The Day When My Sky Falls

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    La stagione delle piogge arriva in Undarm con cadenza irregolare. Nel Garwec c'è un posto dove intere branche di meteorologi si radunano periodicamente per prevederne l'inizio, la durata e l'intensità, c'è chi dice influenzi -o sia influenzata- dai capricci del Warp e che dalle perturbazioni sia possibile intuire quando e dove si apriranno le faglie dimensionali più vaste e interessanti. Per i bambini di Klemvor la stagione delle piogge sono i mesi della memoria, perché troppi ricordi sono legati allo scorrere delle acque. Ricordi vecchi d'oltre un decennio, echi di promesse infrante e vite spezzate. Un tempo la pioggia era un sininomo di inizio, per le Tribù della Tempesta. Oggi nulla più di un memento di ricordi. Lei conosceva bene l'odore della pioggia. Le invase i sensi e la richiamò alla realtà prima ancora che a scuoterla ci pensasse la sensazione di metallo fuso premuto sul volto che minacciava di dilaniarla. Contrarre il viso in un'espressione di dolore le costò un grido strozzato, sebbene la voce si limitò appena a raschiare fuori in un rantolo disperato. Cieca e con del fuoco liquido che sembrava scorrerle sottopelle, istintivamente tentò comunque di levarsi da terra, trovando sotto di se un tappeto di frammenti di vetro. Rimase in quella posizione per un tempo che sembrò interminabile, reggendosi a malapena sui gomiti e incapace di capire dove si trovasse, di rammentare che cosa fosse successo. Dette alla pioggia il tempo che le serviva. Quelle che dapprima erano solo poche gocce erratiche si compattarono in ranghi ordinati e percossero la Città delle Macchine in battaglioni fitti e disciplinati, e la prima cosa che vide quando infine riuscì a schiudere le palpebre fu il rosso del suo sangue che si mischiava allo scroscio dell'acqua in rivoli scarlatti. Tentò di rialzarsi ma non ottenne niente. Premette sui gomiti e cercò disperatamente di rimettersi in piedi, ma le gambe non collaboravano. Indossava ancora i guanti, per lo meno. Aveva addosso la divisa del suo team. Colta da un tremendo presagio afferrò un frammento di vetro abbastanza grande e lo avvicinò a se, riflettendo il proprio volto sulla superficie riflettente.

    Un occhio rosso le restituì un'espressione uno sguardo di collera e ben lungi dall'essere spezzato dal mero dolore fisico. Scostò il vetro per guardare l'occhio destro, anch'esso rosso, ma non trovò nient'altro che un cratere sanguinante. Faceva male. Faceva dannatamente male.
    Ari si issò sulle ginocchia, rivolse la faccia al cielo e lanciò un urlo che voleva essere udito fin oltre lo Stige, dall'Approdo di Laputa fino alla Torre del Trionfo. La sua voce riecheggiò per le vie ma ben presto si spense in un boato di silenzio rotto solo dallo scrocio della pioggia. Era da sola. Ferita quasi a morte. Le sue ali erano spezzate la vista corrotta, facile preda di un luogo spietato. Negli ultimi tre anni erano scomparsi almeno nove team, sbranati dal vorace appetito di quella landa di metallo e sangue chiamata Klemvor. Di tanto in tanto capitava di imbattersi nei resti di qualche rider, sebbene quasi sempre sorgeva il dubbio sull'effettiva responsabilità delle "bestie" che infestano i fiumi di asfalto che percorrono la città. Quasi sempre la colpa ricade sugli Abusivi, o sui cacciatori di tesori che come scarafaggi cercano fortuna nel deserto di vetro e acciaio della città. Di tanto in tanto qualcuno parla di rappresaglia, ma poi nessuno fa mai niente. C'è ancora il veto, che vige ormai da quasi un decennio. Nuocere agli Abusivi è un atto di sfida verso l'ultima grande autorità di Klemvor. Ari però non vuole morire così. Lei stavola non ha solo schifose congetture, lei sa. La sua mente è affollata di schegge di memoria, però rammenta l'espressione dei loro compagni mentre venivano trafitti. Rammenta un sorriso e denti affilati come rasoi. Rammenta la mano che l'ha gettata nel vuoto. Giù, per chissà quanti piani. Se non è morta, è solo perché fin dalla nascita non è mai stata del tutto umana. Però le sue ali erano spezzate e la sua volontà scossa. Poteva trascinarsi via, provare a nascondersi. Ma con l'arrivo delle prime piogge presto sarebbero iniziate le Messe dei Diluvi, i team bellici non sarebbero più usciti dal Big Bird per chissà quante settimane...

