tentativo di far rinsavire il giovane guerriero, scolpendo nel suo cuore il dolore di quel momento.
    (offrendogli contemporaneamente un valido sostegno per la vendetta)

    Così sia, Namas. ”, disse in risposta alla richiesta del Principe.
    Aveva chinato leggermente il capo, in segno di ringraziamento per un simile privilegio, sorridendo per quanto gli era possibile in una circostanza del genere – forse anche un po’ forzatamente.
    « Vuole che io rimanga? », si chiese accompagnando le sue intenzioni.

    Era mio dovere farlo. E poi- ”, aggiunse subito dopo in risposta ai suoi ringraziamenti.
    -anche tu hai aiutato me. Stavo perdendo anch’io il controllo. ”, si affrettò a rispondere rendendo palese lo stato d’animo di quel momento. Se non ci fosse stato lui, forse l’odio che aveva represso – e continuava a reprimere – dentro di sé sarebbe esploso.
    Supereremo anche questa.



    « -anche se ho paura di cosa io possa fare, al momento. »
    Si ricordò di essersi lasciato andare in quella situazione, lasciando che lo Scorpione prendesse il sopravvento per un solo, unico momento; non era stato in grado di tenerlo a bada, lasciando che la rabbia e l’ira prendessero il sopravvento nell’unico momento sbagliato. Ma nonostante ora fosse riuscito a riprendere il controllo di sé stesso, qualcosa gli diceva che avrebbe perso nuovamente le staffe, inebriandosi nuovamente del sangue dei propri nemici.
    Scosse il capo, però, al solo pensiero.

    Sarà per me un onore, Namas. ”, gli rispose infine.
    Gli sarebbe rimasto vicino.

    Tra tutte le persone li presenti, una su tutte catturò la sua attenzione.
    I suoi abiti erano più neri della notte, ma Amon non ne aveva mai visto uno simile; o meglio, una tipologia d’abiti di quel tipo li aveva visti, ma erano leggermente differenti ed erano indossati dalle donne, pertanto la cosa lo mandò leggermente in confusione. Nonostante il nero fosse il colore principale di quell’abbigliamento, spiccavi sopra tutti il rosso della sciarpa e di taluni segni (o simboli) li presenti.
    Non sapeva chi potesse essere, ma lo vide avvicinarsi direttamente a Namas e cominciare a parlare con lui senza scomporsi più di tanto: un semplice cenno del capo, appena accennato.
    Non poteva essere pericolo, ma lo guardò comunque con sospetto.

    « Che tipo strano. », pensò Amon nel guardarlo.
    Non sembrava essere tipo da convenevoli, né sembrava essere un tipo ligio all’etichetta; anzi, per un momento gli sembrò quasi che fosse in procinto di sbadigliare.
    Scosse il capo. « -non può essere. »



    « -ma parla al plurale? », si chiese ancora guardando dietro di lui.
    Quello era un fatto strano, molto di più dell’eventualità che potesse sbadigliare proprio in faccia al Principe, in un momento tanto delicato da non accettare una simile mancanza di rispetto. Possibile che si rivolgesse a sé stesso, come vi fossero una molteplicità di persone?
    Amon, dal canto suo, inarcò il sopracciglio esterrefatto.



    Per quanto fosse strano il suo modo di fare, recava con sé notizie importanti.
    A quanto pareva, aveva portato con sé i rinforzi: altre Vesti Blu esperte nell’arte della guarigione; il loro arrivo era stato provvidenziale nella battaglia precedente ed anche in quel momento si potevano rivelare utili per aiutare i guerrieri feriti a riprendersi dalle fatiche del fronte.
    Ma la cosa che lo sorprese ancora di più, era che fosse sotto il comando diretto di Lady Kalia, la Dama Azzurra che gli aveva fornito soccorso subito dopo il suo arrivo su Endlos.
    Lo Scorpione sorrise nell’apprendere quella notizia: Kalia, ancora una volta, si era dimostrata un’ottima alleata. L’intento del figuro, comunque, era quello di fornire il supporto necessario all’espugnazione dell’Enclave nel minor tempo possibile, sacrificando il minor numero di uomini.
    Namas, in tutta risposta, ringraziò la Dama Azzurra a nome dell’intero Ovest per l’aiuto e per il supporto forniti nel corso del conflitto che fino a quel momento aveva colpito quelle terre; sicuramente, includeva i ringraziamenti anche per l’ulteriore aiuto che sarebbe stato loro fornito per la battaglia finale.
    Ma per quanto si trattasse di informazioni importanti – e per certi versi vitali – non era forse meglio rimandare quel genere di conversazione ad un momento successivo? Si stava parlando di guerra, sacrificio e strategie durante le onoranze funebri di Odayaka e dei caduti.
    Non era né il luogo, né il momento più adatto per farlo.



