[Quest] Gates of Golgòta

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    deva


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    Stanza del Medium Deviato (Blain)


    Quando riesci finalmente ad aprire gli occhi percepisci l'ombra della stanza pesarti addosso. Sei sdraiata sul letto, a pancia in giù, coperta per metà da una stoffa a fantasia di orsetti in peluche; non c'è luce, se non quella che si affaccia timida dai vetri della finestra: sembra notte ma non vedi alcuna luna e il vento pare graffiare su tutti i muri che delimitano quella cameretta.
    Sei sola.
    Ti senti sporca ma non sai perché. Il corpo risponde a fatica e la vista è annebbiata. Eppure, le tue labbra sembrano essere state congelate in un sorriso immutato e per questo tremendo.
    Nella parete opposta a quella sulla quale poggia il letto c'è un armadio a muro, aperto, con tanti abiti appesi; alla tua destra, le tende lasciano intravedere parte della finestra e, sul quarto lato rimasto, una porta socchiusa ti invita ad alzarti e spezzare il silenzio.

    Stanza del Medium Apatico (MajinZ)


    La TV accesa trasmette solo rumore bianco, illuminando il salotto quasi come fosse giorno. Sei sul divano, apparentemente privato della scintilla che distingue i vivi dai morti, e la porta alla tua sinistra si dischiude senza emettere alcun suono. A terra cartaccia di cibo spazzatura, polvere e incuria appoggiate ovunque, a partire dal tavolo che fa da perpendicolare al muro sulla tua destra. Non sai dire se sia giorno oppure notte, ma l'ombra della stanza - la poca rimasta, negli angoli, annidata in ogni anfratto lasciato fuori dal raggio del tubo catodico - pesa più delle tue membra stanche. Hai i pantaloni slacciati, come gli stivali, e ti sembra d'aver dormito in quello stato per un tempo impossibile da quantificare.

    Stanza del Medium Rassegnato (Black friars)


    Sei in piedi e dietro di te c'è solo un muro, abbracciato da due pareti che seguono quella rincorsa di scalini diretti nell'oscurità. Dal basso, oltre quella cortina di nulla nero e stranamente opprimente, senti provenire dei latrati, ovattati come se prodotti da fauci messe dietro un cuscino. Stai piangendo, sei stanca, e nonostante non vi sia eccezionale rapidità in quella discesa percepisci la gola secca, quasi stessi per tuffarti nell'abisso più profondo della tua vita.

    Benvenuti! :guru:

    Come avrete capito, la Quest si svolge in una realtà parallela: il luogo e la linea temporale sono totalmente sconnesse rispetto a quelle di Endlos e dei vostri personaggi, perciò non temete alcuna ripercussione in quanto a trama o danni permanenti.
    Ciò non vuol dire che dobbiate viverla da kamikaze: azioni irresponsabili o totalmente dettate dall'insensatezza porteranno ad un richiamo. Dopo due richiami si è fuori dalla Quest.

    Vi risvegliate ognuno nelle rispettive stanze. Le porte sono socchiuse e ciò vi spinge a provare un senso di angoscia.
    Chiedo a ciascuno di 'familiarizzare' con il proprio personaggio dummy, dando magari qualche idea dei ricordi che stanno riaffiorando mano a mano che il torpore svanisce lasciando spazio alla coscienza di sé. Insomma, gettare un paio di briciole su quello che potrebbe essere stato il background (seguendo le linee guida già date).

    Scadenza: Mercoledì 9 Dicembre, ore 21:00.
     
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    Da un posto EPICANTE

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    Le mani che gli scivolavano sulla candida pelle, fredde come le gocce che gli abbandonavano gli occhi smeraldini.
    Le parole sporche e rabbiose di colui che gli aveva strappato con prepotenza e grugniti ciò che aveva di più prezioso: L’innocenza, ancora gli rimbombavano nella mente come echi.

    Patricia si svegliò lentamente, priva di energie e felicità.
    Non era passato molto tempo da quando il padre l’aveva stuprata, il primo che aveva visto il mostro che aveva creato e il quale sangue era andato a bagnarli le mani, le stesse che insieme agli occhi cercarono l’orsacchiotto di peluche.

    "Mr. Dummy, dove sei?"

    Mormorò.

    La bambola non tardò a farsi trovare, che subito venne portata lentamente al petto della bambina, riscaldandolo come una ventata d’aria calda.
    Nonostante fosse notte, Patricia non aveva molto sonno, lo aveva perso da quando era successa la violenza.

    Rimase quindi nel suo piccolo e sicuro letto, tirandosi fino alla bocca le coperte pulite, che odoravano di menta.
    Non gli piaceva molto la menta, ma adorava comunque l’odore che emanava dal tessuto.

    "Sangue ..."

    ”Uhm … cosa hai detto Mr.Dummy?! "

    ”Sangue ..."

    ”Anche io ti voglio bene"

    Sorrise, ancora di più.
    Si guardò attorno prima di scendere dal letto per mettersi le pantofole, belle grandi e calde, come gli abbracci che aveva sempre desiderato.
    L’orsacchiotto venne spostato dal petto alla spalla, sopra la cucitura di un pigiama dal colore simile ad una ciliegia che ricopriva Patricia.

    ”Una veloce occhiata alla finestra e poi tutti oltre la porta! Verso un’altra avventura.”

    Avrebbe detto e fatto, d’altronde a quell’età cosa poteva fare se non quello?
     
