A night among the graves

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    Dark Side of Super Sayan

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    Narrato-Parlato-Pensato

    Libero, finalmente libero, attraversando il portale creato per me da coloro che potevo considerare miei unici e veri amici, mi lasciavo alle spalle anni di sofferenze, maltrattamenti, isolamento; mi indirizzavo verso una nuova vita, lasciandomi dietro tutti coloro che mi consideravano un pazzo per il mio dono, la mia capacità di vedere gli spiriti e le anime dei viventi, un'abilità che mi fece ottenere più guai che benefici.
    Quella notte ero fuggito dalla mia casa, abbandonando la mia famiglia, non provavo rimorso, perfino costoro mi avevano discriminato, non v'era motivo per cui dovessi rimanere con loro; scappato di casa, andai nel cimitero della mia città: Tokyo, luogo dove la mia connessione con gli spettri era più forte, arrivatovi, questi mi dissero che potevano portarmi in un luogo dove non sarei stato discriminato, dove chiunque aveva un "qualcosa" di speciale. Un'offerta del genere non potevo lasciarmela sfuggire.
    Accettai, era la mia occasione per vivere serenamente, lontano da tutti coloro che mi avevano voltato le spalle.
    Un portale, uno squarcio luminescente nell'aria, ciò che mi avrebbe portato nel mondo descrittomi: Endlos.
    Attraversato il portale, mi ritrovai in un altro cimitero, sempre di notte, S-sicuri che s-sia il l-luogo di cui m-mi avete parlato? La risposta a questa mia domanda fu affermativa, mi trovavo nel Giardino dei Dimenticati, cimitero del Presidio Errante, non mi dissero di più, se non che a causa del portale, che durante il mio passaggio aveva prosciugato parte del mio potere, questo per del tempo non avrebbe avuto più effetto, dopo quelle parole, infatti smisi di vederli.
    M-meglio che esca d-da qui, c-così potrò orientarmi meglio, dissi pensando ad alta voce, iniziando ad incamminarmi tra le tombe, cercando una via d'uscita dal cimitero.

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    The Anomaly

    “Eccone un'altra” dico a me stesso in tono isterico, in parte a causa dell'ora tarda e in parte per la concitazione. “Non se ne verificano molte ultimamente, non è ve...?”

    “E nemmeno così tanto vicine”, mi interrompe prontamente La Voce, prevedendo la fine del mio discorso. Osservo con enfasi il quadrante dell'Orologio mentre le sue lancette placcate d'oro vorticano follemente sotto il quadrante, soggiogate da una curiosa ed infallibile danza. Il loro movimento erratico è come una macabra sinfonia per me, un oscuro rituale che preannuncia il verificarsi di circostanze che sfuggono dalla comprensione dei mortali.

    “Due minuti e quindici secondi all'evento. Anomalia di grado diciassette, scala Maricourt. A giudicare dall'intensità delle dispersioni tachioniche all'interno del campo magnetico locale, non si tratta di un movimento casuale del Maelstrom: credo si tratti di una traslazione volontaria.”

    “A meno che la sua fonte non superi l'undicesima dimensione, nel qual caso l'origine cronale del riflusso di spaziotempo risulterebbe indebolita. Potremmo avere a che fare con un nuovo tipo di vettore.” Esclamo, mentre mi appresto ad infilare il più rapidamente possibile nella tracolla la mia attrezzatura sperimentale, insieme ad un plico di sudici fogli e tutte le penne ad inchiostro che riesco a trovare.

    “Datti una mossa, allora.” redarguisce l'Orologio “Se fosse come dici, non durerà per molto. Credo sarà localizzata nel Giardino dei Dimenticati. Si trovano ad un paio di chilometri da qui, pensi di fare in tempo o sei troppo vecchio?”

    Comincio a sogghignare per la frecciatina. Prendo la catenella che regge l'involucro dorato dell'artefatto facendolo oscillare davanti ai miei occhi con gesto di sfida.

    “Non essere saccente con me, Aeon. Sono il cronarca. Sono sempre in tempo.” dico beffardamente, mentre ormai mi appresto a partire, fermo sul limitare della porta di casa.

    “Allora farai in tempo anche ad infilare il mantello. Sta per iniziare a piovere.”

    Il mio riso si tramuta repentinamente in gelida espressione di indifferenza.

    “Lo so.”