    Rimase in silenzio, ancora una volta, senza proferire parola.
    Se persino Namas aveva acconsentito a parlare, lui non aveva il diritto né l’onere per far tacere quell’altro: continuò ad ascoltare, silenzioso, il loro scambio di battute. Il Principe, infatti, chiese all’uomo di qualificarsi, cercando di farlo nella maniera più diplomatica forse conosciuta: la distrazione.
    L’altro, fu lesto a rispondergli in maniera così solenne da non impedire che terzi potessero udirlo, come se volesse in qualche modo attirare l’attenzione su di sé.
    Volente o nolente.
    La richiesta, per quanto giusta a parere di Amon, sembrava non essere stata raccolta con il medesimo spirito dallo sconosciuto che sembrava quasi reticente nel qualificarsi; definì i nomi una mera convenzione, per l’identificazione di una persona.
    Tese però a sottolineare che lui era molti.

    « Com’è possibile? », si chiese stupito per quell’affermazione.
    « Possibile che l’ego di costui sia così vasto, da fargli credere che sia davvero una pluralità di persone, di anime insieme? », pensò inarcando nuovamente il sopracciglio in segno di stupore.
    « Assurdo. », si disse infine riacquistando il proprio contegno.

    Era tentato dall’usare l’Occhio di Ra su quell’individuo, ma temeva le reazioni altrui.
    Si trattava di una questione non solo fisico-esteriore, ma anche di intenzioni: avrebbe potuto scatenare degli evidenti fraintendimenti e non gli era sembrato il caso. Dopotutto si trattava di esequie e provocare apertamente uno scontro – fisico o verbale che fosse – in quella situazione era indelicato.
    Alla fine, comunque, si decise a fornire le sue generalità dicendo che lo si sarebbe potuto chiamare ‘Julian Lambert’, sottolineando parimenti il fatto che si trattava di un nome come un altro.
    « È o non è il suo nome? », si chiese Amon sempre più stupito dalle risposte e dalle reazioni che quella persona era stato in grado di mettere insieme dinanzi a loro.
    Subito dopo, domandò a Namas di Amon,
    definendolo come un suo Generale.

    « -io un generale? », si chiese non avendo ben chiaro il suo ruolo.
    Non ancora, almeno; ma sicuramente non un Generale.

    Prima che lo Scorpione potesse rispondergli, fu Namas a farlo al suo posto.
    Il Principe specifico che in alcuni eserciti quello sarebbe stato il ruolo di Amon e lo Scorpione fu ben lieto di ascoltarlo: in quel conflitto si era fatto un nome, dopotutto.
    Lo qualificò infine come Amon, un ‘abitante delle terre dell’Ovest’ e tanto gli bastava.

    Piacere di fare la vostra conoscenza, Julian. ”, si arrischiò a rispondere.
    Gli propinò un leggero inchino, pur continuando a mantenere un contatto visivo con quell’individuo in modo da non perderne nemmeno un movimento. “ Vogliate portare i miei omaggi a Lady Kalia, quando la rivedrete, con l’augurio che possa tornare a visitarla in tempi migliori.

    Si rialzò nuovamente, riacquistando la posizione eretta.

    Lei mi conosce, mi ha già aiutato una volta. ”, continuò subito dopo,
    Basterà che le ricordiate il nome. Nulla di più.

    Gli porse un sorriso appena accennato,
    lasciando nuovamente la parola a Namas.

    (seguitando, comunque,
    a tenerlo d’occhio
    )

     
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    Tutti amici, tutti fratelli. Forse è così per tutti gli eserciti di ribelli, uniti più da un ideale che da una struttura gerarchica rigida. Ma senza gradi non vai da nessuna parte quando le cose iniziano a farsi serie. « Amon. » ripetiamo lentamente soppesandone le lettere. E lui o si è innamorato di noi o, molto più probabilmente, non si fida un gran che. Ci squadra e non ci toglie gli occhi di dosso neppure nell’attimo in cui compie un leggero inchino. Formale per essere uno che non crede ai titoli. Che si preoccupi pure dello strano animale in gabbia davanti a lui, non sarebbe la prima volta per noi. « Faremo presente a lady Kalia e le diremo che verrete presto a farle visita. » gli rispondiamo « Ormai siamo qui ed è come se la guerra fosse già finita. Vincere e far si che rimaniate tutti vivi non sono cose che rientrano nelle “non possibilità”. » Scettici, come sempre. Tutti a pensare che serva per forza l’esercito più grosso per poter vincere. La verità è che molte battaglie si decidono all’inizio. « Fossi in voi inizierei a pensare a quale tipo di thè vogliate bere da lei. »

    «Potete rimanere qui al mio fianco, se per voi è d'interesse.»