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  3. _MajinZ_
     
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    Apro gli occhi e una strana sensazione si impossessa della mia mente. Lo chiamano déjà-vu, no? Quando ti sembra di rivivere qualcosa che hai già vissuto, ma che in realtà è solo un insieme di coincidenze. Per me però è diverso. Tutto questo mi ricorda esattamente quella volta... la prima volta forse in cui la mia rabbia esplose in quel modo assurdo. Si, anche quella volta la tv era accesa, ma non mostrava nessuna immagine, solo il bianco. Anche quel giorno la porta era socchiusa... e se solo fosse stata chiusa, magari non avrei visto nulla. E invece no. Alla fine li ho visti insieme... non ci ho visto più. Lo presi a pugni talmente forte, da cancellare ogni espressione dal suo viso: rimase solo una massa informe di carne e cervella. Alla fine di quei cinque minuti fu come risvegliarsi da un incubo. Lei piangeva. Io ero completamente sporco di sangue. Però stavo bene, mi sentivo libero e leggero. Non come ora.
    Abbasso lo sguardo, mi faccio schifo da solo. Non riesco neanche a ricordare da quanto finisco per dormire su questo divano, sempre su questo divano. In mezzo alla merda che io stesso lascio in giro... ma sinceramente non me ne frega niente. Si lo so, dovrei fare qualcosa per cambiare la mia vita, anche se il mondo mi odia. Alla fine però cosa ne otterrei? Assolutamente nulla. Quindi preferisco restarmene qua a marcire, tanto anche se sparissi nessuno sentirebbe la mia mancanza. Però... se tutto finisse ora, mi resterebbe un unico rimpianto. Si, insomma, mi piacerebbe riprovare quella scossa di adrenalina che solo la rabbia mi sa dare. Solo in quei momenti mi sento davvero vivo e non in questo stato pietoso. Ma ormai sono diventato talmente inutile da non riuscire neanche ad arrabbiarmi. Così è tutto più facile, scappare dai problemi è il meglio che posso fare e mi basta questo, in questo modo posso continuare a essere quel verme che in realtà sono.
    Rimango fermo anche quando la porta si apre, magari è arrivato qualcuno per uccidermi. Non lo so, non mi importa. Rimango seduto in questo lurido giaciglio, in preda a un dolore sordo che avvolge la mia anima, le mie membra. Voglio solo richiudere gli occhi e addormentarmi ancora, magari per sempre. Sì, sarebbe fantastico.

     
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  4. Black friars
     
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    Chi cazzo sei?
    Qui sul pavimento, nei miei momenti finali di coscienza, capisco che la risposta corrisponde a ciò che da sempre sono.
    Nessuno.

    Ho toccato il fondo, poi mi ci sono sdraiata e devo essermi addormentata.

    Cosa sono?
    Sono dolore.
    Sono più che dolore. Sono agonia. Sono l'altra faccia della morte a cui è stata negata quella consolazione. Sono la vita che non sarebbe mai dovuta nascere.
    La pelle è tutto ciò che sono. Pelle che è viva e che soffre.
    Ho la pelle in fiamme, come se fosse stata scorticata da mille lame incandescenti.
    Chili di sale nella bocca cementata con il dolore amaro di una vita traboccante di eterno rimpianto.
    Sono vuota. Sono spenta. Sono assente. Non so perché continuo a vivere.
    Il tempo non ha ormai più senso per me. Vado alla deriva.
    Sono sola. Perduta. Sono sempre stata sola. Non c'è mai stato nient'altro che freddo e dolore nella mia vita. E sangue, tanto sangue.
    Vado alla deriva nella mia stasi di dolore.
    Sono la sofferenza. Sono la disperazione. Sono la desolazione.
    Sono agonia. Sono stata abbandonata da coloro che più amavo e vengo punita, sempre, anche se non ho alcuna colpa, se non quella di essere nata.
    Non sarei mai dovuta nascere.
    Perché continuo a vivere?
    Sono il desiderio di morte a cui è negato di morire.
    Sono la vita che non ha il diritto di vivere.
    Sono e non sono.
    Esisto ma non vivo.
    Mi sento vuota, nel senso letterario del termine: non sento il dolore sul mio corpo, non sento il cuore battere, non sento più niente, non sono più niente.
    Chi sono? Nessuno.

