Atto II: Incontro

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    Yuzrab
    Quattro del pomeriggio


    Penso più volte che questo deserto è privo di oasi e che io sia destinato a vagare per l'eternità, un punizione, si, una punizione per aver osato sfidato gli dei. Ma non ho una vera tesi per avvalorare questa mia ipotesi, anzi le rovine che ho visto in quel canyon la confutavano. Non demordo, non cedo alla disperazione, so di avere delle possibilità, e finché è così non trovo il motivo di arrendermi, e io non faccio nulla senza un motivo. Continuo a vagare e finalmente sgorgo, da lontano, una macchia verde.
    Si, può essere un'allucinazione causata dal sole e dalla disidratazione, ma per scoprirlo veramente non posso far altro che avvicinarmi. Lo faccio.
    Palme e arbusti che traggono la poca acqua di cui hanno bisogno per vivere, dallo stagno a cui fanno da cornice, sembra tutto così reale ma può ancora essere un parto della mia mente.
    Mi avvicino all'acqua, con una mano sfioro la corteccia di una palma. Tatto. I miraggi non prevedono il tatto. Sono distorsioni causate da spostamenti d'aria a temperature diverse. Un miraggio non può farti vedere un oasi che non c'è, al massimo ti sembrerà di vederla più lontana di quanto realmente è. Quasi lo dimenticavo. C'è l'avevo già fatta nel momento stesso in cui avevo costato di starmi avvicinando al verde.
    Sorrido a causa dalla mia sbadataggine. Ma ce l'ho fatta, sono sopravvissuto al deserto, almeno per ora.
    Mi chino sullo stagno, bevo, piano, troppa acqua tutta in una volta in un corpo disidratato potrebbe provocare disfunzioni. Provo puro piacere nel sentire la freschezza che irradia, col passaggio dell'acqua, le mia labbra secche e screpolate. Mi rinfresco il volto e porto una mano, umida, fra i capelli, tirandoli indietro, la porto sotto la nuca lì dove il caldo picchia più forte. E' fatta.
    Ora mi basterà aspettare che qualcuno arrivi in quest'oasi. Non so quando dovrò aspettare ma lo farò comodamente seduto contro il tronco di una palma, scrutando le dune.

