[CSV] Ordinary weird day

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    Brigante del Vico Buligio®

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    "Allora, sì: Crash è uscito bene, anche se forse ho preso troppo della mentalità dell'originale, quindi se io volessi..."

    Quelli sono stati i pensieri che lo hanno portato nella sala grande della biblioteca: lavoro, studio e rapida raccolta di informazioni. Così ha posato Gianni, il suo fidatissimo computer portatile, su uno dei tavoli della sala, e subito dopo è andato a racimolare qualche libro che sarebbe potuto servire.

    Dopo qualche minuto torna nei pressi del computer, con una pila di volumi retta a fatica dalle sue braccia poco allenate.
    Mappe affettive e corpi biomediati nel gioco elettronico tridimensionale, Estetica dei videogiochi. Percorsi, evoluzioni, ibridazioni, e Sonic the Hedgehog: cronicles sono solo alcuni dei titoli che si possono leggere dalle copertine dei numerosi libri che ha il tecnocrate con sé.

    Tecnocrate che, con tutta calma, depone la voluminosa pila di libri accanto al suo pc per poi prendere quello che sta sulla cima mentre si siede sulla sedia e preme un tasto della tastiera di Gianni, che comincia ad emettere piccoli bagliori regolari e, silenziosissimo, si avvia e diventa operativo mentre il ragazzo apre e sfoglia le prime pagine del libro.
     
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    EzazélE poi gli arrivò un pallone in faccia.
    Al tizio sconosciuto, intendo, non ad Ez. Il piccolo bibliotecario era, ovviamente, l'autore del lancio un po' storto.

    «Scusiscusiscusiscusi!» urlò, sbucando da dietro una libreria. Agitava le braccia, i lunghissimi capelli biondi che ondeggiavano come un mantello alle sue spalle. Era in jeans e maglietta, un orologio-pendaglio che gli sbatacchiava sul petto, puro terrore dipinto sul suo visetto occhialuto.
    «Non l'ho fatto apposta. Scusi.»
    Rallentò il passo, avvicinandosi all'uomo. Studioso? Saggio? Semplice visitatore? Lo squadrò da capo a piedi, ma non riuscì a darsi una risposta.
    Palanthas era enorme, il via-vai di visitatori costante. Sapeva di non conoscere ogni suo Bibliotecario, sapeva i nomi degli altri colleghi - William, Amelie - ma non avrebbe saputo identificarli.
    Lo sconosciuto non aveva un paio d'occhiali, però.
    Quindi non era un Bibliotecario.

    Poco più in là, il suo pallone rotolò per qualche altro metro, per poi finire contro la gamba di un tavolino. Nulla più di una palla di carta da giornale, tenuta insieme da scotch, spago e fantasia.
    «Si è fatto male?» chiese, fissando in faccia lo sconosciuto. E poi, a voce più bassa «Non lo dica ad Arthur, per favore.»
    Sarebbe stato il terzo pallone che gli sequestrava.
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    A librarian's Life - bonus destrezza +50%
    Babelfish - Comprensione linguaggio animale
    Memoria Enciclopedica - passiva di sapienza storica

     
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    "Un automa può essere definito da una serie di asserti che-"

    Gh!

    Qualcosa di abbastanza rigido e tondo colpisce in pieno la faccia di William, che in un attimo perde di vista quello che stava leggendo e a dire il vero per quasi un secondo non capisce più niente.
    La palla rotola, allontanandosi dal luogo del delitto, ed appena il tecnocrate riesce a riprendersi vede una sagoma in avvicinamento che agita le braccia e ripete:

    «Scusiscusiscusiscusi!»

    Quando si avvicina riesce a riconoscere uno dei tanti volti che vede spesso gironzolare nella biblioteca, ma con cui non ha mai parlato.
    Un paio di occhiali stanno davanti a degli occhi verdi in un'espressione spaventata, terrorizzata per quello che ha appena fatto.

    Ma non l'ha fatto apposta...

    William si massaggia il viso cercando di capire se, per caso, il colpo gli ha rotto il setto nasale. Ma per fortuna il dolore è dovuto alla botta e l'osso del naso è ancora un pezzo unico.

    «Si è fatto male?»

    «Non lo dica ad Arthur, per favore.»

    Il tecnocrate strizza gli occhi, guardando un attimo il pavimento per poi portare i suoi occhi su quelli del ragazzo, serio.

    Ma sei-

    Voce troppo alta.
    Il ragazzo tossisce avvicinando il viso a quello del ragazzo:

    Ma sei pazzo?