    - - -

    Non ho mai compreso i cimiteri. Un modo futile e inglorioso che ha la gente comune di cercare di sentirsi padrona del tempo, illudendosi dell'immortalità delle proprie spoglie. Valico le porte del sacrario del latifondo laputense, superando maestose statue raffiguranti eroi e magistrati di un era che fu; ma dove una volta ci sarebbe stato un uomo incantato da così tanta maestria artistica e meravigliato dalla sensazione di veneranda antichità che riverbera tra questi mausolei, ora si trova un individuo diverso.
    Vita, morte, amore, dolore, onore, desiderio: sono termini talmente lontani e vuoti da me da rasentare il nulla che alberga nei vuoti interstellari noti come Buchi Neri.
    Tutto quello che conta, ora, è cambiare le cose. E il primo passo è comprendere la volontà del Maelstrom.

    Mi sto destreggiando tra lapidi ed urne, diretto dalle infallibili lancette di Aeon verso l'anomalia, quando qualcosa attira l'attenzione della mia preveggenza: è un ragazzo, e a quanto pare mi sta venendo in contro. Ha lo sguardo vago, smarrito, come di chi si senta in un luogo che gli è estraneo. Di facce così, ne avevo viste a decine durante i miei esperimenti.

    “Due minuti e quindici secondi, dicevi?” affermo seccamente, con tono contrariato.

    “Un nuovo tipo di vettore, dicevi?”

    Eppure c'è qualcosa di strano in quel ragazzo; quasi nessuno giunge su Endlos volontariamente, e men che meno senza conoscerlo in precedenza. Chi è, e come ha fatto ad arrivare a Laputa con un portale tanto raffinato senza conoscere nemmeno la sua esatta collocazione?

    “Forse questa nottata non è ancora del tutto sprecata” penso tra me e me, mentre mi incammino nella direzione che il giovane avrebbe di lì a poco deciso di prendere.

    “Forse sarà davvero qualcosa di nuovo.”



    Edited by .:Aeon Clock:. - 17/6/2015, 16:46
     
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    Narrato-Parlato-Pensato

    Continuai la mia avanzata tra le tombe, il posto era alquanto spettrale, cosa ancora più marcata da un temporale arrivato in quel momento; la situazione mi faceva poi così paura c'ero abituato ai luoghi così, ciò che mi inquietava era chi o cosa potevo trovarci dentro.
    Continuando a camminare iniziai a sentire un rumore di passi, diretto verso di me, e non appena mi girai nella direzione da cui proveniva, illuminata da un tuono vidi una figura che mi fece prendere un colpo, una specie di cyborg a ciò che vidi grazie al tuono, visto il suo occhio sinistro, bionico almeno stando a ciò che vidi.
    Caddi a terra per la sorpresa, e per la paura di quell'essere che mi era vicino, tremavo come una foglia, timoroso per la sorte che avrebbe deciso nei miei riguardi, L-la prego, n-non mi faccia d-del male, m-mi perdoni s-se le ho c-causato fastidio, l-la scongiuro, non v-volevo fare danni in q-questo cimitero, c-ci sono arrivato tramite un p-portale, non mi punisca p-per questo, detto ciò, mi sistemai gli occhiali, scivolati sulla punta del naso, e che spostati per esser rimessi a posto riflessero la luna, scintillando.
    Mi rialzai, tremolante come prima, e attesi quindi una risposta dal presunto cyborg, sperando di non finire male, senza l'aiuto degli spettri che mi erano amici, ero totalmente indifeso, alla mercé di ogni possibile aggressione.

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    Edited by DarkSuperSayan - 17/6/2015, 11:35
     
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    The Spectre

    Uno spettro.
    Era quello che sembrava aver visto quel pulcino bagnato, data la sua esagerata reazione al mio avvicinamento, tanto che per un istante mi era quasi venuta la tentazione di girarmi per vedere quale mostruosa aberrazione fosse comparsa alle mie spalle.
    Eppure no, non c'è proprio nulla dietro di me; quel ragazzo ha paura del mio aspetto. E' vero, forse ultimamente sono un po' più sporco e trasandato del solito: la mia folta barba non curata mi ricopre completamente il viso e gli spessi occhiali che porto, illuminati dalla luce dei lampi, impediscono di scorgere i miei occhi, stinti ma umani. Ed è anche vero che svegliarmi nel cuore della notte deve aver amplificato notevolmente le mie già vaste rughe ed il mio naturale pallore. Insomma, sembro in tutto e per tutto il tipico becchino vecchio e pazzo che popola i cimiteri di qualunque piano di esistenza.
    Ma, diciamocelo, la cosa non mi crea più fastidio di quanto non lo faccia dovermi ricordare ogni giorno di mangiare.