    Mi sveglio di soprassalto con un sobbalzo, il cuore un uccello in gabbia, il respiro come il rantolo di un animale ferito.
    Cerco di sollevare le palpebre, ma gli occhi incrostati di pianto e qualcos'altro me lo impediscono. E, per quanto lo voglia, non ho la forza di sollevare il braccio e portare una mano al viso. Troppo indolenzita e dolorante dappertutto per fare alcunché, con la sensazione di essere stata bastonata con una mazza di piombo e di avere delle sbarre di ferro spezzate nella schiena.
    Al posto della testa mi sembra di avere un grosso macigno, estremamente pesante per essere sollevato. Sbatto le palpebre tra i lamenti, nel vano tentativo di tirarmi su dal pavimento freddo con la testa che pulsa e le costole doloranti.
    A fatica mi metto a sedere dritta ed ho un fremito al contatto con l'aria fredda e immobile contro la pelle nuda e sudata.
    Prima che possa coprirmi con qualcosa il sudore mi si raffredda rapidamente sulla schiena e sulle spalle, facendomi tremare dalla testa ai piedi.
    Vestita solo di un paio di boxer da donna e una canotta, con i denti che battono tra loro intonando un motivetto tutto loro, mi guardo intorno alla ricerca di altri indumenti, prima di diventare un pezzo di ghiaccio.
    La stanza è gelida e silenziosa quanto una grotta.
    Vuota di tutto ciò di cui ho bisogno...per sopravvivere.
    Non trovando nulla mi trascino, dolorosamente, verso il letto. L'unico posto che può darmi riparo da questo freddo, ormai penetratomi nelle ossa.
    Arrivata nei pressi del letto (lontano uno o due metri da dove mi trovavo un istante prima) sento un grido silenzioso lacerarmi la gola, mentre lacrime calde, lacrime che non sapevo di star trattenendo, mi scivolano lungo il viso gelido, bagnandomi le labbra, e poi oltre.
    Indietreggio di un passo e poi di un altro. Cado a terra in ginocchio, lo sguardo fisso sulle lenzuola. Il dolore che provo alle gambe e in tutto il corpo non è nulla in confronto al dolore che mi sta straziando l'anima, mi sta uccidendo dentro. Ho il cuore in pezzi, in frantumi, e non ne posso più di raccoglierne i frammenti..ogni giorno.
    Di nuovo...è successo di nuovo..
    Quel bastardo. Quel fottuto cazzone bugiardo.
    Cazzo, cazzo, cazzo.
    Mi porto la mano destra alla bocca, soffocando i gemiti e le grida di dolore che vogliono uscire fuori dalle mie labbra. Vorrei gridare..ma non posso.
    Mordo forte le nocche per non emettere alcun suono, per non crollare, per rimanere integra...o almeno salvare quel poco di me stessa che è rimasto.
    Le mordo a sangue per non impazzire...per non far sapere.
    Con le gambe come di gelatina mi sollevo in piedi, rischiando quasi di perdere nuovamente l'equilibrio.
    Un respiro profondo, un passo in avanti.
    Arrivata con le gambe a toccare il materasso fisso per qualche istante il vuoto, poi il letto sfatto, sporco, coperto a tratti di sangue..il mio sangue. Sangue vecchio di giorni...sangue e..
    Un conato di vomito mi sale in gola, seguito da un altro.
    Getto la testa all'indietro, respirando convulsamente.
    Chiudo gli occhi e respiro.
    Dopo qualche minuto torno a guardare.
    Mentre le lacrime continuano a scorrermi sul viso, afferro le lenzuola e con un violento strattone le getto a terra, ignorando il protestare dei muscoli.
    Priva di forze scivolo nuovamente a terra. Con un ultimo sforzo raggiungo con una mano il cassetto, dove afferro il mio unico e solo amico.
    Stringo di nuovo quell’oggetto di metallo che mi sono ripromessa di buttare più e più volte. Alla fine, però, è sempre rimasto con me. Il solo che mi da conforto, che mi fa sentire viva, che mi fa provare dolore, il solo dolore che posso concedermi da sola. Perché nessuno può farmi più male di quello che faccio io a me stessa. Nessuno può farmi più male di quello che faccio io a me stessa.
    Con in viso un'espressione di pace rilassata, di consapevole disinteresse per quello che sarebbe potuto accadere, premo la lametta contro l'interno del polso, tagliando la pelle tenera e sottile. La affondo sempre più in profondità, facendo un taglio verticale che sarebbe stato più difficile da ricucire.
    Un sorriso mi incurva le labbra.
    Un altro taglio, un'altra cicatrice.
    Una ferita riaperta, un altro taglio.
    D'altronde I tagli più profondi ce li abbiamo nel cuore, non sui polsi.
    È solo un taglio, solo un graffio.
    Solo una scusa, solo un'altra bugia.
    Solo una lacrima, solo un urlo.
    Perché piango? solo un brutto sogno.
    Ma non è solo un taglio, o una lacrima o una bugia. È sempre "solo un altro" fino alla morte.
    Inevitabilmente scoppio a piangere, di nuovo. Lacrime salate e calde, lacrime che si mescolano alle altre, ormai secche.
    Gli occhi velati dalle lacrime, le braccia inerti ai lati delle gambe, fisso davanti a me.
    Notando qualcosa di strano sbatto le palpebre, più volte, chiedendomi come sia possibile. La porta è socchiusa, non chiusa a chiave. La porta è aperta..chiunque può entrare. Chiunque può...
    Il cuore inizia a battermi forte, tanto forte da sfondarmi la cassa toracica e tanto rumorosamente da rompermi i timpani. Non sento più niente. Non un rumore, né altro. Se qualcuno...non sentirei niente.
    Inizio ad iperventilare, ansia e apprensione mi invadono.
    Rischio di svenire, di perdere conoscenza.
    Sono sola...sono davvero sola?
    Dannazione..dannazione...devo riprendermi.
    Chiudo gli occhi e inizio a colpire il lato del materasso con la testa, contando sino a dieci.
    Respiro dopo respiro, il battito del cuore inizia a rallentare.
    Allungo la mancina verso sinistra e afferro il lenzuolo. Portandolo alla bocca tiro la stoffa e la strappo con un rumore acuto e forte, così forte che resto immobile per un minuto..aspettando l'inferno. Non vedendo arrivare la morte prendo tra le dita la lunga striscia e, aiutandomi con i denti, la avvolgo intorno al polso ferito.
    Facendomi forza raccolgo le gambe al petto e mi sollevo in piedi.
    Con un senso di inquietudine attraverso la stanza buia, sino a giungere ad un passo dalla porta. Mi sposto di lato, appoggiando le spalle al muro. Avvertendo qualcosa di morbido dietro di me sospiro lievemente, di sollievo, e afferro la corta vestaglia di cotone appesa ad un gancetto.
    Dopo un ultimo profondo respiro spalanco la porta ed esco fuori.