    Inoltre il suo grido aveva già chiamato a se il proprio destino, sotto forma di un drone di pattuglia. Un diavolo bianco ceramica delle dimensioni di un grosso cane, con una mente schiava di una volontà inumana e lame e bisturi al posto del cuore. Apparve alla fine del vicolo. Arti snodati che colpivano l'asfalto ritmicamente, con lentezza esasperante. Ari dapprima si spinse via, poi si rese conto che non ce la faceva. Le gambe rifiutavano di muoversi.
    Non avrebbe implorato pietà. Tanto le macchine non ne conoscono il significato.
    Anche se le faceva schifo morire così...

     
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    Agente Serendipity

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    A volte Agente si chiedeva se non ci fosse una sorta di... Ordine in mezzo al disordine. Qualche stralcio di pianificazione.
    Il solo pensiero le procurava conati di vomito. Eppure, eppure... Com'è che ogni volta che si teletrasportava a caso, lasciandosi guidare dalle correnti del Caos, emergeva sempre in un posto significativo?
    Che ci fossero piani in serbo per lei? O Endlos era semplicemente tanto ricca di avvenimenti?

    Forse Agente era solo troppo giovane. Con poche settimane di vita mortale alle spalle, ogni inezia le pareva una novità.
    Prendiamo la situazione attuale, ad esempio. Una città sconosciuta, un droide minaccioso, una ragazza moribonda ai suoi piedi.
    Un incontro fortunato; la sua occasione di fare l'eroe. Ma l'avrebbe pensata alla stessa maniera, Agente, se fosse stata un soldato veterano? Cos'aveva di diverso quella ragazza dalle migliaia di umani che muoiono ogni giorno?

    Agente fissò la ragazzina ai suoi piedi, chiedendosi cosa fare.
    La sua programmazione primaria le intimava di lasciarla stare. Un'umana in meno, materia in meno da distruggere.
    Gli umani, però, non erano solo soggetti da annientare: potevano essere anche degli strumenti per la sua causa. Parevano così ansiosi di distruggersi a vicenda! Indirizzando i loro influssi violenti, era certa di poterli utilizzare. Con un concetto chiamato Religione, o forse, con quel sentimento chiamato
    gratitùdine
    Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare.
    Quel giorno, Agente si sentiva in vena di sperimentare.

    Quando si chinò per raccogliere la ragazza, milioni di spie si accesero nella sua testa: un fiume di informazioni mediche sul fatto che spostare un umano in quelle condizioni non fosse consigliabile. Ma che alternative aveva? Quel droide in avvicinamento sembrava essere ostile, e lei non aveva i mezzi per affrontarlo.
    Strinse il corpo della ragazzina, per poi decidere che entrambe non volevano più essere materia. Sbriciolando il guscio fisico che le conteneva, divenendo una nuvola d'atomi da ricomporre in un luogo casuale. Qualcosa nel perimetro della città, ma lontano dal robot. Un tetto, una casa, un vicolo deserto.
    Un luogo sicuro.

    L'umano femmina aveva bisogno di assistenza medica, ma Agente non conosceva nessun dottore. Forse Jago avrebbe potuto aiutarla, ma non se la sentiva di portare una creatura così vulnerabile da quel folle umano.
    Ricordava come si era sentita lei, debole e inerme davanti al suo sguardo inquisitore. Ricordava i suoi brividi.
    No, Agente non l'avrebbe portata da Jago. Forse, nemmeno ve n'era il bisogno: magari l'umana era del luogo, magari lei stessa conosceva un dottore.
    China accanto a lei, Agente si assicurò innanzitutto che fosse cosciente. Agitando una mano davanti al suo volto insanguinato, domandò con educazione:
    «Come ti senti?»
    Si era sporcata l'abito bianco di sangue, ma non era importante.
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    L'Agente rompe il suo guscio umanoide, tornando ad essere un tutt'uno con la matrice dell'universo. Lasciandosi trascinare dal flusso molecolare, è in grado di riapparire in qualsiasi altra zona a suo piacimento. Ad un osservatore esterno, la tecnica si presenterà come un'implosione interna al soggetto: in un battito di ciglia, l'Agente si compatterà su se stesso, svanendo poi alla vista.
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    Come mi sento...?
    Dio. Le premeva sulle ginocchia, e vedeva le stelle ad ogni minimo movimento. Aveva qualcosa di rotto, e l'occhio continuava a buttare sangue. Le girava la testa, non riusciva a formulare un pensiero coerente. Aveva perso troppo sangue. L'avevano gettata giù da almeno quattro piani, in caduta libera. Era scalza, sentiva la pioggia inzupparle i piedi nudi, non sapeva nemmeno se maledire quella sensazione sgradevole o esserne felice perché se sentiva dolore non era paralizzata. Aveva voglia di piangere: ecco come si sentiva. Ma non avrebbe mai fatto niente del genere in compagnia di un altro rider, specie visto che le aveva appena salvato la vita. Per rimediare avrebbe urlato volentieri, ma se ci provava il costato la spediva all'altro mondo per il dolore.