    “Frena i nervi, sbarbatello.” gli dico con tono pacato, mentre un lampo abbagliante seguito dall'assordante fragore di un tuono segna l'avvicinamento della tempesta. “Sei al sicuro... almeno finché farai il bravo e risponderai alle mie domande. Sono uno scienziato, e al momento tu sei la mia ricerca”.

    “E pensi che questo dovrebbe calmarlo? Non vedi che se la sta già facendo sotto per conto suo?” mi sussurra Aeon, sempre partecipe nei momenti in cui non sento necessità di lui.

    “Meglio, così non gli verrà la tentazione di andarsene” dico, accorgendomi che come al solito ho parlato a voce troppo alta. Squadro per qualche secondo la figura china davanti a me, accorgendomi che non ha preso troppo bene il fatto che stessi conversando da solo. In effetti forse l'Orologio non ha tutti i torti: siamo in un cimitero, di notte e durante un temporale, per quanto non conosca il significato del termine “scrupolo” se a questo poveretto scoppiasse il cuore dal terrore non mi sarebbe più molto utile.

    Mi avvicino con molta calma a lui, estraendo dalla tracolla uno scintillante strumento metallico simile ad una piccola batteria elettrica ricolma di tasti e quadranti, terminante in una piccola asticella a filo: un raffazzonato contatore geiger, personalmente modificato per captare le particelle cronali dall'ambiente. Lo accendo e ruoto un paio di manicotti per alzare il voltaggio del macchinario, prima di vibrare il manico attorno alla figura attonita del giovane, a prima vista ignaro di ciò che sto facendo.

    “Una cosa è certa: non hai lasciato residui tachionici al tuo passaggio, quindi non ti sei mosso all'interno del tuo spaziotempo personale. Una velocità di viaggio di Mach 4026, oserei dire. Una transizione a dir poco perfetta ed immediata, quindi non sei stato trasportato casualmente dal Maelstrom... e a giudicare dalla rapidità con cui sei arrivato e dalla distanza da cui sei partito, immagino che tu sia originario del sistema solare Via Lactea”

    Mi prendo qualche secondo per analizzare e computare mentalmente i risultati, mentre aggiungo “ma poiché non sei arrivato qui per caso, né hai l'impressione di essere uno che sapeva dove fosse diretto, immagino tu sia stato condotto qui alla cieca, o che i tuoi poteri ti ci abbiano portato in maniera casuale. Sai almeno dove ti trovi ora?”

    Attendo la risposta del ragazzo, sperando che non si fosse totalmente pietrificato dalla paura, mentre faccio scivolare verso l'alto gli occhiali per controllare con maggior precisione gli scintillanti monitor del Captator. Ah, ricordo con nostalgia i bei tempi in cui non dovevo diffidare della mia stessa vista. Che sofferenza invecchiare.

     
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    Narrato-Parlato-Pensato

    Colui che si trovava dinnanzi a me mi disse di calmarmi, non era una cosa così facile, la sua figura mi intimoriva sinceramente, similmente ad un antagonista di un film horror, ma sentirlo parlare in modo pacato e tranquillo, mi fece calmare, e smisi quindi di tremare.
    Un lampo squarciò il cielo, con gran fragore, prima che il mio interlocutore mi dicesse di essere uno scienziato, ed io ero attualmente il suo soggetto di studio; si avvicinò a me tirando fuori uno strano aggeggio meccanico, che mi passò attorno, C-che s-sta facendo? Chiesi, prima che il "becchino meccanico" di fronte a me, analizzasse il modo in cui ero arrivato.
    Disse un mucchio di cose che io non capì: residui tachionici, spaziotempo personale, velocità di viaggio Mach 4026, tutte cose che mi sembravano sproloqui presi da un libro di fantascienza, l'unica cosa che riuscì a capire, fu la sua deduzione in base a cui provenivo dal sistema solare in cui v'era la Via Lattea.
    Dopo aver guardato nuovamente quello strano aggeggio, forse analizzando i dati raccolti su di me, mi chiese: ma poiché non sei arrivato qui per caso, né hai l'impressione di essere uno che sapeva dove fosse diretto, immagino tu sia stato condotto qui alla cieca, o che i tuoi poteri ti ci abbiano portato in maniera casuale. Sai almeno dove ti trovi ora? Annuì, per poi rispondere: S-so m-molto in generale dove mi trovo, i-il mondo in cui s-siamo si c-chiama Endlos, e c-ci troviamo esattamente n-nel Giardino d-dei Dimenticati, c-cimitero di Laputa, q-questo è quanto m-mi hanno detto al m-mio arrivo, n-non so altro.
    Mi accorsi però che seppur stavo discutendo con qualcuno, non mi ero nemmeno deganto di presentarmi, per rimediare dissi quindi:M-mi perdoni l-la maleducazione, n-non mi sono nemmeno presentato, i-io sono Mitsuki Seishin, potrei sapere p-per favore chi è l-lei? Attesi poi una risposta dal mio interlocutore.