    * * *

    In piedi, nuovamente con le spalle al muro, sento le lacrime pungermi gli angoli degli occhi. Sembra stiano facendo a gara per uscire...di nuovo. Non faccio altro che piangere e piangere.
    Con forza stringo la lametta nel pungo, sentendo il sangue bagnarmi la mano.
    Respirando profondamente allento la presa. Basta...per ora. Devo avere la mente lucida.
    Dietro di me vi è solo un muro, abbracciato da due pareti che seguono una rincorsa di scalini diretti nell'oscurità. Tenebra profonda. Buio che inghiotte.
    Ombra oscura...oscure presenze? ma devo andare..
    Devo penetrare in quell'oscurità...in quella caligine insopportabile, soffocante e che stranamente..mi chiama a sé.
    Dal basso, oltre quella cortina di nulla nero e opprimente, sento provenire dei latrati, latrati che hanno qualcosa di strano. Sono ovattati, come se fosssero prodotti da fauci messe dietro un cuscino.
    Cosa sta succedendo? sono i miei mastini? sono Mot ed Elas?
    Cosa succede?
    Emetto un respiro profondo. Non sarei dovuta uscire.
    No..aspetta. Non avrei dovuto svegliarmi. Dovevo dormire, in eterno. Un sonno senza sogni.
    Perché sono qui?
    Perché continuo a vivere in questo mondo che non mi vuole, mi odia, mi fa del male, mi disprezza?
    Nessuno mi vuole bene, mi ama.
    Credi di avere qualcuno accanto, ma non è così.
    Tutti ti usano. Servi solo ad uno scopo. Sei un oggetto.
    Non sono niente.
    Sono stanca, stanca di aspettare qualcosa che non avverrà mai. Perché, in nome del cielo, continuo ad aspettarmi che il meglio arriverà? Perché mi illudo?
    Nessuno verrà a salvarmi. Non sono nata per essere salvata.
    Sono destinata a marcire.
    Un singhiozzo mi esce dalle labbra tremanti. Mi conficco le unghia nel palmo della mano destra, mordendomi a sangue il labbro. Non devo far rumore.
    Con la manica della vestaglia mi asciugo il volto. Un gesto divenuto un'abitudine. Un gesto che ripeto ogni giorno, più volte al giorno.
    Raccogliendo tutto il coraggio che mi è rimasto in questa vita di sofferenza, inizio a scendere le scale, un gradino alla volta. E più scendo in questo nulla, in un nulla che non ho idea di dove mi condurrà, e più mi sento male, fisicamente e mentalmente. Il cuore un peso nel petto e la gola secca, arida, come se non bevessi da giorni. E mi fa male, come se in questo momento stessi urlando a pieni polmoni..tutto il dolore che mi porto dentro.
    Le scale sembrano condurmi in un abisso di tenebra, oscuro e ignoto, e io sembro ansiosa di tuffarmici.
    Cosa avrei trovato ad attendermi?






    Edited by Black friars - 13/1/2016, 00:39
     
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    deva


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    PoV del Medium Deviato (Blain)


    Abbandoni la stanza, protetta dal contatto col peluche, e ti addentri in una viscera di legno e carta da parati. Ci sono delle foto appese qua e là ma non riesci a riconoscere i volti di due individui, presubilmente fantasmi che hanno preso il posto dei tuoi veri genitori.
    Sul tuo viso, però, laddove ci si aspetterebbe una bimba sorridente, c'è solo una macchia biancastra, incrostata, e del sangue a margine disposto come un cerchio. Una circonferenza che delimita la testolina di una bambina: la tua testolina.
    Le cornici sono ad un'altezza inusuale, quasi chinatesi per essere da te osservate, e mano a mano che le guardi vedi scenari diversi: un parco giochi, una festa di compleanno, uno scantinato, un marciapiede e tu su una piccola bici dai campanelli ornati di nastri rosa e verdi.
    Lo scricchilare delle assi di legno ti riporta però alla realtà e dietro di te la porta della cameretta non è altro che un'illusione: ora c'è solo quel verme architettonico di un corridoio stretto e due uniche direzioni.
    L'oscurità scivola e si agita, mormorando parole inaudibili, mentre un rettangolo di luce sagoma quella che pare una porta albergata al termine del corridoio, più o meno a dieci metri da te.

    PoV del Medium Apatico (MajinZ)


    Senti dei passi e ciò che spinge ulteriormente il battente della porta pare essere una creatura in carne ed ossa. Umana.
    Ti fissa e su di te, impercettibilmente, cala un alieno senso di giudizio e condanna, quasi la sola presenza della donna fosse sufficiente a smuovere le più recondite bestialità assopite nel tuo cuore.
    Sei stanco, privo di forze, ma la rabbia ti riporta alla mente scenari che sembrano usciti da un romanzo epico: le tue mani sudicie del sangue nemico, tu a capo di un esercito, e la morte che ti spinge in battaglia.
    Basterebbe ruotare la testa verso la porta, invece, per capire che sei ancora lì, sul divano.
    Il relitto di un uomo che non è mai stato vivo.

    PoV del Medium Rassegnato (Black friars)


    Raggiungi il fondo della scala ma dei tuoi cani non c'è alcuna traccia. I latrati continuano e ti sembra quasi siano diventati grida di dolore. Che siano le tue, nella testa, oppure di Elas e Mot non fa differenza. Il dolore non ti abbandonerà mai.
    Mai.
    Entri in una stanza e l'odore della dimenticanza ti dilata i polmoni: c'è sporco e marciume ovunque e un uomo seduto su un divano sembra non avere alcun contatto con la realtà.
    Guardarlo ti ferisce, ti dilania, poiché nonostante la sua apatia percepisci in lui una serenità che lo ha totalmente salvato da quel costante penare che invece affligge te.
    La sua morte apparente ti risulta quasi come un'offesa, una mancanza di rispetto, e nulla al mondo ti pare capace di lavarti via dall'anima tutta quella sporcizia.

    Vi chiedo ancora scusa per il ritardo.

    Majin e Black friars sono liberi di tentare di interagire fra di loro.
    Blain invece può scegliere se correre verso la porta oppure tornare indietro.

    Scadenza: 24 Dicembre, ore 21:00.
     
