Sapore di Cenere

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    Morte.

    Aveva sentito i discorsi svoltisi tra Namas, Julian, Quarion e Amon mentre si avvicinava per porgere a sua volta le proprie condoglianze per una così grave perdita per la Ribellione, poiché era questo e questo soltanto che lo infastidiva: uno dei simboli di quella rivolta contro “l’ingiusto oppressore” era stata uccisa e rimossa per sempre dai giochi.
    Gli altri capi ribelli erano stati furbi a farla diventare una martire della causa, allestendo quell’incredibilmente inutile e dispendioso funerale, almeno erano riusciti a ricavare qualcosa anche dalla sua prematura dipartita per quanto sarebbe stato indubbiamente meglio che la ragazza fosse sopravvissuta.
    Da ciò che aveva sentito dire era molto amata e avrebbe potuto essere un ottimo membro dell’entourage del prossimo Alfiere, usando la propria incredibile influenza per plagiare le masse adoranti.
    Quella possibilità comunque era sfumata e la buffonata del funerale era quanto di meglio si potesse fare al momento, sarebbe servito a sfogare il dolore accumulato e a rinsaldare gli animi dei soldati e dei cittadini.

    I funerali non appartengono ai vivi né ai morti, Ambasciatore Quarion, ma al dolore che li utilizza per uscire dai cuori di quanti amavano il defunto.


    Si rivolse quindi a Namas.

    Porgo le mie condoglianze per questa gravissima perdita per l’Ovest, a nome di Laputa, dei Liberi Aeris Milites e a nome dell’Alfiere Errante Drusilia Galanodel.
    Sono certo che il sacrificio di Odayka sarà fonte d’ispirazione per tutti i secoli a venire, affinchè non si ripeta mai una tragedia come quella che ha scosso l’Ovest negli ultimi anni.
    Verrà ricordata per sempre.


    Ovviamente erano tutte idiozie, magari avrebbero anche potuto tenerne vivo il ricordo per secoli, incidere il suo nome e la sua storia in grandi lastre di pietra e indire un giorno dedicato appositamente alla preservazione della sua memoria; tuttavia prima o poi ella sarebbe stata dimenticata.
    Le persone si sarebbero chieste se davvero un tempo così buio avesse mai scosso il presidio, l’avrebbero prima considerata una figura mitica creata ad arte dalla resistenza per darsi un volto innocente e poi Odayka sarebbe caduta per sempre nell’oblio.
    Accadeva sempre così, ma questo non era ciò che Namas e Amon volevano sentirsi dire e siccome lui non era uno sciocco li aveva accontentati con frasi di circostanza per nulla sentite.

    In ogni caso se Sequerus non ripeterà gli errori del passato sono certo che troverà in Laputa, e suppongo nell’Est, due alleati affidabili e generosi.


    Disse cercando di mettere anch'egli una pezza alle parole di Julian, il quale per essere un Saggio si stava dimostrando piuttosto ottuso e incapace nello svolgere le proprie mansioni di rappresentanza.
    Si chiese come mai Lady Kalia permettesse che un simile individuo, che pure aveva una spiccata intelligenza, avesse la possibilità di uscire da Palanthas per andare a fare danni diplomatici a destra e a manca.
    In definitiva, se pure Julian avesse avuto qualche particolare talento, quello sicuramente sarebbe stato il più lontano possibile dalle relazioni interpersonali e ciò detto da Khatep era davvero una grave accusa.
    Si rivolse allora a Quarion chiamandolo col suo titolo, in modo che fosse chiaro che l'unico portavoce dell'Est in terra straniera era il Galanodel e che Julian era stato evidentemente un ripiego d'emergenza.

    Non è d’accordo, ambasciatore?


    Di sicuro aveva intenzione di tirarselo da parte per conversarci in privato, aveva tutta l’intenzione di farselo amico per rendere possibile un futuro scambio di informazioni e favori dato che ormai riteneva che Masahiro non gli fosse più di alcuna utilità come “amico ad Est”, era giunto il momento di abbandonare quel ninja al suo destino e puntare a prede più grosse.
    In fondo, a chi non serve un Ufficiale di Presidio come amico?

    Edited by Settra - 26/5/2014, 11:19
     
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    «Non preoccupatevi: il vostro compagno non ha assolutamente recato offesa, anzi

    Il nagavandari indirizzò quelle parole al ragazzo dagli occhi dorati ed i capelli leggeri come carta da zucchero, senza mai distogliere lo sguardo dal feretro; era tornato ad incrociare le braccia dietro di sé, assumendo una posizione neutra ma apparentemente inamovibile.
    Accolse le onorevoli condoglianze dell'Ambasciatore, chinando impercettibilmente il capo a confermare che le sue parole erano state comprese ed assimilate, sublimate tuttavia nella rapidità che è tipica di chi ha perfettamente compreso che la portata principale non è stata ancora servita.
    Ed infatti, a riprendere possesso della discussione, non tardò ad arrivare la replica di Julian.


    «Vita e Morte hanno la prossimità del cielo e della terra: se osservate nella giusta prospettiva, una non è altro che il riflesso dell'altra.
    E noi, volando o strisciando non fa differenza, puntiamo ad un'unica direzione: la linea che le mescola, quella che le inverte e le avvicina.»


    Parlava osservando gli uomini e le donne della Resistenza, intenti a darsi conforto l'un l'altro, a marciare ai piedi della scalinata senza spingere il proprio orgoglio oltre un muto saluto alla figura che li aveva convinti a liberarsi da quella tremenda sciagura perpetrata da Kikio Ho ed Usama Kuroi.
    Quando anche la Delegazione del Presidio Errante, la famosa Isola nel Cielo, giunse
    -nelle vesti di un essere millenario- a porgere la rappresentanza di un dolore impossibile da concepire, Namas si trovò costretto a scendere a patti con se stesso: doveva, pena la negazione di tutta la Consapevolezza acquisita nel suo percorso, affrontare la realtà di quale posizione si stesse ritrovando a coprire.
    Il sottile e delicato gioco di equilibri di potere era in piedi davanti ai suoi occhi: c'erano le mille ombre, capaci di afferrare un concetto di Karma e rinascita che il Principe ammirò con celata sincerità; c'era il pavone, la cui coda brillava di luce propria e meravigliosa tentava di distogliere gli animi dei presenti dalle vere faccende; c'era il sole spento, immobile ma atavico, quasi pronto ad esplodere dell'energia meschinamente trattenuta dietro le apparenze.
    L'Atharvaveda del Principe non aveva altro da raccontargli.


    «Comprendo le vostre parole, Ambasciatori, e vi ringrazio per essere qui.
    Spero non prendiate in malo modo questa precisazione, ma-»

    -ruppe la linea con Amon, iniziando a camminare verso il corpo esanime della Reggente-
    «-solo gli oppressi percepiscono il peso dei propri dolori.»

    Ruotò il capo verso la sua sinistra, guardando solamente Amon per qualche secondo, per poi rigettare uno sguardo malinconico su quella splendida cascata di capelli neri.