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    Ah, già, le formalità.
    Una volta apprezzavo questo genere di consuetudini. Inchini, presentazioni, falsi sorridi, rispondere con educazione e fingere interessamento a fatti o a persone tanto vuote e noiose da far sembrare un viaggetto nel Cretaceo una giornata al parco divertimenti.
    Convenzioni pacchiane per gente semplice, priva di qualunque prospettiva; a quale scopo mostrare rispetto a chi non se lo merita? A che pro adeguarsi alle regole imposte da una misera società, quando il mio scopo è scardinarla fino alle fondamenta?

    “Credi che i nomi abbiano così tanta importanza, sbarbatello? Hanno forse un quale potere?”

    domando in tono grave al mio interlocutore

    “Ascoltami bene ragazzo, perché nella vita la prima lezione è gratuita e la seconda si paga caro. I nomi non ci giustificano per quello che siano, non descrivono nulla di noi, non ci rappresentano. Ormai ho più anni che capelli, e durante gli ultimi lunghi secoli ho visto parecchi vermi senza nome più degni di stare al mondo che molti lord con titoli e dinastie pompose e altisonanti.
    E tu mi chiedi di dirti quale sia il mio nome? Cosa ti fa credere di esserne degno?”


    Malgrado il tono accentuato della mia voce, non sono realmente in collera. Sto solo cercando di mantenere un rapporto di superiorità e di far capire a questo giovane che non è lui a fare le domande.

    Non gli lascio nemmeno il tempo di replicare, che le parole fuoriescono impetuose fuori dalla mia bocca senza che abbia nemmeno il tempo di riflettervi.

    “Comunque puoi chiamarmi Edmund, se proprio senti il bisogno di rivolgerti a me con un appellativo meno generico di 'Signore'”.

    Ecco qualcosa che non avrei voluto dire. Perché non riesco a frenare la mia bocca? Abitudine... o qualcos'altro?

    Per un attimo, i miei occhi si fanno chiari, come se fossero illuminati brevemente da un bagliore irreale, proveniente da un luogo che ancora non esiste. Ruoto il viso verso l'alto e ripongo velocemente la mia attrezzatura nella tracolla.

    “Attento al fulmine, Mitsuki. In questo momento sei carico fino al midollo di energia elettrostatica, e le scariche dei cumulonembi sono naturalmente attratte dalle Anomalie per la loro differenza di polarità elettrica. Per farla breve, è come se tu fossi un magnete e i fulmini delle pagliuzze metalliche; anzi, non mi stupirei se fossi tu stesso la causa di questa tempest...”

    Non faccio in tempo a terminare la frase che una saetta di proporzioni incredibili tuona fragorosa verso il ragazzo, per fermarsi ad un paio di spanne dalla sua faccia, mentre lapilli energetici sfrigolano e sfolgorano intorno alla piccola cupola temporale creata da Edmund intorno ai due. Il fulmine rimane immobile, quasi fosse rallentato in maniera inverosimile, come un dipinto bianco e giallo bloccato in un'eterna stasi artistica, prima di declinare lentamente nelle sue componenti primitive e disperdersi al suolo privo di forza.

    “Credo sia meglio trovare un posto al coperto, se vogliamo continuare con la nostra piccola conversazione. Sei fradicio, e personalmente non ho molta voglia di passare la nottata a temporizzare altri fulmini.”