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  6. _MajinZ_
     
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    Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse arrivare a tanto. Solo a un pazzo verrebbe l'idea di affacciarsi su quello che è il mio mondo, un pianeta avvolto dalle tenebre dove la luce non esiste, divorata in continuazione da un buio senza fine. Eppure quella presenza è reale. Non appartiene alla mia immaginazione e la cosa mi da parecchio fastidio. Perché mi fissa? Che cazzo ha da guardare? Anche lei è come tutte quelle persone la fuori, pronte a giudicare gli altri senza sapere nulla di chi hanno davanti? Odio quelle persone, mi fanno ribollire di rabbia. E questa qua mi sta giudicando, maledetta troia. Sono infuriato ora. Digrigno i denti e li faccio stridere tra loro, non permetto a nessuno di giudicarmi. NON NE AVETE IL DIRITTO. La mia rabbia è colpa vostra, siete voi che mi costringete a tirarla fuori per spaccare le vostra facce con quei falsi sorrisi.
    Ed è solo quando le mie mani sono sporche di sangue, bagnate da quel caldo liquido rosso, che mi sento bene... mi sento vivo. Sì, amo quella sensazione di potere, mi fa sentire come un condottiero a capo di un esercito di migliaia di uomini... valenti lottatori al mio servizio, che gioiscono con me nel massacrare tutti.
    Un combattimento senza freni è ciò che voglio, solo così posso liberare la mia ira, solo quando la Morte mi affianca e attende che anche io passi a miglior vita... ma in realtà gioisce perché gli ho appena donato un'altra anima. E forse dovrei fare lo stesso ora, sì, devo colpirla finché non smette di muoversi. Così impara a invadere il mio spazio. Voglio farlo, mi alzo da qui e lo faccio. Mi vedo già lordo di sangue... però poi mi volto. Faccio schifo. Sono ancora qui seduto sul divano, proprio come prima. E lei è ancora li, o almeno credo, visto che i miei occhi spenti vedono a malapena oltre ciò che la tv illumina. Alla fine è come dicono tutti, sono una merda che non ha neanche il coraggio di vivere la sua vita. Che preferisce restare in quella sua sorta di morte apparente, chiuso in una non-vita perenne. Ma così è tutto più facile.
    ...perché?
    Voglio dire un sacco di cose, vorrei urlarle di andare via, di lasciarmi morire in pace... ma non ho le palle per farlo. Mi esce solo una cazzo di parola, che alla fine non ha neanche molto senso. Però sinceramente non mi importa. Tanto non mi alzerò da qui per un bel po', mi basta tenerla fuori dalla mia testa e andrà tutto bene. Anzi, magari vedendomi così più morto che vivo magari cambierà idea a se ne andrà via. Già, credo che farò proprio così.

     
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  7. Black friars
     
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    Continuo a scendere le scale, sorreggendomi alla parete. I palmi freddi, feriti, scivolano contro il muro, lasciando al mio passaggio una lunga striscia di sangue. Ma non me ne curo. Non mi importa. Una singola linea cremisi su di uno sfondo bianco non può che dare colore ad un ambiente altrimenti spento. Perché vi deve essere del vermiglio sulle pareti, sulle finestre, contro le porte e sparso sulle mattonelle. Sangue, sempre e solo sangue. Sangue… rosso su ciò che mi circonda e su di me. D'altronde il rosso è il colore della vita. Rosso è sangue, è passione, è rabbia. Rosso è il flusso mestruale e il sangue dopo la nascita. È il cuore che pulsa e le labbra affamate. Il rosso è il colore della vergogna. Il colore che mi porto dentro. Il colore che mi ricopre i polsi.
    Uno scalino dopo l'altro è un passo verso la tenebra, dove ogni cosa è celata… e aspetta. Un'oscurità che cattura, annienta. Un passo verso l'ignoto. Un passo nel vuoto. Vuoto. E Più è fondo, più è buio, più esso ci attrae: un misterioso richiamo che porta con sé sentore di sofferenza e qualcos'altro. E per quanto io mi opponga, mi ostini a non voler continuare questa folle discesa, vi è qualcosa che mi spinge ad andare avanti. Continuo a camminare, nonostante abbia la vista velata di lacrime. I miei piedi, coperti da lunghi calzini di lana, sembrano possedere una volontà propria, volontà alla quale non posso resistere, alla quale non posso sottrarmi… per quanto lo desideri. E sono stanca di lottare, terribilmente stanca.
    Sono sola. Tragicamente sola. Un cuore che sta cominciando ad indurirsi sempre più. E la sua assenza, quel suo silenzio volontario, ha rafforzato la mia pena e la mia rabbia, accrescendo il desiderio di riscattare me stessa da quella stupida ragazza che ha affidato la sua vita all'ideale distorto di un uomo. Un uomo che aveva promesso di aiutarmi. Colui al quale avevo riposto fiducia dopo che mi aveva salvata…con delle semplici parole.

    “Cosa stai facendo?”
    “Voglio morire”
    “Nessuno si suicida perché vuole morire.”
    “E allora perché lo fa?”
    “Perché vuole fermare il dolore.”


    Parole che mi erano entrate dentro, a forza. Lui mi capiva, capiva il mio dolore. Il dolore di una ragazza distrutta, il cui corpo ne mostrava e ne mostra ancora oggi i segni. La pelle, incisa di piccoli tagli del mio malessere… solchi che non sono tatuaggi, né piccoli disegni sulla pelle. Graffi… dai quali sgorga sangue e quel dolore nascosto…
    Per paura di dire, di far sapere…

