[CSV] Il cielo nudo

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  1. Droplet
     
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    Le biblioteche custodiscono libri.
    Dai libri si impara.
    A Maeve piace imparare.
    A Maeve piacciono le biblioteche.

    Quello che non le piace è che quella biblioteca sia in mezzo a un giardino. Un giardino ampio e arioso, sotto il cielo terso... dovrebbe piacerle, si dice. Dovrebbe piacerle. Perché allora odia ogni passo che deve ancora muovere prima di giungere all'ingresso? Ha pregato così tanto per vedere il cielo, dovrebbe essere esaltata, euforica, e invece. E invece ha scoperto che il sole brucia la pelle troppo chiara e acceca gli occhi ipersensibili, il vento scompiglia i capelli e la fa sentire instabile, e il cielo, il cielo, ilcieloilcieloilcieloilcielo
    il cielo è una distesa sconfinata che le toglie il respiro. Non in senso buono.
    Agorafobia – i camici l'avevano avvertita. Dopo un'esistenza al chiuso agogna l'esterno come l'aria e lo teme al tempo stesso, guidata non dalla logica ma da un istinto radicato nelle viscere. E se il cielo cade?
    No, decisamente non dalla logica. Va meglio rispetto all'inizio, grazie a settimane di cauti tentativi e piccole conquiste: dal panico cieco è passata ad un'ansia controllabile, come un dolore sordo in sottofondo. Quella che sta peggio è Dreide – è brava a non farsi notare, ma a volte perde il controllo, le sfugge un gemito o un'ondata di terrore, e così Maeve ricorda che lei è lì. A chilometri di distanza, chiusa in una stanza dal soffitto basso e i confini definiti, eppure anche nella sua testa e sotto il cielo.
    Insomma invece di rischiare un attacco di agorafobia ne rischia due, il proprio e quello di Dreide. Meraviglioso. Ma ci sono anche le pillole che prende per dormire, e per il mal di testa, e per tranquillizzarsi, e per aiutare per un sistema immunitario troppo acerbo: le evitano panico e collassi, rendendola più in forze e meno lucida.
    Probabilmente deve ringraziare quelle pillole, più che la propria volontà, se riesce a raggiungere l'ingresso. Le arcate offrono ombra ma non le basta, deve entrare, rifugiarsi tra pareti rassicuranti e calmare il cuore che pulsa troppo forte – forse per l'ansia, forse per l'andatura troppo rapida con cui ha divorato gli ultimi metri. Irrompe all'interno come un uomo che emerge da un'apnea troppo lunga. Ci sono altre persone, le ignora, non esistono. Esiste solo la rassicurazione di soffitti e pareti e chiuso, chiuso, meraviglioso chiuso che non la fa sentire nuda e allo scoperto. Cammina, si allontana dall'ingresso con passo frettoloso per cercare corridoi angusti e scaffali dai colori accesi – così accesi da essere brillanti, irreali, li vuole così violenti da accecarla e cancellare il mondo fuori. Vuole stare sola e sentirsi al sicuro e tornare a respirare.
    Sei sola si dice, non c'è nessuno, avanza in un passaggio tra due scaffali che sembra deserto. Va tutto bene, va tutto bene, ma per quanto possa ripeterselo il mondo resta un ammasso nauseante di macchie nere e aria che manca. Si ferma, con una spalla contro uno scaffale per sostenersi e le gambe che tremano. Non respira – certo che respira. Se non respirasse sarebbe già morta. Eppure è come avere un nodo in gola che stringe, stringe, stringe fino a bloccare l'aria, il petto è così pesante che le sembra di non riuscire a sollevarlo. Le macchie nere esplodono ancora davanti ai suoi occhi, inghiottono il mondo. Stringe le braccia al petto, ma ha caldo, lo scialle bianco che la avvolge è soffocante e allora se lo scrolla di dosso, ché non c'è più bisogno di proteggersi dal sole. Il cotone cade a terra con un fruscio leggero, lei abbandona la schiena contro lo scaffale. Chiude gli occhi.

    A Maeve non piacciono le biblioteche.

