The Sword in The Obsidian

[EM] Building on Ruins ~ Epilogo II

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    Un passo nella polvere, un passo nel sangue.
    Due passi. Destro, sinistro, destro e sinistro.
    Uno nella polvere, e l'altro nel sangue.
    Due passi, come due erano i giorni passati da quel delirio.
    Respirare a pieni polmoni permetteva di assaporare ancora il ferro che dal terreno smosso si librava nell'aria, invisibile agli occhi, inconfondibile al gusto.
    Chiudere le palpebre permetteva di rievocare le scene di quella battaglia che per sempre avrebbe cambiato la faccia della Tana e dell'intero Presidio del Sud.
    Un viaggio dei sensi per rivivere il momento in cui gli Eversori avevano vinto, il momento in cui Bid'daum, Zimmer ed Ariste avevano scritto col sangue la parola "Fine" al preludio della loro ascesa al potere.
    Gli Eversori erano, finalmente, i padroni di Merovish.

    Per sempre, o per un istante?
    La voce di Aìtnē come cenere nel vento s'insinuò tra i pensieri frastagliati del greco, il quale passeggiava tra gli spalti dell'Arena contemplando ogni suo singolo passo.
    Nulla è per sempre, nemmeno gli Dèi Onnipotenti.
    Continuò ad indugiare in quella sorta di marcia rituale, commemorativa, un peregrinare interiore all'interno del palcoscenico che aveva stravolto gli equilibri politici del Dominio della Violenza.
    Perché affannarsi in queste riflessioni, dunque?
    Era in netto anticipo per l'incontro con la Maschera: il comandante della Legione aveva promesso all'Eversore di delucidarlo sulla spada maledetta strappata all'abominio Queelag, la Helshezag, e certo l'oplite non si sarebbe lasciato scappare questa occasione d'oro per chiarire anche alcuni dubbi sulla Legione stessa.
    D'altronde, non era ignaro del fatto che Khalid avesse intenzione di nominare lui ed il Castigo suoi parigrado.
    Perché, mio caro spirito vulcanico, non c'è alcuna cosa che l'uomo preferisca anteporre all'inutile ed improduttivo rimuginare.
    La spada maledetta giaceva conficcata al centro del ring di sabbia, come ad assorbire i rimasugli incrostati nella fredda terra lasciati dai cadaveri dei molti caduti.
    Almeno, questa era la fantasia partorita dalla mente del Gerarca: aveva sempre preferito immaginare scenari più pittoreschi di quel che era l'effettiva realtà. Solo nel tempo libero, ovviamente.
    L'Eversione ti ha portato sin qui, Aristotelis, e tu a sua volta l'hai sospinta. Dovresti esserne fiero.
    In vero lo sono.
    Pausa.
    Allora perché hai questo senso di vuoto? Da quando avete sconfitto gli Abomini, hai perso ogni interesse. Sei diventato apatico.
    Il greco si sedette su uno dei gradoni, incrociando le dita e scaricando il peso del corpo sui gomiti appoggiati alle ginocchia.
    Sbuffò.
    Aìtnē, l'uomo è una creatura debole e contorta, ma soprattutto capricciosa.
    Ariste, in quel senso, forse era il più capriccioso di tutti.
    Era un leader della più potente organizzazione segreta dell'intero Presidio del Sud, era ad un passo dall'essere incaricato comandante dell'organo militare di Merovish ed era probabilmente tra gli uomini più potenti della Tana e tutta la regione della quale questa era capitale.
    Aveva tutto, e poteva conquistare ancora di più.
    Eppure.
    Voglio uscire da qui. Voglio andare via, lontano. Voglio esplorare Endlos, vivere avventure nuove, incontrare persone nuove. Voglio sfide diverse.
    In poche parole, aveva bisogno di una vacanza. Una vacanza a tempo indeterminato, più precisamente.
    Merovish è casa mia, non fraintendermi.
    Mentì deglutendo come se avesse in bocca del veleno.
    Tuttavia, ambisco alle novità.
    E nel silenzio mortuario dell'Arena Nera, l'oplite attese l'arrivo di Khalid, seduto sugli spalti, ma con la mente che volava via verso la sua mai dimenticata Grecia.
     