     
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    rasia Иekär

    ~ Rosam Cape, Spinam Cave ~

    Operà di Parigi, 17**


    Sollevo lentamente le palpebre quando sento uno spostamento d'aria e delle mani accarezzarmi lievemente le spalle nude. Poi le labbra di Alexander si avvicinano al mio orecchio «Ti delizia?» sussurra appena. Una voce morbida, sensuale. Quasi che la sua domanda fosse rivolta ad altro. Schiudo lievemente le labbra e inclino la testa di lato, mettendo in mostra il profilo del collo. Il suo bacio…delicato come ali di farfalla sulla pelle, effimero quanto il più casto dei baci.
    Dopo un'ultima carezza le sue mani abbandonano le mie spalle, lasciandomi con uno strano e seccante senso di perdita. Davvero spiacevole ed irritante, un qualcosa di non previsto, una malattia che si sta diffondendo dentro di me. Un virus, un veleno. Per tutti dovrebbe esserci un antidoto…ma quale?
    Lo sento sedersi accanto a me, più vicino di quanto fosse consentito. Quasi con ostinazione continuo a fissare dritto davanti a me, privandolo di qualsivoglia soddisfazione.
    Passato qualche minuto in cui nessuno dei due si è mosso o ha infranto la relativa pace che si è creata, avverto il suo fiato caldo solleticarmi il collo «Lei parla, tuttavia nulla dice». Il suo tono contiene una punta di divertimento…e una dolcezza andata a male.
    «Il suo cuore è un cristallo affilato come una lama, che stride con il suo bell'aspetto da rosa appena sbocciata. Se un uomo la toccasse senza fare attenzione…finirebbe per sanguinare.» una pausa, le sue dita che sfiorano le mie «Natalie…» la sua mano cattura il mio viso, costringendomi a guardarlo negli occhi «Con bugie dolci…e atroci…come un ottimo miele che mi fa soffocare e mi fa sciogliere la lingua, con dei complimenti affettati…ingannami» mi tira verso di sé, il suo volto ad un soffio dal mio «Ingannami pure. Dì che mi ami, mi desideri, mi vuoi. Dimmelo e avrò pace» con l'altro braccio mi prende alla vita, inaspettatamente, facendomi finire su di lui. Lo fisso con odio, le mani contro il suo petto «Lasciami, Alexander. Se qualcuno si sporgesse ci vedrebbe. Il nostro palco non è abbastanza buio». Le sue labbra si piegano in un sorriso crudele «Lascia che guardino.» socchiude gli occhi «Ti da così fastidio il fatto che uno sconosciuto, un essere umano, ti veda con me?> serra la mascella, reprimendo un grido di rabbia. Bruscamente mi allontana dal suo corpo, facendomi sbattere contro il parapetto. Si volta e con un gesto spegne l'ultima candela accesa. «Mi odi, non è così?» domanda in tono neutro, dandomi le spalle. Non sapendo cosa dire fisso la sua schiena, la parte che non possiamo vedere, quella che lasciamo agli altri. Perché è sulla schiena che pesano i pensieri, le parole e gli sguardi di coloro cui abbiamo voltato le spalle quando abbiamo deciso di andare. E coloro che feriamo …sono quelli che più ci amano.
    Ed ora che mi è concesso fissarlo senza che sappia, non posso fare a meno di ammirare la perfezione del suo corpo e la bellezza dei suoi lisci capelli biondi che, a causa della scarsa illuminazione, ricadono in fili argentei sulla nera stoffa del suo completo. Una visione che ipnotizza.
    Reprimendo, a stento, il desiderio di toccarli sposto le braccia indietro, le mani a toccare il legno duro e freddo.
    «Il sentimento che si trasforma nell'odio più spietato è proprio l'amore, cara Natalie. Se mi ami o mi odi non fa differenza. Entrambi i casi sono in mio favore: se mi ami sarò sempre nel tuo cuore, se mi odi sarò sempre nella tua mente.» si gira nuovamente verso di me, ignaro dell'effetto che lui,
    anziché le sue parole, ha su di me «Tu mi ami e mi odi, Natalie» un ghigno spietato, la maschera da gentiluomo elegante e galante andata in frantumi. L'uomo ha ormai lasciato il posto al demone, facendo subentrare l'altra faccia che è il lui: Guerra. Il portatore di Caos, il creatore delle Calamità, l'artefice della Follia. «Sei già mia e non lo sai.»
    Scuoto la testa «Alexander»…allungo una mano verso il suo viso «da me non avrai alcuna risposta. Rassegnati.» sfioro la mandibola con la punta delle dita, scivolando verso il collo. Una brama saziata..desideri proibiti ancora affamati «Ci sono così tante donne a questo mondo e perdi tempo con me.» un sorriso «Lasciami andare» come io lascio andare te ogni volta. Parole che rimangono sospese tra di noi…in attesa di essere pronunciate.
    «Alexander» mi allontano da lui «L'amore è la più mortale tra tutte le cose mortali: ti uccide sia quando ce l'hai, che quando non ce l'hai.»
    «Ma io ho il cuore pieno di te.»
    «E ti sto uccidendo».
    Un silenzio, più profondo del precedente cala su di noi.
    Dopo un ultimo sguardo scosto la tenda e lo lascio lì, in compagnia del suo cuore colmo, tanto colmo da scoppiare.
    «Natalie, una sola goccia del tuo profumo basta a riempire la mia stanza, un po' del tuo amore basterebbe a colmare la mia vita». la sua voce mi avvolge, facendomi fermare e voltare la testa. Lo vedo in piedi, in attesa. «Natalie…»
    Scuoto la testa «No». Mi volto e inizio a correre.

