Contest "Cibi tipici del Presidio Sud"

Topic di raccolta.

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  1. Kanzler
     
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    Questo è il topic di raccolta del Contest Folklore - Cibi tipici del Presidio Sud.
    Qui di seguito ognuno posti in un singolo intervento la propria creazione.
    Grazie e buon divertimento.

     
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  2. °Nyram The Faceless°
     
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    Fauci Ffiammeggianti di Nyr



    Benvenuti alle Fauci Fiammeggianti di Nyr!
    Qui da noi troverete i gusti forti,
    gli aromi intensi e le specialità
    della tradizionale cucina meridionale.
    Piatti tipici rivisitati e preparati per voi,
    serviti con tutto il calore
    che solo noi sappiamo offrire!



    CITAZIONE

    Menù del giorno:

    Selvaggio Fresco-Fuoco



    Questo piatto tipico, scelto per voi, vanta di essere una delle specialità più complesse e rare della cucina meridionale di Endlos. La sua storia e la sua evoluzione cominciano dagli albori della civiltà nostrana e trova radici dai più esperti viaggiatori di Yuzrab e Geisine.
    Si narra che tali pietanze siano state affinate al principio, per garantire la sopravvivenza dei viandanti dispersi nelle aspre regioni desertiche e laviche. La raffinatezza e decisione del gusto di queste pietanze raggiunse la capitale solo in seguito, grazie a un manipolo di fortunati superstiti che condivisero le loro scoperte, scatenando una vera e propria ricerca del gusto e rischiose sperimentazioni per riproporre con la massima professionalità l'unicità di gusto e aroma di queste ricette ricreate unendo alcuni degli aspetti più unici delle nostre terre.
    Vista l'estrema difficoltà richiesta nel procurarsi gli ingredienti necessari e la loro conservazione e raffinatezza, rappresentano un patrimonio raro da gustare e apprezzare.
    Speriamo esse siano capaci di soddisfare i vostri palati.
    Vi illustreremo a seguito le modalità di preparazione.



    _______*_______


    Ingredienti principali:
    - 1 involto di pelle grassa di Gogonud di Geisine non rasata, conservata in contenitore lavico ad alte temperature.
    - Ghiandole papillari di Gogonud fresche.
    - Coda di cucciolo di Wyrm di Granato da Yuzrab.
    - "Fiori di Fuoco" dei laghi di vetro di Yuzrab.
    - "Stella Nera Spinosa" delle roccie di Geisine.

    _______*_______


    Preparazione:

    Innanzi tutto prendiamo la "Stella Nera Spinosa". Essa ci apparirà come una pianta grassa dall'esterno duro, di un nero opaco ornato da rigonfiamenti a corolla rossastra ornati al centro da una corolla di spine; le sue radici saranno di un grigio più chiaro, larghe, spesse e regolari nella forma.
    Questa rara pianta originaria delle zone laviche di Geisine, sopravvive sottraendo calore al terreno e rielaborando tramite un proprio processo di fotosintesi la luce lavica per alimentare il processo che le consente di mantenere a bassissime temperature il suo liquido interno.
    A causa del veleno presente nelle sue spine e della facilità con cui i bulbi in cui esse sono custodite esplodono, consigliamo grande cautela e mano ferma nel pulire la stessa.
    Dunque munitevi di guanti spessi, grembiule in cuoio e protezione per il viso. Afferrate ora dalle radici la pianta e prendete delle pinze da cucina ben larghe, curando di mantenere presa salda ed effettuare movimenti decisi. Avvicinandole alle corolle di spine color rosso, abbiate cura di individuare la spina maggiore al centro, dal colorito nerastro, quindi tiratela lentamente e con fermezza.
    Una volta estratta dalla sua sede, dovrebbe fuoriuscire del liquido denso e concentrato color ambra: aspettate che il bulbo si sgonfi e procedete ad estrarre le spine circostanti. Ripetete il procedimento sino ad aver ripulito l'esterno.
    Fatto ciò, risciacquate la pianta con cura.
    Dunque identificate il punto di partenza della radice, facilmente intuibile grazie alla differenza di colore rispetto la corteccia superiore. Incidete in maniera circolare con un coltello a punta affilata il fusto nel punto di incontro, quindi partendo da disegnate lungo la corteccia degli spicchi partendo dalla prima incisione, verso l'estremità superiore a cupola della "Stella Nera". Fatto ciò sarà sufficiente rialzare con cura, utilizzando la punta del coltello, la parte superiore dello spicchio e tirarla verso il basso per rimuovere la copertura esterna, mostrando un interno più gommoso e biancastro: la zona isolante della pianta. Attraverso lo strato translucido noterete il succo interno della pianta.
    Girate la stessa così da porre la cima verso il basso e recidete la base incisa delle radici. Ne ricaverete un contenitore al cui interno troverete un liquido fresco dall'odore aromatico: sigillate l'estremità e conservatelo in un luogo non esposto.
    Fatto ciò sarà sufficiente sbucciare le radici, utilizzando il classico metodo richiesto per i tuberi, sino ad avere unicamente la zona interna dal colorito biancastro, dalle striature verde pallide. Grattugiate lo stesso sino ad ottenere stecche sottili.