    Annuiamo convinti. Finalmente una bella notizia. « Ma certamente. » replichiamo entusiasti e sfoderiamo un sorriso compiaciuto. Da lì in alto avremmo potuto assistere ad ogni scena e saremmo stati accanto al Principe in modo da potergli fare tutte le domande opportune sull’esercito. La destra scivola nella manica del kimono ed emerge tenendo l’estremità di uno sgabello che lentamente tiriamo fuori. Un oggetto dal design semplice: due barre di acciaio intrecciate tra loro e del tessuto resistente per poggiarsi. Con due passi ci spostiamo verso il fianco libero di Namas e poggiamo lo sgabello là a terra. Un istante dopo siamo già seduti comodamente ed abbiamo estratto anche una tazza ricolma di caffè da cui stiamo bevendo avidamente. Tanto vale stare a proprio agio visto che andrà per le lunghe. La tazza, poi, ci abbiamo messo parecchio a trovarla. Un piccolo capolavoro smaltato di verde con un serpente bianco in miniatura dipinto sulla superficie, dal cui occhio destro, semichiuso, parte un cuoricino. L’aroma di caffè si mischia a quello di incenso dando vita ad un mix particolare.

    Al terzo sorso stacchiamo le labbra e la puntiamo in direzione della bara per indicarla. Forse è sete di conoscenza o più probabilmente un modo di combattere la noia in attesa la cerimonia finisca. « Lei chi era? » domandiamo. I nostri occhi incontrano quelli di Namas dall’alto verso il basso. Non ci interessano molto i protocolli formali. « Le volevate bene? »
     
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    deva


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    Gli concesse la libertà dal proprio sguardo.
    Namas tornò a cullare con le iridi il feretro, perdendosi nella profondità con cui il colore dei capelli di Odayaka richiamava quello dei suoi; il cielo era un mormorìo di nuvole connesse l'una con l'altra, insistenti nel bloccare l'avanzata di qualsiasi raggio di luce.
    C'era un'atmosfera elettrica, tipica dei minuti che precedono una grande tempesta.
    Venne rigettato nella realtà, strappato alle sue elucubrazioni, dalla voce di Julian.


    «Odayaka Mira, colei che ha reso possibile unire tutte queste persone davanti ai vostri occhi.»

    Conosceva da poco quell'uomo ma da subito aveva colto una spiccata indole anacronistica nel rispettare i tempi e le dignità di determinate situazioni; non gliene faceva certo una colpa, essendo egli stesso un uomo abituato ad osservare ed esprimersi con neutralità, scevro dei riflessi distorti gettati molto spesso dai sentimenti o dalle convenzioni sociali.

    «Provavo per lei un profondo rispetto.
    Provavo per lei la stima che vorrei il popolo di Sequerus riponesse in sé stesso.»


    Ruotò il capo verso la sua destra, agganciando lo sguardo sull'altro e vestendolo della differenza d'altezze e prospettive che, per scelta del suo interlocutore, era venuta a crearsi.
    Nell'espressione granitica del volto, Namas non celò affatto la consapevolezza delle loro posizioni: soffriva, questo era vero, ma la sua filosofia, i Mantra dei nagavandari, potevano solamente curare e lenire le ferite dell'animo.
    La Morte era un traguardo il più simile possibile ad una partenza.
    Ciò che il Principe non tollerava era la brutalità e l'inadeguatezza con cui la vita attuale dello Specchio Tranquillo, nonché degli altri altri caduti in battaglia, era stata recisa.
    Divelta.


    «Sareste in grado di comprendere un sentimento d'affetto, qualora vi rispondessi "si, le volevo bene"?»

    Il tono delle sue parole non era un'accusa.
    Era una curiosità travestita da ferocia verbale.