    Lui, il solo che non mostrava ribrezzo nel guardarmi… come tutti gli altri. Quando ero con lui non avevo bisogno di nascondermi.
    L'avevo cercato per mesi, chiedendo informazioni. Domande… le cui risposte mai avrei voluto sapere. Non volevo credere a nulla, all'inizio, ma poi i mille dubbi e insicurezze hanno preso il sopravvento, insinuandosi nella mia mente, nella mia già stanca speranza, crudeli e inesorabili, lasciandomi come spoglia e indifesa, con un gusto amaro e nauseante che sale sino in gola assieme alla bile.
    Quanto è accaduto la notte scorsa mi ha confermato, nel più doloroso dei modi, che mi ha definitivamente abbandonata. Non tornerà più. Non mi salverà, non questa volta. E di nuovo penso, come ogni volta, che non sono nata per essere salvata.
    “Ci sono ferite che non guariscono, e quelle, sono ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare”. Proprio tu..hai inferto al mio cuore ferite che non guariranno mai, compagne di molteplici cicatrici. Vorrei che fossi qui, per prenderti a calci, graffiarti il viso, colpirti e colpirti… sino a che il mio dolore non si spegnerà, lasciandomi come prosciugata, priva di forze.
    A stento non inciampo nel calpestare l'ultimo scalino. Con le mani che tremano mi guardo intorno non scorgendo nessuno. Elas e Mot non sono qui. Eppure… continuo a sentirli. Perché? Cosa…diavolo… succede?
    Mi muovo lentamente, con circospezione. E più vado avanti, più i latrati continuano. Passo dopo passo, respiro dopo respiro, alle mie orecchie sembrano quasi grida di dolore. Anche loro soffrono come me? riuscirò a raggiungerli? devo, non posso perdere anche loro. Sono la mia ancora di salvezza, la sola ragione che mi spinge ad andare avanti. Devo trovarli. Non posso lasciarli, non possono abbandonarmi. Non averli più vicini…
    Scuoto la testa, le grida… una lama nel petto. La gola mi fa male e non sono più certa se siano loro o mie. A chi appartengono? sono io ad urlare?
    Una lacrima mi scende lungo il viso, seguita da un altra. Dolore… mi abbandonerai mai? sono condannata a soffrire sinché avrò vita? quale infausto destino…non nascere sarebbe stata una gioia.
    Senza una ragione apparente mi fermo davanti ad una porta semi aperta. Guidata da un filo invisibile la mia mano si solleva posandosi sulla maniglia. Spalanco la porta, trovandomi a fissare l'interno. E prima che i miei occhi possano mettere a fuoco ciò che mi circonda, a raggiungermi è un forte odore, un odore sgradevole. L'odore di chi non ha più voglia di pulire ciò che si lascia dietro. Questo posto è stato lasciato a se stesso da molto tempo.
    Lascio vagare lo sguardo, scorgendo putridume ovunque. Urina e feci… si mischiano ai rifiuti. Uno spettacolo disgustoso.
    Il mio sguardo si sposta sul divano e lì… vedo un uomo. Un uomo che pare essere spento, vuoto. Sembra un morto che respira, indolente nei confronti della realtà. A circondarlo vi è l'inferno… eppure lui è seduto lì, immobile, privo di qualsivoglia scintilla di vita. Occhi vitrei che vedono ma non guardano. Un relitto. Vestigia, lasciate a ricordare ai posteri quello che era un tempo.
    Incurante di indossare solo biancheria intima compio alcuni passi verso di lui. Inclino la testa, scivolando con lo sguardo lungo il suo corpo: indossa vestiti vecchi di giorni, vestiti che emanano un odore di vecchio. I pantaloni sono sbottonati, il divano sembra aver visto giorni migliori. Tutto gronda degrado, stanza ed occupante.
    Torno con lo sguardo su di lui, notando un qualcosa che prima, ad una prima occhiata, deve essermi sfuggito. Nonostante sia più morto che vivo, il suo viso esprime un'emozione che mai mi sarei aspettata di percepire: un'assenza totale di turbamento e di dolore. Questa sua condizione non lo tocca minimamente. Lui non sta soffrendo, non prova niente. Come è possibile? è il fantasma di se stesso…non è niente. Niente. Dovrebbe gridare, distruggere tutto, sfogare tutta la sua disperazione, il suo dolore. Perché, al contrario, rimane lì? Non sembra attendere nulla. Il tempo scorre, scivolando su di lui.
    Scuoto mentalmente la testa. Non è giusto. Anche io non sono niente… eppure soffro… soffro dannatamente tanto. Non provo che dolore e dolore, un dolore che mi dilania, mi stritola, mi uccide giorno per giorno. La vita è un veleno, un veleno che mi sta uccidendo. E per quanto lotti non riesco a fuggire. Non vi è salvezza per me… ma per questo uomo sì. Perché? cosa ho mai fatto per meritarmi un'esistenza simile? lui è migliore di me? io sono soltanto uno scarto, un oggetto da buttare, Sono spazzatura, spazzatura che deve vivere e patire il male. Sopportare qualsiasi ingiuria. Penare ogni giorno, ogni schifosissimo giorno. Sto soffrendo anche ora. Il solo vederlo mi lacera. Mi fa male.
    Stringo forte i pugni, avvertendo la lametta penetrare nella carne. Il sangue mi bagna il palmo destro. Mi sporca la mano. Una piccola distrazione… per non pensare. Non pensare alla mia anima che va in pezzi. Un'anima ormai nera, logora, sudicia...sporca di un qualcosa che niente potrà mai cancellare, rendendola nuovamente pura. Ho fatto troppe cose, visto troppo… per poter tornare indietro.
    Emetto un respiro profondo, inchiodando i miei occhi grigi nei suoi. Due occhi di un grigio chiarissimo. Uno sguardo dai freddi bagliori metallici, incapace di riflettere alcuna emozione. Uno sguardo implacabile, che da i brividi.
    Voglio scavare dentro di lui, carpire ogni suo segreto. Voglio che soffra, come io soffro. Lo desidero.
    E mentre lo guardo qualcosa cambia. Digrigna i denti, fissandomi con odio. Si è svegliato da quel suo stato di torpore, di morte apparente, rivestendosi di rabbia, come se fosse un'armatura. Dal suo sguardo capisco che mi vuole morta. Dentro di lui sta montando un odio feroce, brutale. Un odio capace di uccidere… crudelmente. Un odio e disprezzo del prossimo, della vita in generale, di tutto. Non conosce amore, pietà o gioia. Questi sentimenti sembrano averlo abbandonato da tempo.
    Mi allontano di un passo, colpita dalla furia che lo anima. Sembra volersi alzare, desideroso di strangolarmi, di uccidermi… in qualche modo. Sto per voltarmi, mettendomi in salvo, quando qualcosa in lui cambia. Vedo i suoi occhi tornare come prima, il suo viso farsi rassegnato, privo di vitalità. Non è che un morto…

    Perché?


    La sua improvvisa domanda mi fa sobbalzare. Una parola pronunciata da labbra esangui. Una voce uscita da una gola che non emette suono da giorni. Roca e raschiante, tanto da far male.
    Senza rendermene conto mi ritrovo a pochi passi da lui, la lametta tra indice e pollice. Con voce soave, carezzevole come un'onda che lambisce la spiaggia, dico «Ci sono tre cose che ci accompagnano fino alla morte: sangue, urina e feci.» sorrido, un sorriso freddo, sgradevole «Le ultime due ci circondano, manca solo il sangue. Se vuoi morire affiancato da ciò di cui ti sei attorniato sino ad ora..questo è il momento. Cosa scegli?» allungo una mano verso il suo volto, sfiorandolo appena «Vita o morte? una vita che non è vita o una morte salvifica?»