    «E solo gli oppressi hanno la capacità di ribaltare gli oppressori.»

    Si voltò e, per la prima volta, li guardò tutti, soffermandosi su ciascuno per almeno qualche secondo.

    «Sarò ben lieto di porgere di persona i miei ringraziamenti all'Alfiere dell'Est ed all'Alfiere di Laputa.»

    Probabilmente, l'uomo-serpente non aveva compreso appieno lo svantaggio di mostrare un lato ingenuo del proprio carattere a coloro i quali
    -per esperienza e ruolo-
    sapevano benissimo come muovere i fili di un teatro ben più ampio di quello messo in piedi nel loro improvvisato palcoscenico.
    Ma la verità del Principe era quantomeno semplice da riassumere: a lui non importava nulla dei progetti altrui, fintanto che il Presidio Ovest fosse stato al sicuro da minacce come quella che ancora si trovavano in obbligo di debellare.
    Il prezzo da pagare, tuttavia, sarebbe stato alto: una mancanza di lungimiranza verso il proprio interesse, verso il futuro che lo attendeva oltre la guerra.

     
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    La curiosità di Julian era sin troppo grande per quel momento.
    Poco a poco, Amon arrivò a capirlo ed a comprenderlo lasciando scemare la rabbia che recava seco in corpo verso quell’individuo, riportando la propria attenzione su Odayaka e sui ricordi che cominciavano ad annebbiare la sua mente, ubriacandolo di quelle poche immagine che era riuscito a far proprie.
    Amiamo’, questo gli disse Julian; questo aveva detto a Namas.
    A guardarlo, a sentirlo parlare, sembrava distante; distaccato. Tutto ciò che lo concentrava sembrava solo un innumerevole quantità di eventi dei quali bramava la più profonda conoscenza anche a costo di sembrare sfrontato e stucchevole; finanche uno stolto, alle volte.
    Non valeva la pena, al momento, farsi il sangue amaro: prima di tutto si trattava di una cerimonia funebre che richiedeva tutta la sua attenzione; secondo, perché sinceramente al momento non gli interessava approfondire una simile conoscenza.
    Avrebbe interloquito solo se strettamente necessario, ma per il resto l’avrebbe ignorato.
    (anche se, doveva ammetterlo, in un certo senso l’incuriosiva)

    Julian, dal canto suo, non ebbe il tempo per esprimere pienamente il suo concetto.
    Un figuro lo interruppe, come se volesse trarlo d’impiccio e giustificarsi per i modi con Namas il quale, nonostante tutto, continuava ad interloquire con lui per dirimere i suoi dubbi e soddisfare le sue molteplici curiosità. Primariamente, cercò di riportare l’attenzione sullo Specchio Tranquillo, lodandone le gesta nella speranza che la sua immortalità potesse essere non un’utopia, ma realtà.
    La sua memoria sarebbe stata d’esempio all’intero Ovest e solo tramite le azioni di tutta la popolazione la memoria della donna sarebbe stata preservata dall’abbraccio dell’oblio; il tutto intervallato da una sorta di rimprovero nei confronti di Julian.

    Sorrise severamente per un breve istante.
    « Questo è il rispetto che viene riservato non solo ad Odayaka che si è sacrificato per il bene collettivo di queste terre, ma anche nei confronti di Namas? », si disse squadrandolo da capo a piede.
    Vide il suo sguardo posarsi su di lui, ma Amon si fece subito serio aggrottando un poco i suoi lineamenti, con lo scopo di mostrarsi contrariato a quanto stava silenziosamente assistendo.
    « Un rimprovero travestito con parole di commemorazione- »

    Scosse la testa, contrariato ancora una volta.

    Ne incrociò lo sguardo, mostrandosi per nulla intimorito.
    Anzi, vi rispose serio pur con occhi ricolmi di tristezza; la stessa che serbava nel suo cuore e che si era sobbarcato sulle spalle mostrandoli spenti.
    D’un verde scuro; grigio.

    Fu la volta poi di Julian, che non sembrava essersi accorto del richiamo.
    (forse)
    Rispondendo bene a tono a quanto affermato da quello che doveva essere l’ambasciatore dell’Est, parlando in maniera così astratta da non risultare del tutto comprensibile allo Scorpione. Le sue conoscenze, in quel senso, erano del tutto limitate ma sapeva che si parlava di morte e dei suoi molteplici aspetti, frutto di culture differenti dalla propria.
    Apprezzava questo di Endlos: la diversità di veduta e il fatto che ognuno, in un modo o nell’altro, fosse capace di dire la propria con differenti conoscenze, nozioni ed esperienze.
    Eppure, sottolineò a sé stesso il fatto che quello non fosse il momento né il luogo per parlare di simili argomenti, guardando di tanto in tanto le spoglie di Odayaka.
    « Perdonateci. », si disse.
    (le disse)

    Julian, comunque, non mancò di spezzare una lancia in favore degli oppressi dell’Ovest.
    Ad interrompere ulteriormente quel momento fu un ulteriore soggetto, appartenente alla sua cultura sicuramente: aveva l’aspetto di una mummia in tutto e per tutto. O almeno era questa l’impressione che gli dava guardarlo.
    Sentì un brivido percorrergli lungo la schiena, squadrandolo da capo a piede.
    Non sapeva il perché, non ne conosceva la motivazione ma percepiva un pericolo provenire da quell’individuo; si trattava di una sensazione, purissimo istinto nel suo caso, che gli impediva di fidarsi così su due piedi di lui. Per un istante brevissimo, si accaparrò il lusso di guardarlo con ostilità, venendo meno lui per primo alla sacralità di quel momento.
    Fu però un attimo soltanto visto che lo sguardo si spense nuovamente lasciando posto alla grande tristezza che serbava nella sua anima.



    Ascoltando le sue parole, non poté fare a meno che pensare nuovamente.
    Per quanto si trattasse di un discorso solenne, legato al suo Presidio di appartenenza con lo scopo precipuo di portare le sue condoglianze da parte dell’Alfiere e del suo corpo militare. Eppure non riusciva a fare a meno di pensare che quelle parole non fossero sincere; che fossero state buttate li a caso.
    Anche in questo caso si trattava di una sensazione, nulla di più.
    Forse per il suo aspetto fisico, forse per il tono utilizzato o forse ancora per la situazione nella quale si erano trovati invischiati loro malgrado; inoltre, in quella situazione, anche se velatamente parlò d’alleanze interpellando l’altro soggetto, l’ ‘ambasciatore’, per dargli manforte.
    Quella, più di tutte, gli sembrò una mancanza di rispetto bella e buona sia nei confronti di Namas che era li di fronte a loro, sia di fronte alle spoglie di Odayaka.
    Sia, infine, dinanzi agli abitanti dell’Ovest.