     
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    0m6y6Ce
    Scostò i drappeggi che coprivano le grandi vetrate del suo studio, lasciando entrare la luce del sole, sufficiente a illuminare l'intera stanza di luce naturale. Il semidio poggiò una mano su uno dei quadrati vitrei che componevano la vetrata, incorniciati da ferro battuto color nerastro. I suoi occhi si riflettevano sul vetro, il suo sguardo in cerca delle nuvole. Ogni tanto gli piaceva osservarle e cercarne qualcuna dalla forma bizzarra. Lo divertiva. E voi direte: "che c'è di bello a guardare le nuvole?" Eppure, a Uriel piace. Gli piace pensare che il cielo voglia giocare con gli esseri umani, che voglia essere anche lui parte del loro mondo, che quando si è tristi, basta voltare lo sguardo al cielo. Che bello il cielo.

    Chiuse il libro dalle rilegature dorate che si trovava sulla scrivania in legno lucido, si sistemò rapidamente il vestito e con passo leggero si diresse fuori dallo studio, diretto verso l'ingresso. Gli andava di sgranchirsi le gambe dopo un'intera mattinata passata lì, schiena piegata sulla carta rilegata. Scese le scale in marmo bianco, la sua mano che sfiorava lo scorrimano; un gesto più simbolico, quanto di reale appoggio a esso. Giunto al piano terra, si diresse verso l'entrata, voltando più e più volte tra gli enormi scaffali che racchiudevano il Sapere. Aveva deciso di prendere la strada più lunga, volendosi accertare che ogni cosa fosse al suo posto. E così pareva. Fino a quando...
    Una ragazza era poggiata ad uno scaffale, gli occhi chiusi e un bianco scialle a terra. Uriel si avvicinò rapidamente, temendo che l'ospite si sentisse male. Si chinò per raccogliere l'accessorio e glielo porse.
    « Va tutto bene? »
    Con una voce melodica e pacata, il Saggio le chiese preoccupato se stesse bene. Sia mai che qualcuno fosse ferito, entro quelle mura.





    AiqaIp8


    Status fisico: ottimale
    Status psicologico: ottimale

    Energia:

    ████████████████████ 100%

    Abilità Passive:

    » Divine Charme: Nonostante Uriel non sia la perfetta immagine della bellezza, i suoi poteri da Semi-dio lo rendono comunque affascinante, un uomo da conquistare. Chiunque avrà a che fare con lui proverà un senso di attrazione e sicurezza, portandolo a rispondergli sinceramente e a diffidare dall'attaccarlo. Come si fa ad attaccare un così bel faccino?
    [Passiva di Charme]

    » Innocent Aura: Auspex spirituale

    » La voce della Saggezza: E' questo un suono che tutti possono udire, perché scaturito dall'alta sapienza di coloro che lo pronunciano; la volontà dei Saggi muove questo potere, così che dalla loro giusta voce escano parole che agli altri appaiono profondamente sapienti, e pertanto degne di rispetto, così come degno di rispetto sarà, per chi ascolta, colui che parla.
    Una malia, un'azione per convincere anche i più scettici della grandezza dei Sapienti di Endlos, sicché al volere di questi le parole diventino capaci di infondere nella mente di chi le oda un tale rispetto per queste e per i Saggi, che certamente non dubiteranno della loro veridicità, e se verrà pronunciato un comando, vorranno eseguirlo senza proteste, quasi fosse l'ordine del loro più caro e severo dio.
    [Aura di Carisma]

    Abilità Attive:


    Note: Ho inserito le passive di cui tener conto :) Dal prossimo turno non le inserirò più ma sono comunque da considerare attive! :flwr:


     
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  3. Droplet
     
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    L'assurdità dell'agorafobia è che Maeve sa che va tutto bene – che non ha smesso di respirare, che il cielo non le crollerà addosso, che l'umanità vive all'esterno da sempre. Ma tra saperlo e sentirlo c'è una differenza enorme, quando la razionalità annega nel mare di panico; e paradossalmente la parte peggiore di quegli attacchi è proprio alla fine, non nel mezzo, quando si rende conto di essere stata stupida e illogica ma il suo corpo ancora non lo sente. Sì certo d'accordo lei sta respirando macontinuaasentirsisoffocare. Potrebbe aprirsi la gola con il coltellino, forse l'aria passerebbe.
    ...e forse questa è Dreide che la istiga al suicidio.