    Finito con la prima parte, potremo passare a tagliare la carne di cucciolo di Wyrm a fette sottili e quindi a dividerla a strisce: questa carne dal grasso uniforme e dalla consistenza tenere è unica e ideale per questo piatto. Abbiate cura di mantenere sempre la direzione perfettamente orizzontale e verticale nel sezionare la carne, così da non provocare l'irrigidimento della cavità muscolare e compromettere la tenerezza della carne.
    Una volta fatto ciò apriamo l'involto di pelle di Gogonud aiutandoci con delle tenaglie isolanti, avendo cura di non rimuoverlo dalla base del contenitore lavico e tenendo lo stesso nel forno a fucina ad alte temperature. Apriamo l'involto distendendolo con la zona della pelliccia rivolta verso il basso, facendone una tovaglia piana.
    Fatto ciò distendiamo le strisce di carne di Wyrm al suo interno, allineandole e tenendole ben distese, avendo cura di non sovrapporle. Intagliamo e spremiamo il succo delle ghiandole papillari di Gogonud, per aiutare a mantenere inalterata la freschezza.
    Prendiamo quindi alcuni "Fiori di Fuoco". Essi sono una pianta dal fusto spesso, dalle foglie larghe e dai grandi petali scarlatti. Si trova in rari ambienti dei laghi di vetro di Yuzrab. La sua peculiarità è che, crescendo in zone povere di acqua e ricche di calore, possiede foglie dall'aroma forte e bruciante, oltre ad un nettare nel largo centro, polveroso e dalla fragranza forte, e aromatica, oltre che dal profumo peculiare. Ritagliamo i petali, intagliandone il centro per la lunghezza e disponiamone alcuni sulle strisce di carne, quindi arrotoliamo il tutto nell'involto di Gogonud e riponiamo a scaldare nel bollitore lavico ad alte temperature.

    Dunque prendiamo il nettare e il polline di "Fiore Di Fuoco" e trasferiamolo con un cucchiaio, avendo cura di non avvicinarlo agli occhi, nel contenitore naturale contenente il succo di "Stella Nera" ricavato in precedenza.

    Fatto ciò dovremo attendere all'incirca un'ora. Durante questo tempo il calore assorbito dall'involto di Gogonud verrà filtrato e genererà una reazione interna che espellerà un estratto refrigerante e raffredderà gradualmente la temperatura e insaporirà il contenuto, garantendo una cottura parziale a freddo che permetterà alle strisce di carne di sviluppare la corposità tipica del carpaccio classico e la sua freschezza, mantenendone inalterata la fragranza e la tenerezza, aiutando inoltre i petali interni a espellere i succhi nutritivi impregnando la carne del sapore speziato e piccante tipico della pianta.

    Una volta ultimato il processo di cottura, possiamo estrarre le strisce di carne e rimuovere i petali interni, avendo cura di non alterare la temperatura del contenitore per non causare processi di combustione involontaria e rovinare il contenuto.

    Prendiamo quindi un vassoio, stendendo sullo stesso le strisce di carne ricavate e prendiamo il succo corretto di "Stella Nera", così da poterlo distribuire uniformemente sulla carne, in modo da insaporirla col sapore speziato, forte e allo stesso tempo rinfrescante dell'estratto.
    Per finire prendiamo i filamenti ricavati dalle radici di "Stella Nera" e spargiamoli sul piatto e ultimiamo il tutto tritando gli ultimi petali di "Fiore Di Fuoco" per ricavarne dei coriandoli aromatici da cospargere sul piatto.

    Avrete così una pietanza unica, elegante e intensa: il gusto piccante e concentrato incontra la freschezza e la morbidezza degli ingredienti, aiutando a sopportare la calura esterna e rinfrescare il palato, ricordando la rarità e l'unicità di un fiore nel deserto o di una gemma vulcanica.


    Servire fresco, possibilmente accompagnato da liquori dolci e bevande rinfrescanti e frizzanti.



    _______*_______



    Ci auguriamo che il servizio sia di vostro gradimento e di aver soddisfatto le vostre aspettative. Grazie e arrivederci!

    -Chef Nyr-

     
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    Zuppa di Coboldo agli aromi sabbiosi:



    Il Bazar di Merovish.
    Se soltanto vi fossero l’ottanta per cento di morti in meno, esso sarebbe una meravigliosa discarica di razze e tradizioni.
    Perché, proprio come una montagna di rifiuti, soltanto chi vi sa cercare bene al suo interno può trovare dei piccoli tesori, chicche non esposte in bella vista.
    Difatti tra i tanti banchi, per essere più precisi, tra uno di verdura marcia e un’altro di zip lampo rotte, vi è un piccolo carro di legno vecchio, provvisto di ben tre sgabelli e una sedia.
    L’odore che emana non è certo dei più gradevoli, come ogni altra cosa che si trova nella capitale del presidio della violenza.
    Il soltanto avvicinarsi vi farà scorgere una figura anziana, di un vecchio uomo.
    Baffoni grigi e denti gialli sono le prime cose che vi salteranno all’occhio, mentre all’orecchio giungerà soltanto la sua prorompente voce:

    “ZUPPA DI COBOLDO AGLI AROMI SABBIOSI. TUTTO FRESCO, TUTTO FATTO IN CASA.”

    E senza che voi ne abbiate ordinato un piatto, di questa sbobba, lui ve lo tirerà letteralmente in faccia, facendovi sentire il suo sapore stranamente fresco, come la menta.