    Prima che potesse parlare a sua volta, fu Namas a prendere la parole.
    Non mancò infatti di ringraziare i due ambasciatori per le condoglianze e l’aiuto che era stato loro fornito nel corso del conflitto, ma sottolineò il fatto che sarebbe stato lui stesso a ringraziare gli Alfieri.
    Il tutto, ovviamente, a tempo debito e senza fretta alcuna.
    Ricambiò lo sguardo di Namas, mostrandosi complice di quanto aveva appena affermato ai due ambasciatori in merito alla capacità degli oppressi di percepire i propri dolori. Così era stato infatti, visto che l’Ovest si era rivoltato al giogo degli oppressori ripudiando le loro leggi ed i loro modi brutali di trattare le persone (non-umani compresi).

    C’è ancora molto da fare. ”, aggiunse lo Scorpione subito dopo.
    Ma questo è il momento per ricordare Odayaka e tutti coloro che sono caduti per far sì che oggi ci trovassi a questo punto. ”, disse ancora rivolgendosi ai nuovi arrivati, “ Omaggiamo le loro anime, dedicando questo giorno a loro soltanto.

    Aveva osato. Forse troppo, ma aveva osato.

    Avremo modo e tempo.

    Tornò a posare il suo sguardo su Odayaka. Ancora.
    « Perdonaci. », aggiunse.

     
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    L'Ambasciatore stette in silenzio, e nell'intimità si trovò a pensare che certe lezioni, forse, non si imparano nemmeno con il passare del tempo. Forse era il dolore a renderle più severe... un dolore proporzionato all'intelligenza di chi, della vita, era allievo.

    Vero era che sia Namas che Amon fossero in parte accecati dalla perdita, una cicatrice ancora troppo fresca per ragionare lucidamente, ma vero era anche che l'ingenuità rischiasse spesso di far più danni di qualunque altra cosa.
    Dietro ad atteggiamenti nobili, spesso si nascondeva la mano avvizzita dell'ipocrisia, e quasi tutte le azioni volte ad un ipotetico bene finivano per esserne contaminate. Come lui e Khatep erano stati probabilmente falsi a mostrare cordoglio -nonostante nessuno dei presenti potesse sapere con certezza cosa celassero l'ambasciatore e il lich nei propri cuori- forse anche Namas ed Amon rischiavano centinaia di vite per un orgoglio forse un pò egoistico.

    Dicevano di lottare per un odio razziale, una di loro era morta proprio davanti a loro per questa guerra, eppure si allontanavano volutamente dai loro stessi alleati, considerandosi diversi, anche se solo nel dolore. Prendevano le distanze da ben due Presidi che comunque avevano scelto di aiutarli senza esserne costretti, loro e centinaia di altri individui; se solo Kalia fosse stata un mostro, avrebbe potuto benissimo ritirare le proprie truppe per una parola di troppo, magari presa per mancanza di rispetto, ed allora una semplice mancanza di esperienza sarebbe costata cara. Vero era che la mitezza dell'Alfiere Orentale fosse famosa ma... perchè rischiare?
    Lui, personalmente, se gli fosse stato caro ogni individuo del suo popolo, non l'avrebbe mai fatto.
    Ma infondo il mondo era interessante anche per quello.

    Comunque compiaciuto che i toni di Julian si fossero acquietati, diventando perfino ispirati, l'Ambasciatore Orientale ritenne che non vi fosse altro da aggiungere. Reclinò il capo, accogliendo placidamente la spiegazione del Saggio con fare rispettoso, dunque si rivolse a Namas.

    -Sono certo che i due Alfieri saranno onorati di ricevere una vostra visita, in futuro. Ma ora non è tempo di soffermarsi su questi dettagli, immagino.

    Lo sguardo aureo si posò infine sul Lich.
    Gli si avvicinò, abbassando la voce in segno di rispetto.

    -Non vorrei disturbare i qui presenti signori, ma temo che una ferita mi si sia appena riaperta. Sarebbe così gentile da accompagnarmi in un luogo consono a ricompormi la fasciatura senza risultare scortese?

    Perchè si sa, i segni della tortura hanno bisogno di tempo per rimarginarsi.
    Nonostante fosse stato lui a scegliere quel tormento, per essere maggiormente d'aiuto nei delicati giochi di potere che avevano preceduto lo scontro aperto, anche se indirettamente.



    Edited by Quarion Galanodel - 27/5/2014, 04:21
     
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    Sciocchezze.

    L’aiuto che la Resistenza aveva ricevuto era stato ampio, da parte dell’Est, e ora Namas pareva liquidarlo come se fosse un nonnulla con quella sparata sul dolore degli oppressi e sul fatto che solo loro avrebbero potuto ribaltare il governo degli oppressori.
    Uno schiaffo ai soldati dell’Est probabilmente morti per la stessa causa per cui loro combattevano, senza che Lady Kalia chiedesse nulla più che vedere il popolo dell’Ovest liberato dall’oppressore.
    Era piuttosto evidente che qualsiasi tipo di contatto diplomatico futuro sarebbe stato estremamente complesso se questi ragazzetti imberbi, tutti presi da se stessi e dal proprio dolore, non erano nemmeno in grado di vedere i sacrifici fatti da coloro che erano loro vicini.
    Uno schiaffo persino a lui e a Quarion, che in quel momento rappresentavano in modo informale, lui, o ufficiale, il Galanodel, la volontà del proprio Alfiere.
    “Voi non siete abbastanza” sembrava dire.

    Molto bene, anche se ritengo che ci sia una guerra da finire vincere, prima di poter andare a conversare con gli Alfieri di terre straniere.


    Lapidario.
    Non gli piaceva quello che sembrava sarebbe diventato il nuovo signore supremo dell’Ovest, troppo assorto dalle proprie cose per intuire il complesso teatro della politica, o forse solo troppo emotivo per potersi concentrare sulla ragion di stato durante un funerale.
    Avrebbe dovuto tessere le trame di futuri e stretti rapporti l’Est e Laputa, i due presidi più possenti del semipiano, invece di starsene lì a crogiolarsi inutilmente nel proprio dolore.
    Che facesse ciò che desiderava, in fondo quel luogo era niente più che una ghiotta possibilità per il Castello nel Cielo ma se l’Ovest non avesse avuto partner commerciali importanti alla svelta era probabile che la sua intera economia sarebbe crollata come un castello di carte.
    Il numero dei morti per la fame poteva facilmente superare quello dei morti in guerra, molto facilmente.

    Naturalmente, ho notato una tenda medica oltre la folla di persone.
    Ci sarà sicuramente un medico sufficientemente competente ricomporre la fasciatura.


    Disse quindi a Quarion, sempre con un tono basso e rispettoso del momento di lutto generale, solo quando si furono sufficientemente allontanati e fossero stati relativamente soli si sarebbe rivolto nuovamente al Galanodel.
    Gli parlò abbandonando gran parte delle inutili formalità che erano quasi dovute tra individui del loro rango, in fondo dopo aver saputo come aveva ridotto quella spia e altre cose, era giunto alla conclusione che nemmeno l’ambasciatore fosse particolarmente rigido in queste cose.