    «Va tutto bene?»
    Spalanca le palpebre. Ha gli occhiali da miope appesi allo scollo della maglietta, ma l'estraneo è tanto vicino da risultarle comunque nitido: è un ragazzo, avrà più o meno la sua stessa età. Un altro visitatore?
    «Io...» tenta, prima che la voce le muoia in gola. Si inumidisce le labbra e per prendere tempo accetta lo scialle che il ragazzo le porge, lo ripiega su un braccio e se lo stringe al petto. Macchie nere danzano ai lati del campo visivo, meno insistenti di prima. Prende un respiro tremulo – ehi, respira! È già un miglioramento, no? – e continua: «Sì. Sì, grazie. Ho solo avuto un...» si schiarisce la voce «un calo di zuccheri, ma ora va meglio. Ho preso delle caramelle.»
    Oh, sì, ha le tasche piene di caramelle – grigie e rosse e bianche e molti altri colori. Una volta in effetti un bambino ne ha ingoiata una grigia, al laboratorio... quando ancora lei non aveva imparato a controllarne il meccanismo. Sfera esplosa, fumo in gola, bambino quasi morto – complimenti, Maeve.
    (ma l'ultimo pensiero non l'ha formulato la sua voce. dreidesenonescidallamiatestatiammazzo.)
    Come se potesse davvero uscire dalla sua testa. È lì e non se ne può andare, glielo ricorda il catalizzatore che brucia al lato del capo. Fa sempre così dopo gli attacchi di panico: una scheggia bollente conficcata sotto la pelle. Proporrà ai camici di installarle una ventola sull'orecchio, così si rinfrescerebbe e potrebbe farsi chiamare donna-girandola.
    Donna-girandola. Mh mh, suona bene.

     
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    «Sì. Sì, grazie. Ho solo avuto un... un calo di zuccheri, ma ora va meglio. Ho preso delle caramelle.
    Il semidio la squadrò. Non gli pareva stesse così bene come lei stessa effettivamente diceva di stare. Le sfiorò lentamente e gentilmente le braccia, in modo da sostenerla.
    « Ne sei sicura? Vieni, ti porto a sedere. »
    Con voce che avrebbe tranquillizzato chiunque, il Saggio tentò di fare un po' di forza sulle braccia per testare se la ragazza non avrebbe opposto resistenza e se si fosse fatta scortare fino alla sedia più vicina. Perché era pur sempre vero che prima di tutto Palanthas era una biblioteca, ma all'occorrenza era anche un rifugio per chiunque ne avesse bisogno. E se la Corona di Obeah non si trovava in sede, spettava comunque a qualcun'altro prestare le cure necessarie, seppur in quantità minima.