    « C-come mi sent... o...? » Ripeté quella domanda, stupita. « Come mi sent... » esplose in un violento accesso di tosse, la mano premuta sull'occhio mancante che seguitava a buttare sangue. « Che domanda del cazzo! » Rispose con fin troppa sincerità, ruvida come carta vetrata perfino con la persona a cui di fatto doveva la vita. Ancora non riusciva a crederci: quante possibilità aveva di beccare un rider solitario in giro per Klemvor sotto le prime piogge...? Era questione di giorni, ormai la Messa dei Diluvi era prossima, e con essa il divieto delle battle. Non che negli ultimi anni le battle fra team fossero una cosa comune, a Klemvor. I rider erano sempre di meno, i team bellici sempre più rari. Era un miracolo che quel tizio l'aveva trovata. Ma quante possibilità c'erano che interveniva appena in tempo, proprio quando vedeva approssimarsi la morte sotto forma di una bestia di metallo con più lame di un reggimento di macellai?? Avrebbe potuto riderne per ore, in altre circostanze. In quel momento però le andava di piangere, e in misura minore di urlare.

    « T... team Midnight, Apollo Road... siamo... n-non ricordo, dannazione, io... c'era un tizio... »
    C'era un tizio. L'aveva visto in faccia, anche se... non riusciva a ricordare i suoi occhi. Ricordava il suo ghigno, sì. Sogghignava mentre le strappava il pugnale dalla faccia e la gettava dalla finestra. Ma dov'erano gli altri? Dov'erano i suoi compagni?
    « R... riportami là!!! »
    Nell'istante in cui realizzò quanto fosse meschina tentò immediatamente di divincolarsi, esibendo la forza fisica di un neonato e la lucidità mentale di un tossicodipendente strafatto di LSD. Batté il pugno contro il petto del suo salvatore e farfugliò una serie di frasi sconnesse.
    « Mika...! Taiga! Loro sono ancora là! Riportami indietro, devo aiutarli!! Non esiste che li lascio laggiù! Lasciami andare! Devo... »
    Ah, sì. Urlare non le riusciva proprio. Il costato faceva troppo male.
    Piangere era decisamente un po' più semplice. Fa schifo quasi quanto morire, però non era facile trattenersi, in quel frangente...

     
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    Agente Serendipity

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    Parole sconnesse. Tentativi di divincolarsi.
    Agente non riusciva a capire. E quando non riusciva a capire, di solito, si sforzava di analizzare.

    "C-come mi sent... o...? Come mi sent... Che domanda del cazzo!"

    ...Aveva dolore al pene?
    La tastò. Due seni, un corpo appiccicoso di sangue e sudore, nessuna protuberanza in mezzo alle gambe.
    L'umana sembrava essere una femmina. Cos'era una "domanda del cazzo,", dunque? Uno dei loro modi di dire? Una figura retorica?
    Il linguaggio umano. Sempre così astratto.

    "T... team Midnight, Apollo Road... siamo... n-non ricordo, dannazione, io... c'era un tizio..."
    Team
    Squadra, gruppo di persone che collaborano a uno stesso lavoro o per uno stesso fine
    E quello era chiaro. Ma Midnight? Apollo Road?
    Forse era un indirizzo stradale.

    "R... riportami là!!!"
    E poi, quella frase del tutto insensata. Perché voler tornare dal droide assassino a tutti i costi?
    Forse c'era una spiegazione razionale. Magari il robot era giunto per salvarla, o la zona era famosa per gli ottimi medici.
    Apollo era un Dio della medicina, per caso?