    Che fai, giochi a pallone in biblioteca?!


    Si massaggia ancora il naso, cercando poi con gli occhi la palla che lo ha colpito in pieno.

    E poi...di cosa è fatta, poi, quella palla?

    Spero non di pagine di qualche libro...


    Con l'ultima frase gli occhi azzurri tornano, seri, su quelli verdi dell'altro: lo spera.
    Lo spera davvero.
     
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    Ezazél
    Strizzò gli occhi, il corpicino scosso da un tremito.
    Una palla... Con dei libri? Insinuava che lui avesse strappato, storpiato, martoriato dei poveri innocenti preziosissimi libri, piegato i loro fogli di carta, sputato sull'inchiostro e sulla conoscenza scritta, e tutto per fare...
    Non osava pensarci. Scosse il capo, per poi raddrizzare la schiena e fissare l'uomo con occhi infuocati.
    C'era un solo modo per far seriamente incazzare Ezazél.
    Quell'uomo l'aveva appena trovato.

    «Giammai!» urlò, portandosi una mano al petto.«Sono fogli bianchi presi da un libro infinito.» spiegò stizzito.
    Si aggiustò gli occhiali sul naso con l'altra mano.
    «E poi nel regolamento della biblioteca c'è scritto di fare silenzio, non di non giocare a pallone. Io stavo giocando silenziosamente.» concluse, la voce grave e accusatoria. Come se fosse il suo interlocutore, quello che aveva violato il regolamento della biblioteca.

    Si sentiva insultato nella sua professionalità. Ed essendo lui nato per essere un Bibliotecario, insultare il suo lavoro significava insultare la sua persona in generale. Insomma, se l'era presa sul personale.
    Anche se, va detto, come bibliotecario non aveva dato la migliore delle prime impressioni.

     
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    «Giammai!»

    Esordisce a gran voce il ragazzino, mentre William porta le destra avanti nel tentativo di tappargli la bocca.

    «Sono fogli bianchi presi da un libro infinito.»

    Un libr--

    L'altro continua specificando che nel regolamento della biblioteca c'è solo scritto di fare silenzio, e che lui stava giocando a palla silenziosamente.

    Veramente...

    Meno di un secondo di silenzio separa la spiegazione dell'altro dalla parola del tecnocrate, che prende alcuni attimi per sistemarsi meglio sulla sedia, abbassando un attimo lo sguardo per poi portarlo nuovamente sul volto del ragazzino:

    ...il regolamento dice che è necessario fare silenzio, e non arrecare disturbo alcuno a chi è impegnato nella lettura nei locali della biblioteca.

    Una volta, appena arrivato, aveva dato una scorsa al regolamento della biblioteca dove si sarebbe trasferito. Non gli è servito altro per avere stampate nella testa tutte le parole che lo costituiscono.
    William tiene per un secondo un'espressione seria con gli occhi azzurri piantati in quelli verdi del suo interlocutore.

    Poi un sospiro divertito gli fa abbassare la testa che viene raggiunta subito dalla mano destra che massaggia per un attimo la fronte.
    Subito dopo ritorna a guardarlo mentre il viso divertito fa il paio con una voce molto più calma e rilassata di quando ha citato quel frammento del regolamento:

    Comunque io sono William.
    William de la Croix.


    La mano viene protesa in avanti con l'intento di stringere quella che gli dovrebbe venir protesa dall'altro e presentarsi più o meno formalmente.
    Il volto muta in un'espressione stanca, mentre continua a parlare:

    Ed effettivamente sono qui seduto da quattro ore quasi ininterrottamente per studiare...

    Gli occhi si muovono rapidi, la voce riacquista vita:

    Posso...
    Posso unirmi... e giocare a pallone con te?


    Subito dopo aver parlato guarda a destra, poi a sinistra, poi torna a fissare il ragazzino e precisa:

    Fuori..?
     
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    Ezazél
    Ma lui non stava disturbando! Lui stava giocando per conto suo, ecco, e poi insomma...
    ...Uffi.

    La studioso non parve prendersela, comunque. Stava quasi ridendo! La cosa fece tornare il sorriso anche a Ezazél, che porse la mano al ragazzo per presentarsi.
    «Io sono Ezazél!» disse con voce squillante «Ezazél ebbasta. Sono un Accolito di Sophia.»
    Per essere un Saggio di Palanthas, non aveva dato prova di grande professionalità. D'altra parte, la Gemma della sua Via era tra tutte la meno seriosa.
    Tutta colpa di certe brutte influenze, insomma.