    Origini:



    Se vi accomoderete su uno sgabello, oppure sulla sedia, preferendo spendere qualche minuto in più a parlare con lui invece che ad adempire a i vostri doveri di esuberante cavaliere, vi renderete conto di come quell’uomo sia effettivamente vecchio, con la pelata nascosta da un cappellino sgualcito bianco e con una pancia veramente … enorme.
    Ma da come parla capite subito che il tirare le cuoia non è nemmeno fra i suoi pensieri.
    Anzi, vi inizierà a raccontare di come è riuscito a inventare quel piatto, senza che voi abbiate speso una parola sull’argomento.
    Che gentile, vero?
    Inizierà a gesticolare e a dire di come da giovane si trovò ad essere catturato da alcuni orchi di Koldran.
    Era in spedizione, nulla di eccezionale, doveva soltanto trovare una particolare gemma che si cristallizzava con la neve nella parte alta del dorso del drago di pietra. Ma prima di arrivare sulla vetta venne aggredito da degli orchi, che lo rinchiusero in una prigione di uno dei loro accampamenti.
    Vi dirà che furono giorni orribili, passati fra vecchi cadaveri di precedenti prigionieri e le continue scoregge della guardia.

    “SAPEVANO DI MUSCHIO MARCIO PESTATO NEL LETAME DI RHINOX”

    Urla anche questo, sopratutto questo.
    Che sia un’altro suo piatto particolare?
    Ma la cosa peggiore, lo ripeterà ben tre volte nemmeno foste sordi, era il pranzo: Coboldo.
    Coboldo e basta.
    Talvolta non era nemmeno morto ed era costretto ad abbatterlo a mani nude, se era fortunato il coboldo passava proprio davanti alla guardia mentre quest’ultima petava.
    Solitamente la creatura moriva sul colpo o rimaneva pesantemente intossicata, fatto sta che doveva aspettare almeno tre minuti prima di riavvicinarsi alla piccola bestia.
    Vi dirà che il sapore era orribile, che sapeva letteralmente di marcio e morto, ma che era comunque l’unica cosa che poteva mangiare.
    Le prime volte fu costretto a mangiarlo crudo, poi capì che poteva accendere un piccolo falò di fortuna utilizzando due acciarini trovati nei corpi dei precedenti detenuti, uniti alle portentose scoregge della guardia.
    La carne cotta era già molto meglio. Non sapeva più di marcio, ma la parte fondamentale arrivò quando provò a farne una zuppa, cuocendo il tutto in una vecchia armatura.
    Il coboldo cotto in zuppa sapeva di pollo con patate annesse.
    Una grande scoperta insomma, con quello poteva campare anni.
    Ma la fortuna lo arrise e le scoregge della guardia finirono per uccidere l’intero accampamento degli orchi.
    Il racconto da questa parte è confuso, ma vi dice che era una sera di festa e qualcuno aveva preparato i fagioli. A quel punto squagliarsela fu più semplice del previsto.

    Gli Aromi Sabbiosi:



    Ritornato al sicuro nella propria casa, continuò per anni a cucinare la zuppa di coboldo, senza troppe aggiunte, ma sapete bene come ci si sente a mangiare la stessa cosa tutti i giorni per anni.
    Viene tremendamente a noia.
    Difatti anche lui, dopo un po, iniziò a guardare con occhi diversi la sua stessa zuppa portentosa.
    L’unica cosa che poteva fare era aggiungere altri ingredienti, ma cercava qualcosa di semplice che non stravolgesse il piatto.
    Decise quindi di aggiungerci degli aromi.
    Un paio di foglie di qualche pianta, un po di neve sciolta ecc.
    Ma niente, il piatto continuava ad avere lo stesso, delizioso, sapore.
    Una cosa tremenda insomma.
    Preso quindi dallo sconforto partì alla ricerca di qualche aroma particolare, dal sapore esotico ed è per questo che la sua prima meta fu proprio il Sud.
    Peccato, vi dirà, che al Sud non c’era altro che sabbia, tanta sabbia, troppa sabbia.
    Eppure Merovish riuscì a trasmettergli qualcosa, una sensazione che sembrava provenire dal profondo del presidio, esattamente come se ci fosse sepolto qualcosa di vivo al di sotto.
    Fu con questo istinto che prese la sabbia e la buttò nella zuppa, già che era lì valeva la pena provare.
    L’istinto alla fine si rivelò giusto, poiché gli enzimi che rilasciava il coboldo erano in grado di cambiarne la struttura della sabbia e renderla simile al sale, che nella zuppa, si sciolse.
    Provò ad assaggiarla una, due, tre volte e si rese conto che cucchiaio dopo cucchiaio il sapore cambia.

    “Meraviglia, stupore nella mia mente e nella mia bocca”

    Vi dirà infine.
    La storia potrebbe continuare a lungo, ma vi invita ad assaggiare la sua famosa zuppa di coboldo e dopo un paio di cucchiate, dovete dare completamente ragione a lui.
    Zuccherato,salato,amaro,acetoso,frizzante ecc.
    Un’esplosione di sapori, che anche se inaspettati, non vengono a noia e non si lasciano morire dentro la vostra bocca, ma anzi, vi invitato ad assaggiare nuovamente la zuppa.
    Il titolare compiaciuto vi dà una pacca sulla spalla e prende il vostro denaro, che si è degnamente guadagnato, cosa strana Merovish.
    Lasciate quindi il banco del Bazar, sicuri che un giorno quel piatto verrà nuovamente assaggiato da voi.
     