    Vuoi davvero essere accompagnato ad una tenda medica o era solo un trucco per allontanarci?
    In caso posso rifarti direttamente io la fasciatura, sicuramente sono molto più competente della massa di macellai che hanno preso a fare il medico in queste tende.
    Devo ammettere che sei davvero identico alla tua gemella, Quarion Galanodel dell’Est.
    Ho sentito molto parlare di te.


    Aveva parlato a voce sufficientemente bassa da risultare inaudibile ad eventuali passanti occasionali, in fondo quella avrebbe potuto essere la base di una profonda relazione di scambio di favori e, perché no, magari una “amicizia” come le intendeva Khatep, il che spesso risultavano in poco più che una blanda simpatia.
    Il tono era stato diretto, voleva essere sincero con quell’uomo, anche perché dato il suo rango era piuttosto sicuro che avrebbe saputo vedere facilmente attraverso le menzogne più banali.
    Era ragionevolmente sicuro di poterlo imbrogliare, se avesse voluto, ma non poteva essere certo di fino a che punto l’altro fosse in grado di discernere il vero dal falso e quindi decise che era meglio non rischiare, per il momento.
     
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    «Grazie di nuovo, Ambasciatori.»

    Lasciò che i due si congedassero dalla cerimonia, strappati da quel teso e opprimente spettacolo di cattiva lungimiranza da parte di Namas. Non diede loro il dono di uno sguardo, ma serbò solamente qualche semplice parola.
    Aveva iniziato ad accarezzare la fronte di Odayaka, usando le dita della macina per sistemare i capelli ai lati del viso disteso e smaltato di un candore innaturale.


    «Julian, vi prego di rimanere.»

    Il collo del Principe si torse lentamente, affinché egli potessi guardare nuovamente Amon e ringraziarlo con un sorriso così poco pronunciato da apparire un miraggio.
    I pianti a cuore aperto della popolazione stavano lasciando spazio ad un mare calmo di singhiozzi e timidi lamenti: il piombo disceso dalle nuvole illuminava quel giorno con un'atmosfera da commiato, mantenendo fresca e pungente l'aria sui Picchi di Sequerus.
    Ripensò a quanto accaduto qualche minuto prima: non riuscì ad evitare la sensazione di aver rischiato troppo, con le sue parole, pur nonostante avesse ben chiaro lo scopo di quella brusca manovra.
    A Namas sarebbe spettato il compito di pronunciare il discorso in memoria delle vittime cadute in battaglia: per prime, avrebbe pianto e ringraziato le anime spezzate in nome di questa causa ma che, per loro natura, non erano mai state obbligate ad abbracciarla. Sarebbe stato il ricordo per l'aiuto giunto da Est, dal Pentauron e da Laputa.
    Avrebbero seguito poi parole di conforto per l'intera popolazione della capitale occidentale, stretta nella morsa del dolore provocato da una guerra alla quale nessuno avrebbe mai pensato di dover partecipare.
    I due Ambasciatori avevano reagito nel modo corretto: il sole spento ed il pavone si erano dimostrati esattamente all'altezza dei loro ruoli e, per tale motivo, in nessun caso avrebbero imputato quella rude scelta diplomatica del Principe ad una scelta coscienziosa (per di più, saggia e consapevole).
    Forse perché non lo era stata, forse perché sarebbe stato scomodo farlo.
    Il nagavandari sapeva di essere diverso dagli altri e, in cuor suo, non avrebbe mai fatto nulla per nasconderlo: sarebbe stato il protettore del suo popolo, poiché nessun potere

    -politico ed economico-
    trattiene un valore se non vi è qualcuno da apprezzarlo, qualcuno che ne possa trarre qualcosa.
    Una lezione che spesso, chi si estranea dalla sopravvivenza per tessere i fili del controllo, tende a dimenticare con un ritmo decisamente agrodolce.

     
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    Tra tutti i presenti proprio lui. Se fossimo stati le tenebre lui sarebbe stato la luce. Un essere immortale come noi, ma desideroso di cambiare il mondo per il proprio tornaconto. Lo osserviamo insinuarsi sul discorso e dar sfoggio alle proprie arti diplomatiche con Namas. Perché è così interessato al mondo degli uomini? Perché anela il potere quando ha davanti a sé l’eternità? Ci disgusta e ci deprime, quasi fosse il nostro riflesso sbiadito; ciò che di noi vogliamo dimenticare e cancellare.

    Uno scambio di battute che ci annoia. Non siamo giunti là per parlare di politica, né per fare bella figura per conto di Kalia o dei Saggi. Siamo lì per un problema che solo noi su Endlos possiamo risolvere con le tempistiche richieste. Ed in attesa di quello confrontarci con una cultura diversa e con gli artefici di una rivolta voluta da lord Aeon stesso. Volontà, disperazione, coraggio. Tutti tasselli che hanno reso possibile ciò che è accaduto. Tutti tasselli che muovono gli uomini e rendono questo mondo meraviglioso. Vogliamo vedere cosa anima il Principe Namas, vogliamo vedere Amon accoltellarci in preda all’ira, vogliamo vederli piangere per le morti e gioire per la vittoria. E tutto ciò scivola via di fronte alle futili chiacchiere a cui assistiamo, atte solo a mascherare i veri valori degli uomini come veli sudici lasciati cadere sulle persone.

    Quando i due finalmente se ne vanno resta il silenzio e le parole di Namas che riecheggiano nella nostra mente. «Vita e Morte hanno la prossimità del cielo e della terra: se osservate nella giusta prospettiva, una non è altro che il riflesso dell'altra. E noi, volando o strisciando non fa differenza, puntiamo ad un'unica direzione: la linea che le mescola, quella che le inverte e le avvicina.» Parole che forse riguardano loro, rivoluzionari che danzano su un filo precario, sull’orlo del baratro. Costantemente in bilico tra la vita e la morte. Continuamente costretti a dare morte per ottenere vita. Anche Odayaka non è altro che la dimostrazione di questo pensiero. Ma noi non siamo così. La Morte ormai è dimenticata, talmente lontana da non far parte più della nostra non-vita. Un Protodeus, così come un Dio, non può più morire, ma dove gli altri non vedono che un beneficio noi vi scorgiamo una grande responsabilità. Non più parte del Ciclo del Karma siamo destinato a dover ereditare il più pesante dei fardelli…o esser cancellati per sempre nel tentativo. Un fallimento peggiore della morte stessa. « Cosa è Vita e cosa è Morte? Un corpo vuoto dei propri ideali e dei propri sentimenti che ancora calca queste terre è forse definibile come Vita? E può davvero dirsi Morte ciò che vi affligge anche se vi aspetta una nuova vita dopo questa? Non è mai esistita una linea tra le due perché nulla le separa. Fanno parte entrambe di un unico grande disegno. Un meraviglioso affresco il cui senso e la cui armonia può esser compresa solo da chi siede nel trono più alto: la Storia. »

    Nessuno al di fuori di Lei. E a poco valgono i discorsi su oppressi ed oppressori che Namas usa per liberarsi degli ambasciatori. Chiunque può essere qualunque cosa perché la ruota gira e ciò che odiamo saremo nella vita successiva. I ruoli si mischiano e si intrecciano, uno causa dell’altro. Senza oppressori non vi sarebbero oppressi e non nascerebbe il loro sentimento di rovesciarli che può essere in grado di cambiare il mondo. Per alimentare il Bene vi deve essere il Male, così come la Morte è un frammento importante della Vita. Nelle nostre vite siamo stati sia oppressi che oppressori, così come probabilmente tutti i presenti. Se c’è una cosa che accumuna gli uomini è proprio il dolore; ironico come però ogni uomo pensa di essere l’unico ad averlo provato. Purtroppo non sono parole che giungono all’orecchio del Principe, perché Amon interviene a spostare il discorso nuovamente sulla donna che giace nella bara e sui caduti. Della Morte non abbiamo più ricordo e non abbiamo nulla da dire, perciò continuiamo a fissare il caffè fermo nella tazza sorseggiandolo con calma in attesa arrivi il momento di parlare di altro. Rimaniamo lì, seduti, come Namas ha chiesto e ci lasciamo cullare nuovamente dalla noia.
     