    «Giochiamo fuori.» concordò. Recuperò il pallone, per poi acchiappare il ragazzo per una manica e trascinarlo verso la porta.
    Una partita uno contro uno sarebbe stata noiosa, però. Magari poteva chiedere a qualche altro Saggio di giocare!
    Ma chi?
    Non Arthur, di sicuro: lui era troppo. Rigido. Continuava a sequestrargli palloni!
    Ce lo vedeva bene come arbitro, al massimo.
    Kerobal! La sua stanza era sempre piena di signorine, ce n'erano abbastanza per fare una squadra intera. Però Kero non voleva mai giocare con lui, lo guardava sogghignando e gli diceva sempre che i suoi erano passatempi per bimbi grandi.
    Umpf. Come se non sapesse che lui e le signorine facevano delle gare di karaoke, li sentiva sempre urlare.
    Erano pure stonate.
    Chi altro... Insegnare a Brifos a giocare sarebbe stato frustrante: il gigante era così poco reattivo. Al primo colpo di testa, poi, avrebbero dovuto fare un'altra palla.
    Mumble. Mentre rimuginava sulla cosa, si diresse un passettino alla volta verso il giardino.

     
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    I raggi del sole filtravano tra i vetri delle finestre della Grande Biblioteca, illuminando gli scaffali ben lucidati e tutto l'ambiente di luce naturale. Dopotutto era una così bella giornata che sarebbe stato un peccato non permettere al calore del sole di entrare anche all'interno della struttura. Uriel scostò il lungo drappeggio di stoffa cremisi in modo da coprire la finestra del suo studio, per poi tornare a sedersi sulla scrivania dove sostava ormai da un paio d'ore intento a leggere uno dei tanti libri della Biblioteca, immerso nell'odore speziato che le antiche pagine emanavano, disperdendolo nell'etere. Sfogliò delicatamente le pagine che le componevano, prestando molta attenzione a non danneggiare il sottile strato di cellulosa ormai ingiallito dal tempo. Si domandò per un istante quanti anni avesse e abbozzò un sorriso nel pensare che probabilmente ne aveva più di lui, magari il doppio o addirittura il triplo, se non di più.

    Un paio d'ore dopo, il semidio scese le scale per portarsi al pian terreno, deciso di andare a prendere una boccata fuori nel maestoso giardino che la biblioteca offriva. Raggiunse lentamente una delle panchine che si trovavano lungo il percorso e si sedette ad osservare il cielo. Una placida giornata, dopotutto. Si sgranchì le braccia e si mise a pensare ai fatti suoi. Ogni tanto gli faceva piacere, essere baciato dai raggi del sole -pallido qual era-.


     
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    Un lieve sorriso si può notare quando l'altro dice di essere Ezazél ebbasta, pronunciando poi la sua posizione nel cammino della corona da lui scelta.
    William ha un momento di imbarazzo: anche lui avrebbe dovuto dirla, ma non è ancora abituato a presentarsi in questo modo, quindi si affretta ad aggiungere:

    Oh, anche io sono un Adepto, ma è Regalia la mia Via.

    Subito prima di venir afferrato per la manica e tirato -senza fare troppa resistenza- verso il portone che conduce direttamente al giardino antistante la biblioteca.

    Mentre si muovono a passo svelto, quasi fosse una cosa che dovevano fare da tempo, William nota l'aria pensierosa di Ezazél, così appena sono fuori ed è finalmente libero dalla presa dall'energica presa del ragazzino William lo guarda in viso, cominciando a scendere con le proprie gambe per la scalinata davanti alla porta.

    A cosa pensi?
    Giocare dove non puoi fare danni non è abbastanza divertente..?


    Una piccola frecciatina involontari, lo stesso William se ne accorge appena ha finito la frase...
    Beh, ormai quel che è detto è detto...
     
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    Ezazél
    Regalia, Regalia...
    «Oh! Allora sei allievo di Brifos!»
    Ah, questi fisici, tutti così rigidi e seri.
    La Via delle Leggi aveva inizialmente attratto anche lui: gli piaceva sapere come funzionavano le cose. Lui preferiva le persone alle formule matematiche, però, e le regole astratte delle storie ai numeri che compongono l'universo.
    E poi la Corona di Sophia era così allegra! Peccato che fosse lontano da Palanthas, in quei giorni.
    Lei forse avrebbe giocato a palla.