    ATRvA


     
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  5. Droplet
     
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    «Ne sei sicura? Vieni, ti porto a sedere.»
    «...sì.»
    Si lascia scortare oltre la corsia tra gli scaffali, fino a una sala da lettura letteralmente dietro l'angolo. Non sa se sentirsi lusingata o imbarazzata, quindi opta per abbandonarsi sulla sedia più vicina e non dare un giudizio. Le macchie nere tornano, lei chiude gli occhi – sarà la pressione? Il respiro va meglio, però. Avrebbe dovuto prendere gli ansiolitici prima di uscire, ma la fanno sentire poco lucida e controllata, e Dreide si lamenta che il contatto diventa più instabile, e lei ha pensato che dovrebbe abituarsi, e... ed è stata un'idea poco brillante. Scuote la testa e riapre gli occhi, scacciando quei pensieri.
    «Grazie.»
    Accenna un sorriso, ma non riesce a guardare in viso l'estraneo – l'imbarazzo inizia a prevalere sulla lusinga. Fa scivolare lo sguardo oltre, volta il viso verso i tavoli e gli scaffali. È una sala della biblioteca ma le sembra... strana. Al laboratorio la biblioteca ha una porta rossa con lo stipite ruvido, pareti bianche e mobili dai colori vivaci per risaltare: mensole azzurre con incise tre tacche per gli audiolibri, verdi con quattro tacche per quelli in Braille, scaffali gialli e lisci per quelli stampati – a caratteri normali nei ripiani più bassi e poi più grandi, sempre più grandi man mano che si risale. Una biblioteca pensata per ciechi e ipovedenti – e per cavie, ovviamente. Libri di scienze, lettere, filosofia, libri insomma pieni di concetti e stimoli; ma pochi sulla vita fuori, sulla vita normale, e tra quei pochi nessuno che la dipingesse bene. Cavie educate per apprezzare la loro condizione, per temere l'esterno – i camici se l'erano studiata bene.
    La biblioteca del laboratorio, poi, potrebbe entrare in quella sala da lettura e avere ancora spazio.
    «Però. Proprio piccola, Palanthas.» commenta con un sorriso più convinto.
    Probabilmente impiegherebbe mesi solo a leggere tutti i titoli presenti.
    ...vorrà dire che ci passerà molto tempo.

     
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    «Grazie.»
    La ragazza lo ringraziò e sorrise, chiaramente imbarazzata. Di contro, sorrise anche il semidio, nonostante la ragazza non lo stesse guardando; era più intenta a osservare l'ambiente circostante piuttosto che la sua persona. La vedeva guardarsi intorno -curiosa- mentre posava il suo sguardo sugli scaffali e gli innumerevoli libri che si reggevano l'un l'altro, sui tavoli e l'architettura di cui era composta la biblioteca. Pareva le piacesse il posto.
    «Però. Proprio piccola, Palanthas.»
    Quella frase gli fece scappare una debole risata.
    « Ti piacciono le biblioteche? »
    La curiosità si accese sugli occhi del Saggio. Lasciò andare la ragazza e si spostò dall'altra parte del tavolo, sedendosi. Ora che si trovava la ragazza di fronte, poteva guardarla negli occhi.




    Chiedo perdono per la "lunghezza" dei post, ma ho tante giocate aperte e piuttosto che farti aspettare oltre, preferisco rispondere così. Senza contare che sono in un periodo di scarsa ispirazione D:
     
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  7. Droplet
     
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    «Ti piacciono le biblioteche?»
    Maeve soppesa la risposta, giocherellando con lo scialle in grembo. Le piacciono le biblioteche? Più delle schifezze fritte e unte, il che è tutto dire. Le piace il pacchetto completo biblioteca+scarpinata+sole+aria aperta+mezzo attacco di panico? Un po' (tanto) meno, e ha l'idea che qui il pacchetto completo lo offrano gratis ogni volta.
    Ma andiamo, se una biblioteca è meglio del fritto vorrà pur dire qualcosa.
    «Mh... non tanto.» scrolla le spalle. Poi sogghigna. «Quel poco che basta per volerci passare i secoli.»
    Ché, quando era al laboratorio, era tanto carino pensare che ooooh finalmente avrebbe potuto imparare di persona e toccare le cose con mano e non essere limitata dai libri, ma poi ha scoperto che senza ansiolitici diventa un'idiota con lo scialle da ottantenne e il panico di Dreide. E che gli ansiolitici preferisce evitarli comunque. Lo scialle no, è così morbido, però il panico non è carino e coccoloso proprio per niente, quindi... quindi ben vengano i libri, tonnellate di libri, montagne di libri, che sono un modo sicuro e confortevole di imparare. (escludendo il tragitto per raggiungerli. Ma sssh, meglio non ricordarlo.)
    «Tu invece? Topo da biblioteca?»