    "Mika...! Taiga! Loro sono ancora là! Riportami indietro, devo aiutarli!! Non esiste che li lascio laggiù! Lasciami andare! Devo..."
    Come non detto. L'irrazionalità di un umano poteva davvero arrivare a livelli simili?
    Che bella notizia! In quel caso, erano decisamente più semplici da manipolare del previsto.
    L'umana era in preda alla follia. Davvero pensava di poter combattere ancora? O forse non aveva realizzato in che stato si trovasse.
    Magari non provava del dolore. O magari, era proprio l'eccessiva sofferenza ad aver onnubilato le sue capacità.
    Agente voleva parlare all'umana. Capire meglio. Ma per farlo, doveva prima ripararla.

    «Non sei in grado di aiutare nessuno, al momento.» spiegò quietamente l'Agente «Dottore. Sai dove trovarne uno? Temo che le tue condizioni fisiche peggioreranno velocemente, senza assistenza medica.»
    Agente temeva anche che l'umana, in quello stato, non fosse in grado di capire. Per questo schioccò le labbra, per poi pronunziare una singola parola:
    «Morte.»


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    « ... »
    Fermi tutti. C'era qualcosa che... spostò lo sguardo verso il suo seno e ci trovò appiccicata sopra una mano. E non era scivolata lì... la stava palpando.
    Diventò rossa dal collo fino alla punta dei capelli e represse un moto omicida. Avrebbe colpito quel suo strano ed effemminato salvatore, se non l'avesse appena tirata fouri da un pericolo mortale.
    « Posso sapere che cavolo... »
    senza preavviso la mano in questione scese più in basso. Ari sobbalzò sul posto, issandosi di scatto e quasi ammazzandosi nel processo
    « ... STAI FACENDO??! »

    Si strappò quell'arto molesto di dosso con la mancina, mentre la destra seguitava a premere sull'occhio strappato via di netto cercando inutilmente di soffocare il fiume di sangue che versava. Prevedibilmente iniziò a vacillare, iniziava a soffrire la mancanza di sangue. Tornò giù di botto, come un sacco svuotato del suo contenuto, gemette dolorante e tentò disperatamente di diradare le nebbie in cui era immersa la sua mente. Era difficile capire qualcosa, in quelle condizioni di sofferenza. Era difficile perfino ricordare. Lo strano Storm Rider che l'aveva salvata, però, fu di aiuto convogliando i suoi pensieri nella direzione giusta.

    «Non sei in grado di aiutare nessuno, al momento.» disse lui, in tono schifosamente calmo, tanto calmo da farle venire di nuovo la voglia di prenderlo a pugni. «Dottore. Sai dove trovarne uno? Temo che le tue condizioni fisiche peggioreranno velocemente, senza assistenza medica.»
    Rimase immobile a fissare il volto terribilmente femminile di quel tizio, sconcertata. Un dottore, un dottore...
    «Morte.»

    « Il Big Bird... » con uno sforzo levò una mano insanguinata, indicando la struttura distante del gigantesco stadio che spiccava oltre gli edifici, parecchi quartieri più in là. « Se ho qualche organo spappolato allora sono fottuta. Non abbiamo mezzi... tenteranno di riportarmi nel Pentauron in fretta, ma non faranno mai in tempo. Crepo durante il tragitto, poco ma sicuro. » Rassegnarsi le faceva schifo, però iniziava a pensare che non ce l'avrebbe fatta. Sentiva l'incoscienza aspettarla giusto dietro l'angolo, ed in quello stato perdere i sensi poteva significare... beh, morire. Schiattare. Crepare. Game Over. Fine dei giochi. Ed ovviamente le faceva schifo. « Peso più di cinquanta chili, nemmeno un "Re" è in grado di farmi arrivare nell'unico ambulatorio che ci supporta, che si trova proprio nel bel mezzo del Bloodrunner! »

     
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    Agente Serendipity

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    Agente era piuttosto felice di vedere l'umana agitarsi e indignarsi così. Era un segno positivo, indicava forza interiore e voglia di sopravvivere.
    Ma senza un medico, la sua energia non sarebbe servita a nulla. Sangue e coscienza sarebbero scivolati sul pavimento, lasciandole tra le braccia soltanto una carcassa vuota.
    Agente non voleva che succedesse. Nessun sentimento particolare per l'umana, ma la solo la sensazione di essere arrivata lì per fare qualcosa.
    Oh, sapeva cosa fosse questo sentimento, si chiamava
    Eroismo
    Straordinario coraggio, valore e forza d'animo.
    Fare qualcosa solo perché convinti che ciò vada fatto, in sprezzo a ogni difficoltà e conseguenza. Salvare l'umana solo perché, per caso o per fortuna, Agente si era trovata nella condizione di farlo.