     
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    Narrato-Parlato-Pensato


    Dopo la mia domanda, Edmund, così disse di chiamarsi, iniziò a farmi una specie di rimprovero, dimostrando che la mia domanda sul suo nome lo aveva turbato, iniziò a dirmi che non ero degno di sapere chi fosse, come a voler mantenere un tono di superiorità, ed io, un semplice diciassettenne, non potei nemmeno obbiettare, rimanendo quasi in soggezione in risposta alle sue parole.
    M-mi perdoni per averle p-posto quella domanda, dissi mentre eseguivo una sorta di inchino, come forma di rispetto, senza nemmeno guardarlo in faccia, tanto ne avevo paura, quell'uomo sprizzava superiorità da tutti i pori, almeno rispetto a me; rimanendo nella posizione di quella specie di inchino, ascoltai le sue seguenti parole, riguardo alla carica elettrostatica che il mio corpo, e prima che potessi fare una qualsiasi domanda, mi ritrovai con un fulmine dinnanzi al naso.
    Caddi all'indietro per lo spavento, il fulmine era li, bloccato ed immobile, fermato da Edmund, temporizzato a quanto disse, mi rialzai tremolante, osservando il cielo, con il timore negli occhi, S-si, m-meglio andare, m-mi dica lei d-dove andare, np-per favore, detto ciò aspettai una replica da Edmund, sperando che mi portasse in un luogo al sicuro da quei fulmini infernali.

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  8. .:Aeon Clock:.
     
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    One o'Clock

    Riflettiamo attentamente. E' già l'una passata e tutte le locande disponibili di Laputa sono già chiuse da un pezzo, perlomeno quelle che farebbero credito ad un Naufrago come lui; perché no, non ho intenzione di pagare nemmeno un singolo nichelino per questo sbarbatello. Potrei lasciarlo al suo destino... Certo non siamo a Merovish, ma sono ben conscio che senza conoscenze e senza denaro esistono ben poche possibilità per un ragazzo tanto insicuro e fragile, persino nel presidio errante. Una notte all'addiaccio non lo ucciderebbe, ma poi? Le alternative sono ben poche, potrebbe morire amaramente come l'ultimo dei miserabili vagabondi o unirsi ad una corporazione in grado di provvedere alle sue necessità e proteggerlo; nel migliore dei casi gli aviatori laputensi, nel peggiore dei casi quel branco di idioti ladri di anime noti come Selee Corporation.
    Certo, sempre che sia dotato di un qualche tipo di capacità; più lo osservo e più ne dubito, ma ho imparato da tempo a non giudicare le persone dalle apparenze. E la portata di quell'anomalia non lascia molti dubbi.
    Non che mi interessi realmente della vita o della morte di questo piccolo esserino, ma inizio ad avere la premura di non lasciarlo nelle mani dei miei nemici.

    “Un cucciolo spaventato, in balia degli eventi. Proprio come Alen. Nostalgico, non trovi?”

    Ignoro volontariamente le parole sussurrate nella mia mente da Aeon. Ormai è passata ben più di una vita, ciò di cui parla non ha più alcun significato per me.

    “Potrebbe esserci utile. Credo che abbia del potenziale, la scia tachionica non lascia alcun dubbio su questo; bisognerebbe solo... riforgiarlo.”

    Ascolto in silenzio quanto mi viene suggerito e mi prendo qualche secondo per riflettervi. Osservo il cielo coperto dalle nubi, prima che un piccolo spiraglio mi riveli la presenza di una pallida luna: qualche tiepida stelle si inoltra furtiva nel mio campo visivo, rischiarando per un istante il buio del cimitero nel quale mi trovo. Dovrò ricordarmi di renderle più luminose, prima o poi.

    “Seguimi Mitsuki. Andiamo a casa mia. Ma prima levati di dosso quell'insopportabile tono da larva tremolante, mi da i nervi: ti ho già detto che sei al sicuro con me. Non mi piace dovermi ripetere.”

    Fuoriusciamo rapidamente dal Giardino dei Dimenticati, incamminandoci con passo veloce tra le oscure viuzze della periferia laputense, sino a raggiungere un alto palazzo decadente. Un tempo probabilmente doveva essere un edificio di grande bellezza e gusto artistico, ma di certo della catapecchia malmessa che ci si protende davanti non rimane più niente della grandezza che fu.
    Estraggo un paio di chiavi e le giro nella toppa del portone, diretto verso il mio appartamento, badando bene di essere seguito dal mio accompagnatore.

    “Sentiti pure come se fossi a casa mia”.