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    A detta di Amon, si era venuta a creare una strana tensione in quella situazione.
    Lui per primo, forse, aveva perduto le staffe cercando in buona fede di riportare l'attenzione unicamente su quanti in quel momento la richiedevano; non si trattava solo dei caduti o della defunta Odayaka, poiché l'intera popolazione richiedeva – forse tacitamente – le forze di Namas.
    Come aveva sottolineato lui stesso, ci sarebbe stato tempo e modo per riuscire a parlare di altro ma quello era il momento del commiato e del doloroso distacco dai propri cari, di quegli eroi che si erano sacrificati per non rendere vana quella che sembrava essere una pura e semplice utopia.
    E sia l'ambasciatore, sia la 'mummia' non furono da meno.

    « »

    Fu questione di attimi e l'ambasciatore prese la parola nuovamente.
    La questione sembrava essere seria, in quanto una ferita doveva essersi riaperta proprio in un momento come quello, provocandogli forse dolore e fastidio. Sapeva quanto potesse essere fastidiosa una ferita riaperta, al punto che volle sincerarsi di persona delle condizioni dell'uomo.

    Siete sicuro di stare bene? ”, gli chiese nonostante quello si fosse rivolto all'altro.
    A rispondergli fu poi l'altro, che affermando di aver intravisto una tenda al di la della folla di persone, nella quale dovevano esserci sicuramente dei medici competenti per l'occasione.
    -saranno sicuramente competenti: le Vesti Blu hanno dimostrato pienamente il loro valore nel corso di questa offensiva e non ringrazierò mai abbastanza Lady Kalia per questo. ”, affermò subito dopo intessendo le lodi dei cerusici che lo avevano guarito a sua volta.
    Vi auguro una pronta guarigione, ambasciatore.

    Accompagnò i ringraziamenti di Namas con un cenno del capo leggero.
    Non aggiunse nulla a quanto già era stato – o aveva – detto, perché sarebbe risultato superfluo e di cattivo gusto; una sorta di presa in giro, molto probabilmente, e lui non voleva questo.
    Guardò il Principe nel momento in cui girò lo sguardo verso di lui, percependo un flebile – e molto accennato – sorriso, chiedendosi invero se non avesse avuto le traveggole.
    « -un sorriso. », si disse colpito.
    Abbozzò un sorriso, a sua volta, tendendo leggermente il capo in avanti.
    Erano provati entrambi da quella situazione, ma fortunatamente riuscivano a darsi sostegno l'un altro, cercando di non lasciarsi piegare dalla tristezza e dal dolore.
    (e dagli eventi, soprattutto)

    Portò lo sguardo sulla folla, udendo i suoi lamenti; i suoi pianti.
    Era straordinario e triste al tempo stesso assistere ad un simile spettacolo: il popolo dell'Ovest, molto probabilmente, non era mai stato unito come in quel momento; ma per raggiungere un simile affiatamento erano state necessarie delle morti che ora si piangevano. Lottando con quei nuovi sentimenti, Amon sentiva una stretta al cuore ad ogni pianto, ad ogni lamento, ad ogni urlo di tormento che giungeva alle sue orecchie; talvolta si torceva anche per il silenzio.
    Quest'ultimo, alle volte, era ancora più assordante e lo Scorpione l'aveva potuto capire e forse anche apprezzare solo su Endlos. Sperava comunque che quelle morti fossero d'esempio e di ispirazione per il proseguo del conflitto; che in un modo o nell'altro vi traessero giovamento per il futuro.
    Che, nonostante tutto, quelle morti non fossero state vane.

    « Ci risolleveremo e saremo ancora più forti. »

    Si disse, facendosi carico ancora una volta di tutta quella tristezza.

    « Farò da scudo a questa terra. », si disse ancora una volta,
    « -e se necessario ne diventerò la spada. »

    Guardò intensamente le spoglie di Odayaka.

    « Espierò qui le mie pene ed i miei tormenti. Pagherò qui il mio debito. », aggiunse subito dopo.
    « Sono stato un mostro, un assassino. », continuando ad incolparsi per fatti e cose accadute in passato, « Ho estirpato molte vite. Troppe, per non essere uguale a questi usurpatori. »
    Ogni battaglia sembrava ripetersi all'infinito nei suoi ricordi, nelle sue notti insonni nelle quali cercava il perdono in un sonno non più ristoratore, per lo più. « Grazie a Shui Yoe Tu mi sono incamminato sul cammino dell'espiazione, trovando una libertà prima sconosciuta. »

    Guardò poi la folla, di sotto.

    « E voglio che possano assaporarla anche loro. »

    Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai ricordi.

     
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    Mugen era reduce dalla missione ferito nel corpo e nello spirito.
    Le trappole del forte avevano martoriato il suo corpo con ustioni, tagli ed ematomi mentre il loro finale fallimento bruciava più di ogni ferita. Per non parlare dei tanti dubbi che serpeggiavano tra i suoi pensieri, legati al misterioso demone che aveva messo fine alla vita di Usama Kuroi e del quale il Capitano Gawain era reticente a parlare.
    Ma tornati al campo altre brutte notizie attendevano la Volpe Rossa.

    Quella stessa notte la Signora di Undarm era stata assassinata da Kikio Ho.

    Quando la Resistenza pensava di aver ormai conquistato l'Occidente ecco che le venivano inferti dei brutti e pesanti colpi.
    Così quel giorno era stato dedicato al cordoglio, alla commemorazione dei caduti e soprattutto alla perdita dello Specchio Tranquillo.

    La Volpe aveva ricevuto le miracolose cure delle vesti blu e con le fasciature nascoste dal kimono uscì dalla tenda dei curatori deciso anche egli a rendere omaggio alla Dama caduta.

    Nel tragitto per raggiungere il feretro la Volpe incrociò una sua vecchia conoscenza, Khatep.
    In passato era stato un valido compagno d'armi e la Volpe ricordava ancora alcuni dei suoi affascinanti e straordinari incanti.
    Fu strano rincontrarlo in circostanze simili e dopo così tanto tempo.

    “Sommo Khatep.”