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    « ...pertanto, da domani cesserò ogni funzione in qualità di Capitano della Legione. »

    La voce dell'uomo risuonò nell'aria muta dell'ipogeo, chiara nonostante la maschera che gli copriva il volto, stendendosi come un sudario greve sulle teste dei guerrieri schierati, echeggiando per l'alta volta dello spoglio e spartano tempio sotterraneo, e aleggiando nell'aria pesante per l'umidità che eternamente permeava i cunicoli della Tana.

    Disciplinati a sopportare finanche il dolore delle mutilazioni senza un lamento e senza battere ciglio, i Legionari ristettero in un silenzio inflessibile, rispettosi del voto di contrizione a cui l'uomo che li aveva guidati per anni si stava volontariamente sottoponendo... perché l'unica legge che vige nel Sud è la legge del più forte: il più forte domina sugli altri, gli sconfitti e i deboli si sottomettono al Condottiero, e questo semplice assioma -istintivo quanto la selezione naturale- si rafforzava in un principio innalzato a dogma sacrale entro la ristretta cerchia della loro etnia.

    Khalid, rinunciando al suo ruolo di comando,
    stava ammettendo la sua debolezza.
    Perché quello credeva essere stato il suo peccato: quando lo Sciacallo era scomparso e lo Spaventapasseri salito al potere, e lui non aveva difeso con sufficiente veemenza l'importanza delle tradizione che esigeva la legittimazione dell'Arena. Perché non aveva trovato un modo per epurare con sufficiente decisione il dilagare della corruzione dei vili e della violenza della feccia. Perché l'abbattersi su Merovish della Notte del Giudizio era una tragedia che non aveva saputo prevedere né contrastare... e -in ultimo- perché quando gli Orrori dormienti di Krarth avevano calcato il suolo dell'Arena Nera -consacrato nei secoli con lacrime, sudore e sangue-, lordandolo solo due giorni prima con la loro abominevole presenza, egli non era stato in grado di fermarli. Non da solo.

    Con un inchino formale e il rituale gesto di commiato del loro antico ordine, Khalid concluse la sacra cerimonia; dopodiché, si lasciò alle spalle i suoi uomini e la vasta e vuota sala circolare, e cominciò la risalita dei labirintici cunicoli che lo avrebbero condotto alle sabbie grigie dell'anello di ossidiana.

    Al suo arrivo a destinazione, gli occhi chiari del Guerriero indugiarono ancora con sofferta insistenza sul volto ferito della Madre Nera, ripetendosi una volta di più -con rinnovata amarezza- che gli spalti sarebbero stati riparati presto, le tribune d'onore ricostruite in fretta, e i Giochi riaperti di nuovo... ma la verità era che neppure nel vederla ritornare integra la macchia sul suo onore sarebbe svanita.

    Perso nei suoi pensieri, si avvide di una sagoma umana sugli spalti solo dopo che gli occhi vi si erano già da lungo soffermati, e fu riscuotendosi e razionalizzandone le fattezze che la Maschera riconobbe nel visitatore il Greco Aristotelis.
    Dopotutto, in effetti, avevano un appuntamento.

    In piedi al centro del ring, a pochi metri dalla lama di Queelag -conficcata nello spessore irregolare di pietra lavica che ancora lo ricopriva-, Khalid sollevò un braccio per rivolgere al Fratello in armi un cenno di saluto; quando si fosse avvicinato, gli avrebbe rivolto un inchino col capo.