    Gli dico, introducendolo nel caos del mio laboratorio; da ogni parte di estendono pile confuse di strumenti tecnologici e macchinari alchemici per i più svariati usi, uniti a miriadi di fogli, lavagne e tavoli ricolmi di appunti e ricerche interrotte, così numerose da coprire persino il letto su cui ormai non dormo più da moltissimo tempo.
    Mi avvicino a lui con un panno pulito e gli porgo alcune vesti di ricambio, mentre vado in quello che rassomiglia lontanamente ad un cucinotto ricolmo di becker, provette e soluzioni dalla consistenza e dal colore misterioso.

    “Immagino che sarai affamato. Non ho molto da offrirti, in realtà non ho quasi mai il tempo di mangiare. Pane e formaggio? Forse non è ancora scaduto. Oh, e del caffè, di quello ne ho in abbondanza. Ma forza, mettiti comodo e raccontami di più su di te.”

     
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    Vidi Edmund guardare il cielo, prima che mi dicesse di seguirlo fino a casa sua, evitando però di balbettare se non volevo finire male, V-va bene, dissi semplicemente, seguendolo poi al di fuori del cimitero, non mi dispiaceva rimanerci, mi trovavo a mio agio, ma non avevo la minima intenzione di beccarmi un fulmine in testa.
    Arrivammo dinnanzi ad un vecchio edificio, forse un antico palazzo nobiliare, molto pittoresco, ma al contempo degradato dal tempo e dalle intemperie, che lo avevano reso ormai un rudere, almeno esternamente; entrando, vidi ammucchiati ovunque progetti di vario tipo, strumenti tecnologici vari, dalle forme più svariate, ovunque, e dico ovunque, occupando totalmente persino sul letto in cui almeno in teoria Edmund dormiva.
    Mi porse un panno per asciugarmi, e delle vesti di ricambio, per poi dirigersi verso una specie di cucina ricolma di alambicchi, becker e altro. Mi cambiai giusto la maglia, fortunatamente i pantaloni erano asciutti, così che Edmund non si disturbasse troppo per me, ascoltai quindi la sua seguente domanda:Immagino che sarai affamato. Non ho molto da offrirti, in realtà non ho quasi mai il tempo di mangiare. Pane e formaggio? Forse non è ancora scaduto. Oh, e del caffè, di quello ne ho in abbondanza. Ma forza, mettiti comodo e raccontami di più su di te.
    Non si disturbi, non ho appetito al momento, dissi, declinando con garbo la sua offerta, poi continuai: Immagino che ciò che vuole sapere su di me sia la natura dei miei poteri; beh, io vedo gli spiriti, attimo di pausa, Posso vedere gli spiriti dei defunti, e le anime dei viventi; posso conoscere ogni informazione riguardante chi mi trovo davanti, solo leggendo la sua anima; posso infondere pensieri e energia elementale negli spiriti, generando quindi illusioni, o utilizzando come vettore per l'uso degli elementi gli spiriti; e tutto ciò, sospirai pesantemente, mi scese visibilmente una lacrima sul viso, E' per me una maledizione, a causa di questo dono, sono stato completamente isolato, considerato come un folle, rinnegato da tutto e da tutti, persino dalla mia stessa famiglia.
    Per questo mi sono fatto portare qui, per rifarmi una vita, lontano da quel mondo che ormai mi rinnega; Era anche questo che voleva sapere, il motivo per cui sono venuto qui su Endlos, vero?
    Nel dire tutto ciò, non ero riuscito a trattenermi dal piangere, le lacrime mi scorrevano sul viso come un fiume in piena, ricordare tutto ciò che mi era successo, anni di isolamento mi avevano fatto scivolare nell'oblio, ed ora, dopo aver esposto al mio interlocutore il mio fardello, aspettavo il suo giudizio, come un condannato che aspetta l'agire del boia.

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    The Offer

    Un manipolare degli spiriti.
    Ecco come ha fatto Mitsuki a raggiungere Endlos così velocemente e senza conoscere la sua destinazione: a quanto pare le entità che lo proteggono sono a conoscenza di molto più di quanto non sappia egli stesso.
    Che fortuna! Sembra che il fanciullo sia dotato delle stesse peculiarità di quell'illuso di Augustus e, curiosamente, anche di un carattere altrettanto debole.

    “Nulla di irrisolvibile, non credi?” mi sussurra Aeon.