    Il mantello, zuppo, striscia a terra, sporcandosi irrimediabilmente. Il vestito, quasi nelle medesime condizioni, è talmente pesante che fatico a camminare. Guardo davanti a me e dall'altra parte della strada riconosco la figura di Lasaire. Due Principi in una sera sola...un incubo che si realizza. Lo ignoro e continuo ad andare avanti, maledicendo tutto e tutti.
    Dopo una serie infinita di passi mi arresto improvvisamente, sentendo rumore di zoccoli. Mi volto, di una lentezza esasperante. Una carrozza si ferma accanto a me, lo sportello si apre. Un invito. Con nulla da perdere e tutto da guadagnare salgo su. Un valletto in polpe, invisibile, chiude lo sportello. Prendo posto, fisso dritto davanti a me e per poco non mi sento mancare. Lasaire mi sorride, accavallando una lunga gamba. Sorrido senza allegria. Poiché io non potevo fermarmi per la Morte, Lui gentilmente si fermò per me. Del tutto logico.
    «La carrozza basta a contenere noi due soltanto e l'immortalità» dice, facendomi sobbalzare visibilmente. Lo guardo con astio, ricevendo in risposta una risatina sommessa. «Ti ho spaventata, cara?» un'occhiata complice «eppure sono ore che osservo te e il tuo peccato di vanità. Ho visto e udito ogni cosa».
    «Che tu sia dannato, Lasaire»
    «Già lo sono, amore»
    Volto la testa, fissando fuori dal finestrino.
    «Oh, Arasia. Ti amo di un amore che non si può concepire che da me solo.»
    Sbuffo, per nulla toccata dalle sue parole. E lui, per nulla colpito dal mio atteggiamento, mi ripaga con un'occhiata lasciva.
    «Lui e lei sono così. Un giorno si parlano e quello dopo no. Sono in guerra, in guerra aperta contro lo stesso nemico. Nemico che li attacca senza sosta e tregua col sentimento della nostalgia. Perché quando qualcuno ti manca, altre braccia non potranno mai colmare quel vuoto. E loro sono così, lontani e incazzati, con una malinconia che di notte, al buio, viene a cercarli, per ricordargli quanto bello è stato godere di quell'abbraccio.» sorride ambiguo «In battaglia, escono spesso sconfitti, ma per nulla al mondo rinuncerebbero a quel contatto crudele, che oggi ti fa vivere e il giorno dopo ti spezza il respiro.» conclude, indecifrabile nel tono come nello sguardo.
    La mia sola reazione alle sue parole è un'espressione vuota.

    * * *


    Sbatto le palpebre ritornando in me, colpita dall'intensità del ricordo. Mi porto una mano al petto, il respiro che non vuole saperne di rallentare. In mente una sola, disperata, domanda: perché?
    Scuoto la testa e riprendo a vagare, senza una meta precisa, ancora prigioniera di questo deserto infernale. Mi fermo, esitante. In lontananza vi è una piccola oasi. Troppo lontana e distante per appurare alcunché.
    Dopo qualche metro noto una figura seduta contro il tronco di una palma. Non avendo altra scelta continuo a camminare.
    A pochi passi mi fermo, le mani adagiate mollemente lungo i fianchi, lo sguardo acquamarina fisso sull'uomo. O meglio: su quel poco di lui che riesco a scorgere.


    Arasia Иekär




    SchedaRevisioneConto


    Edited by Black friars - 5/1/2016, 01:03
     
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    Yuzrab
    Quattro del pomeriggio


    Scorgo una figura lontana, pian piano si avvicina, è sola o almeno questo mi sembra, ci separa una grande distesa di sabbia, ciò potrebbe ingannare le mie percezioni. Non mi scomodo, non ancora, attendo di poter ricavare maggiori informazioni. Si, constato che la prima impressione era esatta, è veramente da sola, si tratta di una giovane donna dai capelli biondi e dai lineamenti delicati, non si può sbagliare a definirla una creatura incantevole alla vista.
    Non farà alcuna differenza sostanziale.

    Piano mi alzo, scuotendo il mio abito con le mani per rimuovere il pulviscolo. Nonostante non emani alcun maleodore mi sento sporco, vorrei spogliarmi e lavarmi in calde sorgenti, strigliare la mia pelle con oli profumati e asciugarla con soffici panni di velluto, ma l'unica cosa con cui potrei placare tale mio desiderio è un lurido e fangoso stagno, non servirebbe a nulla.
    Scruto, gelido, la fanciulla e mi avvicino. Ora le distanze fra noi si sono ridotte abbastanza da poter consentirci di instaurare un discorso se pur ho lasciato intenzionalmente abbastanza spazio fra noi per non farla sentire minacciata. Una giovane donna da sola potrebbe sentirsi vulnerabile al cospetto di un uomo armato, non è mia intenzione minacciarla.

    Il sono Aizen Sosuke. Mi chiedo se anche lei capisce la mia lingua, quell'uomo che ho incontrato alle rovine alcuni giorni fà ne era capace. Con chi invece ho il piacere di parlare? Anche nel mezzo di una battaglia la cordialità non dovrebbe esser dimenticata, sopratutto al cospetto di una fanciulla.
     
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