    « Di nuovo qui, Skotos... »

     
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    E cosa pensi di fare, una volta iniziato il tuo peregrinare?
    L'Eversore non rispose, poiché la Maschera arrivò.
    Camminava sul basalto caoticamente sagomato, memoria dello scontro che fu; scrutava l'Arena, ma non sembrava essere presente nel momento, tanto che anche quando scorse il greco parve non notarlo. Ariste provò a salutarlo con un cenno del capo, credendo che magari quel gesto l'avrebbe potuto destare dal suo sogno ad occhi aperti.
    Così fu.
    Lo deciderò una volta in cammino.
    Scese dagli spalti, facendo attenzione a non mettere un piede in falso lì dove le gradinate erano state distrutte dal combattimento; il nido d'ossidiana non era mai stato un luogo nei pensieri del Gerarca, anche se probabilmente ciò era dovuto al fatto che fosse stata chiusa per lungo tempo ed egli non ebbe mai modo di visitarla. Di certo, però, la trovava affascinante ed ispiratrice, nonché pregna di quell'aria di battaglia e gloria che tanto cara stava all'ellenico.
    Con maestosa calma, Aristotelis si fermò d'innanzi al Comandante della Legione, ripetendo il gesto della testa in maniera più rispettosa.
    Di nuovo qui, Skotos...
    L'ellenico sorrise, annuendo.
    Di nuovo qui, Khalid.
    Rispose l'Eversore, poggiando la mano destra sul pomo dell'elsa della Helshezag; l'aura maledetta della lama si fece subito strada su per il braccio dell'uomo, che la ignorò con uno sforzo accennato di concentrazione. I peli dell'avambraccio s'erano rizzati al passaggio di quell'energia esoterica.
    Non sembri sereno.
    Azzardò, notando come il mascherato avesse un'aria abbattuta, intuibile anche senza le sue espressioni facciali: la sbadataggine prima ed il tono della voce poi avevano fatto sorgere alcuni dubbi nel greco.
    Nonostante la curiosità, Ariste cambiò comunque discorso quasi immediatamente.
    Due giorni fa mi dicesti di rimandare le spiegazioni ad un momento più appropriato.
    Serrò il manico della spada, estraendola dalla roccia con un movimento netto e stilisticamente perfetto.
    Azzarderei che adesso vada bene.
    L'oscura influenza dell'arma cercò di farsi largo nella psiche del Gerarca, ma senza successo: l'uomo era abituato a mantenere saldo l'autocontrollo, indipendentemente dalla situazione in cui si trovava.
    Ovviamente, si preoccupò anche di non rievocare il suo cedimento psicologico subito durante i nefasti eventi dell'Arena Nera.
    Mi parli di questa Helshezag, Comandante.
    Non suonava né come un ordine né come un'esortazione, bensì come un invito gentile, proferito mentre portava il gladio di fronte al volto per studiarlo con occhio vivace.
     
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    Di nuovo qui, Skotos...
    Di nuovo qui, Khalid.

    Il Greco si mosse verso il Legionario al centro dell'Arena con incedere calmo che non tradiva alcuna fretta, e quando lo ebbe raggiunto ricambiò col capo il suo cenno di saluto, prima di tendere la mano verso la lama nera che troneggiava nella lava ormai solidificata per carezzarne l'elsa; a quel contatto, un'invisibile vibrazione di energia blasfema gli risalì lungo il braccio come un brivido, provocando un intimo e sotterraneo spasmo di tensione anche tra i pensieri della Maschera.

    Non sembri sereno.
    intuì l'Eversore, insospettito dall'atteggiamento dell'altro

    « E non lo sono. »
    ammise perciò con voce neutra e pacata, trovando superfluo negarlo
    « Il mio paese è in ginocchio, il sacro suolo dell'Arena profanato, la Legione decimata...
    E gli artefici sono ancora in libertà. »


    Lo sguardo dell'ex-Comandante dell'esercito del Sud si sollevò sugli spalti sventrati dalle esplosioni dell'attentatore ormai noto e schedato sotto il nome di “Uomo Rosso”, e il silenzio si dipanò tra loro come un miasma fantasma, prima che Aristotelis spezzasse quell'atmosfera pesante prendendo la parola e cambiando argomento.

    Due giorni fa mi dicesti di rimandare le spiegazioni ad un momento più appropriato.
    Azzarderei che adesso vada bene. Mi parli di questa Helshezag, Comandante.