    «Pensavo che qui c'è tanto spazio ed è un peccato essere solo in due a giocare.» spiegò, il capo chino.
    Possibile che tutti fossero impegnati a studiare al chiuso? C'era un bel sole, avrebbero potuto leggere tutti in giardino. E fare un picnic! Gli piaceva fare i picnic. Però non poteva cucinare, quindi in realtà sarebbe stato Arthur a cucinare per tutti. Lui poteva stendere le tovaglie e tirare fuori i piattini di plastica e piegare i tovagliolini a forma di cigno, però.

    Andò in avanscoperta, distaccandosi da William per guardarsi saltellosamente intorno.
    C'era un ragazzo su una panchina! Un tipo tutto scolorito, mai visto prima. Lo raggiunse zompettando, piazzandosi davanti a lui.
    «Ciao!»
    Sorrisone a trentadue denti.
    «Vuoi giocare a palla con me e William?»
    Allungò le braccine, porgendogli il pallone di carta e scotch.

     
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    «Ciao!»
    Se la panchina su cui sedeva non fosse ancorata a terra l'avrebbe rivoltata. Riportato nel mondo reale in maniera così brusca, il semidio osservò la causa di disturbo con occhi sgranati. Un ragazzino? Un elfo? Cos'era? Ancora scosso, il semidio piegò le labbra in una smorfia che doveva sembrare il più possibile un sorriso.
    «Ci-»«Vuoi giocare a palla con me e William?»
    Perché, perché? Cos'aveva fatto di male?
    Il ragazzino gli mostrò una pallina fatta di carta e scotch.

    Di carta...

    ... e scotch.

    ...

    Perché, perché? Cos'aveva fatto di male?

    No, un momento.
    Perché no? Dopotutto si stava annoiando anche lui e stava cercando di svagarsi a modo suo. Si, stare seduto su una panchina a pensare secondo lui era divertentissimo. Non aveva mai giocato a palla, soprattutto con della carta stropicciata a fare da pallone. Sospirò, scacciando via i brutti pensieri che aveva appena fatto sul ragazzino per colpa dello spavento.
    «D'accordo, fai strada.»
    Si alzò dunque dalla panchina su cui sostava e attese che lo scortasse verso la "zona svago". Un'ultima frecciatina lo colpì.
    «Ma bada: che non siano pagine di un libro quelle che tieni in mano.»
    Quella sarebbe stata l'ultima goccia, e lì sarebbe stati dolori la creaturina.


     
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    Hmpf!

    Un suono di risata scappa dalla bocca di William mentre assiste allo scambio di battute tenendosi due metri indietro.
    Beccato.
    Sperava di rimanere invisibile ancora per qualche secondo, almeno per poter capire con chi ha a che fare, ma non c'è riuscito...quindi si avvicina portando lentamente la mano destra in avanti e guardando l'altro sfortunato negli occhi mentre parla:

    Io sono William de la Croix, un accolito di Regalia.

    Conclusa questa parte formale il tecnocrate fa un passo indietro per guardare meglio il cortile nella sua interezza, poi guarda gli altri due saggi, poi la palla di carta, di nuovo il cortile, e alla fine indica pochi metri davanti a loro, il prato tra la scalinata e il lago artificiale.

    Credo che possiamo metterci qua: per farci due passaggi non dovrebbe volerci troppo spazio...credo...
     
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    Ezazél
    Uffi! Perché tutti pensavano che lui strappasse i libri? Era un bibliotecario, non si notava? Aveva gli occhiali!

    Gonfiò le guanciotte come un pesce palla. Stava per replicare, quando William li raggiunse e si presentò allo sconosciuto.
    «Io sono l'Accolito di Sophia!» urlò lui subito dopo, saltellando sul posto.
    «Mi chiamo Ezazél!»
    Non c'erano altri seguaci della via della Storia oltre a lui e al suo maestro, no? Se ci fossero stati, si sarebbero fatti notare. Avrebbero corso in giro, fatto scherzi, canticchiato cose allegre e giocato a palla con lui.
    Nella sua mente, essere un allegro rompiscatole era un prerequisito per poter studiare la Storia.

    «E questa l'ho fatta coi fogli bianchi, non vedi?» si alzò sulle punte dei piedi e alzò le braccia, schiaffando la sfera di carta contro il naso di capelliargento. Poi gli ficcò il pallone in mano, e corse all'indietro senza dargli la schiena.
    «Lancia, lancia!» urlò, agitando le braccine.
    Ce l'avrebbe fatta a tirarlo? Gli sembrava così deboluccio. Forse avrebbero potuto fare giochi meno stancanti, tipo sedersi in cerchio e far rotolare il pallone sull'erba...
    È che i giochi meno stancanti sono anche quelli più noiosi.