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    Una supernova galattica caldissima e traboccante dolcezza, il cuore pulsante del multiverso.

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    Situato a qualche decina di metri dall'imponente piramide dorata del Casinò Babylonia, il ristorante italiano "Da Don Alfio" si è ormai affermato come uno tra i più rinomati dell'intera Merovish, nonostante le ridotte dimensioni e l'atmosfera rustica ma accogliente e curata. Il suo fondatore e proprietario, Don Alfio Salieri, è un naufrago proveniente dal pianeta Terra, precisamente dalla regione Sicilia della nazione Italia, ma la sua permanenza su Endlos dalla tenera età di quattordici anni l'ha naturalizzato permettendogli di integrarsi senza problemi nel tessuto sociale variegato della Tana.
    Benché la lontananza dalla propria casa sia proibitiva tanto nello spazio quanto nel tempo, la nostalgia agrodolce ha influenzato passionalmente la sua offerta culinaria intrecciando con sapienza i
    prodotti tipici del Presidio Meridionale e le ricette della sua terra, rivisitandole e rendendole più appetibili e familiari per i nativi ma dando anche quel tocco di originalità e novità che sorprende sempre.

    In occasione della sagra annuale "Sapori del Sud", Don Alfio ha deciso di partecipare con il suo leggendario secondo piatto di carne, un'esclusiva così particolare da catturare l'attenzione sia dei buongustai sia degli scettici: gli...


    Involtini di Tuskgor alla Siciliana


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    Come è ben risaputo, il tuskgor è una creatura indomabile nel lavoro ed inutilizzabile in cucina, a causa della sua durezza e del sapore pungente...Ma Don Alfio afferma con sicumera di essere riuscito ad inventare un metodo di trattamento, conservazione e cottura della carne di tuskgor tale da renderla non solo commestibile, ma anche estremamente succulenta. Per questo motivo rientra nella categoria di
    "piatto leggendario": nessuno, a parte i più stretti collaboratori, sono a conoscenza della procedura utilizzata per rendere edibili le proteine animali temprate dalle asperità delle Rovine di Daleli, poiché il suo inventore è estremamente geloso di tale segreto in cui ha investito anni ed anni di ricerche ed esperimenti, e l'unico modo per gustare la pietanza è dunque quello di ordinarla direttamente ad uno dei suoi tavoli.
    Curiosi speranzosi o diffidenti che siate, il signor Salieri sarà entusiasta di servirvi la sua esclusiva e prelibata pietanza, ma solo in via del tutto eccezionale in quelle circostanze particolari, come le sagre e gli eventi di promozione del suo locale. D'altronde, la caccia al tuskgor è un'attività estremamente pericolosa, lunga e dispendiosa, non si può nemmeno lontanamente immaginare di poter disporre di una scorta giornaliera della materia prima: a dispetto dell'imponente mole della bestia, tra l'altro, la richiesta forsennata -quando il piatto è disponibile- da parte dei clienti in visibilio fa sì che le dispense del ristorante si svuotino in meno di una settimana.

    Sul menù
    à la carte, redatto in via speciale per l'occasione, si può leggere la lista degli ingredienti sotto il nome della pietanza:

    - Carne di Tuskgor: ovviamente l'ingrediente principe per cui il piatto è diventato famoso, paradossalmente avvolto nel più fitto dei misteri;

    -
    Caciogogonud: formaggio stagionato ottenuto dal latte di gogonud, si scalda in bocca per via dell'affinità lavica dell'animale rilasciando un sapore pastoso ed avvolgente (se avete il palato sensibile, potrebbe darvi l'impressione di aver appena messo in bocca un opercolo incandescente: non preoccupatevi, è solo un'allucinazione gustativa che svanisce nel giro di poche decine di secondi o prendendo un sorso d'acqua);

    -
    Spezia delle Dune: polvere di wyrm di granato essiccato, conferisce un'istantanea estasi di unione cosmica col multiverso, facendo illuminare gli occhi di una luce blu elettrico acceso ma senza alcuna conseguenza negativa (alcune fonti sostengono tuttavia che possa creare dipendenza ed assuefazione se assunta in dosi eccessive o regolari);

    -
    Uvetta del Pascià: prelibatezza dolcissima coltivata esclusivamente nei giardini del Pasha del Distretto delle Luci, difficile reperirla ed estremamente costosa, ma il gusto vale ogni moneta;

    -
    Pinoli di Recupero: devono il nome alla loro origine particolare, descritta nel libro "Il Gourmet Avventuriero". La storia narra di uno chef annoiato dai sapori di una vita, che decide di mettersi in viaggio per tutto Endlos alla scoperta di sapori dimenticati; raggiunto lo Yuzrab, venne a conoscenza di alcune voci secondo cui vecchi silos di sementi erano custoditi sotto terra dai titani di recupero, e dopo mille peripezie l'uomo riuscì a riportare con sé fino alla superficie diverse spezie ed alcuni semi fino ad allora perduti nelle sabbie del tempo. I pinoli di recupero, stando alla fiaba, fanno parte di questo gustoso bottino e sono stati reintrodotti nella quotidianità delle genti del deserto grazie a questo intrepido e coraggioso cuoco solitario;