     
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    Più lo guardava, più lo sentiva parlare e più non riusciva a comprenderlo.
    Amon cercava di comprendere quale fosse l’indole del suo interlocutore, del perché dei suoi atteggiamenti e quanto fosse in grado di soppesare le parole in situazioni contingenti come quella. La sua analisi fino a quel momento però non lo aveva portato da nessuna parte.
    La cosa che però lo aveva colpito più di tutte, era il suo ego smisurato; non avendo ancora nozioni particolari per riuscire a comprendere il perché di quel suo atteggiamento, arrivò alla conclusione che dovesse trattarsi di un tipo pieno di sé e delle sue capacità.
    « Che sfrontato! », pensò udendo le sue parole.

    Julian non era in grado di soppesare le parole, questo era certo.
    E affermare in una circostanza come quella, che la guerra poteva considerarsi conclusa con il suo arrivo non era di certo una scelta saggia di parole da concatenare insieme. Non davanti ad Odayaka.
    Non davanti all’intera popolazione dell’Ovest che piangeva i propri caduti.
    Il volto divenne paonazzo per un momento, mentre i pugni vennero stretti con così tanta forza da provocare una minuscola fuoriuscita di sangue. Fortunatamente, però, quel gesto di stizza non sarebbe stato visibile agli altri, perché nascosto al di sotto del mantello.
    Forse, un leggero tremore del corpo l’avrebbe tradito.

    « Per cosa sono morti, allora, se è così semplice? », si chiese ripensando a quelle parole.
    « Perché sono morti tutti questi uomini, queste donne- », si domandò guardandolo mentre accettava l’invito di Namas ad attendere al suo fianco e prendere parte alle esequie. « -perché è dovuta morire Odayaka, se costui aveva il potere di chiudere il conflitto senza perdite? »

    Una serie interminabile di domande affollavano la sua mente.
    Cercò di calmarsi, chiudendo gli occhi per un istante e concentrando tutta la calma ed il controllo di cui era in possesso e che si era guadagnato in anni ed anni di duro addestramento. Fosse stato nelle condizioni di quel giorno gli sarebbe saltato addosso la lama nella mancina.
    E, di certo, non gli sarebbe piaciuto quel trattamento.
    Scosse la testa, poi, cercando di non pensare a Julian ed ai suoi modi bislacchi di relazionarsi con il prossimo; ma per quanto ci provasse era molto più difficile di quanto potesse sembrare il solo pensarlo visto che i suoi modi esulavano dall’ordinario.
    (dal suo ordinario, beninteso)
    Lo guardò tirare fuori da una manica uno sgabello e, ancora, una tazza ed contenitore dal quale fuoriuscì un liquido marrone mai visto prima di quel momento; persino l’odore, arrivatogli misto a quello degli incensi lì presenti, gli era sconosciuto.

    « -ma cosa diamine… », pensò nel vedere quell’atteggiamento.



    « Basta! », si decise a distogliere lo sguardo.

    Ma quando sembrava ormai pronto a lasciarlo perdere, quello interpellò Namas.
    Gli chiese di parlargli di Odayaka: chi fosse e cosa provasse nei suoi confronti, con una naturalezza disarmante; come se fosse normale porgere simili domande in un simile momento.
    A differenza sua, però, Namas gli rispose pacato rendendolo edotto delle qualità principali dello Specchio Tranquillo, descrivendo con poche e semplici parole la sua personalità.
    E arrivò persino a domandargli se l’affermare di volerle bene, potesse racchiudere appieno ciò che provava nei suoi confronti.

    Amon, dal canto suo, annuì.

    Non aveva avuto modo di conoscerla per molto tempo, come aveva fatto Namas.
    Eppure, in quel poco tempo in cui le era stato vicino aveva potuto scorgere in lei una forza d’animo travolgente; forse persino più potente della sua forza (sia fisica, che psichica).
    Nutriva un amore smisurato, pari soltanto a quello della sua bellezza fresca e giovane, accompagnata di tanto in tanto ad un comportamento austero; aveva inoltre avuto modo di constatare quanto grande potesse essere l’amore che serbava nel suo cuore, dell’amore materno che era stata in grado di sfoderare nei confronti del piccolo Elia convincendolo a seguirla.
    Ma per quanto Namas era stato preciso nel descriverla, parimenti avrebbe potuto utilizzare una molteplicità di parole, di ricordi e di situazioni per parlare di lei senza mai annoiare; senza mai dire qualcosa di troppo che potesse sminuirne la figura agli occhi degli altri.
    Odayaka era tutto questo e molto di più.

     
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    The guru in the darkness...