    L'espressione disinteressata e boriosa di Edmund si tramuta velocemente in un ghigno sardonico di soddisfazione, mentre il ragazzo descrive esaustientemente le proprie capacità, per poi tornare altrettanto rapidamente serioso quando questo inizia ad annoiarlo con i futili dettagli della sua vita e riprende e frignare in maniera ancora più irritante di prima.
    La frustrazione del Cronarca diventa ancora più palese quando Mitsuki inizia a piangere copiosamente narrando di quanto fosse solo ed emarginato sul suo piano di origine. Ma che diamine, sono figlio di una prostituta ed di un vagabondo e quando avevo la sua età concorrevo per diventare Magister della Prima Torre di Uran!

    “Almeno tu hai avuto la possibilità di conoscere la tua famiglia.” dico in tono grave al mio ospite.

    “Ho visto morire mia madre davanti ai miei occhi quando avevo solo cinque anni, uccisa da un aguzzino per puro divertimento. Mio padre? Mi aveva così in considerazione che sparì dalla città dopo essersela scopata. Ho vissuto la mia intera esistenza in completa solitudine, odiato e schivato da coloro che professavano di amarmi; ma non persi mai tempo a gemere su me stesso e dopo non molto diventai l'uomo più rispettato e famoso dell'Impero.”

    Prendo alcuni secondi per riflettere su ciò che ho appena detto al ragazzo. E' qualcosa che non avevo mai confidato a nessuno, alquanto curioso che lo stia rivelando proprio ora, proprio a lui.
    Lo giuro, è solo fastidio quello che mi provocano le sue lacrime. Solo fastidio.

    “Come vedi, il potere comporta l'alienazione. Tutti coloro che come noi hanno un dono sono condannati ad essere allontanati da quelli che ne sono privi: è la legge della vita, c'è chi ha la capacità di realizzare i propri sogni e chi può solamente adagiarsi su quelli altrui. Ed è per questo che ti dico che abbiamo solo due scelte: passare le nostre esistenze nel rancore e nella frustrazione diventando realmente i mostri che loro credono che siamo oppure risollevarci e utilizzare il dono di cui il mondo ci ha fornito per risplendere più luminosamente del sole.”

    “Ma quante belle parole a vanvera, forse non dovevi abbandonare la carriera politica.”
    mi sussurra l'Orologio. Lo ignoro sbuffando.

    “Sei capitato nel posto giusto – e forse, hai incontrato la persona giusta. Endlos è piena di individui come noi, persone di cui non dovrai temere il giudizio né il sospetto perché dotati di proprie strane peculiarità. Ma al tempo stesso è un mondo crudele e oscuro, popolato da approfittatori e assassini che non esiterebbero a piantarti una lama tra le costole per accrescere il loro prestigio personale.
    Se ci tieni alla vita non ti fidare di nessuno, d'ora in poi.”


    “Voglio farti un'offerta, Mitsuki. Mi ricordi molto un amico che ebbi... molto, moltissimo tempo fa. Era proprio come te, forte ed insicuro praticamente su qualunque cosa facesse; ma insieme cambiammo il mondo. Ed è quello che sto cercando di fare anche qui, anche su Endlos: voglio cambiare le cose, ristabilire l'equilibrio, porre tutto al suo giusto ordine. Ma ovviamente non posso farlo da solo, ho bisogno di persone di cui mi possa fidare e che siano dotate di un forte potenziale di crescita... proprio come te.
    Sto creando un'organizzazione, mio giovane amico. Qualcosa di nuovo. Una famiglia per chi come noi ne è privo, un organismo innovativo che possa eradicare il marcio di questa società di inetti e capovolgere la faccia della medaglia.
    E sarei più che lieto se ne facessi parte.”


    Allungo il palmo di una mano aperta verso la sua come per porgergli qualcosa di invisibile; qualcosa come la speranza.

    “Come ti ho detto, abbiamo solo due scelte. Che ne pensi... figlio mio?”

     
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    Dark Side of Super Sayan