     
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    La simpatica creaturina gonfiò le guance indispettito. Uriel lo osservò divertito, notando con la coda dell'occhio che effettivamente i due non erano soli. Infatti, a piccoli passi si avvicinò un ragazzo e porse una mano ad Uriel presentandosi come un Accolito di Regalia e di chiamarsi William, come effettivamente l'esserino gli aveva comunicato poco fa.
    «Io sono l'Accolito di Sophia! Mi chiamo Ezazél!»
    Oh, e così Julian e Brifos avevano dei pupilli? Non lo sapeva.
    Beh, buono a sapersi.
    «Piacere mio. Io sono Uriel, Gemma di Dharma.»
    Si presentò a entrambi, guardando un po' uno e un po' l'altro.
    «E questa l'ho fatta coi fogli bianchi, non vedi?»
    Per quanto paziente potesse essere Uriel, c'era qualcosa in quel marmocchio che lo infastidiva. Sarà perché poco prima gli aveva fatto prendere uno spavento, sarà perché a primo impatto pareva avesse strappato le pagine di un libro...sarà perché in quel momento gli stava schiaffeggiando il naso con quella carta appallottolata! Non sapeva che dirgli, e non ne ebbe nemmeno il tempo, poiché gliel'aveva già messa in mano.
    «Lancia! Lancia!»
    Agitando le braccine come stesse affogando, Ezazél voleva che gli fosse passata la palla mentre prendeva le distanze dal semidio. Inutile dire che le sue urla avevano coperto l'ipotesi dell'altro circa la decisione sul luogo.
    Sospirò, dunque, alzando la mancina e lanciando la palla verso Ezazél. Ammise di averla lanciata forse un po' troppo alta, tanto che se avesse voluto prenderla, avrebbe sicuramente dovuto saltare. Ma infondo, si vedeva lontano un miglio che per lui i salti non erano un problema.


     
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    Lo sguardo dell'accolito di Regalia si abbassa con disappunto, mentre il collega di Sophia da mostra della sua estroversione, presentandosi quasi come fosse un bambino -che effettivamente vista la stazza lo si può anche pensare- che si vuole vantare di quella cosa figa che fa sempre.

    Dharma!
    Uno che sta con Amarth: interessante...


    La voce con cui parla William cala di volume, arrivando a dire l'ultima parola abbastanza piano, sicuramente coperta dagli schiamazzi di Ezazél, che schiaffa letteralmente la palla in faccia ad Uriel e si allontana, gridando chiedendo di lanciargliela, agitandosi come per far notare dove si trova.

    Il tecnocrate guarda la scena, arretrando di qualche passo in modo da cercare di formare un triangolo più possibile equilatero con gli altri due, e alza il naso all'insù quando la palla viene lanciata e vola più in alto di quello che si sarebbe aspettato, forse un po' troppo in alto...

    "Un po' altino...ce la fa a prenderla?
    Ezazél è un po' bassottino...anche se sembra abituato a saltare costantemente..."
     
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    La pallina era caduta vicino ad una finestra al primo piano, dopo aver sbattuto contro il vetro liscio e ben pulito. Se l'arma del delitto non fosse stata fatta in modo così frugale e con materiali scadenti, ora sarebbero tutti stati richiamati per ripagare i danni. Ma così non fu: le ante si aprirono lievemente come una grande bocca verticale nell'atto di bisbigliare i propri segreti. Da essa uscì un braccio cinto di stoffa scura che si gettò sul piccolo tesoro, strappandolo alla loro vista. Da quel preciso istante sarebbero trascorsi circa due minuti e quarantasette secondi, giusto il tempo di permettere al vampiro di uscire dal proprio studio e raggiungerli in giardino. Come al solito aveva il volto inespressivo, la postura rigida e lo sguardo glaciale. Questa volta, però, i più arguti avrebbero potuto notare un sopracciglio destro impercettibilmente più alto del solito, segno che il galantuomo stesse perdendo le staffe. Senza dire una parola, mostrò loro ciò che aveva appena sequestrato.

    scazz_zps0be04d30

    -Come ha fatto questa a raggiungere la finestra del mio ufficio?

    Domandò con tono pacato, squadrandoli tutti e tre.
    Nonostante fosse calmo, metteva un pò i brividi.

    -Illuminatemi, signori, di quale studio approfondito vi stavate esattamente occupando?

    E boh, rimase lì, immobile.
    Come un cadavere.
    In silenzio.

     
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