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    Aveva ascoltato tutto, ed in un certo senso si era compiaciuto delle parole di Julian.
    Non che ritenesse particolarmente furbo l'atteggiamento del Saggio, nè apprezzava il modo in cui era lì a rappresentare la sua amata Dama Azzurra... tuttavia si sentì rincuorato all'idea che fosse probabilmente l'unico Ambasciatore competente in tutto il Presidio Orientale. Questo lo rendeva essenziale, prezioso, migliore degli altri.
    L'Est aveva bisogno di lui, e questo lo rendeva intoccabile.

    -Temo che un funerale non sia l'occasione migliore per discorrere amabilmente del futuro, Corona di Sophia- la sua voce maschile giunse fievole come un sussurro, sensuale ed al tempo stesso delicata, sfuggita quasi per caso da labbra morbide ed eleganti -Non appartiene ai vivi, ma ai morti, pertanto i pensieri e le parole dovrebbero essere pronunciate col solo fine di onorare le gesta passate di chi ha spianato la strada su cui adesso ci è permesso camminare.

    Non un rimprovero ma nemmeno una gratificazione: aldilà del sorriso di cortesia dell'Ambasciatore vi era un avvertimento a non uscire dai binari. Perchè Quarion Galanodel non era un guerriero, ma sapeva perfettamente come risolvere i problemi del suo Presidio. Non a caso, non aveva mai fallito una missione.

    -Perdonate il mio compagno ed i suoi modi: il dolore in alcune circostanze è difficile da gestire, e l'impaccio potrebbe essere scambiato per scortesia.

    Continuò, a difesa del Saggio.
    Perchè, nel bene e nel male, era suo compito evitare incomprensioni, prevenire tensioni fra Presidi che sarebbero potuti presto diventare alleati.

    -Non ho mai conosciuto questa fanciulla, ma ho provato sulla mia pelle alcune delle assurdità di questo governo folle e violento che insieme stiamo combattendo. Lei è caduta cercando di proteggere le vittime di questa tragedia insensata e, nonostante non mi abbia mai visto... sento che è morta anche per me. Probabilmente tutti i presenti pensano lo stesso. Un atto di amore incondizionato, aldilà delle razze, delle idee o dei Presidi di appartenenza.

    Lo sguardo aureo si spostò sul Principe ed il compagno d'arme, già intravisto nella residenza della Seconda in alcune sue visite di cortesia. Infondo era suo dovere di fidanzato conoscere la scorta della propria madamigella.

    -Nonostante il cordoglio, mi piace pensare che Odayaka non sia morta: ciò che le è accaduto, le scelte che l'hanno portata a questa fine... l'hanno resa immortale.

    Una breve pausa seguì quell'affermazione, e l'Ambasciatore si concesse alcuni attimi a contemplare il volto di quel fiore strappato alla terra prima ancora di appassire. Ironia della sorte, si trovò a pensare che i fiori più belli fossero quelli destinati ad una fine prematura.

    -O almeno così sarà, se raggiungiamo -e manteniamo integro- ciò per cui lei ha sempre lottato, se non rendiamo vano il suo sacrificio. E' anche per questo che l'Est sarà al vostro fianco fino alla fine di questo incubo.

     
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    Parole simili ad un marchio a fuoco quelle di Namas, parole di chi le voleva bene. Seppur lì, rigido ed inflessibile come la colonna portante che deve essere per il popolo, non possiamo che cogliere un sentimento far capolino nel discorso. Forse addirittura sopito o mai accettato del tutto, ma abbastanza da rendere in quel momento lui un uomo e noi il vero mostro. Chi avrebbero dovuto rinchiudere tra noi due nell’Enclave? Se fossero i presenti a giudicare, ed in particolare Amon, il risultato sarebbe scontato. Non siamo in grado di cogliere le emozioni come Drusilia, ma non siamo neanche così ciechi da non notare i pugni stretti del giovane e le occhiate di disprezzo che ci manda. Ma è giusto così. Solo chi può essere in sintonia con il popolo di cui fa parte può governarlo. Noi abbiamo perso quel diritto e privilegio tanto tempo fa. Ed abbiamo scelto qualcosa di ben più ambito…