    Eccomi! Scusa il ritardo, alla fine ce l'ho fatta (:
     
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    «Mh... non tanto.»
    Si chiuse nelle spalle e un simpatico ghigno si palesò in volto, affermando il contrario. Le piacevano talmente tanto da restarci praticamente per l'eternità.
    E la cosa non fece altro che far piacere alle orecchie della Gemma, oltre che a fargli uscire un sorriso più che radiante, come se quella giornata si fosse illuminata d'improvviso.
    «Tu invece? Topo da biblioteca?»
    Ecco, quella domanda invece fece affievolire il suo sorriso. Non si aspettava di essere definito un topo da biblioteca e -nonostante non la trovasse un'offesa e avendola sentita centinaia di volte- lo fece rimanere interdetto per qualche istante. Forse non si aspettava un linguaggio simile da una signorina.
    « Diciamo che nel mio mondo ho vissuto in una biblioteca per molti anni. »
    Ripensò brevemente alla sua vita come semidio, dove una volta avuto accesso alla Sacra Sede aveva deciso di ricominciare la propria -nuova- esistenza nella biblioteca del palazzo. Per quasi un secolo visse al suo interno, per poi finire su Endlos a causa di un suo esperimento fallito. Ah, quanto tempo era passato da allora.
    Mentre divagava, il semidio non si accorse che uno degli addetti alla biblioteca, ammantato come di consueto di blu, si era avvicinato alla coppia, per chinarsi e portare le labbra a portata d'orecchio di Uriel.
    Qualcuno richiedeva la sua presenza.
    Si apprestò dunque ad alzarsi dal suo posto, rimettere apposto la sedia e fare un cenno col capo in segno di scuse, rivolto alla ragazza.
    « Perdonami se ti lascio sola in questo modo. Vedi, mi stanno cercando, e come Saggio devo adempiere ai miei doveri. E' stato un onore. »
    Si diresse così verso la nuova meta, scortato dall'addetto, dandole le spalle.
    « Se volessi tornare a trovarmi, chiedi di Uriel. »
    E si allontanò tra gli scaffali.


     
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  9. Droplet
     
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    Uh, il ragazzo sorride. Evidentemente le biblioteche piacciono anche a lui – be', dato il luogo dell'incontro forse avrebbe potuto arrivarci da sola. Viva le domande di circostanza per fare conversazione.
    «Diciamo che nel mio mondo ho vissuto in una biblioteca per molti anni.»
    Inarca lievemente le sopracciglia, poco convinta. Vivere in una biblioteca? Forse è un'iperbole. O forse nel suo mondo la gente vive nelle biblioteche. Potrebbe anche piacerle, un mondo simile.
    (o forse è solo un pazzo che sta delirando – può essere? Non è molto brava a valutare le persone, no no.)
    Stropiccia lo scialle, incerta. Forse la sta semplicemente prendendo in giro.
    Forse forse forse forse, la gente è tutta un enorme punto interrogativo che non sa interpretare. A volte servirebbero i sottotitoli.
    Oh, solo a volte? sibila Dreide nella sua testa.
    La misantropia dev'essere genetica.
    Un addetto alla biblioteca si avvicina per sussurrare qualcosa al ragazzo. In una biblioteca non si chiacchiera amabilmente, s'immagina di sentirgli dire – e invece dev'essere altro, perché il punto interrogativo a forma di uomo si alza e le fa un cenno.
    «Perdonami se ti lascio sola in questo modo. Vedi, mi stanno cercando, e come Saggio devo adempiere ai miei doveri. E' stato un onore.»
    ...come Saggio deve adempiere ai suoi doveri.
    La mascella decide di staccarsi dal resto e cadere sul pavimento, sposando la forza di gravità.
    No no no no. I Saggi dovrebbero essere vecchi con occhiali spessi quanto fondi di bottiglia, la gobba e rughe profonde quanto un canyon. Non gente normale che si siede a chiacchierare come se niente fosse, senza neanche un'entrata ad effetto e cori angelici in sottofondo.
    Lo guarda andarsene – o meglio, lo fissa senza ritegno.
    Un Saggio.
    No, decisamente non è brava a valutare le persone.



    Ritardo. Ops. Grazie per la role, spero che le altre stiano andando bene! (:
     
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8 replies since 14/8/2014, 00:16   151 views
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