Ever thought about adoption?

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    Odio i silenzi come questi. Sono i silenzi imbarazzanti di chi vorrebbe parlare, ma in realtà non vuole davvero farlo con la persona che si trova accanto.

    Camminiamo fianco a fianco, mani nelle tasche, di ritorno dalla levatrice che ci ha confermato che sì, la signorina Deneb aspetta un bambino. Felicitazioni!
    Lei non sembra molto felice.
    Ci sarebbero così tante cose da dire. La gravidanza non era pianificata, è palese, e lei cammina con la bocca cucita e gli occhi ingrigiti da mille pensieri cupi. Il padre del bambino, i soldi, il lavoro, il dolore del parto (sarà un maschio o una femmina?), la famiglia, la sistemazione... Mille problemi che sono solo sfaccettature di un unico, enorme e incredibile evento: una nuova creatura vivente le sta crescendo nella pancia.

    E io, l'ultimo degli stronzi, sono la persona meno adatta a darle consigli sensati. Io sono solo il medico appiccicoso trovato per strada, che oltretutto si sta ancora chiedendo come ha fatto a percepire un bambino con la pura forza della sua mente.
    Perché se un nuovo piccolo uomo sta crescendo in Deneb, io di contro sto perdendo ogni traccia della mia umanità.
    Non sono più definibile "essere umano", questo ormai lo ho accettato, ma la vera natura della mia trasformazione è ancora tutta da definirsi. Sono un'anomalia anche tra i Rakshasa, una bestia fatta di saghe e leggende che muterà in chissà quale maniera.
    Il lato positivo è che sono cresciuto di qualche centimetro.

    «Beh, non sei obbligata a tenerlo, se non lo desideri.» mormoro, tanto per rompere il ghiaccio.
    Cercare di farla parlare, nonostante tutto, mi sembra l'opzione migliore. Alla peggio si sfogherà.
    «Ci sono diverse opzioni.»
    Tipo l'aborto.
    L'adozione.
    Sposare un milionario in fretta e fargli credere che sia figlio suo.
     
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  2. Deneb Eilean
     
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    Sto iniziando a capire che cosa sia quella pace interiore che predicano gli ordini samurai di Undarm.
    Dopo la tempesta emozionale di ieri notte sento una quiete senza precedenti. Tutto è spianato, limpido e silenzioso. Della malinconia non c’è più traccia, come se le mie lacrime fossero confluite in un’inondazione colossale che ha spazzato via tutto. Credo di non essermi mai sfogata così tanto. Quando stamattina mi sono svegliata, mi sembrava di trovarmi in un’altra vita. Mi sono espressa soltanto a monosillabi con il povero Dhaval, tanto premuroso da accompagnarmi da una levatrice perfino dopo la scenata fatta ieri a cena. Non è più il trauma di aver scoperto la gravidanza a tenermi cucita la bocca, ma piuttosto i postumi di quello sconvolgimento. La calma irreale dopo il passaggio di un uragano.

    Sono incinta.
    So esattamente chi è il padre… o meglio, chi era.
    Il bimbo che aspetto è l’ultimo palpito di vita rimasto di lui.
    Sono così giovane e fin troppo inesperta per diventare mamma.
    Sono diventata uxoricida e vedova prima ancora di sposarmi.
    Accettare questa vita renderà ogni giorno più difficile del precedente.

    Per questo è sensato che io…

    « No, lo terrò. »

    Rispondo a lui e a me stessa con un sorriso. Non ho più dubbi né insicurezze. Le preoccupazioni ci sono ancora, e non sono nemmeno poche, ma adesso ho preso coscienza di come proseguire il mio cammino.

    « Devo ringraziarti per tutta la premura che hai avuto per me, mi hai aiutata davvero tanto. »

    Adesso ho un obiettivo. Se prima ero sul punto di accartocciare la mia vita e gettarla via, adesso ho una meta da raggiungere: nove mesi. La mia esistenza avrà ancora un significato per i prossimi nove mesi. Magari per quella scadenza avrò scoperto qualcos’altro che spingerà il mio traguardo un po’ più in là. Probabilmente sarà questo bebè, bisognoso di tutte le mie attenzioni.

    Io e lui dovremo vivere anche per il suo papà.

     
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    Inarco un sopracciglio. L'ho aiutata? Davvero?
    Se lo dice lei. A me sembra di averla messa solo nei casini, ma immagino sia meglio scoprire così di essere incinta che durante un'allegra gita a Merovish.
    «Prima che inizi a pensare che io possa avere chissà quali doppi fini nei tuoi confronti» alzo le mani in segno di resa «sei molto carina, ma preferisco i maschietti.»
    Meglio essere chiari, no? Mi rendo conto di essere stato premuroso ai limiti dello stalking, in questi due giorni.
    Deneb è, oggettivamente parlando, è una bella ragazza. E se questo bimbo ha un padre certo, lei non ho la ancora nominato.

    «Ho solo svolto il mio dovere da medico.» faccio spallucce.
    È più forte di me, a quanto pare. Dico di disprezzare il mio lavoro, e poi finisco sempre per raccattare pazienti come fossero gattini abbandonati in strada.
    Posso smettere di essere un dottore, suppongo, ma ciò non significa smettere di essere una brava persona.
    «Posso permettermi di chiederti cosa farai ora? Sai dove andare, come sistemarti, chi può occuparsi di te?
    Se ti serve una scorta per il viaggio, magari ti posso accompagnare. So picchiare la gente, oltre a curarla.
    »
    "Mangiare la gente" è la definizione più corretta, ma non sottilizziamo.