    «Sareste in grado di comprendere un sentimento d'affetto, qualora vi rispondessi "si, le volevo bene"?» ci domanda. Noi scrutiamo nella superficie del caffè e nei suoi cerchi che produce all’interno della tazza appena la muoviamo. Lì, riflessi, vediamo solo un paio di occhi stanchi: i nostri. « E voi, sapreste riconoscerne uno davvero sentito? » Non cerchiamo più il suo sguardo. Ormai siamo persi nei nostri pensieri. Migliaia di immagini ci scorrono davanti agli occhi una dopo l’altra, come un film che possiamo vedere solo noi. « Abbiamo amato. Abbiamo odiato. Abbiamo visto uccidere per odio ed amore. E lo abbiamo fatto anche noi. Tante, troppe volte. Migliaia di volte. » Così tanto che le nostre mani non si laveranno mai più. Ma questo non ha più importanza ora che abbiamo infranto il ciclo del Karma. «Sapete, Principe Namas. Noi vi amiamo. » Possiamo davvero provare questo sentimento? Quel calore che ci riempie il petto. Abbiamo provato rabbia per il fallimento a Sud e sorpresa durante la nostra conversazione con Drusilia. Piacere con Khatep e gioia quando abbiamo trovato il Secondo Mondo. Ma amore? « Amiamo Amon. E amiamo Odayaka Mira. Amiamo tutti voi più di quanto possa amarvi lady Kalia. Non c’è persona su Endlos che possa amare il mondo tanto quanto lo amiamo noi. » Anche in questo momento sentiamo bruciare lì dove dovremmo avere il cuore. Una sensazione simile, ma così diversa dalle lacrime dell’Alfiere. Se lei è la madre amorevole che accudisce i figli, noi siamo il padre che vuole crescano e camminino con le loro gambe, senza mai voltarsi indietro. « Ma proprio perché vi amiamo a tal punto, noi…»

    «Temo che un funerale non sia l'occasione migliore per discorrere amabilmente del futuro, Corona di Sophia.» Le parole di Quarion giungono nel momento ideale per interrompere un argomento del quale non vorremmo parlare. Perfette e sensuali, come il sussurro di una ninfa, sembrano esser state forgiate apposta per incontri di questo tipo. Ce lo ricordiamo al Ballo d’Inverno e di come Julian avesse notato in lui la stessa particolarità intuita in Drusilia Galanodel: un Arcano. Ma lui è di più. Un fascino ambiguo che sa sfruttare alla perfezione ed una lingua affilata in grado di manipolare re e regine. Perfettamente a suo agio nei panni di ambasciatore declama e tesse lodi sui morti: le parole che tutti vorrebbero sentire. E’ questo che dovremmo fare? Indossare un costume e scegliere il nostro ruolo in questa vita? Noi che così faticosamente ci siamo liberati dal suo gioco, noi che abbiamo visto il susseguirsi della ruota epoca dopo epoca? No, siamo stanchi delle belle parole e della rigidità di cerimonie. « Non concordiamo, ambasciatore. » Ci stava difendendo? Era questo che cercava di fare? Sviare il discorso da noi come fossimo il pagliaccio della festa? « Vita e morte non sono due mondi così diversi da poterli dividere così facilmente. Questo perché la morte non è una fine, ma solo un nuovo inizio. Nell’eterno ciclo del Karma la nostra anima trasmigra e si reincarna seguendo il volere della Storia per vivere ancora ed ancora. Potete crederci o no, ma noi l’abbiamo visto. » E vissuto. O almeno finché non sono iniziati i disordini causati dalla sua mancanza. Possiamo davvero assicurare ai presenti che la trasmigrazione abbia ancora luogo? Che il Crogiolo dei Mondi verso cui l’anima della donna è diretta non sia controllato da un’altra Chiave che si crede un dio come è successo con il nostro? « Se ha davvero unito queste persone, se ha reso possibile questo miracolo e se per lei vale il titolo di Eroe allora farà parte del più alto ciclo del Karma e ad ogni giro della ruota sarà di nuovo Eroe per assolvere a compiti che altri possono solo sognare. Premio o eterna tortura? Lo abbiamo sperimentato tante volte prima di… » A noi cosa è sembrato mentre ci accadeva? Quanto abbiamo urlato e ci siamo disperati mentre l’Atramènt ci fungeva da prigione. Alla fine far parte di qualcosa è sempre meglio che non far parte di nulla. « Ma questa è un’altra storia. » una nostalgica e dolorosa, forse poco adatta alle orecchie dei presenti. « Vi danno la caccia e vi rinchiudono chiamandovi “Mostri”, ma la verità è che i mostri sono ben altri… » E le prigioni che li contengono non hanno sbarre da poter spezzare.
     
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