    Edited by Black friars - 13/1/2016, 00:40
     
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    Immagini sfocate attorno lei che la sovrastavano guardandola dall’alto in basso. Non se ne ricordava così tante e così alte, quelle in cima non riusciva neppure a vederle.

    "Tu vedi qualcosa Mr. Dummy?"

    L’orsetto venne spostato sopra la testa della bambina, permettendoli così di guadagnare qualche centimetro in altezza.
    Ma il silenzio rotto del pupazzo gli fece intuire che neanche il suo fidato peluche riusciva a scorgere qualcosa.
    Lo portò nuovamente al petto, mentre si guardava attorno.

    Vi erano compleanni, gite in montagna, feste di qualsiasi tipo e tema.
    Gli parve perfino di scorgere un circo da qualche parte.
    Ma la sua attenzione veniva catturata di volta in volta da quella faccia bianca, vuota di qualsiasi emozione.

    ”Io … Io, non ricordo niente di tutto questo.”

    ”Non ricordi niente, soltanto perché adesso nel tuo cuore c’è solo rabbia, piccola mia. La tua faccia non appare nelle foto, perché quello che vuoi veramente è prendere un corpo e dilaniarlo, torturarlo, privarlo di qualsiasi fluido vitale."

    ”M-ma … pensavo di … ”

    ”… cosa pensavi? Dimmelo Patricia.”

    Si guardò le mani, ancora bianche e candide, come se fossero state usate soltanto per giocare.

    ”Abbiamo già ucciso il Papà e lo Zio. Perché uccidere di nuovo?”

    ”Perché?! Ma non capisci? Tu ti fidavi di loro e con la loro fiducia loro ci si sono puliti il culo. Non ti serve affetto, perché a qualsiasi persona tu lo dia, lei lo ignorerà e lo userà contro di te. Tu puoi soltanto ucciderli prima che ti facciano del male … è la legge della natura.”

    ”Ma Mr.Dummy, io veramente non …”

    ”Sangue!”

    La bimba voltò lo sguardo verso la porta socchiusa e stringendo il pupazzo a sé, decise di oltrepassarla.
     
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    La bimba spinge il battente della porta in fondo al corridoio e quella finestra di luce, simile al sorriso di una luna maligna, sublima nell'oscurità giallognola di una stanza sudicia.
    Il dialogo fra l'uomo e la donna viene interrotto dall'arrivo della ragazzina: vi rendete conto, ad un tratto, di trovarvi contemporaneamente in un diorama crudele e sul fulcro esatto delle vostre esistenze.
    Lui, l'uomo che ti ha violentata.
    Lei, la bimba che non hai mai avuto (desiderata, ma persa prima del termine della gravidanza).
    Lei, la donna che non ti ha salvato mentre l'uomo abusava di te.
    Lei, la donna che non ti ha mai dato amore mentre tu lentamente morivi.
    Lui, l'uomo che non ti ha capita.

    In questo carosello di odio e disprezzo, però, è l'elettricità del televisore a catturare per un istante i vostri sensi: dal rumore bianco dello schermo un fiotto di tenebra sgorga veemente, inondando rapidamente il pavimento.
    Come a piedi nudi in un acquitrino di pece, una melma nefasta sigilla l'unica via di fuga, mentre degli artigli infrangono dall'interno il dispositivo posto a tre metri dalle vostre posizioni.
    La luce cede e vi ritrovate nel buio totale.
    Eppure, anche privi della vista, capite di non essere più soli.
    Vi rimangono le voci, il tatto, gli odori, mentre fra i piedi sentite strisciare il terrore più profondo mai provato in vita vostra.

    Per qualsiasi dubbio o domanda, usate pure il topic in Bacheca.
    Scadenza: 10 Gennaio, ore 21:00.
     
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  10. _MajinZ_
     
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    Perché continua a parlarmi? Cosa vuole da me? Chiedo solo di essere lasciato in pace, non desidero altro. Vivere o morire ormai non ha più senso, per qualcuno che è morto da tempo. Scegliere non mi porterebbe a nulla se non a qualcosa che già so, ovvero che nel mondo non c'è spazio per gente come me. La guardo e volgo verso di lei la mia espressione apatica, i miei occhi spenti. E sorrido, forse. Chi sei tu per dirmi queste cose? Che diritto hai di decidere della MIA vita? Non sei nessuno per me. Potrei dirle tutte queste cose dritte in faccia, in fondo si trova davanti a me... mi sfiora quasi. Però non lo faccio. Rimango in silenzio e lascio che la rabbia si formi dentro di me, ribolle nel mio petto, pronta ad esplodere in ogni momento.
    Vattene... lasciami stare... prima che ti faccia a pezzi.
    La minaccio e digrigno i denti, ma nemmeno io credo a queste parole... so già che non riuscirò mai ad alzarmi da questo divano, non trasformerò mai le mie minacce in azioni. Se accadrà sarà solo nella mia testa. Qualcosa però scatta in me e vorrei davvero stringerle il collo tra le mie mani, ma non capisco se il mio braccio si alza per davvero o è solo una fantasia... però sembra tutto così reale, ma non riesco a portare a termine il mio compito. La porta si spalanca ancora e dalla luce spunta una bambina.
    Il mio mondo si crepa e va in pezzi proprio in quell'istante.
    Ora ricordo, ricordo i loro visi e ricordo cosa ho fatto. Quella donna non mi ha mai dato niente e io mi son preso ciò che volevo da una... bimba. Mi sento pervaso dalla nausea, ma non è l'unica sensazione a risvegliarsi in me. Sento la colpa pugnalarmi al centro del petto... ma allo stesso tempo il mio odio aumenta e tutto questo alimenta il fuoco della mia rabbia. Sono fiamme che divampano e tutto bruciano, avviluppando ogni cosa in una spira mortale che non porta a niente se non a una pace illusoria, che però mi permette di stare bene. Ma ancora una volta non faccio nulla, il suono elettrico della tv spezza i miei pensieri distruttivi.
    Mi volto verso lo schermo giusto in tempo per vedere del nero inchiostro scorrere, per inondare inesorabilmente il pavimento. E in quel momento svanisce ogni uscita. Neri artigli infrangono il televisore e a scomparire stavolta è la luce. Sento qualcosa bagnarmi i piedi, ma rimango fermo... ormai non so più avere paura. Anzi, accolgo tutto questo come una salvezza: magari è giunta davvero la fine, per me. Capisco di essere solo cieco, il resto dei miei sensi mi dicono che non sono da solo, quindi quelle due persone erano reali. Ma che importanza ha ora? Nessuna... eppure ciò mi rincuora.
    Questa sensazione... sto tremando. Ho paura. Non voglio morire. Qualcuno mi salvi... vi prego... ne ho bisogno. Aiuto. Non lasciatemi da solo.
    Vi prego.