    Svuotando i polmoni solo per trarre un nuovo e profondo respiro, il Guerriero delle Sabbie riportò gli occhi sul Greco e annuì, prima di tornare nuovamente a spostare lo sguardo altrove, appuntandolo sulla spada della Strega del Chaos, che troneggiava al centro del ring di sabbia cinerea.

    « Quello che so l'ho appreso dai racconti tramandati oralmente dalla mia tribù...
    E fino a pochi giorni fa ho sempre pensato che non fossero altro che questo: storie...
    Favole e leggende sul Primo Alfiere. »

    esordì calmo, a onor del vero, in un muto invito a prender quelle notizia con le molle
    « Anche adesso, che ho veduto i Titani con i miei occhi, e che ho sperimentato sulla pelle mia e dei miei uomini il loro potere, non so quanto di quelle parole possa considerarsi vero... ma ti dirò ogni cosa riesca a ricordare. »

    Con calma, il Legionario incrociò le braccia sul petto e tornò ad appuntare la sua attenzione sulla Spada, e anche se la maschera che gli celava il volto rendeva impossibile scorgere la sua mimica facciale, la seria compostezza nella sua voce ispiravano senza dubbio una certa atmosfera solenne.

    « La storia di Quelaag è nota anche come il Mito di Ishabrath – Ishabrath, incidentalmente, è il nome di una città leggendaria che sorgeva nella desolazione del Geisine, e su cui regnava una dinastia di potenti streghe, capaci -oltre che di dominare le fiamme- di imporre ubbidienza ai Ragni del Magma. »
    cominciò a spiegare con voce assorta, rievocando le sue remote memorie di infanzia
    « Se non ne hai mai udito parlarne prima, è perché -se mai è esistita davvero- di Ishabrath non resta più alcuna traccia: spaventate dal rapido avvicinarsi del Condottiero al loro dominio, le fattucchiere prepararono un rituale... »

    Khalid tacque per un breve istante, e la nota sprezzante che gli aveva già avvelenato la voce a quelle ultime battute eruppe dalle labbra in un secco sospiro; quando tornò a parlare, il tono divenne piuttosto vago: un po' perché quella parte della storia non era poi così importante per la richiesta del Greco, un po' perché -come tutti i Guerrieri della sua antica tribù- non aveva granché in simpatia le Streghe, pur non avendone mai incontrata una.

    « Non si sa se con esso intendessero proteggere la loro dimora o gettare il malocchio sul Primo Alfiere, ma la leggenda narra che l'incantesimo sfuggì al loro controllo... con conseguenze disastrose. »
    continuò a raccontare il Legionario, stringendosi nelle spalle
    « Gli abitanti furono trasformati in mostri, e la città intera si inabissò nella lava; solo due creature sopravvissero alla distruzione del regno: Queelag, che si fregiò del titolo di Strega del Caos, e sua sorella – di cui non veniva mai menzionato il nome. »
    di nuovo una pausa, per lasciar metabolizzare le informazioni all'Oplite
    « Credo che l'aspetto che ci ha mostrato qui all'Arena deve essere stata una conseguenza del rito di Ishabrath, mentre la Helshezag deve essere una qualche reliquia che la Strega portò con sé dalla città ormai prossima alla distruzione. »

    Si volse a guardare Ariste, spiandone l'espressione per essere certo di non stare annoiandolo troppo, e si risolse ad andare avanti ancora un po', prima di fermarsi per lasciar spazio e tempo ad eventuali domande da parte del suo nuovo Fratello d'Armi.

    « La storia dice che, qualche tempo dopo la caduta di Ishabrath, il Condottiero si presentò da solo al cospetto della Strega – nell'antro desolato che ella aveva scelto come sua nuova casa.... »
    proseguì, arrivando finalmente alla fine di quel lungo preambolo
    « Ancora una volta, il mito non è chiaro se fu per qualcosa che ella disse o rifiutò di dire, ma i due si affrontarono, e... la storia fornisce solo qualche dettaglio sul loro scontro; quel che è certo -uguale in ogni versione- è che Quelaag fu sconfitta e imprigionata, relegata nel Labirinto di Krarth. »

    Di nuovo, Khalid si prese un istante per squadrare la Reliquia dalla punta conficcata nella nera roccia lavica all'estremità dell'elsa, che si stagliava contro la cupola della sacca sotterranea dentro cui la Tana sorgeva, e i suoi occhi avevano tutta l'intensità assorta di chi è focalizzato sui propri pensieri. O nei ricordi dell'infanzia.