    Pronunciò il suo nome con solennità accompagnandolo ad un rispettoso cenno del capo, prima di proseguire il suo cammino. Non era certo il momento di abbandonarsi ai ricordi.

    Raggiunse le spoglie della Dama e qui indugiò socchiudendo gli occhi e pronunciando mentalmente e in una lingua antica quella che poteva essere una sorta di preghiera. Un antico canto tramandato oralmente dalla sua tribù e che veniva usato per onorare gli eroi caduti in battaglia.
    Sebbene Odayaka non avesse materialmente riempito le fila di guerrieri della Resistenza Mugen le aveva riconosciuto un importante ruolo e merito. Odayaka con le sue azioni era stata la prima a dare forza agli oppressi delle terre d'occidente e ad opporsi al potere malato che aveva corrotto Sequerus.

    Terminato quell'antico rituale si avvicinò al gruppo radunatosi intorno al Principe Namas, al quale riservò il dovuto e rispettoso saluto senza però volerlo distrarre dai suoi doveri. Pertanto prese poi ad accostarsi ad Amon, che non vedeva dalla fine dell'assedio e che ai suoi occhi aveva un aspetto stanco e forse scosso, e poggiandogli una mano sulla spalla pronunciò il suo nome con serietà.

    “Amon, come stai?”

     
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    Apprezzò il genuino interesse di Amon riguardo le sue condizioni di salute: Yoe non era una stupida, e se lo considerava il migliore dei suoi sottoposti, di certo esisteva una ragione più che valida. Apprezzò ancor di più l'acume dell'Antico che, nonostante fosse il meno preoccupato riguardo le sue condizioni, si mostrava abbastanza intelligente per prendere parte ad un dialogo che non fosse eccessivamente finto o buonista.

    -Temo che la mia debolezza fisica superi di gran lunga le doti da Ambasciatore, Sommo Khatep- disse con un mezzo sorriso e sguardo colpevole -La ferita è davvero aperta.

    Discostò lievemente la casacca per mostrare una macchia rossa sulla camicia bianca.
    Nonostante di fatto non godesse di ottima salute, non sembrava tuttavia soffrirne particolarmente. Anzi, quando il lich accennò alla sua somiglianza con la gemella, gli occhi aurei di Quarion si riempirono di nuova luce. Adorava i complimenti, ma quello... andava oltre la semplice cortesia.

    -Non esiste nessuno al mondo che sia legato a lei più del sottoscritto- affermò senza indugio e con una nota d'orgoglio nella voce -Il nostro legame è più profondo di qualsiasi scelta mortale compiuta in vita.

    Perchè infondo, oltre che di nascita, condividevano perfino l'arcano. Si sussurrava che tutti loro fossero Fratelli, ma portare il peso della stessa carta era un onore riservato a pochi.
    Solo loro, ed il Mondo.

    -Se desidera aiutarmi, sarei lieto di sottopormi alle sue cure: i guaritori dell'Est sono eccelsi, ma vi conosco per fama e meriti.

    Nonostante il complimento dovuto, nulla di ciò che aveva pronunciato era falso: a Laputa era uno dei migliori.

    -Esiste un modo per sdebitarmi di tutta la vostra premura nei miei riguardi?

     
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    Abbandonatosi ai suoi pensieri, non si era reso conto del corso degli eventi.
    Anzi, per un attimo sembrava non essere neanche più li; i lamenti, le urla ed i pianti sembravano non esistere più, così come la presenza di tutta quella folla di gente giunta per le esequie.
    Il nulla lo avvolgeva candidamente, cullandolo in un abbraccio freddo e distaccato, lasciando che lunga la schiena gli corresse un brivido, pronto a scuoterlo fin dentro le ossa; non si trattava di freddo o quant’altro, ma di una sensazione più profonda e ben radicata nell’animo.
    Per quanto non fosse il momento di fare certi pensieri, sapeva bene che in altre circostanze sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, frenare i suoi istinti; grazie a Yoe ed al bosco era riuscito tenerlo relegato dentro al suo cuore, imbrigliato in catene oltremodo resistenti.
    Ma la ‘bestia’ di tanto in tanto reclamava la sua libertà.

    « »
    Era lui – e soltanto lui – il mostro in tutta quella storia.
    La discriminazione nei suoi confronti doveva essere legata alla sua natura inconscia, piuttosto che al suo status di straniero. Lui si sarebbe addossato volentieri quel fardello, pur di evitare quella sorte infelice agli abitanti dell’Ovest. Ma non era ancora maturo per fare simili discorsi.
    (era ancora lontano dall’arrivare ad un simile sacrificio,
    ma la strada era quella giusta
    )


    Riaprì gli occhi giusto in tempo per rendersi conto dell’arrivo di una persona amica.
    « Mugen! », esclamò tra sé e sé con tono sorpreso e felice al tempo stesso. La loro avventura in quella guerra era cominciata insieme: l’aveva trovato ai confini del bosco, ferito e furibondo, ed insieme avevano affrontato un manipolo di guerrieri dalla forza non da poco.
    Era felice nel vederlo li sano e salvo, forse con qualche ferita ben nascosta dall’ampio vestiario, ma ancora in piedi, con quella sua tempra che non avrebbe esagerato a definire d’acciaio.
    Quella era una delle poche belle notizie che potevano alleggerirgli il cuore.
    Non volle turbare quel momento di raccoglimenti, preferendo non abbandonare la posizione che stava occupando e non venir meno a quanto richiestogli da Namas.
    (era un onore ed un privilegio, dopotutto)
    Attese quindi che gli giungesse di fianco, lasciando che la sua mano si posasse sulla sua spalla senza scomporsi, abbozzando un sorriso.

    Mugen, che piacere rivederti! ”, gli rispose di rimando.
    Quanto alla domanda in sé, era difficile rispondergli. Fisicamente stava bene, se non per la mano che era fasciata, ma il suo dolore ed i suoi patimenti erano ben altri ad un livello di astrazione pura, rientrando nella sfera dei sentimenti. “ Sto bene: per fortuna sono riuscito a cavarmela con poco.
    Tentò di distendere la sua voce, volendo fargli comprendere – in un modo o nell’altro – la felicità che aveva nel cuore per averlo potuto rivedere; il tutto però era difficile.
    Sorrise, comunque, per quanto gli era possibile.

    Il mio malessere è legato ad altro. ”, si indicò il torace, in direzione del cuore.

    Non volle dirlo apertamente, conscio che i suoi occhi sarebbero riusciti ad esprimersi meglio delle parole.
    Lo guardò dritto negli occhi, cercando di fargli arrivare quella miriade di sentimenti che lo animavano in quel momento: gioia, felicità, tristezza e dolore.
    (incapacità, inettitudine e debolezza)

    E tu, invece? ”, aggiunse poi con tono altrettanto serio.
    Come stai?

     
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    Quarion.