    Aggrottò la fronte, cercando di concentrarsi sulle parole dell'umana. Spostando lo sguardo verso l'edificio da lei indicato.
    Lì c'erano dei dottori? Così sembrava. Allora era lì che dovevano andare, anche se l'umana non pareva convinta di poterci arrivare.
    Sbuffò. Si erano appena teletrasportate per fuggire da un robot gigante! Ma intontita com'era, l'umana forse non aveva realizzato la cosa. Troppo dolore, troppa agitazione.
    «Io non sono un re.» dichiarò, stringendola tra le braccia.
    "Re", per una creatura del suo calibro, era quasi un'offesa. Indicava solo un umano più potente degli altri - e nemmeno oggettivamente, ma sul piano puramente teorico. Un'onorificenza che non sempre attestava una reale eccellenza della persona.
    In altre parole, pura astrazione.
    «Io sono l'Agente dell'Entropia.»
    E poi, il teletrasporto.

    Agente era brava nel teletrasporto, di solito. Brava a translare in una condizione più immateriale, a farsi guidare dalle correnti del Caos che erano parte della sua stessa essenza. Ma non era minimamente abituata a trasportarsi così, avendo un obiettivo preciso nella mente - uno così complesso, oltetutto. Doveva far attenzione a non materializzarsi a mezz'aria, o dentro una perete dell'edificio. Cosa più importante, doveva stare attenta a non mischiare la propria materia con quella dell'umana che stava trasportando. Non sarebbe stato solamente dannoso per entrambe: un simile mix di normalità e caos avrebbe avuto effetti simili al quando si mescola materia ed antimateria.
    In altre parole, BOOOOM.
    Pur essendo smolecolarizzata, percepì il dolore scuotere ogni atomo del suo strano corpo. Probabilmente avrebbe urlato, se avesse ancora avuto una bocca. Non potendo farlo, cercò di concentrarsi sulla destinazione: l'ingresso dell'edificio indicato dall'umana, al livello della strada.
    Lì diresse le sue energie, cercando di rimaterializzare entrambe in maniera corretta.

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    « E'... Impossibile... »
    Impossibile. Non riusciva a formulare altri pensieri, in quel momento. Aveva la testa pesante, la vista era tutta appannata. Colpa del troppo sangue perduto e del fatto che non era abituata a vedere con un occhio solo. Ma perfino così riusciva a realizzare che in qualche modo, quell'individuo in bianco l'aveva appena condotta di fronte al Big Bird, il gigantesco stadio quartier generale della più grande megastorm della Foresta, Genesis.
    « Chi diavolo sei tu? Come hai... Urgh... »
    Gliel'aveva appena detto. Era un agente dell'Entropia, ma cosa significava...? Era il nome di un team? Di una banda? Una specie di titolo onorifico? Iniziava a temere di non avere a che fare con un normale riders. Forse neanche con un normale essere umano. Le sembrava impossibile, ma quel tipo che non aveva assolutamente l'aria di essere un Abusivo, probabilmente neanche proveniva dalla Foresta.

    « Che diavolo succede...? »
    Una pattuglia di scout piombò attorno al luogo in cui Agente ed Ari erano atterrati, sette ragazzi in abiti neri di materiale sintetico, con caschi interamente bianchi rifiniti con simboli tribali anch'essi neri che richiamavano l'immagine di pantere. Circondarono i due piombando al suolo dagli edifici adiacenti, le air treck che sfregiavano l'asfalto in spirali brevi.