    -
    Sale di Vetro: minerale estratto da scaglie frantumate originarie dei Laghi di vetro (pare abbiano anche proprietà curative);

    -
    Morte Fiammeggiante: un salame piccante -per usare un eufemismo- che...be', non credo ci sia bisogno di molte altre spiegazioni al riguardo: il nome lascia decisamente poco spazio all'immaginazione;

    -
    Alloro: del semplice alloro, perché anche gli ingredienti "normali" e comunemente diffusi non sono da meno;

    -
    (Khetciann'upép) Al-hukhùl: un mix tra le varietà di pepe nero, bianco, verde e soprattutto rosso, il cui arbusto cresce tra le rose del deserto e le spaccature del terreno bruciato ai margini delle oasi. Invenzione dei beduini nomadi del deserto, il tocco che questo ingrediente conferisce è particolarmente intenso ed arabeggiante, in grado di solleticare ed allietare anche i palati più raffinati (attenzione: si potrebbero registrare "effetti collaterali" una volta completata l'intera fase digestiva e d'assorbimento, al momento di...Avete capito);

    -
    Pane Grattato de "La Bruschetteria": prodotto locale a chilometro zero, che dà lavoro ai poveri panettieri sfruttati e sottopagati del Distretto della Fame;

    -
    Cipolle Rosse Chjommatiche: varietà della bulbosa chiamata anche volgarmente "bomba a mano" e caratterizzata da una densità ed un peso superiori (il nome deriva infatti dal termine dialettale meridionale "chjummo/chjommo", cioè "piombo"), tratti che si ripercuotono parimenti anche nel sapore intenso, in grado di abbinarsi armonicamente ed eseguire un corretto bilanciamento con gli altri elementi del piatto;

    -
    Extra-Jungfrau Öl ("Olio di Extra-Vergine"): il fornitore cino-tedesco garantisce essere migliore dell'originale olio extra-vergine (la dicitura corretta dovrebbe essere "natives Olivenöl extra, erste Kaltpressung" N.d.R.), perché "le olive sono state toccate solamente dalle amorevoli mani delle vergini Vestali dell'Orchidea", un ordine monastico femminile il cui unico scopo è venerare la vitale acqua dell'oasi da cui prende il nome. Speriamo sia veramente così.

    Alcune indiscrezioni hanno fatto trapelare interessanti dettagli sulla preparazione del piatto e della carne: sembrano coinvolte le "Perle di Gogonud", ovvero quegli ovuli cinerei di scarto dei processi biochimici durante la digestione dell'animale (utili per ammorbidire la carne fibrosa del tuskgor?), le ghiandole di veleno dei Viashino, forse perfino una misteriosa vescica degli elldroc, utensili e strumentazioni forgiati con scaglie di segugi di lavaprofonda e pelo di gogonud per resistere ad alte temperature (a quanto pare necessarie per cuocere preliminarmente il tuskgor allo spiedo), e chissà cos'altro. Difficile, in questo contesto, scindere effettivamente la realtà dalle chiacchiere inventate.

    In ogni caso, l'unico commento sul piatto che Don Alfio suole rilasciare -con una grassa risata- è


    "Certo, non è il cinghiale di Antillo, ma...
    Fa cantare di gioia perfino Lou, il nostro cameriere senza lingua!"


    [Recensione a cura dello Chef Antony J. "Tony" Notaro,

    critico culinario per la rivista La Lama del Miracolo]



    Edited by Zaho's Violet - 31/5/2015, 21:11
     
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    Arat-al-yat



    Storia
    “Quando il capo dei Turbanti neri entrò nella tenda del suo avversario, primo tra tutti i turbanti verdi, fu investito da un intenso odore di spezio. In un primo momento non sembrò riconoscere quegli effluvi deliziosi. Gli sembrava di avvertire un vago pizzicore al naso sfumato però da un odore dolciastro e pulito. Dopo appena due lunghi respiri lo stomaco gli cominciò a brontolare con una tale intensità che il suo secolare avversario non potè che accoglierlo alla sua tavola con un grasso sorriso”
    Dalle cronache di Alab-tan, cantastorie dei turbanti neri

    “Un piatto semplicemente spettacolare! In ogni boccone esplode un sapore piccante che ti stuzzica il palato. La semola è dura, ma non troppo, la carne burrosa tanto da sciogliersi in bocca. Le verdure croccanti si sposano benissimo con la cremosità del cetriolo delle sabbie. Se poi, non sei ancora soddisfatto, dopo aver buttato giù il boccone resta in bocca un piacevole sapore balsamico e fresco che già ti prepara a continuare a mangiare. Inoltre, vista la balsamicità del piatto, potresti mangiare per ore ed ore senza bisogno di bere nemmeno un sorso d’acqua! Perfetto per un piatto che viene consumato nel deserto dove è sin troppo difficile reperire l’oro blu. Una volta, poi, ho assaggiato una variante con nocciole, quale splendore! Insomma, una volta che lo hai assaggiato, non vedi l’ora di riprovarlo! E’ una danza estatica di papille gustative….forza, giovani beduine! Diventate donne! Vi prego!”
    Dal racconto dello Chef Tony di ritorno da un viaggio al Sud