    L’uomo dell’Est si scostò lievemente la casacca per mostrare una macchia rossa sulla camicia, dove la ferita si era realmente riaperta.
    Non sembrava che ne soffrisse particolarmente, sebbene la stesse perdendo sangue la cosa pareva non toccarlo, il suo sguardo anzi si illuminò quando accennò la sua somiglianza con l’Autocrate.
    Era evidente che doveva tenere molto alla gemella, davvero molto.

    Non esiste nessuno al mondo che sia legato a lei più del sottoscritto.
    Il nostro legame è più profondo di qualsiasi scelta mortale compiuta in vita.


    Ascoltò con attenzione mentre sbottonava la camicia del Galanodel per controllare lo stato del taglio nel fianco di quest’ultimo, era piuttosto profondo e per questo i punti non avevano retto ma era netto e pulito quindi sarebbe bastato un poco del suo potere per ricomporre il taglio, forse l’intera operazione gli avrebbe fatto male ma Khatep ricordava piuttosto bene come sembrasse tutt’altro che scontento dei colpi che i carcerieri gli infliggevano.
    Che fosse una di quelle persone che amavano il dolore fisico?

    In ogni caso la cosa non lo riguardava: Quarion avrebbe potuto dimostrarsi un alleato prezioso nelle terre dell’Est e all’Antico piaceva molto avere alleati, soprattutto se erano influenti.

    Se desidera aiutarmi, sarei lieto di sottopormi alle sue cure: i guaritori dell'Est sono eccelsi, ma vi conosco per fama e meriti.
    Esiste un modo per sdebitarmi di tutta la vostra premura nei miei riguardi?


    La magia che doveva applicare in quel momento era qualcosa di fine e raffinato, non le solite esplosioni e raggi di energia capaci di vaporizzare anche il ferro ma rozzi e per i quali un elevato controllo risultava inutile.

    Dammi pure del tu, in fondo siamo entrambi individui di prestigio nei nostri presidi di appartenenza, tua sorella è il mio Alfiere, per quanto non ci conosciamo non possiamo dire di essere estranei.
    Comunque questo potrebbe causarti dolore, ma non lascerà segni.


    La magia della Luce, suo potere principale, era stata modellata fino ad acquisire le dimensioni di un filo grande come un capello di sfolgorante luminosità.
    Con movimenti accorti ed attenti della mano, l’Antico guidò il filo nelle carni del Galanodel, tanto sottile da non causare il minimo fastidio, esso si avvolse attorno alla ferita per poi stringere richiudendone i lati.
    Fu allora che la magia liberò il proprio potere, diventando incandescente per pochissimi istanti e poi sparire usando un sottilissimo strato di tessuto bruciato sottocutaneo come filo, legato assieme da ciò che rimaneva della magia, quello avrebbe fatto male.

    Ecco fatto, dovrebbe reggere meglio del filo e guarire prima se non sforzerai la ferita.
    Quanto ai debiti, non certo in cerca di facili crediti presso ufficiali di altri presidi.
    Diciamo piuttosto che quelli che erano i miei amici nell’Est sono diventati fastidiosamente scomodi, quindi mi farebbero comodo nuovi amici.
    Qualcuno con cui chiacchierare del più e del meno davanti a un divertente spettacolo, con cui avere pochi segreti, qualcuno da cui non devo guardarmi continuamente e che non sia così stupidamente facile da ingannare.


    Perché si sa che se qualcuno è ridicolmente facile da raggirare, la tentazione di farlo è troppo forte anche per qualcuno con più di due millenni di storia alle spalle, soprattutto se oltre a ciò è anche stupido.

    Vorresti essere mio amico, Quarion Galanodel?


    Naturalmente sapevano entrambi che sarebbe stata una relazione di mutuo profitto per entrambi, ma che Khatep potesse gradire delle chiacchiere davanti a uno spettacolo, che fosse teatro o tortura di criminali cambiava poco, era indubbiamente vero.
    A Laputa era sempre stato troppo occupato a tramare e a guardarsi dagli altri, a parte Drusilia non poteva dire di essere particolarmente affezionato a nessuno di loro e in ogni caso aveva interessi troppo divergenti da tutti loro, francamente vedeva in Quarion uno spirito un po’ più affine di quelli che abitavano il Castello nel Cielo.
    Tutti coloro che a Laputa erano al suo livello erano focalizzati sulla guerra o si scopavano l’Alfiere, per quanto potesse apprezzare il carattere di Yoko, non erano caratterialmente molto compatibili a parte che per le missioni di Gilda.

    Edited by Settra - 4/6/2014, 15:47
     
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    L'Antico non perse tempo ad utilizzare la sua magia per chiudere la ferita dell'Ambasciatore. Nel momento in cui essa fece per l'appunto il suo dovere, egli provò una piacevole sensazione al costato. In molti avrebbero urlato, lui a stento trattenne un gemito di piacere.

    Ecco fatto, dovrebbe reggere meglio del filo e guarire prima se non sforzerai la ferita.
    Quanto ai debiti, non certo in cerca di facili crediti presso ufficiali di altri presidi.


    Oh, quindi non doveva ripagarlo?
    Risposta sbagliata, ed ovviamente entrambi sapevano quale fosse la verità.

    Diciamo piuttosto che quelli che erano i miei amici nell’Est sono diventati fastidiosamente scomodi, quindi mi farebbero comodo nuovi amici. Qualcuno con cui chiacchierare del più e del meno davanti a un divertente spettacolo, con cui avere pochi segreti, qualcuno da cui non devo guardarmi continuamente e che non sia così stupidamente facile da ingannare.

    Il Galanodel sorrise compiaciuto mentre era impegnato ad indossare nuovamente l'abito. Sulla pelle eburnea ancora spiccavano le linee rosse dei tagli che si era inavvertitamente fatto nel tentativo di liberarsi dalle catene che lo tenevano prigioniero.

    -Oh, capisco. Le menti semplici sono facili da comandare, e se da un lato costano poca fatica, dall'altro sono le prime a cadere davanti alla volontà di un ipotetico nemico. Sicuramente nessuno desidererebbe amici del genere.

    Commentò paziente, riabbottonandosi la giacca blu ed argento, colori distintivi del Presidio Orientale di cui era esponente.

    Vorresti essere mio amico, Quarion Galanodel?

    Prima di rispondere, terminò di ricomporsi. Con un movimento della mano si portò la chioma azzurrina indietro, così da liberare il volto di inutili impedimenti. Poi eliminò le pieghe formatesi sulla stoffa ed infine le spolverò con lievi colpetti delle dita. Chiuse gli occhi e tirò un respiro liberatorio.

    -Gli amici sono soliti condividere gli stessi interessi- commentò, lanciando un'occhiata verso la bara, ormai distante -In un certo senso, lo siamo già.

    Sorrise gentile, invitandolo con un gesto a tornare ai propri posti.

    -Ma se desidera averne la conferma, sarebbe per me un onore avere amicizie del vostro calibro.

     
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    Il cortile dl Palazzo del Governo si è progressivamente riempito di gente, e un brusio spezzato e disomogeneo si leva dai numerosi gruppi di amici e familiari -piccoli nuclei di poche persone-, ciascuno in attesa accanto alle spoglie dei suoi defunti... ciascuno preso dai propri problemi e dolori.