     
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  11. Black friars
     
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    La sua unica risposta alle mie parole è una frase masticata con rabbia e quel qualcosa che lo rende un morto che vive.
    La sua furia espressa in un digrignare di denti e una minaccia che persino alle sue stesse orecchie deve essere suonata falsa. Solo parole vuote e prive di qualsivoglia volontà. Parole pronunciate solo per dar fiato alla bocca, uscite dalle labbra di un relitto.
    Lui, un uomo che non può neppure più essere definito tale. Soltanto un guscio. Non c'è niente in lui, niente a parte quella piccola scintilla che lo rende quasi un essere dotato di emozioni…anche se soltanto di una. Ad alimentarlo, quando la scintilla diviene fuoco, è un'ira cieca che porta solo morte. Ed è la mia morte che vedo nei suoi occhi. Vuole uccidermi. Eliminarmi da questo mondo…per sempre. Non soffrirei più.
    Aspetto che faccia qualcosa, qualsiasi cosa. Ma niente. L'ira lo abbandona, sempre. Nasce e muore nel tempo di quattro respiri.
    Sorrido ancora, e questa volta mostrando i denti. Abbasso lo sguardo e noto il suo braccio sollevarsi appena. Vuole colpirmi, vuole mettere le sue mani su di me...ma non ne ha la forza. Riporto i miei occhi argentei su di lui, scuotendo la testa. Inutile...una nullità.Sto per schiudere le labbra e prendermi gioco di lui…quando la porta si apre improvvisamente. Volto di scatto la testa e sbatto le palpebre, incredula. I miei occhi iniziano a bruciare e lacrime calde scorrono sul mio viso gelido, come il resto del mio corpo. Un gemito, simile al verso di un animale ferito, mi esce dalle labbra, seguito da un altro e un altro ancora.
    Le labbra tremanti, allungo una mano verso di lei. Lei. La mia bambina…la vita che stava crescendo dentro di me. Mia figlia…morta prima di venire al mondo, prima che potesse vedere, finalmente, la luce. Mi è stata portata via prima che potessi sentirla scalciare dentro di me…per colpa sua.
    Con la vista annebbiata, preda di una follia omicida, mi volto verso di lui. L'uomo che mi ha sedotta e poi abbandonata. Usata e poi gettata via, come se fossi stata spazzatura. L'uomo che diceva di capirmi e di amarmi. In verità non mi ha mai capita e mai amata. Se mi avesse capita sarebbe rimasto al mio fianco, a prendersi cura di me…ad aiutarmi. Avevo bisogno di aiuto, più aiuto di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Invece, cosa ha fatto? mi ha lasciata nel momento più importante della mia intera esistenza. Mi ha abbandonata e scaricata tra i lupi. Ha permesso che quel bastardo mi trovasse e…
    Emetto un grido, sputandogli in faccia.

    Sangue…tutto quel sangue…
    La mia…
    Sangue e…


    Un conato mi squassa in due e cado in ginocchio, davanti all'uomo. Lo fisso negli occhi, divorata da collera e disperazione.
    Aspetto che ricambi il mio sguardo, per potergli leggere in viso rimorso e disgusto per se stesso. In un secondo, nel tempo di un battito di ciglia, mi rendo conto che la mia speranza è vana. I suoi occhi guardano altrove. Ed è nel momento in cui mi volto, nell'istante in cui la ragione ritorna in me, che mi accorgo che qualcosa non va…troppo tardi, dannatamente tardi.
    Gli occhi fissi sulla melma nera che fuoriesce dallo schermo del televisore, le labbra a formare un grido silenzioso. E per quanto lo voglia non riesco a distogliere lo sguardo da quel denso liquido nero, nero come l'inchiostro più nero, come la notte più buia, come la tenebra che inghiotte la luce.
    Inizio a tremare, guardando impotente la melma inondare il pavimento, diffondendosi velocemente, troppo velocemente, sino a sbarrare la nostra unica via di fuga. Nel contempo degli artigli infrangono il vetro del televisore, aprendosi la strada…verso di noi. Un ultimo sguardo di disperazione e la luce si spegne, improvvisamente, lasciandoci ad ansimare di terrore, lasciandoci nell'oscurità più totale...e non più soli. Qualcosa attende..qualcosa che ci stava aspettando.
    Terrorizzata, allungo una mano davanti a me e una in direzione della porta. Dove sei? cerco di chiamarla, senza alcun risultato. La gola, cementata di paura, mi fa troppo male per poter parlare.
    Afferro la spalla dell'uomo..scuotendolo. Purtroppo però, il brandello di coraggio cui mi sono aggrappata sino ad ora si strappa, reciso dal liquame che sento lambirmi i piedi. Non voglio che mi tocchi. Non voglio che mi tocchi. Non voglio che mi inghiotta. Non voglio. Ti prego, se esisti, salvami.





     
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