    “….e prendendo in esame le antiche tradizioni delle popolazioni nomadi non si può non ricordare il celebre arat-al-yat, meno frequentemente chiamato anche koor-loodor o murin-seyà, a seconda del gruppo di tribù a cui ci si attribuisce. La traduzione di questo piatto è molteplice. Il termine arat, infatti, si rifà alla pietanza principale ed alla tipologia di cottura, invece il termine yat può essere duplicemente tradotto, in vergini o in non toccato o conosciuto. Questa duplice etimologia è speculare all’utilizzo sociale di questo piatto:
    - questo piatto viene preparato nelle famiglie la cui figlia entra ufficialmente nella maggiore età. Storicamente la famiglia invita tutto il villaggio, o in alternativa le sole famiglie con figli maschi ancora celibi. Offrire loro il arat-al-yat implica che la loro figlia è ora in età da marito.
    - la seconda possibilità, invece, riguarda le cene diplomatiche. Data la tipologia di piatto e le peculiarità utilizzate per cibarsene, questa portata viene servita agli stranieri, potenziali nemici, come segno di pace, per lo meno durante la cena”
    Dal libro “usi e costumi del Daleli” di Youtan Hon Varik


    Ingredienti (da considerare per 4 persone)
    500 g di arat : trattasi di granelli di semola che vengono fatti essiccare al sole del deserto. Ogni famiglia durante il periodo di essiccazione, variabile dai tre ai trentatrè giorni secondo la tradizione, aggiunge un misto di spezie. Usuale è l’utilizzo di alloro, menta, aloe.
    300 g di urkal: gli urkal sono dei mansueti bovini che vengono allevati nella zona del Daleli grazie alla loro pecualiare abilità nel resistere alla siccità. Il loro metabolismo, infatti, è settato sul consumo di lipidi piuttosto che di acqua. Questa particolare caratteristica rendere la loro carne piuttosto grassa e succulenta, in particolar modo se cotta su un fuoco violento. Il sapore, secondo alcuni autori, ricorda quello degli agnelli.
    4 cucumbee: le cucumbee sono dei frutti tipici dell’Orchidea. Si tratta di sfere verdastre, grosse più o meno quanto un pugno chiuso, dotate di una buccia dura e bitorzoluta. L’interno del frutto, invece, è gelatinoso e dal tipico colorito crema. Il sapore è dolciastro al primo assaggio, ma lascia poi nella bocca un retrogusto balsamico estremamente piacevole.
    2 cetrioli delle sabbie: a differenza di quello che potrebbe suggerire il nome i cetrioli di sabbia sono degli animali, in particolar modo degli insetti. Dalla forma a cannocchiale queste creature svettano nelle sabbie con il loro carapace dorato. La testa, dalla forma a ventaglio, è esposta ai continui venti del deserto che filtrano alla ricerca di micromolecole nutrienti. Pulito adeguatamente dal carapace, ottimo per le zuppe, resta di questo insetto un cilindro di polpa grigiastra dalla consistenza cremosa e dal sapore affumicato.
    4 pomi di Tlea: si tratta di radici piuttosto comuni che crescono nella zona del Daleli. Esteticamente ricordano molto delle carote, seppur assai più deformi e puntute. Hanno una consistenza croccante ed un sapore vagamente dolciastro.
    3 cucchiai di alan-faton: anche conosciuta come Zymomices Crassa. Si tratta di un fungo, una muffa per esser precisi, che cresce frequentemente nei ruderi dei villaggi del Daleli. Una volta staccato ed essiccato genera una polvere verdastra dal sapore pungente e piccante.

    Per la decorazione
    1 manciata di frutta secca: a seconda del proprio gusto e della disponibilità.
    Una dadolata di aloe essiccata
    Foglie di cucumbee fresche

    Per la cottura
    1 zanna di Tuskgor


    Preparazione
    Necessario per la preparazione di questo piatto è la presenza di un pozzo di cottura: si tratta semplicemente di una buca scavata nella sabbia foderata da materiale adatto. All’interno della camera di combustione viene inserito del legno stagionato e si lascia riscaldare il pozzo per almeno un paio di ore. Intanto si prepara la carne. E’ possibile utilizzare qualsiasi taglio di urkal, seppur da tradizione si preferisce il lombo e le costate. Il lombo viene tagliato a dadini, circa due centimetri per due, mentre le costate vengono cotte con tutta la controparte ossea. Lasciar cuocere nel pozzo arroventato la carne per circa mezz’ora. Secondo proprio gusto è possibile aggiungere grassi vegetali o animali (consigliati se la carne è stata macellata da oltre tre giorni). La carne, ancora succulenta, verrà poi messa da parte a riposare per permettere la ridistribuzione dei succhi. Lasciare nel pozzo eventuali residui.
    Nello stesso pozzo, dopo aver spento la fiamma, andrà inserita la arat, che così assorbirà tutti gli umori residui dell’urkal. Insieme alla semola va aggiunta la zanna di Tuskgor, questa umettandosi, rilascerà ioni calcifichi che daranno sapidità al piatto. Chiudere accuratamente il pozzo con il coperchio forato ed aspettare circa tre ore. Il caldo del deserto, creerà nel pozzo una camera di umidificazione che favorirà la cottura dell’arat. Per velocizzare la cottura basterà introdurre nel pozzo circa due bicchieri d’acqua, se disponibili.
    Intanto tagliare i pomi a dadini ed aggiungerli nel pozzo. Pulire e preparare i cetrioli, tagliarli a fette e quindi lasciarli essiccare al sole. Prendere le cucumbee, tagliare la parte superiore del pomo, svuotare il frutto ed utilizzare la polpa gelatinosa per diluire la alan-faton. La gelatina a contatto con le temperature del deserto tenderà a liquefarsi. Togliere la zanna dal pozzo e mescolare l’arat condito con i pomi con i cetrioli e la dadolata di carne.
    Preparare un grande piatto da portata. Disporre al centro le costate e tutto intorno l’arat condito. Versare sul piatto la crema di cucumbea e muffa e quanto necessario per la decorazione. Dare ad ogni conviviale una cucumbea vuota da utilizzare a mò di piatto.