    In una sorta di compensazione, gli ufficiali rimasti accanto al feretro sono invece muti e composti, dignitosi e solenni come statue di pietra: i Cavalieri dell'Est, i Generali di Rivenore osservano la situazione dal rialzo della rampa di scale come fiere aquile, sorvegliando in silenzio quanti sfilano su per i gradini, si avvicinano per porgere l'estremo saluto all'Ambasciatrice di Undarm, e infine si accomiatano per tornare ad unirsi alla folla.

    "Non gli importa niente di lei", potrebbe pensare chi -accecato dal proprio dolore- diviene sordo a quello altrui, "Non gli importa neppure delle sorti dell'Ovest." maligneranno nel segreto del loro cuore coloro che dimenticano la compassione -quella sensibilità umana che permette di "soffrire insieme agli altri"-, e lesti si volgono con rabbia ad una rappresaglia che chiamano giustizia... eppure, non è uno straniero quello che -più di chiunque altro- mostra fermezza e distacco.

    Si tratta di un samurai in armatura, Balgas Zeshin, il capitano dei Ronin di Undarm, da sempre al servizio di Odayaka e della sua nobile Famiglia: ha baffi e capelli ormai ingrigiti dal tempo, una vistosissima vecchia cicatrice che lo ha privato già in gioventù dell'occhio sinistro, e nonostante la sua vita si avvii lungo la via del tramonto, è ancora possente e gagliardo da portare l'armatura completa con disinvoltura e sfidare le prime linee nemiche come uno dei guerrieri più forti ed esperti della Resistenza.

    C'era rammarico nel suo sguardo -ma solo verso sé stesso- per non essere stato mai presente per vegliare sulla Signora, troppo preso dal compito di comandante di prima linea -una mansione a cui lei stessa lo aveva destinato-, e ora non gli resta che portare avanti la volontà di Odayaka... e mettere la sua spada, i suoi uomini e il suo onore al servizio dell'Uomo-Serpente in cui ella riponeva tanta speranza e fiducia.

    « Perdonatemi, Principe... »
    esordisce solenne, rivolgendo un rispettoso inchino a Namas e agli altri presenti
    « ...ma è il momento di parlare alla nostra gente. »

    Spartano nei modi, il Ronin omaggia di un altro inchino quelli con cui Namas si stava intrattenendo -in segno di scuse per l'interruzione-; dopodiché, si congeda per tornare al suo posto... al fianco dello Specchio Tranquillo della linea di confine col mare.

    Inori

    Scusate l'interruzione - continuare pure =*
    Il terzo ed ultimo post da QM verrà rilasciato in data 15 Giugno.
    Per dubbi o qualunque altra cosa, potete chiedere in Bacheca. :win:

     
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    Le venature del cielo erano lividi guariti male e lui, sotto tutto quel peso invisibile di colpe e responsabilità, aveva dalla propria parte solo un'anima più oscura del normale.
    Un segreto della Consapevolezza era esattamente quello: solo nell'oscurità l'Illuminazione acquista di senso e vigore.
    Non c'è grotta che non si pieghi al coraggio di una torcia e, parimenti, non c'è giorno pieno di sole che non finisca per ignorare la luce di una candela.


    «Grazie, capitano.»

    Ricambiò l'inchino in direzione del veterano, osservandone i lineamenti: il tempo, su di lui, aveva giocato per molti anni, dimenticandosi di rimettere a posto tutta la vita mossa e spostata, lasciando tracce di dolori e vittorie, sconfitte e libertà lungo tutte le geometrie del viso.
    Odayaka aveva piena fiducia di Balgas Zeshin ed il Principe non necessitava di sapere altro per riporre quindi la propria nel samurai.
    Con la lentezza di una notte arrivata in ritardo, Namas sollevò il braccio fin sopra la testa, annunciando ai presenti il suo desiderio di prendere parola; negli occhi del nagavandari, un'insurrezione di scintille accendevano e spegnevano le iridi non-umane, testimoni che sotto quella pelle alabastro i tumulti fossero più vigorosi di quanto la sua immobilità riuscisse a celare.


    «Compagni!»
    -liberò nell'aria la propria voce, col tono più chiaro e forte da lui posseduto-
    «Fratelli, sorelle, amici!»

    Abbracciò con un'occhiata da sinistra a destra la distesa di corpi ed anime, lasciando sedimentare quelle parole di richiamo.

    «Non c'è conforto capace di cancellare il dolore che state provando.
    E non ci sarà nemico ucciso, fortezza espugnata oppure palazzo raso al suolo che ridarà la vita ai nostri affetti.

    I vostri figli, le vostre mogli, i mariti, genitori, amori ed amicizie: tutta questa vita che ci è stata strappata dalle mani non tornerà più indietro, non nella forma con la quale l'abbiamo conosciuta.
    Essi potranno continuare a vivere nel ricordo che avete di loro, nelle memorie che tramanderete a colori i quali ci seguiranno, a tutti gli individui che verranno dopo di noi e troveranno questa città libera, ricostruita, nuovamente donata al popolo che l'ha sempre accudita.»


    Nel suo parlare, mai per più di qualche secondo lo sguardo aveva indugiato su di uno stesso punto, saltando alla ricerca degli occhi umidi che lo osservavano, occhi che tremavano per la rabbia, occhi che brandivano ragione e follia con la stessa precaria consapevolezza.

    «Impareranno dai nostri racconti la storia di Odayaka, immune al male che ci ha colpiti poiché umana, ma nonostante tutto decisa a raccogliere attorno a sé uomini e donne coraggiosi per resistere all'esecrabile tirannia discesa sui Cinque Picchi.
    Ai nostri figli, al futuro che ci aspetta, dovremo spiegare le storie di ciascuno di noi, di chi ha perso la vita in questa guerra affinché altri potessero vivere un giorno di più e vedere nuovamente la meraviglia del sole che sorge affacciandosi oltre i Fratelli Rossi.

    A chiunque visiterà la nostra città spiegheremo quanti sacrifici sono stati fatti, quanti umani e diversi abbiano stretto la mano l'uno all'altro per vivere sullo stesso suolo. Agli stranieri che verranno da tutta Endlos insegneremo che l'Ovest è la terra di chi ha scelto di sopravvivere, oltre ogni pregiudizio, oltre ogni differenza, oltre ogni dio e percorso possa guidare le nostre più profonde inclinazioni.»


    Si portò una mano al cuore, lasciando che le dita della destra si aprissero leggermente a contatto con il petto. Per un attimo, che parve durare il tempo di un tramonto, il vuoto ed il silenzio colmarono tutto ciò che Namas aveva di fronte.

    «Vi chiedo, ora, di piangere e soffrire.
    E poi vi chiedo di guardarvi a destra ed a sinistra, di cercare lo stesso dolore in chi vi sta accanto.
    Guardatevi, provate assieme ed affrontate insieme questa tragedia.

    Vi chiedo, ora, di sopravvivere per poter tornare a vivere.»

     
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