    « Ho sempre pensato che fosse un tesoro che sarebbe valsa la pena tenere... eppure non mi sono mai spiegato la ragione per cui il Primo Alfiere lo lasciò nelle mani della Strega nel corso della prigionia. »

    Così, con quell'ultima considerazione personale, la Maschera della Legione tacque, rimanendo in attesa di udire le impressioni e i commenti del Gerarca dell'Eversione.

     
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    La Maschera confermò le sensazioni di Ariste, il quale annuì sommessamente. Provava la stessa rabbia del Comandante, e come lui ben sapeva che non sarebbe stato facile mettere le mani addosso ai colpevoli. Era molto più utile concentrarsi sul futuro, piuttosto.
    Khalid iniziò dunque a narrare la leggenda di Ishabrath, un mito legato alla figura del Primo Alfiere. Anche Quelaag faceva parte della storia, ed anzi ne era anche protagonista, in una certa maniera.
    Aristotelis ascoltò rapito, interrompendo il suo continuo passeggiare e osservando interessato il suo interlocutore. Si lisciava la barba come suo consueto.
    Ci sono molti capitoli delle leggende del Sud a me sconosciuti.
    Confessò con finta desolazione, incrociando le braccia.
    Non nego che il fascino del passato merovisho susciti grande ammirazione in me, ed in vero conto di documentarmi in maniera quanto più dettagliata possibile su questo.
    Si avvicinò alla Helshezag, senza toccarla.
    Conto di riuscire a sollevare il velo di mistero che copre il rapporto tra il Primo Alfiere e la Regina del Chaos. Tuttavia...
    E lì il Gerarca mise le mani sui fianchi.
    Sono altre le domande che mi attanagliano. Per esempio, quale sia l'entità dei poteri della Spada.
    Fece quasi per impugnar l'elsa, per poi fermarsi a pochi centimetri, ritirando la destra.
    Ma soprattutto, cos'è Krarth? E qual è la sua storia?
    Non contava sul fatto che Khalid avesse risposte esaustive, ma sperava quantomeno che almeno lui potesse dissipare alcuni dubbi.
    Purtroppo, quell'incontro era destinato a finire prima del suo tempo.
    L'oplite fece uno scatto impercettibile col capo, fissando lo sguardo a terra. Istanti di silenzio, quasi fosse assente da quel momento; poi, tornò in sé.
    Invocano la mia presenza altrove, Comandante.
    Un'interruzione brusca e poco cortese, ma la sua espressione faceva ben intendere come non potesse ignorare quella chiamata mentale - e, allo stesso modo, come non avrebbe rivelato alcunché in merito.
    D'altronde, tutti hanno i loro segreti.
    Mi scuso sentitamente. La mia curiosità arde come il magma del Geisine, ma anche i vulcani devono restare sopiti, di tanto in tanto.
    Avvolse la Helshezag col mantello, estraendola dall'ossidiana e tenendola con entrambe le mani.
    Indagherò per conto mio, sfruttando quanto dettomi da te, Khalid. La Spada, invece... Vuoi tenerla? Sei senza dubbio il più informato sul suo conto e sul mito che le gira intorno.
    Sorrise, allungando le braccia per porgergliela.
    Anche se, non mentirò, non mi dispiacerebbe poterla conservare in attesa di nuove battaglie impossibili.
    Bottino di guerra. Non era uomo avvezzo a certi rituali, ai tempi delle battaglie campali mai s'era impossessato di oggetti altrui per farne sfoggio.
    Quella volta, però, l'egoismo reclamava a voce alta un premio materiale per le sue gesta nell'Arena Nera.
     