    Specifiche
    L’arat-al-yat è un piatto tradizionale della storia delle tribù nomadi del Daleli. Come tutti i piatti di questa zona richiedere pochissima –a volte nulla- acqua ed i sapori che rilascia nel palato sono perfetti per acquietare la sete.
    Questo speciale piatto viene consumato in due sole occasioni: quando la propria figlia diviene donna e durante le cene diplomatica. Oltre che per ragioni storiche questo è dovuto anche al fatto che alcuni ingredienti, come le cucumbee ed i cetrioli, sono di difficile recupero e quindi non sempre disponibili.
    Quando si consuma questo piatto ad ogni commensale viene data una cucumbea da utilizzare a mò di piatto. L’invitato, sempre con le mani, riempirà il frutto con l’arat condito e prenderà una costata, se presente. Tutto va mangiato rigorosamente con le mani. Proprio per questo motivo questa pietanza è preferita durante le cene diplomatiche: avendo le mani sporche ed immerse nel cibo è difficile impugnare eventuali armi. Nella tradizione cucinare l’arat-al-yat ad un qualsiasi ospite è segno di pace per lo meno durante la cena, infatti non rari sono gli omicidi post-prandiali.
    Se questa pietanza viene invece cucinata per rendere noto che la propria figlia è ormai in età da marito vale l’antica legge del “dono della cucumbea”. Qualora la ragazza fosse interessata ad uno degli invitati, dopo aver consumato la propria razione, potrà donare il suo frutto all’amato così da rendere noti i propri sentimenti. Se il ragazzo morderà la buccia dura della cucumbea vorrà dire che ricambia il sentimento, se dovesse invece gettarla via, ovviamente, no.

    Edited by Stanfa - 31/5/2015, 23:30
     
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    IL KEBAB DI MEROVISH
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    La sabbia, il caldo e lo sporco. Dovessi riassumere la mia permanenza e Merovish probabilmente userei queste tre parole. C’è chi dice che qui puoi ottenere tutto quello che vuoi pagando la giusta somma. Dai banchetti con sculture di ghiaccio ai piatti dalle componenti più rare ed introvabili di tutto Endlos. Sarà, ma io mi ritrovo inchiodato in una delle peggiori bettole. Qui dei banchetti immagino non sappiano neanche il significato etimologico, mentre sono particolarmente affezionati allo strato di unto sui banconi ed agli insetti con così tante zampe che perdi il conto a metà. « Sei sicuro che sia il posto giusto Samir? » domando stizzito. Samir è la mia guida e da quel che ho scoperto da poco il cugino della sorella di mio cognato. Una parentela strana, ma che non gli ha impedito di volermi far assaggiare i piatti tipici del Sud. Lui mi guarda e sorride. « Dovresti ringraziarmi, sai. » mi risponde, con quel suo accento strano che gli fa strascicare le parole. « Qui cercano sempre di fregare gli stranieri. Ti avrebbero portato in qualche posto che si vanta di preparare piatti con carne di basilisco quando invece sono gli scarafaggi che camminano in cucina. O ti avrebbero fatto assaggiare un liquore scadente allungato con lo sputo facendoti credere fossero lacrime di vergine. » Si, alza, mi afferra il braccio e mi indica il bancone. « Qua conta la semplicità. Vieni, ti faccio vedere. »

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    Lì, a fare la fila tra un mezz’orco di tre metri che puzza di fogna ed un folletto dalle occhiaie ed alito tipiche di un doposbronza quantomeno mi sento sicuro del fatto che sia un piatto popolare e caratteristico del luogo. Questo non vuol dire che mi senta sicuro di poterlo mangiare e sopravvivere. Sbirciando, l’occhio cade sulle enormi masse di carne vicino al cuoco – un lucertoloide con il camice unto – infilzate in spiedi di ferro che roteano continuamente sopra ad un’ampia griglia ricolma di brace. Due piccoli uomini-ratto, completamente ricoperti di fuligine, si muovono continuamente da un lato all’altro ravvivando la brace soffiando in corte canne di bambù. « Rotori nel sottosuolo? » domando a Samir. Non pensavo da queste parti ci fosse questo livello di tecnologia. Lui mi guarda perplesso ed inarca un sopracciglio. « Schiavi. Hai presente quanto costano i rotori? Almeno dieci buone braccia. »