    Dovrei pensare anche al dannato furetto. Al momento dormicchia nella mia stanza in locanda, ma non posso continuare a scarrozzarlo in giro.
    Spero che non abbia strappato la faccia alla signora delle pulizie.
     
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  4. Deneb Eilean
     
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    « Uh… ok. »

    Mi esce uno strano verso di sorpresa in risposta alla sua rivelazione. Certo, è giusto mettere certe cose in chiaro, ma… non me l’aspettavo. Soprattutto perché non stavo mica flirtando con lui! Per qualche motivo mi sento un po’ imbarazzata.

    Dhaval comunque continua a mostrarsi apprensivo e disponibile, chiedendomi quali siano i miei piani futuri.

    « Pensavo di cercare un lavoretto da queste parti, per recuperare quello che ho speso e magari guadagnare qualcosa in più. Quando arriverà il momento… »

    Mi passo inconsciamente una mano sulla pancia.

    « …tornerò al mio paese, da mia sorella. »

    Viaggio con la mente al paesino alpestre che ho lasciato indietro, nel lontano Presidio Ovest.
    Subito dopo mi gonfio con un po’ d’orgoglio, tenendo alta la testa e mostrando un’espressione convinta.

    « Grazie per l’offerta, ma ti ho già rubato fin troppo tempo. E poi anch’io so difendermi: di solito fare da scorta è il mio lavoro. »

    A ognuno il suo, signor dottore.
    Ancora per qualche mese dovrei riuscire a provvedere a me stessa senza troppi problemi.

     
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    Quindi è una mercenaria? Ora capisco perché questa gravidanza l'ha così sconvolta. Non dev'essere bello scoprire da un giorno all'altro di non poter più correre, lottare, tracannare birra e ringhiare sul campo di battaglia come al solito.
    Ricordarsi di non essere solo una guerriera, ma anche una donna. Qualcosa di più... Fragile, di inferiore rispetto al ruolo che ti sei faticosamente conquistata.
    Ho voglia di farle pat-pat sulle spalle, ma non credo apprezzerebbe.

    «Io... Penso che mi informerò su questi conflitti a Ovest di cui mi hai parlato. Voglio capire se posso fare qualcosa di utile.» spiego, sebbene lo stomaco mi si stia già contorcendo per la nausea.
    Un campo di battaglia. Sangue, urla e feriti. La solita sensazione di impotenza, quando ne salvi mille ma decine e decine ancora ti sfuggono dalle braccia.
    Forse sarebbe meglio andare prima a Nord, cercare la fottuta spada che Daniel ha nascosto chissà dove. Prendersi del tempo per riflettere, immerso nel silenzio e nella neve.
    (Neve. Trabia. Sono paesaggi che mi mancano un poco, ricordi sfocati di due vite fa. Sì, voglio vedere la neve.)

    «Ti auguro buona fortuna, e cerca di stare tranquilla. Nel caso ci siano complicazioni, puoi contattarmi con...» aggrotto la fronte. Con cosa? Non ho un indirizzo fisso, un mezzo per comunicare, e nemmeno so dove sarò domani mattina. Il cellulare qui non prende, la geografia è instabile, e io a volte non so nemmeno con che nome dovrei farmi chiamare.
    «Ah, non lo so.» concludo desolato con una scrollata di spalle.
    Forse siamo destinati a non incontrarci mai più. In fondo, non siamo che due sconosciuti che si sono incontrati per caso in una notte di pioggia.
     
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  6. Deneb Eilean
     
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    Sebbene l’altro esprima a parole dell’interesse per la guerra ad Occidente, il suo corpo emana sensazioni del tutto opposte. Non c’è da biasimarlo, è naturale provare repulsione per le atrocità. Io stessa ho più volte distolto lo sguardo dalla situazione critica di Sequerus. Per quanto la mia parte razionale sia schierata con il potere costituito, che negli anni passati ha mantenuto lo status quo nel Presidio, il mio cuore in qualche modo simpatizza per i Ribelli. Per quanto sia una fazione composta perlopiù da non-umani che mi provocherebbero una certa repulsione, almeno a livello empatico comprendo il senso della loro battaglia. Ma in fondo non mi trovo nella posizione per giudicare: tutto ciò che so del fronte è frutto di un passaparola; non avendo mai messo piede dietro quelle trincee, fantasticare sui valori di una guerra lontana è un’idiozia infantile.

    L’unica cosa che posso sperare è che finisca il prima possibile. Le mie terre non meritano di essere dilaniate da lotte intestine. Più di ogni altra cosa, non potrei sopportare che il campo di battaglia si espanda fino a lambire il mio paesino. Per quanto sia egoistico pensarlo, sono felice che la zona calda sia circoscritta alla sola capitale.

    « Beh, immagino che fra circa sette mesi potrai trovarmi qui. »

    Mostro a Dhaval una mappa dell’Ovest. Punto il dito su un centro abitato in particolare, situato in una vallata dell’entroterra. Il paesino si chiama “Skye”.

    « Ci rivedremo di sicuro… ti devo un favore, dopotutto! »

    Sorrido e mi allontano senza aggiungere altro. Lascio alle mie spalle una promessa risibile. Quando mi deciderò a crescere? In un mondo tanto grande, le nostre strade probabilmente non s’incroceranno più. Eppure non riesco a fare altrimenti.

    Non sono mai stata brava a dire addio.

     
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5 replies since 23/11/2015, 19:32   113 views
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