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    Durante il racconto del Capitano della Legione, il Gerarca aveva smesso di passeggiare nervosamente avanti e indietro per lisciarsi pensosamente la barba, prendendo mentalmente nota con scrupolosa precisione delle informazioni che sarebbero potute rivelarsi forse utili una volta estrapolate da quella vecchia leggenda, ma quando Khalid terminò di parlare, Aristotelis incrociò le braccia sul petto e prese lentamente la parola.

    Ci sono molti capitoli delle leggende del Sud a me sconosciuti. Non nego che il fascino del passato merovisho susciti grande ammirazione in me, ed in vero conto di documentarmi in maniera quanto più dettagliata possibile su questo.
    esordì, avvicinandosi alla spada della Strega, tenendo però le mani sui fianchi
    Conto di riuscire a sollevare il velo di mistero che copre il rapporto tra il Primo Alfiere e la Regina del Chaos. Tuttavia... Sono altre le domande che mi attanagliano.
    cedendo e contrastando il suo desiderio, l'Oplite tese la mano verso l'elsa, ma poi desisté
    Per esempio, quale sia l'entità dei poteri della Spada. Ma soprattutto, cos'è Krarth?
    E qual è la sua storia?


    Per un istante, la Maschera parve soffermarsi a riflettere: il volto scolpito nel metallo -che vestiva sopra il proprio- faceva segreto delle reali espressioni del suo viso, facendolo semplicemente apparire assorto nell'atto di rimembrare, o concentrato nel tentativo di richiamare a sé qualche memoria; la verità non era tanto distante da quella, ma oltre alle difficoltà oggettive, dovute all'esiguità e alla incerta affidabilità delle poche testimonianze sopravvissute in merito a Ishabrath e a Krarth, egli si interrogava anche su se e quanto fosse opportuno condividere i sacri saperi del suo popolo con un estraneo... Un estraneo che gli aveva salvato la vita. Un fratello in armi.

    Khalid schiuse le labbra per dire qualcosa, ma un lieve sussulto scosse il flusso energetico di Greco, e questi prese nuovamente la parola, anticipandolo.

    Invocano la mia presenza altrove, Comandante. Mi scuso sentitamente.
    annunciò l'Eversore, con la pragmatica schiettezza dei buoni soldati
    La mia curiosità arde come il magma del Geisine, ma anche i vulcani
    devono restare sopiti, di tanto in tanto.


    Sotto lo sguardo insondabile della Maschera, Aristotelis estrasse la Spada della Strega dall'ossidiana in cui si ancora ergeva a ferire l'Arena Nera, sollevandola con ambo le mani, sorridendo, e... porgendogliela.

    Indagherò per conto mio, sfruttando quanto dettomi da te, Khalid. La Spada, invece... Vuoi tenerla? Sei senza dubbio il più informato sul suo conto e sul mito che le gira intorno. Anche se, non mentirò, non mi dispiacerebbe poterla conservare in attesa di nuove battaglie impossibili.

    « Hai dato prova a tutta l'Arena del tuo valore nel tumulto della battaglia,
    perciò è tua piena facoltà reclamare la Spada del Caos per diritto di conquista. »

    replicò il Legionario, con calma e solennità nella voce deformata dalla maschera
    « Effettuerò a mia volta qualche ricerca che testimoni i poteri dell'arma, e se dovessi trovar qualcosa di utile, farò in modo di fartela avere; fino ad allora, fa attenzione nell'usarla: al pari della sua padrona, sarà probabilmente un'infida manipolatrice. »

    Così dicendo, accolse il congedo dell'Eversore con un profondo e rigidissimo inchino, portando le mani davanti a sé per appoggiare le nocche del pugno destro nel palmo sinistro, nell'antico saluto della sua gente.

    « Ci rivedremo, Skotos. »

    E così sarebbe stato, perché -oramai- avevano un obiettivo comune.
    Proteggere e vendicare il Presidio Meridionale.

     
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5 replies since 23/2/2015, 13:53   235 views
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