    « Voi due! Identificatevi! »
    Quello che sembrava il caposquadra aprì la visiera del casco concentrando la sua attenzione sulla ragazza mezza svenuta che giaceva al suolo in una pozza di sangue, senza riuscire ad evitare di gettare uno sguardo sospettoso nei riguardi della donna in bianco praticamente lavata di rosso.
    « Che diavolo hai fatto...? L'hai ammazzata? »

    « E... Elios! Sono Ari dei Midnight! Finiscila di fare l'idiota e aiutami! »
    Il ragazzo si avvicinò con cautela, fissando Agente con fare sospettoso, poi si chinò sulla ragazza e le scostò con delicatezza la mano che premeva sull'orbita squarciata, per poi emettere un breve fischio.
    « Crepi? Stai crepando? Da non crederci. E' stato questo tizio a conciarti così? »
    « I cacciatori di teste! Aiutami, portami dalla Regina del Legame, forse possono... »
    « Sei scalza. Ti hanno fregato le Air Treck? »
    « Finiscila di fare l'idiota! »
    Il tono di voce di Ari prese ben presto tutte le sfumature della disperazione, dato che sapeva dove quell'individuo chiamato Elios stava andando a parare. Infatti appena il giovane si rialzò, tornò a concentrarsi su Agente, fissandolo negli occhi attraverso la fessura del casco, occhi scuri che sembravano più divertiti che preoccupati.

    « Senti, bella, te la metto giù dura che non mi pare abbiate tempo da buttare. Vedo che non sei di queste parti quindi non strippare: questa Foresta ha le sue regole, e la più importante di tutte è: » indicò col pollice lo stadio alle sue spalle « solo gli Storm Riders entrano alla Rocca, capito? » Indicò Ari, stesa al suolo. « Questa mezza morta qui aveva con se qualcosa di importante, qualcosa che non doveva perdere. Al momento vale meno della smegma, è carne morta, capito? Se proprio ci tieni puoi tenertela, quelli come lei non crepano tanto agile, magari fai ancora in tempo ad arrivare al Pentauron se corri abbastanza forte. Si trova da quella parte, sempre dritto. »
    Indicò un punto a nord-Est, salvo poi accennare alla sagoma enorme di Laputa che gravitava nel cielo nel bel mezzo di Klemvor:
    « Oppure puoi sempre portarla dagli Abusivi. Dicono che quei bastardi non fanno mai niente per niente, magari fra tutte e due avete argomenti per convincerli. »

    « Elios! Bastardo, chiama il signor Kokuen! Chiama il capo della mia road! Siamo strade rivali, ma questo non vi da il diritto di disporre della mia vita! Non puoi decidere tu, figlio di puttana! »
    « E no, bella, qui ti sbagli! La "zona" è mia, qui decido io. »
    Balzò via, atterrando una decina di metri più in là, frapponendosi fra le due e l'ingresso.
    « Da qui non passate... »

     
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    Agente Serendipity

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    Agente spesso faticava nel capire gli umani.
    «Io sono l'Agente dell'Entropia.» ripetè meccanicamente agli uomini che li avevano circondati. Esseri bizzarri, con divise tutte uguali e strani aggeggi con le ruote ai piedi.
    Depersonalizzati. Agente li classificò mentalmente al pari di formiche operaie, per poi concentrarsi sulle parole del loro capo.

    Usanze, regole, cultura. Concetti troppo umani per poter essere elegantemente schematizzati, e che sembravano complicare sempre ogni minima interazione sociale.
    Prendiamo questo caso, ad esempio: umani che si rifiutano di curare un compagno morente per via di un oggetto che ha perduto. Nessun istinto di sopravvivenza della razza, nessuna solidarietà.
    Come se lo smarrimento del bene materiale avesse provato l'inettitudine della femmina umana. Un individuo inutile, e quindi sacrificabile... O forse, l'oggetto aveva indicato l'appartenenza della femmina ad un clan, e aveva ora perduto i privilegi relativi a quel gruppo.
    Qualsiasi fosse il motivo, sembavano intenzionati a lasciar morire la femmina tra le sue braccia.

    «Capito.» si limitò a dire, considerando un attimo le diverse opzioni a disposizione.
    Opzione numero uno: teletrasportarsi senza un invito all'interno della torre. Avrebbe potuto raggiungere da sola un medico, ma non era sicura di poterlo convincere a collaborare. Tutti i suoi poteri offensivi erano piuttosto... Definitivi.
    Opzione numero due: andare al Pentauron, luogo già nominato dalla femmina ferita. Pareva il luogo più probabile in cui trovare assistenza medica.
    Opzione numero tre: raggiungere l'isola volante appena indicata dal capo. Un luogo sconosciuto, in cui non era certa che avrebbe trovato alcuna medicazione.

    Scelse l'opzione due. Un lungo respiro, un battito di ciglia e l'Agente dell'Entropia si teletrasportò nel Pentauron, la femmina umana tenuta stretta tra le braccia sporche di rosso.
    Iniziava a sentirsi un poco stanca.

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