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    La fila va avanti, ma tutto procede così lentamente che il mio stomaco gorgoglia per la disperazione. Alcuni clienti mi ripassano davanti prima di uscire e tengono in mano un misterioso cibo dalla forma cilindrica. Tutto questo mistero mi sta innervosendo. « Almeno vuoi dirmi che cosa devo mangiare? » Samir sembra trattenere una risata ed il mezzorco che ho davanti si gira per un attimo guardandomi storto. « Kebab. » mi risponde. Poi mi vede perplesso ed aggiunge « Nell’antica lingua di Merovish vuol dire carne arrostita. Siamo gente diretta, niente fronzoli. » Carne arrostita, beh c’ero arrivato pure io fin là. « E che ha di così speciale? » Sento un improvviso gelo che cresce nel locale e gli occhi di tutti puntati su di me. Samir allarga le braccia, sconsolato. « E’ un piatto leggendario, tramandato da centinaia di anni. » Poi mi cinge con il braccio e avvicina le labbra al mio orecchio. « Tanto tempo fa, quando sul Presidio Sud si ergeva la figura del Primo Alfiere venne indetta una caccia. Non una roba stupida come si fa all’Est, con quei cani e le volpi. Sto parlando di roba seria e mortale: una caccia al Wyrm. Eroi vennero da tutto Endlos e lo Yuzrab non vide mai così tante persone calcare le sue dune. Quando il sole tramontò ciò che venne portato superava le aspettative persino del Primo Alfiere. Tante erano le bestie rare rese trofei, ma ciò che vinse il primo premio fu nient’altro che un cucciolo di Wyrm. Per festeggiare, il Primo Alfiere decise di condividere il trofeo con tutto il popolo della città, ma le enormi dimensioni erano un problema. Così chiese consiglio ai più grandi cuochi e la loro idea fu di tagliare a pezzi ed arrostire il tutto intorno a grossi pali. Ed ecco il Kebab. » Ascolto l’intera storia senza fiatare, ma alla fine mi viene un dubbio. « Quindi stiamo mangiando carne di wyrm? » Samir sospira, ancora. Mi reputa senza speranza. « Ma ti pare? Neanche lavorando tutta la vita te ne potresti permettere un boccone. Quelle sono leggende, questa è la realtà. Ringrazia che sia davvero carne piuttosto. »

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    A quel punto mi rendo conto di trovarmi finalmente davanti al bancone. Samir ordina due kabab ed osservo il lucertolone utilizzare un coltellaccio poco igienico e tagliare piccole porzioni di carne dalla grossa massa roteante. Una volta fatto li adagia su quello che mi sembra un pane piatto. « Piadine? » « Quanti campi di grano hai visto qui? » Arrossisco. « Quindi che è? » « Meglio non fare domande. Però è commestibile. » Insomma, riassumendo, carne di dubbia provenienza che gira grazie a degli schiavi nella cantina del locale il tutto messo sopra a della roba composta per lo più da segatura. Non mi pare un gran che. « Bella la favoletta, ma sembra una porcata. Carne e pane poi non credo che siano chissà che fantasia. » Per la mia osservazione rimedio una pacca in testa. Samir mi indica il bancone dietro al cuoco su cui ci sono decine di piattini con ingredienti per ogni colore mai esistito. « Ciò che caratterizza davvero il kebab sono queste: salse e condimenti. La leggenda vuole che il Primo Alfiere per accompagnare quella prelibatezza fece svuotare tutti i magazzini della città facendo piangere ogni mercante. Tutti gli ingredienti mai esistiti su Endlos vennero cucinati ed usati per condire il piatto in un festeggiamento che durò mille ed una notte. » Poi si ferma e mi guarda, aspettandosi evidentemente una replica. « Ovviamente non ci sono così tante salse e condimenti adesso. Credo persino che alcuni di quelli non siano mai stati più assaggiati su Endlos. » In effetti sul tavolo c’è parecchia scelta, ma niente che mi paia così pregiato. « Vedi, il grande successo del Kebab non è solo perché costa poco ed è rapido da mangiare, ma anche perché è un piatto che unisce la tradizione e la leggenda con il multiculturalismo di Endlos. Vieni da un altro piano o da una terra lontana? Ci sarà sempre qualcuno che avrà aperto un chiosco ed userà dei condimenti che ricordano quelli del tuo popolo. Non sei uno nostalgico? Allora puoi andare da un venditore che si diverte a sperimentare. Alcuni diventano famosi proprio per i condimenti che si sono inventati. Ecco, qui ti consiglio lo “sbratto di coboldo”. Non ti far fregare dal nome. E’ un mix di erbe e spezie con un goccio di latte. » Alla fine seguo il consiglio e ci faccio mettere lo sbratto di coboldo, insieme a delle strane bacche violacee e quelli che sembrano piccoli insetti fritti. Con la pseudo-piadina arrotolata in mano ed ormai vicino all’uscita azzardo un morso. Sgrano gli occhi. Non ci avrei scommesso una moneta di stagno, ma Samir aveva ragione: è buono. Un po’ inquietante e con ingredienti di dubbia provenienza, ma buono. Quando presi la carovana per giungere a Merovish avevo in mente di iniziare una piccola attività e di accumulare una piccola fortuna, ma mai avrei pensato di poter solo per un attimo avere in mano un tesoro degno di quello dei più ricchi Mercanti. Niente gemme né oro, ma unicamente il famoso ed inimitabile Kebab di Merovish.
     
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