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    Narrato-Parlato-Pensato


    Al contrario di ciò che pensavo, ovvero un commento su quanto della storia della mia vita non glie ne importasse un fico secco, Edmund iniziò a parlarmi della sua vita, di come aveva vissuto la relazione con i genitori, e di come si era ripreso, dopo la morte della madre per mano del padre, e dopo la fuga di quest'ultimo, per poi divenire un uomo rispettato.
    Avevo ormai smesso di piangere, nell'ascoltare la sua storia, e tesi le orecchie, nel sentire la sua seguente affermazione, ovvero sul potere, Chi ha il potere, viene isolato per invidia da chi non ce l'ha, ciò mi è capitato, ma non per questo devo scoraggiarmi e diventare il mostro che volevano farmi apparire, pensai quindi.
    Ascoltai quindi la sua seguente offerta: Sto creando un'organizzazione, mio giovane amico. Qualcosa di nuovo. Una famiglia per chi come noi ne è privo, un organismo innovativo che possa eradicare il marcio di questa società di inetti e capovolgere la faccia della medaglia.
    E sarei più che lieto se ne facessi parte
    , mi tese quindi la mano e continuò: Come ti ho detto, abbiamo solo due scelte. Che ne pensi... figlio mio?.
    Mi lasciò stranito il modo in cui mi aveva chiamato, cosa che dimostrai, guardandolo con aria stupita, Figlio...mio? Perchè mi definisce così? Pensai, senza rivolgergli fisicamente il quesito, non credevo fosse il momento più adatto, quindi risposi ugualmente alla sua domanda: Accetto, mi si stampò un sorriso sul volto, forse un po forzato, non essendo io abituato a sorridere, però era già qualcosa, La aiuterò volentieri in questo suo intento, nel limite delle mie possibilità le darò una mano. In questo momento non credo di poter far molto, i miei poteri sono attualmente in stasi, visto che, a quanto mi è stato detto, attraversare il portale ha consumato molta energia spirituale, motivo per cui recupererò a pieno i poteri dopo del tempo, se nel frattempo la potrò assistire in modo diverso, non esiti a chiedere, direi che glielo devo, visto che prima, se non fosse stato per lei sarei finito male a causa di quel fulmine .
    Non ne sapevo il motivo, ma quell'uomo, Edmund, mi ispirava una certa fiducia, era come il padre che non avevo mai avuto, o meglio, che avevo avuto, ma che visto il mio dono non si era mai curato di me; vedevo in Edmund una figura paterna, e il suo nobile intento, mi spingeva a seguirlo, chissà che quello non fosse stato l'inizio di una bella cooperazione.

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    One Step To Hell

    Accetto.
    Quella parola risuona nella mia mente come una dolce e cacofonica melodia alle orecchie del sordo, come il vellutato abbraccio di un'amante sulla pelle dell'eremita, un fresco vino nella gola dell'assetato.
    Se in questo mondo c'è qualcosa di davvero difficile da procurarsi sono gli aiutanti devoti e motivati, ed in questo Mitsuki sembra fare eccezionalmente al caso mio. Non ha ancora la tempra adatta per affrontare tutto ciò che ci ostacolerà, ma è giovane e sveglio, e ha molto tempo per imparare; in qualche decade di addestramento potrebbe persino riuscire a risvegliare il suo pieno potenziale.
    Aeon dice che la sua traccia è debole, ma potrebbe aumentare drasticamente nei prossimi giorni; se i calcoli della mia strumentazione sull'anomalia che lo permea fossero esatti, potrebbe essere davvero il quarto nell'intera Endlos.

    Un'occasione d'oro. A quanto pare la notte si è rivelata assai più produttiva di ogni mia più rosea aspettativa.

    “Ne sono felice. Nei prossimi giorni ti spiegherò l'intera faccenda con maggiore dettaglio ma per il momento è meglio che tu riposi; sebbene ora non te ne renda conto, il viaggio ti ha stressato parecchio a livello fisico e senza un adeguato relax rischi di sovrasforzare i tuoi tessuti cerebrali. Stenditi pure sul mio letto, non preoccuparti per me... sono vecchio ormai, ed oltretutto ho il bisogno urgente di vedere una persona.”


    Detto questo, indosso nuovamente il pesante cappotto di pelle consunta e mi congedo dal ragazzo, lasciandolo libero e tranquillo di riacquistare le forze all'interno del mio appartamento. Non mi è chiaro se la fretta di allontanarmi sia dovuta più agli affari che mi attendono o a quel nauseante senso di buonismo che pervade Mitsuki: ma poco importa, ora che so di cosa ha bisogno. Sarò la sua famiglia, e questo mi permetterà di plasmarlo come più desidero.

    Tutto stava procedendo esattamente secondo i piani. Ormai, il conseguimento del primo tassello era vicino; l'organizzazione iniziava finalmente a prendere forma. E quando tutte le pedine fossero state disposte, nessuno sarebbe più riuscito a fermarlo: né quegli stupidi aviatori né tantomeno gli alfieri di tutti e cinque i presidi messi assieme.

    Era il primo passo verso l'Inferno.


     
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